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    Nadia G. Hoecke
    Sheet- deutsch accent - 28 y.o

    Tic, tac. Le dita di Nadia picchiettano forti contro il tavolo della cucina, più rumorose di quanto l'esilità suggerisca. I suoi grandi occhi sono puntati su Sean, difficilmente distoglie lo sguardo dalle cose che le interessano. La richiesta appena pronunciata pende nell'aria che li circonda, come una presenza, che svelta raggiunge il vago sorriso di lui. Nadia non ha davvero capito perchè sorrida, ma lo fa di rimando. Non immagina che quella di Sean sia, in qualche modo, una forma di tenerezza nei suoi confronti, non lo immagina perchè da anni non riconosce più i tratti infantili del suo carattere.
    Dietro quella durezza di modi si nascondono ancora retaggi di un'infanzia tutto sommato felice, di una bambina sempre curiosa e sull'attenti. Una dote, se così la si può definire, che non ha mai perso. Quello che fa di lei una studiosa, insomma, la ragione che l'ha sempre portata a cercare un'approccio teorico prima di confrontarsi con la realtà dei fatti. Uno potrebbe pensare che l'aspetto rigido e quello fanciullesco non possano convivere nella stessa persona: come se si dovesse sempre scegliere, per forza, tra l'uno o l'altro per poter davvero crescere. Si ignora del tutto il fatto che ogni adulto nasconda retaggi della propria infanzia, come piccoli tesselli nascosti in un puzzle contorto. E' solo una questione di sopravvivenza, ognuno si tiene ciò che l'ha fatto stare meglio in qualche modo e al tempo stesso non dimentica il proprio dolore. Non c'è una scelta, soltanto un sunto più o meno preciso delle proprie risposte a particolari eventi. Nadia ha cominciato a studiare per poter fuggire da Berlino, è vero, ma non ci avrebbe mai neppure provato se non fosse stata la versione curiosa di sé e quella irrefrenabile al tempo stesso.
    Lei, in ogni caso, crede di dovere tutto alla parte dura di se stessa, come se la gioia fanciullesca fosse solo un ricordo troppo lontano. Perciò non ha capito che la simpatia di Sean nei suoi confronti è quasi un istinto di protezione, forse. Ma gli sorride lo stesso e lo fa anche più quando finalmente si incamminano verso la bestia. I passi leggeri di Nadia si sentono appena mentre risale le scale in ferro, che portano al piano superiore.
    - Ero sicura che avresti provveduto a quello stupido nome. - ridacchia, accarezzando il corrimano come fosse sempre lì lì per aggrapparvisi - Ecco perchè i cacciatori dovrebbero limitarsi a cacciare. - eppure sa di aver promesso qualcosa a Morgan, lo sente riaffiorare come un singhiozzo mentre parla, ma il tono sicuro non si lascia mai tradire. Non può dirlo a Sean perchè, nonostante le piaccia davvero, il debito di Morgan le fa ben più comodo di quanto possa ammettere, eppure si lascia tentare dall'idea che il suo collega non sia, di fatti, contrario. Nadia è al centro tra un cacciatore, che la ritiene più vicina alla sua categoria che a quella degli Uomini di Lettere, e uno di questi ultimi.
    Ha poca importanza, però, quando la porta si apre davanti a loro lasciando spazio ad uno scenario tanto preoccupante quanto indicativo. La stanza è distrutta, ha ceduto alla forza di quella creatura nonostante, a detta di Sean, non sia neppure nutrita a dovere. Si tende a pensare che la morte non abbia un solo volto, che ne assuma molti nelle varie occasioni. Qualcuno invece la descrive come un corpo nero, senza viso, che regge una falce tra le mani. Nadia, dal canto suo, non riesce a smettere di credere che quello dell'alloiote sia di fatti il volto della Morte. E' una creatura quasi terrificante, a metà tra tutte quelle che già Morgan le aveva elencato, in modo sorprendentemente corretto.
    Nadia è ancora ferma sull'uscio, fissa l'alloiote e si sposta solo dopo aver deglutito, per rispondere a Sean. "Sapevo che anche tu un giorno avresti trovato una brava ragazza, pronta a fare di te un uomo rispettabile" poi facendogli cenno, ora quasi divertita, si avvicina di qualche passo alla creatura "Ciao nuova ragazza di Sean, fatti guardare meglio" ma non osa andare più vicina alla bolla che tiene fermo l'alloiote. Una cosa di quel tipo, secondo lei, non la crea Madre Natura: c''è più malvagità nascosta tra i suoi peli, tra i lunghi artigli e le zanne di quanta possa nascere naturalmente. L'intervento umano è quasi chiaro a quel punto, ma non si intravedono indizi su chi possa averla messa al mondo, sul perchè lo abbia fatto e, specialmente, su quante volte abbia ripetuto la stessa terribile creazione. "Ascolta, è ovvio ormai ma questa cosa è figlia di un alchimista, dovremmo immobilizzarla per poter capire in che modo: studiare le mutazioni in pratica" ormai non guarda più Sean, lo tiene sulla sua destra per evitare di dargli le spalle, ma fissa soltanto l'alloiote davanti a loro "Dobbiamo cercare i suoi compagni, capire quanti sono e in che zone stanno sbucando, poi troveremo il mago che lo ha fatto" il tono è sempre molto autoritario, ma non minaccioso: tutt'al più diretto. "C'è una cosa che potremmo provare, analizziamo il suo istinto di affiliazione, per capire se ha un branco" poi, finalmente, torna a guardarlo.

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    Nadia G. Hoecke
    Sheet- deutsch accent - 28 y.o

    Non è che tutt'intorno la casa sia davvero disordinata, ma alcuni dettagli sembrano dipingere come una placida atmosfera irrequieta su di loro. Le occhiaie di Sean e il modo in cui si aggrappa al caffè caldo come non dormisse veramente da giorni si abbinano perfettamente al fare trepidante di Nadia, che lo segue in cucina con la stessa frenesia con cui un cagnolino seguirebbe l'osso. Annuisce con gli occhi sbarrati ad ogni frase, così in attesa di quella dopo da non notare neppure che Sean si sta prendendo gioco di lei con i suoi inutili convenevoli. "No, grazie" scuote il capo, con alcune ciocche bionde che si ridistribuiscono senza peso sulle sue spalle. Nadia odia il caffè, anche il latte a dire il vero: principalemente beve alcol, acqua e té, che è comunque fatto al novanta percento con acqua, perciò forse dovrebbe rivedere la sua lista. Piuttosto si accende una sigaretta, usando l'indice per fare leva sulla rotella dell'accendino, nel suo solito strano modo. "Posso?" non si è dimenticata di chiederlo prima, è solo quel modo di fare vagamente irritante che la contraddistingue, di appropriarsi immediatemente degli ambienti in cui si trova anche senza muoversi. La sua è una presenza forte, parla poco e quando non fuma picchietta le dita sul tavolo, eppure ci sono istanti in cui sembra tenere le redini di tutto intorno a sé, come se fosse sempre in pieno controllo della situazione. Anche nella trepidazione del momento, mentre ascolta divorata dalla curiosità, non perde l'aria composta da generale dell'esercito tedesco che si porta sempre dietro. "Ho parlato con Morgan, mi ha mandata lui qui, mi ha detto della tua cattura e di cosa pensate che sia" si vede che è quasi divertita nel dirlo, come se l'idea che Sean Bishop possa davvero aver catturato una specie di chimera la diverta ancora. O comunque incuriosisca, più che altro. "Li ha chiamati Patrick Swayze, ma immagino che tu abbia un nome diverso da dargli" aggiunge sarcarstica, perchè non è che le importi davvero del nome "Da quanto ho capito non sapete molto, stai cercando la traccia?" chiede, perchè incoraggiata dall'idea che Sean possa davvero aiutarla a realizzare il suo dispositivvo di tracciamento: "La bussola". Non è che abbia un vero piano a riguardo, solo una pietra che ha più o meno capito come utilizzare e un disegno dal design anche più che povero, ma avere la materia prima è già molto più di quanto le sia capitato in altre circostanze.
    Il fatto è che tutta quella fretta nasconde un segreto. Spenta la sigaretta in un bicchiere ancora pieno, poggiato sul tavolo, riprende a picchiettare le dita ed è evidente che per tutto il discorso Nadia abbia pensato ad altro: come non vedesse l'ora di arrivare al capitolo successivo di quel racconto. Poi per un attimo sembra ferma ed è come se l'aria si caricasse dell'aspettativa che attende la prossima domanda. "Posso vederla?" chiede facendo cadere la maschera, ma con tono estremamente autoritario. Certo lo sta chiedendo, non è che sia un ordine, ma a volte il suo tono può ingannare.

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    Gli errori nelle parti di parlato più lunghe leggili con l'accento tedesco :lol:

    Nadia G. Hoecke
    Sheet- deutsch accent - 28 y.o

    Nadia non è un tipo superstizioso, non dichiaratamente almeno, ma nella vita ha avuto modo di osservare che alcune famiglie portano come una maledizione. Non è che c'entri davvero un qualche rituale, è anche più profondo di così, una maledizione indelebile perchè stabilita dal corso delle cose, scritta già prima dell'inevitabile verificarsi di alcuni eventi. Gli Hoecke, ad esempio, non è che qualcuno li abbia mai davvero maledetti, non un'entità fisica almeno. Eppure era come scritto nella loro storia, un'ombra oscura che ha cominciato a seguire i signori Hoecke il giorno del loro primo incontro. E' più una minaccia che altro, il vago sentore che le cose vadano sempre fatte con tutta la fretta del mondo: uno può pensare che sia semplicemente un fatto di carattere, che qualcuno nasca frettoloso di suo e altri custodiscano tutta la calma del mondo. Nadia fa parte della prima categoria ed erano così anche i suoi familiari, come se inconsciamente tutti si aspettassero in fondo di avere un tempo ben più limitato della media. Morgan, dall'altro lato del tavolo, non è che sembri proprio della stessa pasta, ma qualcosa di molto simile.
    Nadia ha le guance appena arrossate dal caldo che fa nel Deuce, almeno secondo lei, troppo in contrasto con il gelido inverno di New York. "E' così che ci si prende la bronchite" vorrebbe dire, ma non è una gran chiacchierona, più che altro non quando costretta a parlare in inglese. Il problema fondamentale di Nadia è che odia fare tutto quello in cui non è brava, o più in generale odia sentirsi in difetto. Per cui allo stesso modo in cui si sente a disagio nel dover chiedere favori o informazioni a qualcuno, detesta parlare Inglese con la gente del posto. Quindi mentre lui comincia a spiegare lei si limita ad asciugare il viso appena umido con una mano e annuisce. Non commenta il nome ridicolo che Morgan ha dato al "loro mostro" se non con un leggero sorriso, divertito in fin dei conti. Non è che renderli oggetto di divertimento sia sbagliato in ogni caso, in qualche modo Nadia trova che quel nome esorcizzi ciò che il mostro ha fatto ai Crain: una famiglia, apparentemente, maledetta.
    In questo si sente vicina a Morgan, anche se non gli ha mai chiesto come la veda lui, né si è mai preoccupata di raccontargli qualcosa di sé. Perciò sarebbe un discorso troppo lungo e contorto da imbastire, comunque troppo per qualcosa di fondamentalmente irrilevante. Insomma, lo sente comunque vicino nell'idea che si è fatta di lui, per quanto campata in aria sia. O comunque vicino in quella caccia al mostro.
    E' chiaro che in qualche modo l'obiettivo dovrebbe essere trovare il pazzo che sta mettendo in giro un branco di incazzatissimi "Patrick Swayze" o qualsiasi sia il loro vero nome, fargli il culo e sperare che lui sappia come togliere da mezzo ciò che ha creato. Ma in ogni caso sarebbe ingenuo aspettarsi che lo faccia davvero, seppure riuscissero a trovarlo. "Una chimera..." nonostante le due parole siano appena sussurrate lasciano trapelare un vago sentore di preoccupazione. "Quindi stiamo cercando un alchimista? Sean ha avuto modo di controllare se c'entra l'alchimia?" la questione in tutta la storia, più che altro, è come sia riuscito Sean Bishop a catturare, testuali parole, una bestia che ha tracce di un lincantropo, un vampiro e un wendigo. Una macchina da guerra in pratica.
    Ovviamente, come tutti quelli della sua specie, Nadia dissente con un cenno del capo non appena Morgan accenna al fare fuori il suo Patrick. "Sean te lo ha già detto sicuramente, ma non ha senso farlo fuori ora" fa velta "Dovete analizzare la traccia, controllare se vi porta da qualcuno o se può aiutarvi a trovare altri." a volte è come se gli studiosi dovessero ribadire solo per partito preso di non uccidere la creatura, anche quando già ovvio, solo per sottolineare la vera differenza tra i cacciatori e chi li aiuta. "Forse posso aiutarvi, ma devi lasciare vedere la bestia e dirmi tutto quello che ti viene in mente" aggiunge decisa, con le guance ancora dolcemente arrossate dal tepore che si crea sempre in quella stanza.

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    Nadia G. Hoecke
    Sheet- deutsch accent - 28 y.o

    New York è sempre più silenziosa la mattina, prima delle otto a volte non sembra neppure la stessa città. Si sente sempre dire che non dorma mai, ma Nadia è fermamente convinta che la Grande Mela si riposi, invece, in quei momenti di isolata quiete. E' come se per qualche ora rimanesse in attesa, immobile mentre prende il coraggio di ricominciare nell'unico in cui istante chi la abita sta per risvegliarsi, o dorme da troppe poche ore per potersi davvero alzare. L'intera città è avvolta in una placida tranquillità che riflette poco fedelmente il suo vero spirito, in realtà. L'aria ghiacciata si lascia alle spalle un'attesa vagamente natalizia, come se una volta superato Halloween, con i suoi colori caldi, l'intera città si fosse organizzata per cominciare a decorare a festa ogni Via. Nonostante siano ancora le sette di mattina, qualcuno sollleva le serrande dei negozi, riempiendo la strada di un eco metallico che lascia spazio alle luci intermittenti di Natale, che in molti hanno già appesso alle vetrine. C'è anche qualche Babbo Natale qui e lì, lasciato prematuramente a pendere di fianco alle insegne consumate, mentre qualcuno spazza via la Neve dall'ingresso di casa. C'è odore di caffè nell'aria, o forse è solo il modo in cui il corpo di Nadia rivela la propria stanchezza, come la invitasse a prendersi un secondo per recuperare qualche energia.
    Ha le mani vitree ormai, tra le vene verdastre si intravede il colorito rosso dei polpastrelli troppo infreddoliti. Avrebbe dovuto indossare dei guanti, se lo ripete ogni volta, ma alla fine non lo fa mai perchè odia il modo in cui finiscono sempre per impregnarsi di fumo nell'istante stesso in cui accende una sigaretta. Dalle labbra lascia uscire volute di fumo e vapore acqueo, che volteggiano fino a perdersi sullo sfondo di un cielo bianco, terso della neve promessa dalle previsioni meteo e che già da settimane ha dipinto di bianco le strade di new York.
    Il problema è che c'è qualcos'altro nell'ombra, che si aggira quando le luci della città si spengono e le vie dovrebbero svuotarsi. Qualcosa che si diverte a macchiare quel candido velo di sangue umano, una chiazza profondamente rossa che da un po' dilaga segretamente nella città come una malattia. O un demonio. Qualcosa, insomma, che proprio perchè così terrificantemente intelligente ha attirato l'attenzione di Nadia. Una creatura, più creature a dire il vero, che per qualche assurdo motivo Sean Bishop è riuscito a catturare.
    Una fortuna per lui, ma soprattutto per lei, che senza rischiare la vita ha finalmente la possibilità di capire meglio che tipo di creatura abbia trasformato New York in una macelleria umana. Si chiede spesso come facciano i no-mag a non notare nulla, se a lei basta giusto qualche contatto per trovare sempre tutte le informazioni che desidera. Alla fine è una questione di prontezza, un po' come nel giornalismo uno deve solo limitarsi a conoscere le persone giuste e tenersi sempre informato, pronto a spostarsi rapidamente e libero da inutili scrupoli o riserve. Tutte cose che Nadia ha imparato già da tempo e che, tutto sommato, l'hanno aiutata da subito a non morire di fame in un Paese di cui, all'inizio, neppure conosceva troppo bene la lingua. Uno tende a pensare che il mondo sia tutto uguale nel ventunesimo secolo, che tutti parlino inglese e che i modi e le usanze siano pressoché comuni a tutto l'Occidente. Ma non è necessariamente vero, almeno non nella sua esperienza, che per quanto ci sia riuscita velocemente è stata presto costretta ad adattarsi a quei modi di fare degli Stati Uniti. I modi eccessivamente affettuosi, ad esempio, ma mai disinteressati o il modo velato in cui, pur facendo vanto della propria ricchezza etnica, glli stranieri vengono sistemicamente discriminati. Con i maghi quantomeno è diverso, tranne i coglioni pomposi delle grandi famiglie o gli idioti del Macusa, è come se l'unica etnia fosse, appunto, quella di mago: senza una vera e propria nazionalità.
    La porta si spalanca senza cigolare e Nadia non dà a Sean neppure il tempo di salutare o aprire la bocca per dire una di quelle cose tendenzialmente formali che ovviamente non interessano a nessuno dei due. Non vuole sapere come sta Sean, come se la passa e che ha mangiato a cena ieri sera. Nadia vuole vedere e lo vuole al più presto. - Voglio vederla. - ordina velocemente oltrepassando l'uscio e il giovane Bishop al tempo stesso, come fosse casa sua. - Come l'hai catturata? - chiede subito dopo posando lo sguardo su ogni singolo angolo della stanza che la circonda. E' delusa e si vede, perchè in qualche modo nella sua trepidazione si aspettava di vedere la bestia davanti a sé non appena spalancata la porta. Trema ma non per paura, è come se non vedesse l'ora di guardarla negli occhi, di capire meglio cosa sia e come si comporti. - Ti ha parlato? - aggiunge, ma non dà mai il tempo di risponderle, come se non fosse concentrata su quello. Poi si ferma come d'improvviso al centro della stanza e si volta a guardare Sean, stavolta ha le sopracciglia aggrottate sulla fronte - Almeno sa parlare? - chiede.

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    Nadia G. Hoecke
    Sheet- deutsch accent - 28 y.o

    "Sono tedesca non spagnola, Morgan" lo sguardo è ancora sull'ultima frase della pagina mentre lo dice. Si avvicina svelto al limite destro e poi all'improvviso è fermo, Nadia serra gli occhi e li riapre su di lui prima di chiudere il libro. Sul tavolo si intravede il riflesso che la luce proietta sul titolo appena dorato, come una specie di indizio lasciato lì quasi per caso: "Wendigo: quello che devi sapere".
    In tutto il mondo non se ne contano poi tanti, quantomeno non nel resto del mondo, poiché la gran parte dei Wendigo è concentrata proprio negli Stati Uniti, verso il confine col sudamerica per la precisione. E comunque pur vivendo nel Paese da sei anni circa, Nadia non può certo dire di averne visti molti, non vivi quantomeno: più che altro, quello che può dire, è di averne studiato spesso le prede e i vari aspetti prettamente teorici, come suo solito. Il modo di cacciare come fosse per gioco, ad esempio, oppure i grandi poteri sulla mente e ancora le ferite brutali che infliggono alle povere prede. E' proprio questo il problema: all'inizio trovare qualcosa da studiare sembrava più difficile, ma negli ultimi mesi le vittime di presunti Wendigo si sono come triplicate. Quindi o in giro ce n'è uno completamente impazzito che ha deciso di vincere il premio di macellaio dell'anno, o in qualche modo si sono messi a fare squadra. C'è effettivamente anche la possibilità che Nadia si sbagli, e non si tratti di un Wendigo, un'eventualità che ancora non è riuscita ad escludere. Questo "mostro" uccide quando la luna è piena, ma le sue fasi lunari non sembrano quelle di un Lupo, inoltre gli omicidi così diversi tra loro fanno pensare a qualcosa di più intelligente, ma anche estremamente brutale. Qualcosa come un Wendigo, appunto.
    Il problema di chi studia le creature senza cacciarle è sempre lo stesso. Uno si ritrova costretto a cercare di esaminare le prede, oppure è così fortunato da assistere ad un attacco senza esserne vittima. Ma andare a caccia di cadaveri significa restare sempre un passo dietro alla creatura, condannati a seguirla e assistere senza poter davvero fare qualcosa. Diventa una sfida ad un certo punto, la voglia di dimostrarsi che alla fine se uno è veramente intelligente può farcela anche solo con l'ingegno e i contatti giusti. E' quello che i cacciatori non capiscono, che l'essere umano non è la creatura più forte in battaglia, ma può facilmente diventare la più intelligente.
    Morgan serve a questo, non sempre ma stavolta sì. Di solito Nadia risponde, per cui si vede anche dall'altro lato del tavolo che è a disagio. E' una di quelle situazioni in cui si sente di più la cadenza lievemente tedesca nella sua voce, che non trema ma viene tradita da quel piccolo particolare.
    "Che dici?" chiede quasi frettolosamente, per educazione in realtà. Nadia distoglie raramente lo sguardo quando parla con qualcuno, lo fa solo per bere un altro sorso, come volesse prendere tempo. E' strano, perchè non perde la sua sicurezza nemmeno in questi casi: è in imbarazzo a dover chiedere qualcosa proprio a Morgan e si vede, è vero, ma per qualche motivo è ancora così composta e sicura di sé al tempo stesso. "Ascolta, che cos'é?" fa all'improvviso, non appena la pinta che stava mandando giù tocca di nuovo il tavolo. "La bestia, o le, che sta creando il panico" non fa più molti errori quando parla, ma il suo è un inglese semplice, perchè prima di trasferirsi negli Stati Uniti conosceva solo il Tedesco e il Francese. "Non devi dirmelo se non vuoi, ma so che lo sai" a Morgan piace ficcarsi in queste cose, Nadia non ha mai capito perchè ma si capisce che gli piace rischiare la vita. Una malattia, per alcuni, o una missione.

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    Nadia G. Hoecke

    Un concetto bizzarro quello della gloria. Centinaia di libri, imprese e canti nella storia sono stati intitolati a lei. Quanti inni nazionali, quante battaglie e quante morti, per un mucchio di nulla. Perchè, da un punto di vista utilitario della situazione, di fatti la gloria non è nulla di neppure lontanamente concreto. Non è denaro, tutt'al più una bella statua vagamente rassomigliante alla persona ritenuta gloriosa, o un dipinto sull'impresa incredibilmente rimarchevole di qualcuno. Niente di utile. insomma. Quantomeno non qualcosa da mangiare, o del semplice denaro: no perchè, per essere ritenuti veramente uomini di gloria, virtuosi e tutto il resto, naturalmente non è previsto di accettare ricompense. Come se di imprese gloriose si vivesse anche, oltre ovviamente a morire. Perchè di certo si muore più spesso di quanto si sopravvive inseguendo questa fama tanto ambita, così diverse religioni nella storia hanno deciso di offrire qualcosa in cambio. Non qualcosa di concreto, attenzione, ma la promessa di una splendida esistenza nell'aldilà. Per i nordici si trattava di un bel banchetto eterno con dei e defunti altrettanto valorosi, come se uno potesse mangiare per sempre senza nemmeno avere uno stomaco. Qualcuno sogna un paradiso pieno di vergini e ricchezze, ma nessuno arriva mai a chiedere di avere tutto questo nella vita reale. Dove si ha certezza di esistere nel momento. E se un tempo, come nell'antica Roma, di quello che comportava la gloria si poteva effettivamente vivere, nel ventunesimo secolo i più virtuosi sono anche quelli senza un soldo.
    Nadia ci pensa da ore, mentre guarda entrare i cacciatori nel seminterrato del Deuce. Tranne quelli che, come i Foulger, vengono da importanti famiglie ormai ricche da qualche generazione, si capisce immediatamente che gli indipendenti sono spinti da altro. Passione, forse, o comunque qualcosa di altrettanto stupido. Come lei, che più che altro cerca di seguire il sogno di sua sorella Kai, vivere studianto le creature magiche in pratica, nel miglior modo che ha trovato. Una cosa folle da parte sua, che però porta avanti ostinatamente nel tentativo di racimolare abbastanza dati da poter vendere effettivamente a qualcuno, per ottenere il denaro necessario a spostarsi nella Tundra e proseguire lì gli studi. Per quello però serve materiale, che uno non può sperare di ottenere a New York se non va a caccia e per Nadia di cacciare non se ne parla. Non ancora almeno.
    Morgan, ad esempio, non sembra uno con molti soldi e che lei sappia non accetta denaro per ricompensa. Perciò Nadia si domanda continuamente di cosa campi, perchè lo faccia e soprattutto perchè non si sia scelto un altro lavoro, uno vero ad esempio. "Stavolta glielo chiedo" si promette tornando in sé. In mano ha un libro aperto a pagina 356, un bestiario per la precisione, e nel vede quel numero si rende conto di aver smesso di leggere veramente da almeno una pagina.
    Quelli come lei si riconoscono subito nel Deuce: gli informatori. I più immacolati, sia dal punto di vista salutare della cosa che da quello di cura personale dell'individuo. Di solito sono anche quelli che aspettano da ore con un libro in mano. Nadia lo fa sempre, arriva qualche ora prima dell'appuntamento con Morgan, ordina un cheeseburger extralarge con patatine e birra alla spina grossa, poi apre il suo libro e comincia a leggere mentre mangia. Data l'abitudine tutto somamao è un bene che non si vedano così spesso, però le piace quel piccolo rituale perchè è una scusa per ritagliarsi del tempo da dedicare allo studio. E poi il Double Deuce è un gran bel posto, abbastanza pulito considerata la clientela, con le luci soffuse e tutto quel legno scuro che lo fa sempre sembrare un luogo di vecchia data. Nonostante le assi del pavimento non cigolino poi tanto quando calpestate.
    Il seminterrato è un luogo abbastanza esclusivo, o comunque ha tutta l'aria di esserlo, già considerato il fatto che non vi si può accedere senza una chiave riservata ai cacciatori e i loro collaboratori. C'è addirittura una parete nera con su scritti i nomi di quelli morti, che secondo Nadia dovrebbe essere considerata più come un monito. Come a sottolineare che di fatti per la gloria si muoia molto più spesso di quello che uno potrebbe pensare.
    Però le piace stare lì, ad esempio adora il fatto che non ci siano finestre nel seminterrato. Rende il tutto molto più segreto, privato in qualche modo. Perciò aspetta sempre così tanto l'arrivo di Morgan, sceglie di proposito i giorni in cui ha meno cose da fare per potersi ritagliare quelle due ore di privacy.



    Edited by Wackadoodle - 16/11/2020, 22:44
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    TVB OTIS è che Nadia è insopportabile <3

    Nadia G. Hoecke

    "Fallo fare a me." piccoli fiocchi di neve si posano come cristalli su di lei, intrecciandosi al berretto di lana grigia che porta in testa, ben stretto sulle orecchie. Nadia non soffre particolarmente il freddo, probabilmente perchè l'Inverno tedesco tende a temprare gli animi di chi lo vive. Uno potrebbe pensare che si tratti semplicemente di allenamento, che basti trascorrere al freddo quel tanto sufficiente ad abituarsi, ma non è del tutto vero. Non per Nadia almeno. Lei crede alla teoria di Tacito ora conosciuta come "determinismo geografico", una cosa molto altisonante che la fa sentire una donna colta e ben informata, o quantomeno su quel piedistallo che basta ad illuderla di aver capito qualcosa in più rispetto agli altri. Secondo Tacido l'ambiente di nascita delle persone ne definiva in qualche modo il carattere e per ambiente lui intedeva effettivamente il luogo geografico. Perciò stando alle sue teorie, intere popolazioni erano inevitabilmente accomunate da alcuni tratti caratteriali condivisi, determinati dall'ambiente circostante. Per esempio, secondo lui, in "Germania" dovevano essere tutti d'un pezzo e molto poco affettuosi, per via del freddo. Cose se il clima potesse in qualche modo influire sull'animo delle persone, cosa non troppo difficile da accettare se si pensa alle giornate uggiose spesso accompagnate da inspiegabile malinconia.
    "L'altra volta è andata bene, si fida di me" stavolta è più insistente, si vede anche dal modo in cui Nadia tiene i piedi puntati per terra mentre cerca di convincere Edward, il suo "capo", a mandare lei nell'Harlem. E' sempre la stessa storia con lui: finge di non fidarsi quel tanto che basta a costringere chiunque ad una recita esageratamente lunga, fatta di lodi ed elenchi dei motivi per cui, invece, farebbe bene a fidarsi. Non Nadia, però, lei ha capito in fretta che per avere qualcosa da Edward in realtà basta pretenderla, è molto semplice. La prima volta che gli ha chiesto di "lavorare", ad esempio, ha poggiato sul tavolo una delle sue ultime mazzette di banconote da cento dollari e gli ha chiesto immediatamente in cambio la droga da rivendere. Erano nel buco di merda che Edward frequenta sempre appena fuori dal Queens, lo stesso contro la cui porta è ora poggiato lui con la sigaretta che pende in pericolo tra le labbra. Un posto logoro in cui anche le assi di legno di cui sono fatti i tavoli puzzano d'alcol e sudore, con la luce soffusa che illumina appena i volti dei soliti ceffi che lo frequentano. Appena entrati una scala cigolante accompagna gli avventori nel seminterrato che hanno il coraggio di chiamare "bar". Il terzo gradino ha ceduto da circa due anni: "Sean", Nadia non sa chi sia Sean ma la storia le è stata raccontata così, è un uomo molto grasso e un giorno, scendendo di tutta furia in seguito ad una grossa vincita d'azzardo, ha sfondato il gradino col suo piede enorme. Inutile dire che nessuno si sia più preoccupato di ripararlo. Hanno semplicemente appeso alla porta un cartello con su scritto: "Il terzo gradino è rotto, ATTENZIONE" molto didascalico. Lo stesso cartello che fa capolino dietro la testa di Edward, mentre annuendo le passa una busta. "Ok, hai vinto" lei sorride appena e accenna un ironico inchino "Gli mando un messaggio per dire che vai tu" aggiunge con l'estrema lentezza di chi non teme l'avanzare del tempo "Tra quaranta minuti all'incrocio dove sta il Jolly, Harlem". Sapeva che alla fine avrebbe accettato. Edward è un uomo dal volto senza età e nessuno si permette di chiedere a lui direttamente, ma Nadia ha il sospetto che dal loro primo incontro si senta un po' come una figura paterna per lei. Porta i capelli lunghi sempre raccolti in una capigliatura indefinita simile ad una coda bassa, e la barba tagliata a filo, ma potrebbe avere vent'anni e quaranta al tempo stesso.
    L'Inverno 2014 promette di farsi sempre più gelido, Nadia tiene le mani in tasca e cammina col volto basso, perchè senza ombrello i chicchi di neve le si incastrano tra le ciglia costringendola a quella smorfia vagamente ridicola di chi sta per starnutire o ha sbattuto il mignolo del piede contro un mobile. E poi le piace guardare le orme degli stivali che restano lì, nella neve dietro le sue spalle, mentre con passo deciso calpesta le vie di New York mossa dalla fretta di chi, in fin dei conti, spera di non passare tutta la serata al freddo. Camminando non riesce a smettere di pensare a quanto le dia fastidio il fatto che persone come questo Otis, appunto, non siano altro che inutili e pomposi ragazzini nati in famiglie troppo ricche per prendersi davvero cura dei loro vizi. Pensa che in fondo se non fossero morti tutti gli Hoecke anche lei sarebbe diventata così. Ma la droga le fa schifo e anche chiunque ne faccia uso. "Viscidi" si dice ogni volta, perchè il massimo che abbia mai provato è un po' di erba. Non hanno mai parlato davvero ma lei lo odia, odia quel suo stupido viso e il modo da annoiato borioso in cui parla e poi si immagina già casa Foulger piena di lussi. Dopo il loro ultimo incontro non era riuscita a smettere di fargli il verso tra sé e sé "Grazie...gnignigni, non sei grato per un cazzo". Ma, appunto, la sua è un'antipatia innata che è costretta ad ignorare, soprattutto se spera in qualche modo di riuscire a convincere il ragazzo a farla entrare in casa sua.
    Un ex compagno di missione in Africa, quello con cui era partita alla volta di New York, le ha gentilmente concesso alcune informazioni segrete sulle famiglie di "Cacciatori" di New York. Una sorta di associazione votata all'eliminazione di creature pericolose nel mondo magico. A tutte queste famiglie di pseudo-soldati specializzati, però, serve un esperto delle creature che cercano. Lei spera di diventare quell'esperto per l'unica famiglia che è riuscita ad agganciare in qualche modo, nonostante l'aggancio sia decisamente da intendersi molto alla lontana.
    Il Jolly è un bar nell'Harlem, la vetrina principale dà sulla strada e porta su scritto il nome del posto con un carattere vintage, che fa già pensare all'atmosfera Jazz che si nasconde dietro le fitte tende verdi che fanno da sfondo alla vetrina. Harlem del resto è famosa per la privacy di cui godono i clienti, in locali sempre poco illuminati e non osservabili dalla strada. Quello che Nadia ha sempre trovato incredibilmente affascinante, però, è la leggera melodia di sottofondo, composta dalla musica jazz che alle volte trapela dalle porte spalancate per un istante, o dai vetri sottili di alcuni locali. Così se ne sta rifugiata sul pianerottolo che dalla strada porta all'ingresso effettivo del Jolly, riparata dal palazzo sopra di lei.

  8. .
    CITAZIONE (Patrizia. @ 12/11/2020, 14:44) 
    Ma ciaoooo❤❤❤ che bello rivederti qui, bentornata❤

    Grazie mille un sacco di cuoricini <3

    CITAZIONE (Tippete @ 12/11/2020, 17:31) 
    OH CIAO. Non so se ti ricordi, che non mi ricordo neanche che nickname avevo (magari questo, non ne ho idea) MA, muovevo Isy. Non so se ti ricordi neanche lei. Abbiamo fatto revenge nella cella insieme (detto così proprio feeling due internate, ma da manicomio, vabbè). Comunque che bello che sei tornata <3

    CIAOOOOOO mi ricordo e il nick era anche lo stesso, ma soprattutto CHI SE LA SCORDA PIU' LA QUEST.
  9. .
    CITAZIONE (Arka. @ 12/11/2020, 14:15) 
    Io sì!!!! BENTORNATAAAAAAA <3 anche se non so se ti ricordi di me, questa è la nostra unica role. Wow quanto tempo è passato, chi hai in mente come pv? Sempre se ti va, sei prenotata per una role v.v

    INVECE MI RICORDOOOOOOOO, assurdamente ho scoperto di ricordarmi praticamente tutte le role. Le stavo rileggendo e che bellezza <3 Mi scuso proprio per la qualità di alcuni post già che ci sono che non si sa mai.
    Reputami prenotatissima, per ora il pv mi sa che è Dakota Fanning. Però l'incognita vera è se fare una femmina o un maschio, quindi booooh.

    CITAZIONE (hime. @ 12/11/2020, 14:28) 
    Ciaooo che bello che sei tornata <3 sono tanto contenta, per qualsiasi dubbio chiedi pure che sono cambiate tante cose. Non preoccuparti di nulla <3 <3 <3 <3 <3

    himeeeeeeeeeee <3 <3 <3 tantissimi cuoricini. Ti tormenterò allora.
  10. .
    Innanzitutto scusatemi.
    I nuovi non capiranno, ma se c'è ancora qualcuno che si ricorda di me ed Havel scusate. Qualche anno fa sono semplicemente scomparsa, ma ho ripensato spesso a questo GdR, all'impegno di tutti gli utenti e le capacità di chi ruola qui.
    Non ce l'ho fatta, sono dovuta tornare perchè da qualche giorno continuavo ad entrare e leggere le vostre role, ma non avrei saputo da dove cominciare a scusarmi per la sparizione. Perciò lo faccio in modo veloce ed indolore: sono un'idiota, perdonatemi.
    Per gli altri CIAOOOOOOO, io mi chiamo Benedetta (aggiungere qui un eco che risponde "Ciaaaao Benedetta") e non ruolo da T A N T I S S I M O.
    Qualche anno fa avevo dei pg qui, tra cui Havel, una giovane un po' fuori di testa... tipo me in pratica.
    Nella vita mi piacciono veramente trooooppe cose: film, musica, serie tv, videogiochi, fumetti. Il bello è che non sono nemmeno tanto legata ai generi, quindi quando dico TROPPE intendo veramente TROPPE, senza distinzioni di qualità e format. Credo dipenda principalmente dal fatto che mi piacciono le storie, non importa di che tipo.
    Mi sembra quasi la prima volta, ho la stessa ansia per la scheda del PG, ma almeno la scelta del PV non mi spaventa. Sono una bimba cresciuta ora.
    Pensavo di creare un nuovo personaggio da 0, abbandonando a malincuore anche i miei preferiti di un tempo, ma prima non vedo l'ora di controllare tutta la trama e divertirmi un po' *^*
    Ciao ragazziiiii, questo è quanto. Se ci siete e vi ricordate battete un colpo <3
  11. .

    Havel Lais Rivero
    Sheet - Shapeshifter - Voice

    C'era uno strano silenzio in quella cantina, fatto del rumore di mille pensieri, di respiri e parole che esitanti faticavano a superare le labbra dischiuse di tutti. Quello che doveva essere il rumore dell'Apocalisse, o che perlomeno Havel aveva sempre immaginato così, parve distante, come le pareti intorno a loro fossero in grado di proteggerli dall'inesorabile fine che quel cielo grigio prometteva. L'Universo aveva usato loro cortesia, concedendogli pochi attimi di quel silenzio appena tastabile, prima della fine. Un atto di gentilezza, forse mosso dalla pena che i loro visi incerti avevano risvegliato in Madre Terra: un silenzio con le proprie tre dimensioni, che arrivò alle orecchie di Havel come un fischio assordante.
    - Cazzo! - gridò in un balzo che impavido sfidò quel cauto equilibrio. Aveva ancora le mani sporche di sangue quando il ragazzo ferito aveva cominciato a scomparire, gli stava vicina quando la sua carne s'era fatta in frantumi, divenendo i frammenti rotti di una luce che forse aveva custodito in sé. - Non è possibile... - sussurrò a denti stretti, con gli occhi fissi al vuoto che solo pochi secondi prima ospitava una persona in carne ed ossa. Si avvicinò di nuovo, cercando una risposta in quei frammenti che rompendosi al suolo erano scomparsi. "I cadaveri non si vaporizzano" pensò, eppure tutt'intorno a lei l'umanità aveva preso a dissolversi in quei rantoli che si lasciava alle spalle per qualche secondo, prima di scomparire del tutto, per sempre.
    - Ardan... - sussurrò appena, con le braccia distese lungo il busto e gli occhi che spalancati facevano luce nella penombra di quello scantinato. Fuori di lì il cielo riversava sulle strade le mille lacrime di chi, senza capire, si disperava guardando i propri cari scomparire. - ARDAN! - gridò proprio mentre un tuono esplodeva tra le nuvole, arrivando a scuotere anche loro. Si voltò ad incontrare lo sguardo di lui, in cui sperava di trovare qualche risposta, o quantomeno un barlume di certezza, ma lo vide lanciarsi ad abbracciarla come per tenere entrambi fermi lì, per impedire alle loro figure di andare incontro ad una fine sconosciuta. Rimase immobile, con lo sguardo fisso al vuoto dietro di lui, prima di concedersi un istante per assicurarsi che nessuno dei due stesse cominciando a dissolversi. - “Io non me ne voglio andare, Ardan”. - sussurrò abbassando finalmente la testa e accostandosi al suo orecchio per godere di quello che, fino a prova contraria, avrebbe potuto essere il loro ultimo abbraccio.
    E qualsiasi istante li avesse condotti a quel momento preciso, in cui il tempo parve fermarsi, era stato solo un patetico mezzo per stringerli l'uno nelle braccia dell'altra, in quello che parve un dipinto di guerra. Ardan, un angelo dannato e relegato al suo inferno in terra, ed Havel, col fuoco nelle vene e una guerra nella testa, stretti in quello che solo era degno d'essere l'ultimo loro abbraccio. Non c'erano lacrime nei loro occhi, ma le palpebre di Havel tremolavano mosse dalla paura e dall'ignoranza di cui si sentiva prigioniera, quasi quel suo non sapere le avesse costruito delle sbarre tutto intorno e, per la prima volta, lei riuscisse a vederle chiaramente. - Non dire così -gli fece mentre con un mezzo sorriso ripensava a quei momenti di spensieratezza che s'erano regalati nel poco tempo insieme. Dalla prima sera in cui l'aveva rivisto incappucciato in quel pub, quando il degrado di tutto intorno a lui sembrava volerlo trascinare giù con artigli affilati; a quel pomeriggio in camera sua, quando il vapore aveva dipinto piccole gocce sui loro visi tesi e li aveva nascosti appena da ogni male, mentre tornavano a scambiarsi un bacio che da solo era riuscito a raccontare tutti gli anni passati l'uno distante dall'altra; alla sera al molo, quando finalmente era tornata a New York e una promessa fatta a cuor leggero li aveva messi sul primo treno per Salem la mattina dopo, a giocare a carte e guardare il paesaggio sfrecciare oltre il finestrino, alla ricerca di una nuova vita; e le notti in stazione, quando Ardan restava sveglio per controllare che nessuno le facesse del male e lei, sgraziata, dormiva a bocca aperta poggiata sulle gambe di lui, regina della decadenza che Ardan aveva attirato intorno a loro e che lei, senza fare domande, aveva accettato e sottomesso.
    Ed ecco ancora un'altra promessa, d'amore eterno questa volta. Pioveva la prima volta che gli aveva detto d'amarlo, quando sulla spiaggia s'era lasciata sfuggire quelle parole e, per prima, aveva fatto un passo avanti e non poteva più trovare riparo. Pioveva quel giorno, quando abbracciati, forse ad un attimo dalla fine, Ardan le chiese di sposarlo, contagiato dal modo di fare impulsivo con cui Havel aveva sempre trattato ogni cosa. Eppure, quelle sue parole, parvero dettate dalla fine piuttosto che da un vero sentimento. - Non dire così... - ripetè - Non comportarti come se fosse il nostro ultimo abbraccio. - gli disse, guardandolo negli occhi questa volta. - Non chiedermi di sposarti solo perchè domani potremmo non esserci più... - e abbassando la voce aggiunse. - Promettimi che non scompariremo e io prometterò di amarti per sempre. - un respiro, forse l'ultimo.



  12. .
    263zs02

    29 anni / Sheet
    Maireed Rionnagan

    Cried when she should and she laughed when she could. Here's to the man with his face in the mud and an overcast play just taken away from the lover's in love at the centre of stage.

    Le sue dita picchiettavano irrequiete contro le gambe, come lancette di un orologio troppo frettoloso, mentre con gli occhi levati al cielo aspettava un segno, una risposta. Vide il pomello girare su se stesso, prima che la vecchia porta lasciasse spazio ad un quadro grigio del fumo che si perdeva nell'aria, facendo da cornice alla stanza in quelle sue volute diafane che accarezzavano ogni cosa, dal letto disfatto all'imponente sagoma di Riley. La prima volta che l'aveva visto, da piccola, i suoi occhi freddi erano riusciti a trafiggerle il cuore e spaventarla come soltanto uno sguardo così dannato poteva fare, poi però, con il tempo, la freddezza s'era colorata di uno strano affetto che May non aveva potuto fare a meno di ricambiare. - Il ragazzo, Josh. - fece prima di mettere anche soltanto un piede nella stanza, trepidante. - è scomparso. - sollevò lo sguardo al letto di RIley, alle sue braccia che svelte scacciavano il fumo dipingendo una scena insolitamente malinconica, come se vi fosse qualcosa di decadente nei dettagli nascosti tra quelle grigie spirali. Come il filo conduttore di una storia si tenevano sollevate a mezz'aria, raccontando quella che con tutta probabilità era la vita di Riley, nel grigiore inesorabile di una camera avvolta da quella placida malinconia che lei, ormai, vedeva quasi come un singolare pezzo d'arredo. - La ragazza, quella mora, ha detto che non si fa vedere da ieri notte. - spiegò accostandosi al letto, prima di piegarsi appena a stendere le lenzuola, per rimboccarle sotto il materasso, creando quella parvenza d'ordine da sola riusciva quasi a darle calma. E le lenzuola distese, in quel disordine, parvero una parentesi di gioia che quasi faceva a cazzotti con la luce soffusa, come le fossette sulle guance di Riley facevano con il suo viso dai tratti duri. Non era cambiato molto in quegli anni, i sui caratteri già marcati in gioventù s'erano solo scavati ancora di più nel volto, lasciando spazio a delle occhiaie rosse che circondavano gli occhi in un abbraccio di velata tristezza, di rabbia, che lui sembrava portare con orgoglio. - Come stai? - fece accarezzando il letto per distendere ancor più le lenzuola, con gli occhi pieni di quella premura che la faceva sembrare madre di chiunque. May non riusciva a non preoccuparsi per gli altri, anche quando loro, come Riley, non sembravano curarsi di ciò che lei credeva di vedere e che, forse, era soltanto frutto del filtro religioso con cui guardava il mondo, come grandi lenti poggiate sui suoi occhi. A volte, soltanto in giorni di particolare consapevolezza, quel fare premuroso dava i nervi persino a lei, altre volte invece lo vedeva come l'unico modo di redimersi. Quasi il suo atteggiamento fosse una grande recita messa su per guadagnarsi il favore di chissà chi.

  13. .

    Andrea De la Gardie
    26 anni – lycan – specializzanda – scheda - ©hime
    Ogni pub di Manhattan custodiva segreti. Quello dove Andrea sedeva li aveva nascosti tra le scricchiolanti travi di legno, che con il loro cigolio sembravano provocare il silenzio di quei muri, custodi affidabili di ogni scheletro nell'armadio, di tutti i sussurri. Le bollicine, nella pinta di birra, fuggivano veloci verso la superficie, cercando la libertà soltanto per morire appena sfiorato il traguardo. La stessa libertà che Andrea, invece, sperava di trovare proprio in quella birra, un'amante poco fedele, alla mercé di tutti, ma sempre pronta ad offrire riparo ai bisognosi. Si era innamorata due volte nella vita, di suo figlio Jackson e di una buona birra belga, che quella sera sedeva al suo cospetto senza giudicare.
    Jackson era con una ragazza che s'era offerta di fargli da babysitter nella prima notte libera di Andrea, la prima nell'ultimo mese e anche in tutto l'anno. Gliel'aveva lasciato con diffidenza, ma sapeva di aver bisogno di un istante per se stessa, un momento intimo che aveva scelto di condividere con quella pinta e qualche chilometro di distanza da suo figlio. Separarsene era stato più duro di quanto immaginasse, specie perchè senza averlo al proprio fianco non riusciva a non chiedersi per quale motivo, in tutto quel tempo, Jackson non avesse mai detto neppure una parola. Andrea ci aveva provato, passava ore ed ore ad indicare se stessa e dire "mamma" e lui, per tutta risposta, si limitava a mugugnare. Niente più di un ingenuo "guuu", un singolo verso in ore di tentativi sempre più vani.
    Non si sentiva mai sola, non con Jackson al suo fianco, eppure seduta al bancone quella birra non bastava a tenerle compagnia. Per quanto sincera ed apprensiva, non ne sentiva più il caldo abbraccio correre lungo il palato come un fiume in piena. Diventare madre aveva cambiato la sua vita, sostituendo il preciso algoritmo che la descriveva prima con il fiore delicato di un istinto che poi, di delicato, non aveva proprio nulla. C'era paura nei suoi, come una macchia scura sul palcoscenico delle sue iridi verdi, incorniciata da un sipario di coraggio sempre più evidente di ogni altro piccolo dettaglio.
    Il pub cominciava a riempirsi di quella folla che si dimenava tra le vie di New York come tentacoli di una piovra. Negli occhi di ciascuno una speranza, sulle guance il rossore di quell'afa che aveva colorato ogni cosa con il proprio tocco umido. Poi, come un ballerino che danzava nella folla, vide Damian insinuarsi in ogni spiraglio con quei suoi movimenti leggiadri, appena troppo accentuati dall'arroganza che ne accompagnava i gesti come fili di una marionetta. Quella stessa arroganza che, in fondo, lo distingueva nel caos di una città che risparmiava solo chi, come lui, era in grado di emergere e di liberarsi dalla stretta impietosa dei tentacoli. A New York nessuno era disposto ad aiutare gli altri a non affogare, a non lasciarsi trasportare sul fondo da quella piovra che era il marasma di turisti e cittadini, si tornava a galla soltanto con le proprie forze. Damian era sin troppo bravo a nuotare, nonostante quell'antipatia intrinseca che, almeno secondo Andrea, non era poi dovuta all'arroganza. No, quella era sicuramente una comoda scusa per non ammettere difetti ben più gravi: come l'essere un vampiro. - E che, se anche esistessero, questa non sarebbe esattamente piacevole. - disse senza neppure voltarsi. - Il tuo puzzo di vampiro si sente lontano un miglio. - nonostante il tono impassibile, nelle guance s'era scavata una piccola fossetta che denotava il suo miglior sorriso di sfida. - Ti offrirei il mio sangue in cambio, ma immagino tu preferisca quelle che puoi ipnotizzare. - aggiunse poi, prima di fargli cenno di sedersi.


  14. .

    Maireed Rionnagan
    29 anni | Wesen | Drang-zorn | Colroy | Outfit
    La primavera aveva portato fiori come pennellate rosa su di una tela sempre più verde e il ciliegio, che le faceva da schienale, raccontava una poesia diversa con ogni suo ramo. Mentre il tronco, graffiato dalle intemperie di un inverno che era parso infinito, faceva da filo conduttore a quella meraviglia. Non c'era più brina sul prato tutto intorno, ma un velo di speranza che cingeva i verdi fili, sospinti dal vento, in un abbraccio dai mille profumi. Un mantello vivo e trepidante che aveva avvolto ogni cosa, da Staten Island alla Fifth Avenue, con le sue promesse ricche di speranza. Come ogni anno, la primavera mostrava quanto Madre natura vegliasse ancora sugli umani, dopo tutti gli abusi che May, già a quell'età, riteneva imperdonabili. Per tutto l'Inverno il freddo aveva terrorizzato il paesaggio, cantando melodie arrabbiate al mare e spogliando gli alberi di tutte le foreste: la primavera, invece, aveva spodestato la paura per sostituirla con un cuore pulsante di speranza che guardava già all'estate.
    May strofinò la schiena contro il ciliegio, voltando un'altra pagina dell'ennesimo libro che aveva letto in quella settimana. Ogni ramo, con i suoi fiori, le parlava di Dio. Trovava in quella meraviglia l'unica terrena risposta ai suoi dubbi più reconditi, che ogni giorno la tormentavano. E quell'ignoranza era diventata poco più che un ronzio nelle sue orecchie, meno fastidioso dei tanti rumori che New York sembrava arrangiare nella sua personale colonna sonora. Appena più fastidioso delle api che, tutt'intorno a lei, avevano finalmente lasciato gli alveari in cerca di nuovo polline. Eppure, era bastato un guizzo di primavera a rendere sereno il suo folle cuore, allietandone i giorni come faceva ogni anno.
    In Irlanda, quando cominciava a fare caldo, May passava le giornate nei boschi con sua sorella, June. Gli stessi boschi che un giorno, senza prima avvertire, s'erano inghiottiti la povera June nel buio dell'inverno più freddo che Maireed ricordasse. Dai Colroy era diverso, non c'era natura rigogliosa e selvaggia nei dintorni, soltanto la firma di un abile pittore che, armato di cesoie, aveva dato vita a quel giardino. Ma la natura, quella indomita dei boschi, aveva tutt'altro fascino: la bellezza dell'unico dipinto sfuggito all'indecorosa azione umana. Ciò di quanto più sincero esistesse al mondo.
    Si mise in piedi, scalza, coi fili d'erba che solleticavano le sue piccole dita. Il sole le baciava la fronte disegnando un rigolino dorato che pareva quasi una carezza, mentre colorava il giardino con i suoi raggi come drappi d'oro nell'erba. In primavera, quando non doveva studiare poteva starsene lì fuori e fingere di non sentire quella rabbia che tutto il dolore aveva alimentato dentro di lei, quella macchia nera che inquinava la purezza del suo animo bianco come una tela pulita, se non per un'unica pennellata scura. C'era ancora, lì dentro da qualche parte, ma con tanta bellezza tutt'intorno era quasi come mettere il guinzaglio ad un demone, lo stesso che si era sempre rifiutata di ammaestrare e che, in fondo, era una delle poche cose a lei rimaste che poteva dichiarare proprie.
  15. .
    perdonatemi, fa proprio schifo AHHAHAHAH

    Havel Lais Rivero
    Sheet - Shapeshifter - Voice

    La luce soffusa del ristorante illuminava appena il suo volto delicatamente truccato. Un velo di rossetto s'increspava col sorriso genuino, mentre la mano di Havel sfiorava quella di un ragazzo più grande di lei. Dallo spumante si sollevavano bollicine leggere, quasi cercassero di fuggire via,una dopo l'altra, verso la superficie. - Buen provecho! - augurò lei sollevando il bicchiere nel sibilo di un brindisi. "Din" il vetro fischiò quasi sussurrando, nel chiacchiericcio allegro che si levava dalla sala. Havel poteva sentire ogni cosa, guardare dai propri occhi il volto di un uomo che non ricordava e che al tempo stesso pareva così familiare. Procedeva a tentoni nel bipolarismo di una buia ignoranza e la sensazione di conoscere qualsiasi cosa la circondasse. Il locale, il ragazzo seduto con lei, i camerieri. Ogni dettaglio suggeriva quella fosse la sua vita, eppure si sentiva un'estranea nei propri vestiti. - Devo dirti una cosa... - si ritrovò a dire senza averlo neppure pensato - Credo di essere incinta. - non poteva essere vero, incinta, di chi? Continuava a parlare, senza capire da dove venissero quelle parole. Doveva essere tutto un sogno, un sogno maledettamente realistico.
    Scosse la testa, gocce di sudore bagnavano le sue sopracciglia folte, affogando nella peluria prima di poter raggiungere gli occhi. Ardan le stava davanti, la sua figura copriva quella di un amico moribondo, di Aengus. Havel si passò una mano in viso, era tornata al pub e probabilmente non lo aveva mai lasciato, eppure sentiva d'essere stata via. - Sì. - annuì, a metà tra il sollevato e l'estremamente perplesso. Erano allucinazioni, dunque: l'idea che Ardan stesse provando lo stesso quasi la rassicurava.
    Il sangue si era insinuato tra le pieghe della pelle, macchiando le mani del rosso più vivo. Non ricordava neppure come se le fosse sporcate, ma le passò sul grembiule che aveva ancora legato in vita. Mentre la mano destra aveva già sporcato il vetro della bottiglia di vodka che reggeva ancora stretta tra le dita. L'alcol nel vetro tremava scosso dal battito del suo cuore, così forte da agitare gambe e braccia, che pulsavano sotto il potere delle vene. Come cavi colorati connettevano ogni arto, governando il corpo quasi fossero i fili di una marionetta. Sangue sulle mani e sangue dentro il corpo, si disse che in fondo era andata in contro a quella vita il giorno in cui era scappata con Ardan. Dopo averle passate in volto per detergere il sudore, macchiando soltanto la fronte, si guardò le mani ancora sporche di sangue. Doveva stare dentro i corpi, non fuori, avvolto da quell'amore che solo la pelle riusciva a donargli, nell'abbraccio caldo che dava vita ad ogni essere umano.
    "Ardan" l'idea che fosse tutto per lui, il piano contorto di qualcuno per scovarlo, non le parve poi così surreale. Per un attimo si disse che incolparlo di tutto sarebbe stato più facile, ma cercando dentro di sé anche una goccia di rabbia non trovò che sangue, ed acqua. Scorrevano attorno all'amore che avevano imparato insieme, nascosto dentro di lei, sotto la pelle, allo stesso modo in cui proprio il sangue bruciava sempre più caldo. C'erano tante parole non dette lì dentro, da qualche parte nel suo corpo, tanti sussurri in spagnolo che non avevano mai visto la luce, ma neppure la più blanda accusa. Così, ancora una volta, come dopo la notte delle gabbie di vetro, pur volendo non riuscì ad incolparlo.
    - Possiamo provare a fermare il sangue, non di più. - disse scostando Ardan. Gli passò oltre con gli occhi che già saettavano lungo la figura del suo amico, cercando le ferite più vistose. La carne nuda delle sue braccia sfiorò la stoffa lungo quelle di Ardan quando lo superò, un febbrile contatto che le diede calore, di nuovo. C'era sangue ovunque, troppo per trovare ogni ferita, ma riuscì a scorgerne una sulla spalla. Stringendo il tappo tra i denti aprì la bottiglia di vodka e bagnò il grembiule che aveva stretto in vita. - Ti farà male. - disse slegando i due lacci che glielo tenevano sui fianchi e poggiandolo sulla spalla ferita di lui. Era passato del tempo dall'ultima volta che aveva visto tutto quel sangue, che ne aveva sentito il calore tra le mani. Tempo che non sarebbe mai bastato a seppellire i ricordi peggiori, che non bastò ad evitare di ricordarle la cicatrice che ancora macchiava la sua pelle altrimenti perfetta, proprio alla stessa altezza della ferita del ragazzo.
    Premette, più forte che poteva, cercando di non ferirlo. Premette finché, voltandosi, non vide le sue gambe scomparire. - Mierda! - si scostò, guardando Ardan. - Che cazzo gli è preso a tutti! - un po' di imprecazioni a denti stretti non bastarono a fermarlo, ad impedire che le gambe del ragazzo si facessero trasparenti.



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