In New York

Ayano/Shay

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    SHAY DELANEY
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    Era a New York da due anni ormai, due fottuti anni di merda, e quella città del cazzo continuava a fargli schifo. Un dannato schifo del cazzo, per la precisione. New York era troppo grande, non che Dublino fosse piccola okay, ma New York era davvero troppo grande, troppo ordinata e troppo dispersiva allo stesso tempo, troppo nuova... Dublino aveva visto battaglie che gli americani non si sarebbero mai sognati, ed era forse per quel motivo che non riuscivano ad apprezzare il piacere di una sana rissa in un bar alla vecchia maniera, la maniera che gli irlandesi conoscevano fin troppo bene. Che frequentasse i pub sbagliati? Era molto probabile dato che in quella città di merda non si riusciva a capire dove cazzo si dovesse andare per raggiungere i fottuti bassifondi del cazzo.
    Di sicuro Times Square non era il posto adatto, ma ormai c'era. Aveva ordinato una classica Guinnes e il barista aveva capito immediatamente, grazie anche al suo spiccatissimo accento irlandese, da dove provenisse. Aveva fatto un paio di battute infelici e Shay l'aveva zittito semplicemente ignorandolo.
    La situazione era gradualmente scesa sempre più a picco nella noia più totale, finché un coglione americano di prima classe si era seduto accanto a lui. Shay non era un pazzo fuori di testa nonostante spesso lo sembrasse, soltanto che quella sera aveva deciso di sembrarlo, ecco tutto. Si voltò verso destra, iniziando a fissare con insistenza l'uomo che aveva accanto, fumava e anche se il fumo veniva sputato verso l'altro, l'irlandese decise che gli arrivava un po' troppo sul viso. Appena il ragazzone si voltò verso di lui, Shay lo osservò per un istante mentre aggrottava le sopracciglia con la punta più interna verso l'alto (come solo Colin Farrell riesce a fare) e chiese « Di che marca ce l'ho? » come se stesse facendo una domanda troppo ovvia e quasi fosse irritato dal doverla porre. L'americano, preso alla sprovvista, rispose spontaneamente con un'altra domanda « Che cosa? », Shay lo guardò e stirando un leggero sorrisetto sulle labbra rispose a sua volta con lo stesso tono di prima « Il rossetto ».
    A quel punto, il ragazzone americano che non riusciva a capire di che cazzo stesse parlando l'irlandese, cominciò a spazientirsi « Amico, di che cazzo stai parlando? » a quel punto, Shay si sentì realmente costretto ad incazzarsi « Il rossetto cazzo, dato che continui a sputarmi il fumo in faccia come se fossi la tua fottuta puttana del cazzo » iniziò a parlare in modo più concitato ma non davvero sollevando il tono di voce, che era rimasto monocorde sin dall'inizio della conversazione. Così mentre si alzava di scatto dallo sgabello, il ragazzo lo imitò, sentendo che aveva appena messo in pericolo il suo orgoglio da uomo di fronte alla ragazza che stava portando a cena fuori per la prima volta « So che non dovrei farlo e anche se contassi fino a cinque lo farei lo stesso, quindi tanto vale non contare proprio, che ne dici? » il concorrente americano scosse la testa confuso e soltanto allora, Shay prese la rincorsa con il braccio destro e gli sferrò un gancio in pieno viso. L'ometto si acasciò sul bancone, preso un po' alla sprovvista e forse anche perché Shay aveva proprio un bel gancio.
    L'irlandese afferrò la sua birra, se la portò alla bocca mentre osservava la scena con un che di divertito nello sguardo - scena che consisteva nel barista che si avvicinava preoccupato al suo cliente, la ragazza che si metteva a sbraitare contro di lui e tutto il locale che si girava a guardarlo - e poi uscì dal locale un po' più animato di prima.
    Si ritrovò in un'affollata strada vicino a Times Square, una delle artiere che portavano all'immensa piazza di New York. In quell'esatto momento, una ragazza attirava la sua attenzione e contemporaneamente, il barista usciva dalla porta del locale con il cellulare in mano, minacciando di chiamare la polizia e urlando richieste assurde quali "mi dia il suo nome per favore!".


    Edited by himë - 13/2/2017, 18:52
     
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    Ayano Davis
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    Times Square era considerata l'emblema della città, dopo la Statua della Libertà. Nulla di più errato. La vera New York non si trovava lì. La vera New York viveva, come una leggenda in sussurri tutelati dal buio dei vicoli, profanità annunciate proverbialmente in bar sordidi, versi animaleschi di ubriaconi che se le danno di santa ragione. Quella era la parte "ripulita" di New York, costruita sul denaro sporco messo in circolazione dai quei reietti che lì non avevano posto. Quella città era il sogno bagnato delle adolescenti del resto del mondo, la città delle luci e delle possibilità, la città che non dorme. In molti su trasferivano lì motivati dalle prospettive offerte dalla Grande Mela, i più fortunati finivano per fare i camerieri, pagati il minimo sindacale.
    Ma un lato positivo Times Square ce l'aveva: la gente, perennemente di fretta, se ne fotteva di te. Nessuno ti degnava di uno sguardo, non un'occhiatina fugace, non una sbirciata repentina. La tua di vita era essenzialmente irrilevante ai loro occhi e questo ti dava un potere immenso. Nei quartieri più bassi, lì non c'era un osso che non ti spolpassero con gli occhi. In quel luogo tutti avevano un'attività da difendere e se ne stavano lì, con l'occhio lesto a riconoscere gli estranei all'ambiente, pronti ad attaccare, come vecchi contadini seduti con un fucile in mano di fronte all'uscio di casa, pronti a freddare qualsiasi ombra si muova nella notte.
    In un certo senso, anche lei era lì per difendere i propri affari. Be', di sicuro non si era scomodata ad arrivare fin lì per godersi l'inno al consumismo proiettato ovunque sui giganteschi schermi, che parevano osservarti dall'alto secondo la profezia orwelliana.
    Albert Gordon Danvers. Cristo, aveva anche un nome da idiota. Le doveva dei soldi. Non proprio a lei, ma era stata la ragazza a tenere le trattative e adesso si doveva assicurare che pagasse. A dire la verità aveva fatto solo la corriera, compito di solito affidato ai novellini. Se avevano chiesto a lei di fare quel lavoro, voleva dire che era roba piuttosto importante.
    Ai corrieri non è dato sapere cosa trasportano. Devono solo assicurarsi che il pacco arrivi a destinazione e che venga pagata la somma giusta. E quello non era stato il caso.
    Albert si era infilato con una bambola gonfiabile di carne in una specie di pub - un po' troppo posh per essere autentico, come quasi tutto in quella parte della città, e si era seduto al bancone.
    Considerò l'idea di entrare. Ma era pienamente consapevole che non fosse prudente, con tutta quella gente e che, in realtà, il desiderio di entrare era animato solo dalla voglia di bere qualcosa. Qualsiasi cosa. Non c'è nulla che non possa essere meno tremendo del dovuto, se scolato alla velocità giusta.
    Ma non quella notte. O, almeno, non in quel momento della notte.
    Sbirciò la clientela dalla porta a vetri del locale. I tipici Newyorchesi, perlopiù rumorosi, perlopiù volgari. Qualche ragazzino sicuramente minore di ventun'anni che sorseggiava birra come se fosse il nettare degli dei. Un tipo dall'aria poco amichevole con un paio di sopracciglia notevoli, seduto accanto ad Albert e pornobarbie. Che Albert fosse un coglione le era noto. Uno che si chiama Albert Gordon è necessariamente destinatario ad esserlo. Ma si chiese lo stesso che cosa avesse fatto per meritarsi un pugno in pieno volto. Gancio ben assestato , pensò.
    Pochi secondi dopo, premio per le sopracciglia dell'anno uscì dal locale, seguito a ruota da un barista sconcertato.
    Ayano vide Albert destarsi, il volto insanguinato forse per il gancio, forse per l'urto contro il bancone, e guardò atterrito e confuso in direzione della porta dalla quale era uscito l'assalitore. A quel punto si piazzò dietro al vetro della porta e, quando fu sicura che lui la stesse guardando, portò in alto la mano destra e cominciò a sfregare l'indice ed il medio contro il pollice, denaro .
    Non le era mai capitato di trovare qualcuno che facesse il lavoro sporco per lei di propria spontanea volontà. Si voltò verso la testa calda: -Joe, dannazione, dov'eri finito?!- gli andò incontro con un'espressione di pura preoccupazione. Si rivolse verso il barista -Oh, Grazie al cielo, mi auguro che non abbia combinato niente.- abbassò il tono di voce -Sa, soffre della sindrome di Grandette, a volte... Non agisce consapevolmente.- non c'era niente meglio di una patologia mentale inventata per tentare di spaventare e mortificare il cittadino medio.
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    SHAY DELANEY
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    Non gli era mai successo che una ragazza spuntata dal nulla gli salvasse il culo con così tale grazie e intelligenza... quindi come poteva impedire al suo cuoricino di innamorarsi perdutamente di lei? Shay, che ancora teneva la sua birra in mano, si voltò di scatto verso il barista « Hai capito stronzo? » chiese allargando le braccia spazientito « Tratti così le persone malate cazzo? » spalancò le palpebre alzando le sopracciglia « Ma che razza di persona di merda sei, fatti un esame di coscienza amico! » concluse voltandosi per dargli nuovamente le spalle e avvicinandosi alla ragazza mentre scuoteva la testa facendo schioccare la lingua, del tutto fintamente offeso dal comportamento del barista.
    Quando arrivò vicino alla ragazza, le passò un braccio intorno alle spalle esclamando un compiaciuto « Tesoro! » come se la conoscesse da sempre, facendola girare su se stessa per dare anche lei le spalle al barista, lui aveva tutta l'intenzione di abbandonare quel luogo di falsa perdizione - quella vera, era tutta da un'altra parte - ma lei? « Cos'è ti sei innamorata di me, per questo mi hai aiutato? » le domandò sottovoce, porgendosi di un poco verso il suo orecchio, ancora con la destra manteneva la bottiglia di Guinnes, che avesse visto la scena da fuori dal locale era apparentemente ovvio... ma poi di botto strinse leggermente la presa, sempre che lei non si fosse divincolata prima « Oppure mi conosci? » chiese con la voce che si rabbuiava di un poco. Perché non ci aveva pensato? Quel bastardo poteva mandare gentili donzelle fin da Dublino per cercarlo e ucciderlo? Probabilmente sì.
    Deglutì lentamente, ma il suo viso non rappresentava per niente ciò che gli passava per la testa, anzi, con un tono di voce un po' supplicante e una richiesta che suonò quasi bambinesca, Shay le pose l'ennesima domanda, sorridendole con le sopracciglia piegate verso l'interno « Facciamo che se mi devi uccidere ce ne andiamo in un luogo appartato e prima di farla finita mi regali una notte speciale? » sembrava un uomo che non toccava una donna da mezzo secolo e la stava elemosinando, in realtà gli piaceva semplicemente fare un paio di battutine del cazzo per allentare la tensione, per lui ingestibile.


    Edited by himë - 18/2/2017, 14:35
     
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    Ayano Davis
    21 || Studente || Scheda
    Le sue occupazioni preferite includevano: pittura, piccole attività criminali e confondere i damerini della New York "bene", non necessariamente in quest'ordine.
    Ayano, peso piuma, sollevatrice di pennini per inchiostro, braccia di panna, non era esattamente una grande combattente. In uno scontro corpo a corpo avrebbe probabilmente perso vergognosamente contro un Muppet. Aveva dovuto imparare a farsi strada nella vita a colpi di sotterfugi, imbrogli e furbizie, alternando la sua velocità di mano e pensieri con l'abilità di sapersi scegliere le amicizie giuste. Era un piacere mettere quelle sue capacità a servizio della società. E, per società, si intendeva il tizio del bar, il quale, nel frattempo, sembrava aver apprezzato la sua bugia. Anzi, ci sguazzava allegramente.
    - Su, su tesoro- simuló la stessa familiarità con cui lui le si era rivolto, senza ritrarsi al contatto col suo braccio-non hai preso le tue pillole.-
    Non le capitava spesso di risolvere un incarico in maniera così semplice. Di solito le sue minacce consistevano nel beccare il malcapitato da solo e scivolargli alle spalle silenziosamente, per puntargli un coltello alla gola. Almeno con i pesci più piccoli. Quando il gioco si faceva più serio, le minacce si facevano più subdole: lettere, esche piazzate nei punti giusti, per far intuire al bersaglio che i primi a pagare il prezzo delle sue azioni sarebbero stati i suoi cari. Non le era capitato spesso di ricevere casi di tale importanza, ma inscenava quel genere di minaccia anche se non necessario. Era estremamente efficace. Nel caso di Albert Gordon Danvers il coltello sarebbe andato più che bene: il tipo non era noto per avere palle e Ayano dubitava che fosse in grado di amare qualcuno al di fuori di sé stesso a sufficienza da preoccuparsi di una sorte che non fosse la propria.
    - Hai delle sopracciglia notevoli, ma non ne sopravvaluterei l'efficacia.- gli rispose beffarda, una volta lontani dalla portata visiva del confuso cameriere. Tentò di allungare una mano sulla sua birra per trafugarne un sorso. Dire che non fosse un bell'uomo sarebbe stata una cazzata bella grossa, e Ayano se ne intendeva, di cazzate belle grosse. Ma in quel momento era concentrata più sulla stretta dello sconosciuto, che si era fatta improvvisamente più solida. Il suo corpo si irrigidì, pronto a reagire in caso di pericolo. Sentì il serramanico gravarle in una tasca interna del giubbotto.
    - Nah, non oggi, almeno. - lei, mandata ad uccidere qualcuno? Avrebbe potuto contare sulla sua velocità. Ma, per quanto il suo codice morale fosse flessibile, non sapeva fino a che punto la sua coscienza non ne sarebbe stata affetta. - Dipende da come ti giochi le tue carte.- a quale si riferiva? L'omicidio o la notte speciale? Eh.
    - Ti ho dato una mano perché tu l'hai data a me. Toglimi una curiosità: che ti ha fatto Albert?- si sottrasse alla presa per fronteggiare lo sconosciuto - Mi chiamo Barbara.- si presentò, facendo un cenno con la testa per invitarlo a fare altrettanto. Non sapeva se fosse il caso di fidarsi, e utilizzare il proprio nome quando stava lavorando poteva rivelarsi rischioso. I suoi nomi falsi preferiti erano quelli da mamma di mezz'età dei sobborghi, quei nomi da donne con vite perfette, dipendenza da alcol e mariti adulteri.
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    Ho scritto che tenta di prendere la birra perché l'azione mi pareva troppo autoconclusiva, quindi vedi un po' tu se ce la fa o meno.


    Se non si fosse capito, amo le sopracciglia di Colin e anche tutto il resto
     
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    SHAY DELANEY
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    La verità era che Shay si trovava profondamente a disagio in quell'enorme città che lo bombardava constantemente di informazioni, pubblicità, tette e donne nude in generale - le ultime due non gli dispiacevano poi così tanto. Era una persona abitudinaria, che pur di sguazzare sempre nelle stesse acque, avrebbe tranquillamente continuato a nuotare nella torbidità del Liffey. Il suo cervello stava quindi disperatamente cercando di abituarsi a quel trasferimento, aggrappandosi a quelle cose che sentiva familiari: risse, bere e... basta.
    Cosa passava per la sua testa in quel momento? Voglio piagnucolare tra la braccia di Mae, voglio piagnucolare tra la braccia di Mae, voglio piagnucolare tra la braccia di Mae, voglio piagnucolare tra la braccia di Mae, voglio piagnucolare tra la braccia di Mae, voglio piagnucolare tra la braccia di Mae. Una cosa del genere, come più o meno per il 95% del tempo che passava sveglio insomma. Temeva davvero che quella ragazza potesse essere un sicario mandato ad ucciderlo? In parte sì, ma si sentiva davvero offeso dalla scelta: lo ritenevano così tanto innocuo da mandare una ragazzina di dodici anni per ucciderlo?
    Lei parlava delle sue sopracciglia e Shay le corrugò in un movimento istintivo « Pensavo fossero una rinomata e assodata arma di seduzione » borbottò come se si fosse realmente offeso, le lasciò prendere la birra perché tanto lui ne aveva bevuto già cinque pinte (la sua unità di misura non avrebbe mai smesso di essere l'iconica pinta). Sentì il corpo di lei irrigidirsi sotto la sua presa, un sicario avrebbe reagito in quel modo? Lui non poteva saperlo, dato che al suo primo incarico aveva miseramente fallito uccidendo la persona sbagliata. La tipa gli reggeva il gioco, si stava parando il culo o diceva la verità? Beh, non ci avrebbe messo molto a trascinarla in un vicolo e a spararle in testa, si consolò con quell'idea mentre rifletteva su quanto Jason potesse essere un coglione ad averlo sottovalutato così tanto. Sì, era davvero molto offeso.
    Poi però, la frase seguente cambiò tutto. Forse davvero non era stata mandata per ucciderlo, forse era davvero una che passava di lì per caso e l'aveva visto pestare un coglione a cui voleva dare una lezione! Nonostante quel pensiero, non lasciò comunque che quella presa ferrea si allentasse « Col cazzo, non ti chiami Barbara » sbottò improvvisamente voltandosi di un poco per guardarla meglio « Le tipe che si chiamano Barbara sono stupide e tu non mi sembri stupida » asserì con sicurezza, in effetti nel momento stesso in cui l'aveva avvicinata, aveva capito che quella ragazzina sapeva porsi con gente come lui, gente di merda « E dato che non mi sembri stupida... » continuò senza smettere di camminare, mantenendo sul viso un'espressione quasi normale, che non corrispondeva a quella della minaccia che stava andando a pronunciare « Io di solito non picchio le donne, ma per autodifesa le mie regole cambiano, insomma, se mi aggredisci con una cazzo di arma, per me sei come un uomo, hai capito? » parlò tutto d'un fiato e verso la fine, riprese a guardarla con la coda dell'occhio « Quindi ora tu mi dici le cose come stanno, così mi levo l'ansia e ti posso anche offrire da bere » alzò le sopracciglia come da esortarla a continuare.
    Shay forse poteva sembrare un pazzo, perché la gente non sapeva come prenderlo, ma la realtà era che si trattava di un pesce fuor d'acqua che aveva faticato tanto per trovare la sua pozzanghera e che ora, si trovava punto e a capo.
     
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    Ciao, faccio un po' cagare, ciao

    Ig1HooM
    Ayano Davis
    21 || Studente || Scheda
    Buttò avidamente un sorso di birra giù per la gola, con uno scatto secco dell’esile collo. Lasciò che il liquido a bassa gradazione alcolica scivolasse nelle sue viscere, insufficiente a donarle un po’ di calore. Quantomeno era dissetante, anche più del solito, a dir la verità: tutto era più appagante se era gratis. Inclinò pericolosamente la bottiglia nel tenderla verso il suo legittimo proprietario come se fosse finalmente pronta a restituirla, prima di decidere che no, non era ancora arrivato il momento propizio. Tracannò un altro sorso. Ed un altro ancora. Non c’è due senza tre. Volse gli occhi verso un cielo inesistente, coperto da un tetto di denso smog su cui quasi le pareva di poter vedere le vive luci di quella città riflesse in un febbrile quadro di soffocati colori, lacrime deliranti di quel microcosmo frenetico. Quando era stata l’ultima volta che aveva visto il cielo, quello vero? Non poteva neanche essere sicura che dietro quel grigio sipario splendessero ancora le stelle, già distanti per propria natura. Scelse di credere che da qualche parte splendessero nonostante, tutto, nonostante la terra, nonostante gli uomini. La consapevolezza dell’irrilevanza della sua esistenza era in una certa misura confortante. Con il collo di vetro scuro ben saldo tra le dita, fece roteare pacatamente la bottiglia, tentando di valutarne con occhio ozioso il contenuto rimasto. Constatò che quelle tre sorsate dovevano essere state ben poco signorili, a giudicare dalla quantità di liquido magicamente svanito. Riconsegnò la bottiglia semivuota con un simpatico sorriso beota dipinto involto. -Oh, nulla è infallibile.- e corrugò le sue di sopracciglia, decisamente non monumentali come quelle del compare che si era trovata. Trovandosi faccia a faccia con l’uomo, proseguì a ritroso per non arrestare la loro avanzata alla conquista di quella città dai palazzi di cemento, donne di plastica e alcolici annacquati. – Credimi, se non fossi stupida non vivrei in questa città.- disse, con un fare fin troppo poco stupido. Aveva incontrato parecchi personaggi, in quella città. Per fare parte del giro non potevi essere di certo una persona normale e lei era piuttosto abituata a le ambigue interazioni con quell’ambigua gente. Era certa che quell’uomo avesse combinato qualcosa di grosso, per prendere in considerazione l’idea che qualcuno avrebbe mai potuto reputare opportuno mandare lei ad attaccare briga con un individuo del genere. Portò i palmi delle mani davanti al petto, un po’ come se volesse frapporle a mo’ di barriera tra loro, un po’ a dimostrargli che no, non aveva un pugnale da usare per saltargli al collo e scannarlo come un porco. – Ayano, mi chiamo Ayano.- si strinse nelle spalle, mettendo ancora di più in evidenza l’innocuità della sua figura. – E non porto rogne, non a te, quantomeno.- la sua unica arma era una lingua tagliente, che il più delle volte creava danni piuttosto che soluzioni. Come tutti gi altri esseri umani, era formata al 70% da acqua. Il restante 30% era costituito da sarcasmo, alcol e tutta l’acquaragia che in anni di lotta contro le macchie del colore la sua pelle aveva assorbito. – E poi non mi sognerei mai di aggredirti, una volta che mi hai promesso da bere.- nessuno, neanche l’immane forza di un titano sarebbe riuscita ad impedire ad Ayano dall’ottenere qualcosa gratis. Non esisteva morale che reggesse contro la legge della giungla urbana. Spesso frequentava le riunioni degli Alcolisti Anonimi al solo scopo di scroccare qualche ciambella gratuita. E, ovviamente, per fornire loro supporto morale, come avrebbe fatto ogni rispettabile membro della società.
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    Edited by _static - 1/4/2017, 22:41
     
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