[Magia Elementale] I Lezione, II Anno

Ci aveva riflettuto per qualche minuto. Si era guardata allo specchio, seguendo le gocce d'acqua che scivolavano sulla pelle con lentezza. Sapeva che, con ogni probabilità, era consigliabile rinunciare ad andare a lezione fino al parto. Strinse le mani sul lavandino abbassando lo sguardo, mentre una leggera nausea le piegava il viso facendole serrare la mascella. Eppure, l'alternativa, era di restare in quella dannata camera, da sola tutto il giorno, con abbastanza tempo e silenzio da perdersi ancora fra ricordi che preferiva allontanare il più possibile. Inspirò ed espirò un paio di volte, allontanando il conato per poi riaprire lentamente gli occhi. Sette mesi. Emma sapeva che, per quanto da fuori il tempo apparisse come un palliativo che disperdeva il dolore e tutto il resto, non funzionava davvero così. Per chi era dentro, per chi lo sentiva imprimere tracce di fuoco sulla pelle, un anno, cinque o dieci non facevano la differenza in alcun modo. Ogni giorno era un giorno di realizzazione, e ogni giorno la battaglia si ricominciava dall'inizio. Sospirò di nuovo, scivolando dal bagno per tornare nella camera da letto, scrutandola per qualche secondo mentre chiudeva la zip della felpa fino a quanto le era possibile. Non molto, ma meglio di niente. Piccole routine. Le aveva create per dare un senso ad ogni gesto, per riempire i silenzi e gli spazi vuoti che, ingombranti, si aprivano nel petto. Gesti meccanici che le davano la confortante illusione di un controllo lontano, ma che passo dopo passo, forse avrebbe ripreso. Richiuse la finestra da cui un rivolo di vento freddo scivolava smuovendo le tende. L'apriva sempre a prima mattina, lasciava che l'odore stantio del legno uscisse nella speranza che, così, quelle mura apparissero meno ostili e cupe. Lanciò un occhiata vaga al pacchetto di sigarette poggiato sul comodino, affiancato dall'accendino anonimo. Un vizio, quello, che non era mai stato nelle sue corde, ma che paradossalmente e stupidamente adesso si concedeva sempre più spesso, come se fra i respiri pesanti di tabacco avrebbe potuto ritrovare ciò che le era precluso. Si voltò di nuovo socchiudendo appena gli occhi prima di uscire nei corridoi richiudendosi la porta alle spalle, scrutandoli per qualche secondo prima di avanzare a passo sicuro. Randall le aveva detto, prima che tutto cadesse in quell'oblio, che per ritrovare il controllo avrebbe dovuto rinunciare ai fantasmi della sua mente. All'epoca lo aveva capito, ma non era stata pronta. Adesso, più che mai, sentiva un contrasto che non riusciva a snodare. Nei mesi in cui era stata tenuta da James erano stati i volti di sua madre e Charles a tenerle compagnia, illusioni di una mente disperata, ma che, analogamente, sembravano averla salvata dal baratro più profondo. Avrebbe dovuto parlare con McLean prima o poi, lo sapeva, per stemperare il giogo di James una volta e per tutte, eppure il pensiero di essere così vulnerabile, ancora una volta, le bloccava le parole in gola. Quasi inconsciamente, come ormai capitava sempre più spesso, una mano andò a poggiarsi sotto il ventre, aprendosi come a volerlo sorreggere con una dolcezza che ancora le sembrava estranea, ma che era lì, ferma, sulle dita della mano. Era incosciente, lo sapeva, ma non poteva fare altrimenti. Si fermò per qualche secondo corrugando le sopracciglia alla vista di una pila di libri ferma in mezzo al corridoio, piegando appena la testa di lato mentre di nuovo spostava lo sguardo sulla porta della nuovissima aula di Psichica al Manor. Le era sembrato strano quel nuovo dettaglio, ma non poteva dirsi infelice. Era decisamente più comodo e, in qualche modo, sembrava suggerire un coinvolgimento maggiore dell'uomo. Escluso Randall, i docenti di quel posto non avevano mai guadagnato né il suo rispetto, né la sua fiducia, e al contrario non si risparmiava di sottolineare l'astio che nutriva nei confronti della capricciosa padrona di casa, concedendosi battute sottili e sguardi pieni di malcelato disappunto. L'aula doveva essere una delle peggiori che erano riusciti a trovare. Lo si poteva intuire tranquillamente per chi, come lei, era abituata allo standard del Maniero. Arricciò appena il naso, lasciando che lo sguardo scivolasse su ogni centimetro. Era stranamente luminosa, e anche quello in qualche modo rappresentava una bella novità. I toni cupi del Maniero erano ancora lì, ma dalle finestre entrava una luce densa e confortevole, seppur bagnata dal grigiore autunnale. Si avviò verso le sedie lanciando un cenno all'uomo a mo' di saluto. Eppure, a quanto pare, il docente aveva altro da dirle. Ovviamente. Avrebbe potuto snocciolare un discorso infinito, Emma, in merito a quella faccenda. Avrebbe potuto spiegargli come e perché non aveva intenzione di fare nulla di simile, come e perché, al contrario, il bisogno di allontanare ciò che tutti avevano scelto per lei fosse impellente. Ma non lo fece. Si limitò a guardarlo per qualche istante, la mano che passò da sotto alla pancia a sopra, poggiandovisi come se fosse un davanzale cosa che, a quel punto, poteva essere senza problemi. Aveva alzato appena un sopracciglio, lanciando un'occhiata eloquente all'uomo. «Con tutto il dovuto rispetto» cominciò, sospirando appena mentre si massaggiava il setto nasale con l'indice ed il medio. «Cosa crede che possa fare in queste condizioni, esattamente?» non avrebbe più ceduto all'istinto. Dopo quello che era successo, dopo quello che aveva passato, ora più che mai sentiva il bisogno spasmodico di ritrovare qualcosa che fosse suo. Anche solo un centimetro, uno spazio minuscolo, un singolo pensiero incontaminato. Lo aveva guardato per qualche secondo prima di prendere posto, stendendo appena le gambe come ormai era abituata a fare per l'ingombro sempre maggiore della sua condizione. Non erano solo lei e Zed, questa volta. Guardò solo distrattamente gli altri compagni, facendo vagare lo sguardo per qualche istante su di loro. Nick e Zed li cinosceva da più tempo ed erano quelli con cui aveva condiviso la Genesi che li aveva condotti tutti lì. Una notte che, a distanza di tutto quel tempo, assumeva sensi e significati contrastanti. Strinse appena i pugni, tornando a guardare il docente, ora in piedi, intento in uno dei suoi lunghi discorsi. I loro "colleghi". Sbuffò in un sorriso spostando appena lo sguardo dall'uomo. Era assolutamente certa che se avesse detto a loro una cosa simile non l'avrebbero presa troppo bene. Si schiarì appena la voce tornando con la testa dritta, le labbra che per qualche secondo si stringevano fra loro mentre ascoltava le parole del docente. Sopravvivere. Neanche quella parola le piaceva troppo, ma del resto era diventata per lei ormai un'abitudine. Inspirò trattenendo ogni rumore fra le labbra strette, consapevole che i muscoli del suo collo, però, l'avrebbero tradita. Tesi come corde di violino, li sentiva irrigidirsi insieme ai suoi arti, come congelati in una bufera invernale. Bene, perfetto. Strinse appena gli occhi, incanalando aria con un lungo respiro mentre si alzava lentamente per scrutare i due portali scuri di fronte a sé. Di una sola cosa era assolutamente certa, ovunque fossero diretti una donna incinta sarebbe stata non solo vistosa, ma assolutamente fuori luogo. «Metallagi». Si concentrò sul ventre rigonfio, scrutandolo per qualche istante prima di appellarsi all'immagine di sé precedente a tutto quello. Un corpo snello, senza i segni della vita che, ora, portava lì dentro. Doveva cancellare, visivamente, sette mesi di gravidanza, ed era assolutamente necessario. McLean aveva detto "sopravvivere" e benché in realtà sospettasse che non sarebbe mai arrivato a lasciarli morire, voleva evitare di iniziare nel peggiore dei modi. In quel momento un combattimento diretto, per lei, era difficile se non impossibile, quindi avrebbe dovuto fare affidamento sul camuffamento e la discrezione. Raggiunse solo dopo il docente per prendere la maschera uguale a quella che stava dando a tutti loro, che avrebbe concesso loro, per quanto poteva immaginare, di avere se non altro un "nascondiglio" di partenza. Un aiuto che non avrebbe disprezzato. Alzò lo sguardo puntnandolo sul ragazzo per qualche istante. «...Murray, ti prego» infilò la maschera scuotendo la testa con uno sbuffo prima di voltarsi verso i due portali ancora una volta. Vide Zed svanire nel primo portale e rimase immobile per qualche secondo, le labbra strette e il respiro che rimbombava leggero fra le pareti della maschera. Chiuse appena gli occhi mentre avanzava qualche passo, entrando nello stesso in cui, qualche secondo prima, Moth era svanito.

[***]

Caldo. Un caldo secco, ma asfissiante. Non era lì da neanche tre secondi e già odiava quel posto, magnifico. Si guardò rapidamente intorno, cercando di cogliere con rapidità dettagli utili. McLean li aveva avvertiti che si sarebbero trovati nel mezzo di un'invasione, ma a essere onesti aveva creduto che sarebbero stati un po' più distanti. Invece no, ovviamente, erano in quello che sembrava essere in tutto e per tutto un accampamento. Perfetto. Aveva già pensato a coprire la pancia prima di entrare, consapevole che a prescindere da tutto una gravidanza nel pieno di una guerra sarebbe stata fin troppo evidente, ma doveva fare qualcosa per i vestiti. Annuì alle parole di Zed, che sembrava aver pensato la sua stessa identica cosa. Del resto aveva già avuto modo di comprendere che, checché cercasse di far credere a tutti di si con ogni mezzo disponibile, non era stupido. Si concentrò, inspirando a fondo e puntando lo sguardo sui soldati, per copiarne gli abiti con minuziosa precisione. Nick non era dello stesso avviso. Gli lanciò un'occhiataccia, anche se non poteva saperlo visto che indossavano tutti la maschera. «Certo, nessun esercito ha mai ha badato al fatto che fra le sue fila ci sia gente che non vi appartiene. Non è mai morto nessuno per questo» scosse appena la testa, voltandosi con uno sbuffo per concentrarsi sui soldati. Era inutile perdere tempo e lei aveva bisogno di focalizzarsi sulle loro divise se voleva evitare di essere scoperta dopo neanche tre secondo che avevano messo piede lì. «Metallagi»Dal tipo di tessuto, grezzo, graffiante, i colori- facendo attenzione al fatto che non fossero eccessivamente brillanti, ma al contrario consunti, macchiati, come consumati. Impresse nella mente i metalli e il cuoio che costituivano l'armatura, cercando di duplicarli con precisione, aggiungendo qualche graffio che potesse dare la sensazione di vissuto. Non poteva permettersi di avere una divisa che sembrasse nuova di zecca nel mezzo di un assedio o qualcuno avrebbe potuto farsi due domande. Doveva essere del tutto integrata, invece, prestando attenzione anche a dettagli che, forse, per altri sarebbero apparsi inutili. Ma era quello il senso delle illusioni, dopotutto, dare la sensazione di essere uguali, confratelli nella stessa barca. Dovevano essere silenziosi e discreti. Non si fidava per niente di nessuno di loro, fatta eccezione per Zed. Non poteva certo dire di nutrire grande fiducia per Murray, ma almeno sapeva esattamente cosa aspettarsi da lui, e di certo poteva escludere una pugnalata alle spalle. Al massimo, se la sarebbe data a gambe. «Colloquim» mormorò, sentendo la sua stessa voce rimbombare nella maschera mentre pensava a Moth, cercando ai aprire un canale psichico con lui per evitare di dover sprecare fiato o parlare, così da essere il più silenziosi possibile. «Murray, per quanto possibile cerca di comunicare così, meglio evitare di fare troppo rumore» s'incamminò dietro di loro, cercando di essere silenziosa e di non lanciarsi occhiate intorno. Se dovevano passare per soldati era fondamentale fingere di sapere esattamente dove andare, ed esattamente com'era fatto quel posto. Poteva concedersi sguardi fugaci, immagini che cercava di tenere impresse nella mente, ma doveva assolutamente evitare di starsene ferma a fissare qualcosa per troppo tempo. L'avrebbe fatta apparire smarrita, fuori posto, ed Emma, in quel momento, non lo era. L'obiettivo erano i magazzini. Quello che dovevano fare era trovare dei vestiti per cui anche gli altri potessero passare inosservati, perché ora come ora sembravano più avere una gigantesca freccia al neon sopra le teste. Calma. Si morse appena il labbro inferiore, mentre li seguiva nel magazzino scelto. La situazione era già peggiorata. Perfetto, meraviglioso. Nick si era già lanciato sulla donna per tramortila. Assolutamente rozzo e per niente elegante, come solo Nick sapeva esserlo. «Controllo se arriva qualcuno» senza replicare ad alta voce quando detto a Zed si avvicinò nuovamente all'ingresso, stando attenta a non mettersi in un punto che l'avrebbe resa visibile dall'esterno. Se qualcuno fosse entrato lì mentre Nick provava a tramortire quella che, probabilmente, era l'addetta al cibo, beh sarebbero state brutte rogne. Dovevano assolutamente evitare di far scattare ogni sorta possibile di allarme, per evitare di attirare su di sé un interno, dannato esercito. «Observo» mormorò, potenziando la vista così che potesse aiutarla in quel compito.