Crossing roads

Gilles/Anna | 26 Novembre 2021

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    Ne parlava come se fosse tutto passato, come se fosse tutto chiuso alle spalle, ma era davvero così? Idara non se ne andava mai, era nel loro DNA, nel loro sangue. Era come il loro respiro, avevano solo imparato a respirare su quel pianeta, a vivere su quel pianeta, ma Idara era anche nel loro modo di pensare. Di essere.
    Provava a non pensare alla sua vita prima della Terra, a non guardarla mentre si voltava, ma quella bambina ci sarebbe stata sempre presente in lei. Nel bene e nel male.
    Non era così curioso Zane quando lo ricordava, a volte le tornava alla mente il momento in cui lo aveva trovato rannicchiato e sul punto di saltarle addosso. L'antitesi della curiosità, tutto chiuso in sé stessa. Quando l'aveva visto la prima volta si era chiesta cosa lo aveva portato ad essere così, e si era sentita fortunata a vivere la sua vita, ad avere quello che possedeva mentre lui non aveva nulla. Non che lei fosse ricca, quello che aveva era poco ma la sua maggior sensibilità la portava a gesti di altruismi ritenuti sciocchi sul loro pianeta.
    E lei per lui era stata la più sciocca, anzi la più scema come l'aveva sempre chiamata. A volte non capiva se Zane dimenticava che lei fosse empatica o se lo facesse apposta a lasciarle uno spiraglio su quello che sentiva, quasi a concederle di comprendere un tassello in più.
    E così che riusciva a comprendere come si sentiva per lo più di fondo, perennemente scazzato, un livello medio a tratti più intenso quando sentiva di dover aver a che fare con le persone, anche con lei ovviamente. Non ne era esclusa per qualche strano livello di gentilezza o altro, anzi probabilmente a volte doveva innervosirlo più lei di altri, visto quanto poteva ricordare la sua sola presenza. A volte si condiva con un velo di accondiscendenza, di come quando si dava ragione agli sciocchi, mentre si riteneva che i propri metodi di affrontare le cose erano più efficaci. Certo su Idara si era chiesto se fosse morta, perché alla fine su quel pianeta due erano le condizioni verso cui potevi andare, l'intera vita si muoveva su due binari: viva o morta. Interessante scelta di parole commentò abbozzando un sorriso divertito. Non hai cercato di capire se fossi viva, ma se ero morta. Sono sempre stata troppo scema per te per sopravvivere troppo a lungo, vero? commentò guardandolo, non era arrabbiata, non si poteva dire che se la fosse presa. Nulla di tutto ciò, Anna semplicemente era davvero divertita, ma in qualche modo anche rassicurata dal fatto che Zane, anche se ora si faceva chiamare Gilles, manteneva quel cinismo a cui poteva dire di essersi affezionata. In fondo in molti la giudicavano sciocca o debole e questo era sempre stato un vantaggio, lasciare che gli altri la sottovalutassero. Sarei dovuta comparire davanti a te urlando sorpresa ridendo pensando alle sue ultime parole, nell'ordine "Invece eccoti qua", appunto come si diceva per una sorpresa. Guardò la strada familiare che sta percorrendo e come man mano che proseguiva diventava sempre più facile orientarsi. Puoi girare anche qui gli suggerì all'incrocio che avevano davanti indicando la destra. Mancava poco al suo arrivo e forse non restava altro da dirsi, o al contrario talmente tanto altro da non averne il tempo. Una cosa però doveva dirla, che poi lui si distaccasse o meno. Comunque si schiarì la voce guardandolo dapprima con la sola vista periferica prima di concentrare lo sguardo su di lui. Mi sono sentita sollevata nel sapere che eri vivi, facendo sparire tutti gli scenari in cui eri morto che mi ero figurata commentò quasi a spiegare il suo comportamento nella nebbia, ma non ne avrebbe parlato, quando scoprire che era vivo l'aveva portata ad assumere di nuovo quell'atteggiamento protettivo come quando era piccola e per questo motivo più volte aveva cercato quel contatto che l'aveva rassicurata che fosse ancora vivo e fosse ancora lì, che non fosse scomparso. Era stato quel momento, non poteva promettere che non sarebbe ritornata quella sensazione, ma non l'avrebbe manifestata quella preoccupazione, perché a lui non piaceva, come probabilmente non piaceva sentirsi in debito con lei o più in generale con nessuno.
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    C'è un sottile - ma non esattamente trascurabile - bias nella mia testa, e Celia lo evidenza con un precisione centellinata.
    No, non ho mai pensato fosse viva, credo di averlo sperato, o non sarei andato a Ordar a perdere tempo durante una missione che volevo durasse il meno possibile.
    Sarei dovuto arrivare, fare i mei rilevamenti, e tanti saluti. Invece sono rimasto, ho fatto una deviazione dentro una città, e quella è come un campo minato, troppo alte le probabilità di fallimento del camuffamento.
    Certo, sul mercato nero interdimensionale trovi vestiti adatti a qualsiasi dimensione, ma Idara su questo è sempre stata peculiare, sulle sue. Ho rischiato davvero troppo per uno che dava per scontato fosse morta. Per quanto possa sorridere per un attimo per il modo in cui si apostrofa, in cui io la apostrofavo, o almeno tentare di farlo, non ho mai pensato fosse debole, né che fosse morta per quello.
    In realtà mi sembrava una persona resiliente, su Idara. Una che non era abituata alla guerra, era vero, ma nel suo ambiente si era mimetizzata come un topo. Non per nulla lei andava in giro senza rischiare poi granché, io invece sono caduto in una trappola come un coglione.
    «No, è solo che per me erano tutti morti già allora» è questa la ragione per cui nel mio vocabolario non c'è "viva", ma solo il suo opposto.
    È perché ero un riemerso, tutti quelli che incontravo erano persone fugaci che sarebbero morte prima o poi, la mia unica certezza era che io le avrei guardate morire, senza mai poter raggiungere la mia Spiaggia. Solo morti che camminano.
    È perché su Idara, credo di non aver mai considerato vivo nessuno. La gente non voleva nemmeno avere dei figli, e non come qui. Qui è quasi un'eccezione, ma laggiù... su Idara nessuno vuole che la vita continui. Cercano solo modi più sofisticati per trapassare il prima possibile.
    I sopravvissuti, quelli che ci provano ad ogni costo, alla fine restano fantasmi che camminano. Persone che cercano di non finire in territorio di Manifestazioni, di non essere uccisi dai soldati, derubati dai predoni, infettarsi con l'osmontite, vittime della fame, della sete, delle malattie perché a nessuno importa niente di salvare la gente che popola un'intera dimensione fatta di morti. Chiunque guardi Idara da fuori non può non notare che è una dimensione fatta di morte e basta.
    Giro come mi dice di fare, sento la necessità di interrompere questo filo di pensieri, tornare a uno più da me.
    Non allegro, ora non esageriamo, direi di un ottimistico disinteresse.
    «Puoi raccontarmeli, sicuramente qualche volta sarò pur morto come ti immagini» direi di un macabro umorismo, anche.
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    Doveva raccontargli come aveva immaginato che fosse morto, uno dei tanti incubi che l'avevano svegliata di soprassalto la notte o che la faceva dormire. Doveva dirgli di quanto tempo era stata rannicchiata ad occhi aperti nel nascondiglio nella speranza che trovasse un modo per tornare, forse lui si sarebbe ricordato la strada. O di quante volte i suoi erano stati svegliati dal suo "no" urlato ogni volta che moriva. Non aveva mai sognato la morte lei, molte emozioni negative le sognava per via di ciò che percepiva durante la giornata, ma la morte la evitava. Doveva anche dirgli che alla fine lo aveva raccontato ai suoi genitori del bambino che aveva aiutato, che avrebbe voluto portare a casa per nasconderlo meglio e in un luogo più pulito. E sua mamma l'aveva abbracciata quei giorni in cui si sveglia di soprassalto accarezzandole i capelli per farle dimenticare quel sogno che si andava ad aggiungere a tutti gli altri, perché immaginare la morte di qualcuno a cui si voleva bene era ancora peggio e lei non lo avrebbe mai negato di essersi affezionata a Zane.
    Ma lui lo aveva chiesto e doveva occupare quei cinque minuti. Chiuse gli occhi inspirando e riportandone facilmente uno alla mente
    Ho immaginato che ti avessero usato di nuovo come bambino kamikaze come già sapevo… ne ricordò uno a caso, uno dei meno terribili, ma neppure il meno tranquillo, uno che l’aveva fatta comunque piangere e urlare di notte, riprendendo a dormire solo sotto le carezze sulla testa di sua madre. Aveva parlato di Zane ai suoi perché loro erano disperati nel vederla così, ma loro non avrebbero potuto capire che significava pensare che fosse morto ogni notte e il modo in cui era ritornato. Al prossimo incrocio puoi andare a destra gli suggerì ora che erano entrati nel quartiere di Astoria. Mancava poco ad arrivare al suo condominio, forse cinque minuti, dieci se il traffico li bloccava a qualche semaforo. Ho sognato che venissi colpito da una pioggia di Osmontite e ti vedevo invecchiare e morire sotto quella pioggia infernale come se ti stesse corrodendo ricordò nascondendo il tremore che quel ricordo le portava nascondendo la mano destra sul lato del suo sedile. E venivi trascinato giù dalle Manifestazioni, ma tu ritornavi e morivi di nuovo. In un loop che non finiva mai confessò, forse quello era il peggiore, e solo dopo anni poteva pensare di parlarne senza ricordare pienamente il tremore che la coglieva, gli incubi che la scuotevano la notte. Preferì non andare oltre perché avrebbe significato confessare quanto vissuto a nove anni, quanto lei aveva lasciato su quel pianeta, anche se non del tutto, come non aveva mai lasciato i suoi genitori realmente sebbene non avesse che radi e sfocati ricordi di loro e un disegno realizzato prima che potesse dimenticarli del tutto. Quello che aveva raccontato evidenziava quella debolezza che lui aveva spesso sottolineato scherzando perché lei era fatta così, in un pianeta che invece era fatto per ucciderti ad ogni respiro. Era ovvio che lui avesse cercato di sapere se era morta, non per un cinismo innato, ma perché Idara era sinonimo di morte in ogni passo che facevano. Si umettò le labbra secche a seguito di quei ricordi, si voltò a guardarlo tornando a sorridere, come era solita fare anche su Idara, in quel modo che appariva così strano su quel loro pianeta fatto di morte e non certo di sorrisi. Qualcuna ne ho indovinata? chiese sebbene non era certa di volerlo sapere, o meglio Celia non voleva saperlo e poiché lei era ancora Celia, anche se non per la maggior parte delle persone di quel pianeta, era anche lei a volerlo sapere. Una cosa non l’aveva chiesta, se anche lì su quel pianeta quella sua peculiare caratteristica si era mantenuta, ma per quel giorno forse di cose ne erano state dette tante ed erano praticamente arrivati. Al prossimo gira a sinistra e il condominio più alto è il mio gli indicò prima di arrivare all’incrocio, mentre nella sua testa iniziava un conto alla rovescia quando la macchina si sarebbe fermata. Cosa si dicevano due persone che si riscontravano dopo ventuno anni? Si ripromettevano di mantenere i contatti oppure no? Dalla borsa che aveva in grembo prese un biglietto dove era segnato il suo numero di cellulare, quello privato, quello di lavoro e avrebbe scribacchiato il numero di quello criptato, ma non sarebbe stata lei a muovere per primo quel passo.
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    Dovrei lavorare sul mio umorismo. Non solo perché può suonare macabro, fuori luogo, un pelino eccessivo, a volte, ma anche perché è evidente che non viene colto al meglio.
    O forse è solo Celia, ad aver difficoltà a capire che stavo scherzando. Che dire, a questo punto direi che possiamo considerarlo terapeutico, o una qualche stronzata simile.
    «Esempi particolari» giro a destra, come mi ha detto.
    "Particolari" perché in fondo possono essere considerati banali - io che faccio il kamikaze, visto e rivisto -, peculiari di Idara visto che le paure che andavano per la maggiore quelle erano, nonostante l'ampia scelta disponibile.
    Purtroppo ha identificato anche quella che era la mia paura. Il loop perpetuo in cui finiva chi non poteva semplicemente morire.
    Non so se l'essere un riemerso è una condizione che dura per sempre, che non ha ostacoli, niente a cancellarla quanto basta per morire una volta sola, per forze di cose quella definitiva.
    Mi hanno ucciso un sacco di volte per testare la mia abilità. Non so se mi sono mai chiesto davvero fin dove potesse spingersi. All'inizio, avevo solo troppa paura.
    «Se devo essere onesto la maggior parte delle volte inciampavo dove non dovevo» ci scherzo ancora su, stringendo di più il volante.
    Il loop, quello non posso dimenticarlo. Quello ce l'avevo fisso in testa.
    Era il mio destino. Lo sarebbe stato.
    Oppure chissà, davvero l'abilità di riemergere ad un certo punto si perde o non riesce a stare al passo con tutte le morti, e allora si crepa e basta, una volta per tutte.
    Non so cosa sia peggio. Se restare davvero bloccato in un loop, a contorcersi nel perpetuo reiterarsi di morte e subcoscienza, a farsi afferrare da quelle cose che mi hanno segnato per sempre la pelle; oppure se lo sarebbe stato essere delusi dalla propria abilità stessa, e non svegliarsi più, trovandosi giusto quel secondo nell'Abisso ad ammettere a sé stessi che si vuole tornare indietro. Ma non c'è nessun indietro.
    Giro a sinistra e mi fermo sotto il suo condominio. Mi aspettavo un posto più carino, ma non è così male.
    «Con il lavoro che fai dovresti poterti permettere una sistemazione più consona, sono molto deluso» guardo il palazzo distrattamente dal cruscotto, come se non l'avessi visto avvicinandomi. Non sono un fan di questo quartiere.
    Mi giro di nuovo verso di lei, uno sguardo sulla faccia che non riesce a nascondere come stia pensando qualcosa, troppo ovvia, poi sulle mani che tiene sopra la borsa, in parte nascoste da essa. Che abbia preso qualcosa da dentro è palese. Altrettanto palese che lo stia non dico nascondendo, ma tenendo per sé di sicuro.
    Mi giro di tre quarti sul sedile, appoggiando il gomito comodamente allo schienale.
    «Non dirmi che hai un regalo per me e ti imbarazza darmelo» so che non è così, banalmente perché prima di finire in ospedale non aveva idea che fossi vivo, e poi beh, non è mai uscita da lì. La quarantena può essere limitante da questo punto di vista.
    Per logica, immagino sia un biglietto da visita, magari quello che usa per lavoro, o una cosa simile.
    Forse solo le chiavi di casa che finge di non aver preso ancora. Sarebbe divertente in entrambi i casi.
    «Ti prenderei in giro solo un pochino» suona come una promessa, ma quello che faccio è allungare un indice per accarezzarle il fianco della mano, sotto il pollice, neanche stessi sfregando una lampada e pensassi che quello è il meccanismo per aprirla. Pensiero che accompagno alzando gli occhi dalla sua mano ai suoi occhi, anche se non sono così sicuro colga neanche questo di sottile umorismo.
    Soprattutto perché a tratti non lo colgo nemmeno io.
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    La morsa delle mani di Zane sul volante la percepiva sulla sua pelle come se stesse stringendo le sue spalle, perché era evidente che quanto aveva detto aveva riportato alla mente qualcosa che forse ogni giorno si sforzava di non ricordare. Stupida si disse e questa volta non vi era il tono scherzoso di Zane che amava prenderla in giro con quella parola, era reale la critica che si stava rivolgendo. Poggiò la mano sulla sua borsa per vincere l’impulso a tenderla verso quella più vicina che stringeva il volante per allentarne la presa, ma appunto non lo fece.
    Piuttosto guardò il suo condominio farsi sempre più vicino, e se in una situazione normale sarebbe stata felice di tornare a casa, in quel momento, dopo la quarantena non provava il desiderio di tornare a chiudersi dentro. Avrebbe poggiato le sue cose, forse fatto una doccia e sarebbe uscita a fare una passeggiata. Sospirò sentendolo commentare la sua umile dimora e lo prese in giro per il suo stile di vita. Non tutti possono permettersi l’attico sulla Quinta e le venne da ridere, perché se davvero ci pensava se qualcuno “meritava” di vivere lì era lui secondo la sua personale scala di giudizio, visto che non aveva visto nessuno mai cominciare con meno come Zane. Mi sposterò il prossimo anno, per ora non giudicare dall’esterno, il mio è un appartamento…carino cercò una parola neutra per descrivere il posto dove viveva, tenendo conto che come termini di paragone lui doveva avere altri parametri e lei li conosceva i parametri delle persone ricche come lui. Si rese conto solo dopo aver pronunciato quelle parole che sembravano quasi un invito a salire, spinta da quella punta di orgoglio per ciò che era sua. Perché se anche lei aveva avuto qualcosa di più lì su Idara, era stato minimo lo scarto. Fortunatamente il suo comportamento aveva attirato l’attenzione di Zane su altro, come la mano che stringeva il bigliettino da visita che quasi lasciò andare, frenandosi dal cercare le chiavi per non fare una magra figura.
    Come era possibile che incontrare qualcuno di nuovo dopo vent’anni facesse rincoglionire, ora erano i dieci giorni di isolamento a renderla incapace di avere conversazioni normali. No, i regali li risparmio per Natale commentò seguendo il suo movimento con gli occhi e accompagnandolo con una rotazione del suo busto per guardarlo. Sorrise appena, perché effettivamente fino a dieci giorni prima la sua lista regali non conteggiava il suo nome e ora ci era finito automaticamente sebbene per qualcuno potesse apparire esagerato. A quel punto è evidente come Zane si diverta a prenderla in giro, e quel tono improvvisamente più dolce le ricordò come quando nelle fogne improvvisamente avesse smesso di rivolgersi a lei con accondiscendenza per essere più gentile. Diverso è il gesto successivo, quello si che la spiazzò per quanto non lo diede a vedere nel viso, ma nel tremito leggero della mano davanti a quella carezza improvvisata sotto il pollice, sfregandola come se fosse una lampada magica o uno scrigno pronto a lasciarsi sfuggire i suoi segreti. Lo aveva guardato mentre compiva quel gesto, all’apparenza affettuoso e a tratti semplicemente curioso. Lasciò andare il bigliettino da visita per stringere la mano di Gilles, rise. Non sono una lampada magica che devi strofinare per esprimere i desideri nel parlare prese il biglietto da visita lasciato per darlo a lui, prima però di aver scritto velocemente l’altro numero sul retro. E’ il più sicuro dei tre disse quasi come se dovesse rispondere ad una domanda non posta. Si sporse per guardare il suo condominio e si lasciò andare sul sedile. Beh grazie del passaggio, mi hai letteralmente salvato dal trasporto pubblico lo ringrazio sinceramente, l’aveva sollevata dall’odiosa impellenza di dover chiamare un taxi da Manhattan fino a Long Island City o dalla metropolitana. Abbozzò un sorriso slacciando la cintura e poggiando sulla spalla la sua tracolla. Vuoi salire a prendere un caffè? O non ci entri in un appartamento che non valga almeno 3 milioni di dollari? lo prese in giro visto il modo in cui aveva squadrato il suo condominio. Se hai da fare non c’è problema, immagino che anche il capo debba farsi vedere a lavoro, ogni tanto... ed ecco che tornava a prenderlo in giro. Però hai strofinato la lampada magica e quindi hai diritto a tre desideri?
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    Sollevo il sopracciglio, perché se Celia non sa troppo capire lo scherzo, è anche vero che inavvertitamente lancia degli inviti piuttosto palesi.
    Andiamo, questa cosa dell'appartamento che dentro è più carino di fuori è un palese invito a entrare.
    Ma sono magnanimo, l'ho presa abbastanza in giro negli ultimi otto secondi. Questa gliel'abbono.
    Almeno verbalmente. Per un attimo, la guardo comunque con il sopracciglio inarcato, per invitarla a pensare a quello che dice.
    Perché quello che dice è generalmente un po' ambiguo, e già la seconda volta non sono così accondiscendente.
    «Va bene, allora non ti strofinerò più» la prendo in giro con tono serio, prendo il biglietto da visita che aveva in mano.
    Direi che ci ho preso abbastanza. L'avevo detto che probabilmente era una cosa del genere.
    Lo guardo e lo giro avanti e indietro, posso evitare di commentarlo, questo. Ha passato il vaglio del mio giudizio.
    Lo infilo nella tasca della giacca, poi gli troverò una collocazione nel portafogli.
    La guardo mentre mi ringrazia, ironicamente anche lei cita il trasporto pubblico.
    «Sono così terribili le metropolitane di New York? Sei la seconda persona che mi dice lo stesso, oggi» e io non prendo mai la metropolitana, quindi sinceramente non ho termini di paragone.
    Sorrido di nuovo, sottolineando, ancora solo con la faccia, come sia il secondo invito a salire di oggi.
    E se non salgo non è perché in qualità di capo abbia per forza impegni particolari, anche se oggi pomeriggio ai laboratori mi farò vedere di certo. È più perché mi serve una pausa. È già stato abbastanza intenso così.
    «Ci darò una sbirciatina mentre ti aiuto con la borsa» e di nuovo, vorrei sottolineare quanto io sia un cavaliere «Ma oggi non mi fermo. Sarà per la prossima» e nel dirlo, do un leggero colpetto alla tasca, dove ho messo il suo biglietto da visita.
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    La parola idiota si infilò tra le sue labbra in idiarian prima di poterla fermare mentre scuotendo la testa si voltava a guardare dietro se poteva aprire la portiera senza farsela tranciare di netto o senza beccare un pedone. Non era il caso di far graffiare la Maserati di Gilles, avrebbe dovuto dar fondo a tutti i suoi risparmi per far sistemare la carrozzeria se avesse procurato anche il minimo danno. Aggrottò la fronte sentendolo parlare della metropolitana, possibile che non ci fosse mai entrato? Lo guardò per qualche momento e si rispose da sola: ovviamente non c’era mai entrato. Il sogno di ogni newyorkese guarda commentò senza aggiungere altro, altrimenti com’era possibile che fosse esplosa la moda degli Uber, del car sharing e ogni altra forma di alternativa al trasporto pubblico e alla metropolitana. Chi voleva comprimersi come una sardina insieme ad altre duecento persone finendo con una mano lì dove non batteva il sole? Non ricordava neppure più quante volte era successo. Approfittò di un momento in cui non stava passando nessuno per scendere dalla macchina. Sistemò la borsa a tracolla mentre si girava per raggiungere il marciapiede e l’ingresso del suo condominio. Che non si dica che non sei cresciuto gentiluomo commentò annuendo mentre diceva che non si fermava. Da un lato se lo aspettava, era troppo tutto questo, ma in qualche modo doveva offrirgli almeno un caffè, almeno per il disturbo che si era preso. Il portiere vedendola aveva già aperto la porta lanciando uno sguardo a Gilles e alla sua Maserati blu ben parcheggiata lì davanti. Non erano certo abituati a quel tipo di auto dalle loro parti, per quanto Astoria fosse un quartiere davvero carino del Queens dove vivere. Signorina Anna è da tanto che non la vedevo, tutto bene? chiese Tyler l’usciere raggiungendo la sua guardiola per darle la posta accumulata in quel periodo. Tyler, ho avuto alcuni controlli da fare in ospedale. Sto bene, non farti pensieri. Lui è un mio amico, mi è venuto a prendere all’ospedale per portarmi a casa fu vaga, in tutto e per tutto. Senza fare il nome di Gilles, senza indicare legami o altro. Amico, generico, senza una definizione ben preciso. Prese l’ascensore per raggiungere il sesto piano e si appoggiò alla parete dell’ascensore, mentre la salita fu breve. Raggiunse il suo appartamento in pochi passi, avvicinandosi a Gilles solo per recuperare le chiavi dalla borsa. Impiegò qualche momento a disattivare gli allarmi, a ripristinare i codici visto e ad aprire la porta. Quando rimise piede nel suo appartamento dopo dieci giorni pensava di trovarlo in condizioni peggiori, ma Tyler doveva aver chiesto alla signora delle pulizie di passare e le aveva anche pulito il frigorifero del cibo che probabilmente era andato a male. Certo non sarà il tuo appartamento a Central Park, però non è male lo prese in giro, perché effettivamente non sapeva dove vivesse, ma quelli come lui abitavano sempre da quelle parti, se non era la Quinta, era la Madison, la Park o la Lexington. Puoi dare a me la borsa la poggio sul divano disse sporgendosi per recuperarla, l’avrebbe sistemata una volta che se ne fosse andato. Si guardò intorno soffermandosi sull’angolo dove sostava il suo computer, anzi per meglio dire i suoi computer e innumerevoli schermi che probabilmente costavano più dell’appartamento in generale. Ecco il perché di quel sofisticato sistema di allarme che aveva installato. Beh grazie anche per essere salito fino a su, ti offrirei qualcosa ma, hai detto di no… iniziò con il salutarlo, perché lo percepiva che lui aveva bisogno di andar via e porre qualche distanza. Per la macchina mi ci vorrà qualche giorno, per martedì dovrei essere pronta. a quel punto si sarebbe fatto sentire lui, visto che lei non aveva modi di contattarlo, o meglio senza fare una piccola ricerca su di lui.
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