[Evento] Ananke: Place de Grève

mother — wiccan —rexana bishop— tattoo i-ii-iii-iv

— look — song — voice

Si chiamano ombre, perché hanno natura sfocata, indefinita, vicina è la luce e più sfocate appaiono, sfaldate dal calore in prossimità.
Era diventata spesso una vista sfocata, una che andava veloce, di compartimenti pregni di un'energia potente, che annegava il cervello di sensazioni tanto intense, poi finivano a galleggiare fra pareti più tiepide. Il regno dei non detti che si facevano cortesi, anche lì, sopiti fra segreti e emozioni precise, ma pentite. Domande fatte e non fatte, alcune a cui c'era stata una risposta che ne aveva chiamate poi mille, opinioni il cui diritto si sfilacciava fra le dita.
Negli ultimi mesi era divenuto ben più semplice seguire i flussi senza boicottare l'assenza di punti fissi, il suo, arroccato come una fortezza nel suo lettino, riceveva ogni sera il bacio della buona notte e si perdeva mondi ingenti di sogni contorti e bizzarri. Era un luogo come quello. Avrebbe voluto portare Arkell, ma un viaggio lungo, perché per lui lo sarebbe diventato, poi una serata di rumori che si infrangevano fino a tarda notte, non era il caso. Ma avrebbe visto pure il circo, si era informata. Il suo era un sopralluogo con sua sorella, che di sopralluoghi era prossima a farne nella vita incipiente. Mille mondi crollati sulle spalle che per lei erano stati dolci, non sapeva quali forme assumessero per Tess. Avrebbe sempre avuto bisogno di una guida che rendesse i vetri meno appannati, che rivelasse come alcuni celavano figure molto più ampie e bitorzolute rispetto alla patina levigata e nitida che invece presentavano a lei. Ma c'era tempo. Un tempo che non poteva essere più agli sgoccioli. Di quei periodi che passavano in fretta, sempre troppo, caracollavano e poi si contraevano quando invece sarebbero dovuti apparire più morbidi nel loro cammino.
Aveva evitato il bar, una ressa forse meno tollerabile. Preso da bere, sì, qualcosa che andasse bene a entrambe. Un giro d'esplorazione da cui era emersa con certe immagini raccolte di strascico negli occhi, stralci raccolti e rimontati per farne emergere un puzzle preciso.
«Ho visto qualcuno che conosco, se ti va di andare all'avventura» sapeva di apparire quasi disinteressata a quell'eventualità, persino quando vibrava su corde tanto solide. Un linguaggio particolare quello fra lei e Tess, pregno di bugie scoperte proprio dal sapere di non poter dire ogni cosa, ma farlo nell'essenza. E così sapeva che avrebbe potuto nascondere ogni secondo l'emozione che non era mai affievolita negli anni, non era mai diventata più tiepida, ma sempre quell'uguale tenerezza, così colpevole dentro i risvolti di troppe mappe di mondi che si accartocciavano l'una nell'altra. Nessun riferimento e per questo continuava a seguire un flusso.
Guardò Tess, istintivo alzare le sopracciglia un paio di volte in un linguaggio segreto che però non era di sua sorella, non sapeva perché l'avesse fatto. Abitudine e mancanza feroce, da affondare in un abisso.
«E poi dopo potremo continuare una certa tradizione canora». Prese le dita, mano intrecciate, in un contatto di pelle contro pelle sdoganato dalle volte in cui era stato Arkell contro la sua pelle e le aveva insegnato come parlare mille lingue differenti. La portò così con sé, fino allo stand dove aveva visto Jean giocare. «E se ci riesco io al primo tentativo lo vuoi vedere?» un sorriso anche per lui, con gli occhi tentati di una confidenza che lasciò sonnecchiare un po' di più, in quel lungo sguardo che aveva per Jean davanti allo stand del nano forzuto. Aveva già violato un universo taciturno, quello della sua lingua natale, le piaceva sempre sentirla anche se ora aveva con essa un familiarità molto diversa.
Secondi in cui non importava chi ci fosse vicino, persino se aveva colto la loro importanza in un quadro più esteso. Solo che a volte il tempo aveva il potere di rallentare, forse un po' troppo.
«Tess, ti presento Jean-Luc Leroy, dei Leroy che abbiamo presentato agli altri quest'estate» quando lei sapeva che aveva altro per la testa, qualcosa che la allontanava un po' e insieme teneva legata a un filo troppo stretto. Lasciò la mano di sua sorella per tenerla libera, distratta fino a quel momento. «E Jean, lei è mia sorella Tess» presentazioni strane perché erano state nell'aria così spesso, così a lungo. Percorsi intersecati ma sempre dietro un muro, poco visibile, che sembrava impossibile da scalfire anche quando era diventato casa.
Spostò gli occhi sulla ragazza che Jean aveva affianco, senza forzare alcuna presentazione, perché la sua era una vita che poteva voler tenere separata da quella che lei già aveva riversato nella sua. Un sorriso comunque gentile, senza riuscire a nascondere una certa curiosità. Aveva una certa luce negli occhi Jean, una certa familiarità lei.

— pensieve — a.a.a. —

— no accent — paleontologist — woman of letters — 31yo —