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    «Then someone will say what is lost can never be saved
    Despite all my rage I am still just a rat in a cage
    Tell me I'm the only one, tell me there's no other one
    Jesus was an only son
    And I still believe that I cannot be saved»
    Nik
    24 anni
    Dreadwolf
    Ustionava sigarette dalle cinque di quel pomeriggio. Una dopo l'altra finivano schiacciate contro il fondo del posacenere. Cassie lo svuotava regolarmente e lui regolarmente lo affollava di nuovo. Alcuni mozziconi non erano suoi. Ai confini della sua attenzione diversi clienti si erano alzati e seduti sullo sgabbello al suo fianco. Con un paio aveva scambaito quattro chiacchiere, altri li aveva semplicemente ignorati, sconosciuti che avevano ricambiato il favore di essere lasciati in pace. Si era seduto nell'angolo più in fondo del bancone, quello un po' in ombra. Alimentava con pazienza la coltre densa che spirava solo al limite della sua estensione plomonare.
    Le sue erano boccate profonde che trasformavano in cenere la carta e i coriandoli di tabacco. "Un altro, Cass". Il boccale magicamente si riempiva di nuovo. L'ennesima cicca agonizzava tra le sue dita. Osservò incantato la linea rosso brillante ardere ai confini del filtro. L'avvicinò ancora alle labbra con un gesto tanto fiacco da tradire il torpore del suo umore rattrappito. Era una giornata semplicemente no, una di quelle in cui si concedeva il piacere di essere un estraneo ai confini della visuale degli altri clienti. Un'immagine fugace colta appena come cornice, senza spessore. Il calore del filtro gli ustionò le labbra. L'affogò nel posacenere, si spense con un ultimo sbuffetto di fumo, un filo di seta grigia si disperse verso l'alto prima di scomparire. Portò una mano alla tasca posteriore dei jeans. Sfilò il pacchetto morbido di Lucky Strike. Gli occhi gli si posarono per un secondo sul bollino rosso cerchiato d'oro per poi seguire il gesto con cui picchiò sul fondo. Non successe nulla. Nessun filtro fece capolino al di là del cartoncino strappato. Sbirciò all'interno corrugando le sopracciglia in un'espressione afflitta. Le sigarette erano finite. E' buon usanza in questi casi alzare il culo e cercare uno di quei magnifici distributori automatici che risparmiano anche il più basilare rapporto umano. "Hey Cassie ti avanza una sigaretta"?. L'occhiata della donna fu sufficientemente eloquente da non lasciargli dubbi. Un imprecazione sommessa gli slittò sulla lingua molle, mentre accartocciava con fastidio il pacchetto vuoto. Lanciò svogliatamente un'occhiata all'ingresso del bar. Troppo lontano. Mentre si voltava incrociò la schiena larga del suo vicino. Un tipo tracagnotto con uno strano accento. Parlava animatamente con il suo vicino, rideva e sghignazzava come uno che ha alzato il gomito. Avrebbe potuto scommettere che avesse la faccia rossa. Non che gli interessasse il suo colorito, quanto piuttosto il pacchetto di malboro rosse che gli sporgeva dalla tasca posteriore. Era uno di quei pacchetti rigidi che in tasca finiscono per ammaccarsi, il suo aveva una favorevole forma a fungo. Il coperchietto era leggermente sollevato, lì sotto dovevano esserci ancora cinque o sei sigarette. Finse di sbadigliare e stiracchiarsi, un gesto bello ampio al punto che ritirando le braccia invase lo spazio del vicino urtandogli la schiena. Il tipo si girò con un attimo di ritardo. Aveva la faccia rossa e gli occhi umidi. Nik abbassò il braccio completando l'arco e intanto gli sorrise in segno di scuse. Riportò con calma la mano destra sulla coscia. Il ragazzone ricambiò con un'occhiataccia prima di tornare a parlare con il suo compre. Nik dal canto suo spense il sorriso in una linea sottile. Si voltò di nuovo davanti a sè, verso il suo boccale ancora pieno. Quando sollevò la mano aveva tra le dita due sigarette. Un gioco da ragazzi. Il trucco di Matt funzionava bene come sempre. Fai in modo di avvicinarti e poi distrai l'attenzione. Si infilò la sigaretta in più dietro l'orecchio mentre l'altra se l'accese con una certa compiaciuta soddisfazione.

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    Che tu possa arrivare in paradiso mezz'ora prima che il diavolo si accorga che sei morto.
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    Garrick - Rick
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    Ed ecco che il biondo tutto strafottente e impettito devivava verso uno sgabello più lontano. Il cambiamento di direzione era stato lampante ed eloquente, se fosse stato in macchina probabilmente avrebbe messo una frecca. In poche parole quel piccolo furfante non ci aveva nemmeno provato ad essere meno smaccato. Poco male, almeno l'idea di chiedergli una birra gli era passata, glielo si leggeva in faccia e tanto bastava per renderlo soddisfatto. Con uno schiocco compiaciuto a cui seguì lo scuotere della sua barba folta, si riportò il sigaro alle labbra e schiaffò il boccale di nuovo sotto la fontana. Quando sentì la vocetta della ragazza canticchiare il pezzo del biondo - con molta più intonazione di quanto non avesse fatto lui - lanciò di sottecchi un'occhiata davanti a sè. Potè constatare che buona parte del locale era vuota, rimanevano solamente i suoi tre o quattro affezionati, che avrebbe riscosso dal torpore dell'alcol all'ora di chiusura. Gli piaceva pensare che il suo locale fosse in qualche modo un rifugio per vecchi ubriaconi come lui. Se avesse avuto una vita schifosa e solitaria probabilmente avrebbe voluto un posto come quello dove perdere i sensi per un po'. Il volto pulito della ragazza entrò nel suo campo visivo esattamente alla coda del'occhio. "Arriva subito, signorina". Per lei scelse una delle birre sofisticate di quel pretenzioso di suo fratello, una birra scura al sorbo e frutti selvatici che riscuoteva un certo successo. Roba per intenditori con un certo stomaco, se l'era meritata e in fin dei conti suo fratello di quella ne faceva a bizzeffe. Mentre la versava lasciò che sulla superficie si formasse un bel dito di schiuma. Alla fine poggiò il boccale sulla superficie di legno che aveva appena lucidato. Aveva sempre il panno in mano, era una svelta a capire cosa lo facesse contento. Ad esempio parlare dell'Irlanda, quello lo rendeva sempre particolarmente allegro. Sorrise appena sotto la barba riccioluta, che gli solleticò l'angolo delle labbra. Sollevò gli occhi su di lei che già scintillavano del verde delle brughiere. Poi la voce petulante di quel piccolo guastafeste arrivò a rovinargli l'umore. Tipico. Si voltò per fissarlo in cagnesco. Aggrottò così profondamente la fronte che le sopracciglia gli calarono sugli occhi grosse travi di legno scuro. Si chiese se suo padre non gli avesse mai assestato una bella sculacciata sulle chiappe e se per caso non fosse troppo tardi per rimediare a quella mancanza. Fortuna volle che a salvare il deretano del ragazzo arrivò suo fratello, silenzioso come un'ombra. Era sempre stato introverso, ma da quando gliene erano capitate di tutti i colori girava come uno spettro in pena. A volte gli metteva anche un po' di paura. Quella volta però aveva una voce assorta ed era meglio di quanto ce l'aveva smorta, voleva dire che teneva la mente impegnata da qualcosa e non era vuota e desolata come il fondo di un barile. "Due barili e due barili" grugnì senza allontanare lo sguardo dal biondo. Continuò a fissarlo arcigno e in silenzio fin quando non se la svignò di sotto con suo fratello. Che se lo prendesse un po' lui sul groppone visto che era stata una sua idea ospitarlo. Gira e rigira quel moccioso sembrava stargli sempre tra i piedi. Quando finalmente rimasero solamente lui e la ragazza si rilassò poggiando i gomiti sul bancone con fare confidenziale. Non era uno che ci mettesse poi molto a rompere il ghiaccio. "Di un po'" borbottò dando uno scossone alla barba. Cercò con lo sguardo il viso della ragazza giusto per assicurarsi che capisse che stava parlando a lei. "Tu sei una a posto. Sei carina, gentile e sembri piuttosto sveglia. Potresti trovarti chiunque. Perchè proprio lui? Voglio dire: che ci trovi di tanto speciale? Dev'essere una cosa grossa per non darti fastidio la sua faccia di cu.. insomma per farti andare bene il fatto che sia un coglione".

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    Io non lo so.... aiuto... tenetelo....


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    Nik
    24 anni
    Dreadwolf
    Navigava tra i fumi dell'ubriachezza, alla deriva in un mare nebuloso e galleggiante che gli si era fastidiosamente aggrappato allo stomaco. Si girava freneticamente a destra e a sinistra per guardare dall'alto la piccola folla di adepti del culto della birra che gli si erano stretti attorno, quasi lui fosse il messia di quella religione. Ed in effetti iniziava a sentirsi un po' come il portatore infervorato di un miracoloso bambino fatto interamente del liquido schiumoso e giallo e frizzante che gli gorgogliava nella pancia e gli premeva giù in fondo alla vescica. Il figlio della fede, come il bambin gesù. E non importava se questo gettava un'ambiguità imbarazzante sulla sua persona. Ad ogni modo cercava il suo sfidante, come ogni eroe epico aveva bisogno del suo prometeo pronto a sfidare il suo potere. Iniziò persino a sentire la birra bussare alle porte dell'inferno, che altro non era che la bocca del suo stomaco in fiamme. Ci era andato giu pesante più del solito, più di quanto si era ripromesso all'inizio. Sei mesi che non la vedeva, che non pronunciava il suo nome ad alta voce, sei mesi in cui si era esercitato in ogni sintolo istante a reprimere e reprimere e reprimere ancora. Doveva immaginarselo che alla fine sarebbe crollato come un sacco di patate, o come una torre di babele. Ceneri alle ceneri. Eppure lui continuava a respirare. Anzi si sentiva particolarmente euforico, come fosse rinato, merito del suo bambino del miracolo, che presto si sarebbe premurato di espellere nel bagno degli uomini, o alternativamente contro un muro in un vialetto abbastanza buio. Che fine triste. Eppure c'era della verità anche in quello. Puoi credere di essere importante, l'essere vivente più importante di tutti, e finire lo stesso giù per uno scarico fetente pronto a mescolarti con il lerciume degli altri. Chissà se erano tutti randagi come lui lì in mezzo, figli di nessuno, abbandonati da soli nel porprio appartamento. Ondeggiò sorpreso quando sentì una voce familiare valicare i confini del tempo per tornare fino a lui chiara e cristallina come se la sua proprietaria fosse proprio lì davanti. Sollevò le sopracciglia a formare i lati di un angolo sconcertato. "Il suono di questa voce..." si portò una mano alla fronte osservando le facce dei presenti come se stesse scrutando l'orizzonte in una giornata particolarmente soleggiata. "Ditemi che sto sognando". E invece era proprio lì. Bella come sempre. Bella e dannata come sempre. Si piegò appena in avanti cercando di metterla a fuoco e allo stesso tempo di mantenere un equilibrio precario. Si, era proprio lei. Occhioni umidi come lacrime del cielo, viso pallido e guance colore dell'alba su onde di capelli neri. Il ventilatore si mosse riscosso dalla svolta che aveva preso quella serata altrimenti languida. Nella direzione della ragazza spirò una brezza dolcissima che protava con sè l'odore di legno appiccicoso e sudore di ascelle in agonia. Alcune ciocche si mossero appena per accarezzarle il viso fino all'angolo perfetto delle labbra rosse. La ragazza sollevò una mano, dita affusolate lisciarono una delle trecce che le cavalcavano il collo. Morrigan. Ricordava quel nome. Duro quanto il suo carattere, tanto duro da non offrire alcuna possibilità di soprannome. Le sorrise inebetito dai ricordi che d'un tratto erano arrivati a stordirlo. Si rimise dritto in piedi ammiccando un sorriso sornione ed obliquo. "Guarda guarda chi ha risputato fuori la bocca dell'Inferno" canticchiò per poi affogare l'ultimo sorso di birra. "Eppure" cominciò pulendosi la bocca con la manica della camicia, "avrei detto che ci saresti stata comoda. Fiamme, fruste, forconi e poveri disgraziati su cui inferire... sono nel tuo stile, se non ricordo male". Finse un'espressione seria, come stesse effettivamente prendendo in considerazione la sua sfida. "Se proprio ci tieni tanto a dimostrare le tue capacità - e qui cito le tue parole - di "buttare giù" liquidi seri" cercò di trattenersi, ma risatine incontrollabili gli sfuggirono impedendogli di proseguire. Quando recuperò la sua espressione seria allargò le braccia passandosi la lingua sull'interno della guacia. "Puoi farlo anche sul retro del bar, solo io e te". Ebbene si, lo aveva detto. Non ci avrebbe messo la mano sul fuoco nemmeno un attimo e invece si era dimostrato più intrepido di quanto credesse.

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    · Professore di magia bianca · Capo dei Defensores·

    E
    rano nel corridoio principale del dipartimento del Mafi. James gli aveva chiesto di attendere lì l'arrivo del suo agente. Accolse con piacere la scoperta che l'agente in questione fosse Trevor. Non sapeva se il capo del dipartimento fosse a consocenza dei loro rapporti, ma in ogni caso gliene fu grato. La tensione che lo aveva afflitto fino a quel momento si sciolse nella convinzione che Will e Jeremiah non avrebbero avuto problemi collaborare con il suo vecchio studente. Avevano letteralmente schivato un proiettile. Le indagini sarebbero state di gran lunga più fruttuose senza elementi di dissidio a distrarli dal lavoro. Le presentazioni furono brevi e rapide. I discorsi proseguirono in auto durante il tragitto fino agli Hamptons's. Raccontò ai ragazzi di essere stato insegnante di Trevor dopo il penzionamento di Edward. Il che accese i racconti di diversi aneddoti piacevoli e giusto un po' malinconici sul vecchio professore di magia bianca. Quando finalmente arrivarono gli sportelli dell'auto si chiusero uno dopo l'altro con un rumore secco. Il benessere della famiglia Tate era tradito più dalle dimenzioni della villa che dal suo sfarzo. La facciata esterna era infatti elegante nella sua assoluta sobrietà. Osservò attentamente il prato solitamente la regolarità millimetrica, quasi maniacale, dell'erba avrebbe permesso una partita di golf, se in quel caso fosse stato altrimenti avrebbe potuto tentare di dedurre il tempo che era decorso dall'ultima tosatura. Il rigoglio verde come sempre era fresco e profumato, sprigionava una fragranza mista di polline e terriccio. Utilizzò l'ecoempatia per entrare in contatto con l'ambiente naturale circostante, se ci fossero state influenze negativa ad agitare la quiete forse sarebbe riuscito ancora a percepirlo. Fece poi qualche passo esitante lungo la stradina in porfido che tagliava sinuosamente il giardino anteriore fino all'ingresso della casa. Non avanzò ulteriormente, limitandosi ad osservare il vialetto con discrezione e le mani rigorosamente infilate nelle tasche dei pantaloni color kaki. Espanse l'aura nell'area intorno, cercando di inglobare quanti più metri possibili così da percepire la presenza di altri individui, o tracce di energia lasciate dal passaggio di maghi e No-Mag. Annuì distrattamente alle parole di William che si sollevarono alle sue spalle, si voltò giusto un poco per incorciare gli occhi del ragazzo. Attese la risposta di Trevor prima di richiamare la sua attenzione. "Trevor" chiamò con voce calma, "fa un po' vedere cosa ti ha insegnato Turner, sono curioso di conoscere le tecniche d'indagine del mafi". Inoltre, non c'era tempo da perdere. Il rapimento di Astrea poteva essere l'unica opportunità che avrebbero avuto per risalire a quel dannato infame di Greed. Pregò ancora una volta che dietro a tutta quella faccenda ci fosse Caspar. Lui l'avrebbe protetta.
    Daniel Callaway

    «
    Nam nec lorem sapien. Vestibulum felis turpis, interdum ut tempor eu, tempor at lectus. Curabitur sit amet mauris interdum, rutrum libero pretium, tincidunt est. Nullam dolor nisi, lacinia quis sem rhoncus, fringilla elementum leo. Pellentesque hendrerit turpis ut tincidunt tincidunt. Phasellus pretium sapien lectus, non auctor urna facilisis a. Nullam scelerisque tortor in venenatis viverra. Cras vitae mi sodales, ultrices massa ut, faucibus felis. Aliquam vitae est non justo ullamcorper sagittis.

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    Skills utilizzate nel post
    - osserva il prato
    - ecoempatia
    - osserva il vialetto
    - percezione dell'aura

    Bonus del PG/Bonus Razza
    Empatia

    Contenuto dello zaino:

    Cristalli:
    1) corallo
    2) pietra lunare
    3) topazio
    4) turchese
    5) agata

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    Che tu possa arrivare in paradiso mezz'ora prima che il diavolo si accorga che sei morto.
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    Garrick - Rick
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    Accompagnò il rutto con un colpo sonoro al petto, esattamente all'altezza della bocca dello stomaco, lì dove l'aria si era fastidiosamente incastrata. Non era stata un'esibizione particolarmente generosa, eppure fu comunque più intonata di quello che andava strimpellando il moccioso alla sua chitarra. Mentre infilava un paio di boccali sotto la fontana si chiese ancora una volta chi glielo avesse fatto fare di acconsentire a quella dannata follia. La ragazza tanto quanto era di bella presenza, ragionevole e cordiale. Si dava da fare ai tavoli, un lavoro vero. L'altro, invece, il damerino con la frangia, era tutta un'altra storia. A cominciare dal fatto che stare con le chiappe su uno sgabbello a suonare non era un lavoro. Ma gliel'avrebbe fatto capire non appena i clienti se ne fossero andati. Gli avrebbe schiaffato il moccio tra le mani con un grugnito tanto eloquente che l'avrebbe afferrato persino lui, Pulisci. L'unica cosa positiva era che la sua ernia avrebbe avuto un po' di riposo. Sempre se il moccioso non avesse fatto storie. Ed era meglio per lui che non ne facesse, dal momento che doveva ripagare il suo letto a castello sfasciato. Glielo aveva costruito suo padre quando i suoi piedi avevano iniziato ad uscire fuori dalla culla. Era un ricordo. E ora era andato distrutto. Quel piccolo ingrato. Non gli andava giù la sua iniziativa di falegnameria, non gli era andata giù per niente. La fontana schizzò sbattendo sul fianco del boccale e inzuppandogli il grembiule verde. Imprecò tra i denti passandosi un paio di manate sulla stoffa, come se potessero bastate a convincerla ad asciugarsi più in fretta. Scosse la testa per manifestare senza mezzi termini la seccatura, a barba crespa e rossiccia gli andò a solleticare il collo. Ma alle disgrazie non c'è mai finie. Il biondo prese a suonare una melodia spaccapolmoni all'armonica. Non è che non riconoscesse che sapesse il fatto suo, almeno la suonava meglio della chitarra. Però, e questo era un dettaglio da non trascurare, per uno cresciuto con i toni blues di Sonny Boy, quella roba che andava strimpellando lui non sembrava altro che un rumoraccio insopportabile. Si sfilò con un gesto stizzito il panno bianco dalla spalla per asciugare i due boccali. Ci si dedicò con cura, giusto per riuscire a non pensare al rimescolarsi di birra e irritazione che sentiva nello stomaco. L'aria eruttata poco prima fortunatamente aveva lasciato lo spazio per un'altra birra, che avrebbe corretto con un bicchierino di whiskey. Quella sera era meglio che si stroncasse per benino altrimenti avrebbe continuato a rigirarsi nel letto in preda alla frustrazione. Riempì il boccale con un gesto fluido. Versare la birra era un'arte. Le sue spine erano belle lucide e verniciate, assolutamente perfette. Erano le sue bambine. Le pigiava come se le accarezzasse, inclinava il boccale con un'angolazione precisa, frutto di anni di esperienza. Come versava lui la birra non la versava nessuno. Era il suo piccolo orgoglio personale. Quel gesto familiare gli scaldò il petto con un moto di soddisfazione. Guardò il liquido ambrato gorgogliare scuro e denso tra le pareti di vetro, quasi cantasse. Una melodia che in quanto a profondità e malinconia era paragonabile alla colonna sonora di quel genio di Morricone nel suo film preferito: il buono, il brutto e il cattivo. Ah quella si che era musica. Per un attimo era di nuovo in paradiso. Il tappetto ovviamente arrivò a rovinare il tutto. Lo guardò con quella sua aria soddisfatta che gli fece aggrottare la fronte in un numero sconsiderato di pieghe. Lanciò al ragazzo un'occhiataccia terribile, come se gli avesse sputato in faccia la peggiore delle offese. Chiunque con un po' di cervello si sarebbe fatto da parte e avrebbe chiesto scusa. Ovviamente non nutriva molte speranze nel ragazzo. Gli mancavano le capacità e la morale per una cosa del genere. Lo aveva capito fin da subito che sarebbe stato una spina nel fianco, un piantagrane, un buonannulla. Prese tra pollice e indice il sigaro che tenva mollemente ad un angolo della bocca ed espirò una nuvola di fumo. Avvicinò il proprio boccale alle labbra e bevve con un'unica lunga energica poderosa sorsata la birra con whiskey che c'era all'interno. Alla fine fece anche schioccare la lingua sul palato. La birra gli aveva solleticato la gola dilatata da anni di esercizio. Lo guardò con sfida. Che ci provasse a chiedergli una birra. Gliene avrebbe detto quattro sul fatto che non aveva nemmeno i soldi per comprarsi i fazzoletti per asciugarsi le lacrime che gli avrebbe fatto scendere. Poteva solo sperare che la sua ragazza gli offrisse la birra perchè per quanto lo riguardava doveva ripagargli il letto.

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    Nik
    24 anni
    Dreadwolf
    Una volta alle spalle della ragazza si sentì più sollevato, come fosse finalmente al sicuro lontano dai suoi occhi. La morsa di tensione che gli aveva afferrato lo stomaco nell'istante in cui aveva riconosciuto Ayumu si allentò. Nik si lasciò persino sfuggire un sorriso sghembo al suo tentativo di rassicurazione. "Credevo dovessi temere le tue braccine secche, hai già cambiato idea?". Era sembrata piuttosto convinta nel reclamare la micidialità dei suoi pugnetti esili. Il fatto che si fosse subito contraddetta pur di tranquillizzarlo lo rincuorò un poco. La ragazza probabilmente era esattamente come sembrava. Forse "innocente" sarebbe stata una parola un po' grossa, però fino a quel momento tutto di lei gli gridava a gran voce quel termine. Aveva saputo cogliere i suoi sentimenti tra le note, gli si era avvicinato, nonostante per lei fosse uno sconosciuto, pur di fargli i complimenti, e poi si stava lasciando insegnare senza preoccuparsi minimamente che fosse alle sue spalle, lì dove non poteva vederlo. Si era fidata di lui con una naturalezza che in parte lo lasciava spiazzato. Nel suo mondo la fiducia era una debolezza. In quello di Ayumu sembrava essere semplicemente una sfumatura. Il peso di quel termine accanto a lei sembrò quasi alleggerirsi. La gelosia e l'incertezza che lo avevano assalito mentre stava con Isobelle gli sembrarono invece macigni di cui non era stato possibile liberarsi. Non sapeva se fosse giusto, o sbagliato dare fiducia agli altri, eppure per qualche ragione sentiva che avrebbe voluto tanto essere come Ayumu, avrebbe voluto poter avere indietro la sua innocenza. Gli tornò in mente il modo infantile con cui aveva tolto le scarpe per sentire il contatto dell'erba sotto i piedi. Il sorriso obliquo di Nik si addolcì impercettibilmente. Per distrarsi dall'amaro di quei pensieri si cimentò nelle sue dettagliate descrizioni riguardo l'uso della fisarmonica, che come al solito lo trascinavano in un vortice di parole. La meccanica degli strumenti musicali, ma in generale di qualsiasi oggetto, lo affascinavano. Era difficile persino per lui da capire, eppure ritrovare la semplicità nella complessità, la creatività nella linearità gli faceva battere il cuore. Una fisarmonica, un flauto, un pianoforte, una batteria erano oggetti con le loro dinamiche di funzionamento, a volte intuitive altre volte più ragionate, eppure ciò che ne veniva fuori era inspiegabile a parole, un'infinità di armonie che poteva anche scatenare delle emozioni negli altri. Come funzionassero le emozioni, invece, gli era del tutto oscuro. Un attimo prima era in ansia, in quel momento invece era perso tra le proprie parole. Il movimento delle mani di Ayumu per un momento lo distrasse. Aveva dita esili e affusolate, pallide fino alle nocche dove la pelle si raggrinziva appena come la nodosità di un albero dal tronco liscio, diventando leggermente più rosa. Aveva delle mani piccolissime. La osservò incuriosito, cercando di capire cosa facesse. Qando ci arrivò rimase imbambolato a fissarla. Il suo era il modo in cui si accarezzano gli oggetti. Se ne sfiorano i difetti e le imperfezioni, così come le linee perfette e le curvature. Stava facendo amicizia con la sua fisarmonica. La lasciò fare d'improvviso ammutolito. La vide giocare con le note con movimenti rapidi delle dita. Capì come mai le dita erano così lunghe, anche lei suonava il piano, quella era una specie di deformazione professionale. Anche se non l'avrebbe mai definita deformazione. Aprì il palmo delle proprie mani davanti a sè chiedendosi se anche le sue dita sembrassero ramoscelli d'ulivo, tutte nodi e lunghezza. La voce della ragazza la riportò alla sua attenzione. Percepì nel suo tono una nota cristallina, come se fosse divertita e impaziente insieme. Tornò a stirare le labbra in un'espressione soddisfatta. Strofinandosi le mani sulle cosce. "Giusto" fu l'unica parola che riuscì ad articolare in risposta alla sua domanda. Si rese conto di avere una voce un pò roca così la schiarì con un leggero colpo di tosse."Si, esatto è un pianoforte in miniatura... e si, hai ragione la posizione della mano è strana, ma ti assicuro che con un po' di pratica ti uscirà naturale. Prima ad esempio sei stata già molto svelta, prendi confidenza facilmente con gli strumenti, vero? Insomma voglio dire... una che presta attenzione a certe cose a cui magari nessuno presterebbe attenzione. Come prima, quando hai sentito il pezzo che suonavo e... beh insomma sembra che capisci certi aspetti che a volte altri non guardano... Scusami... non sono bravo a spiegare le cose... è una specie di complimento... credo. Insomma sei brava, te la caverai, non aver paura". Si schiarì di nuovo la voce, continuava a strozzarsi e incespicare sulle lettere. Iniziava in effetti a sentirsi un po' a disagio. "Io... non saprei... devo... ho un impegno quindi non posso, però ti ringrazio lo stesso, non tutti offrirebbero il pranzo ad uno sconosciuto... è un gesto molto... non lo so, gentile, immagino. Si, ecco sei gentile". Si passò la mano tra i capelli per grattarsi la nuca, stava iniziando a dare i numeri. Non aveva la più pallida idea del perchè si sentisse così impacciato tutto d'un tratto. "Comunque quel ventaglio di carta al centro, si chiama mantice, è come il polmone della fisarmonica. Serve far passare aria attraverso quello per produrre i suoni, altrimenti come hai notato non esce niente. Quando lo apri devi muovere solo la mano sinistra, mentre la destra rimane ferma a suonare il tastierino. Devi fare movimenti lineari, non a ventaglio, molti sbagliano, e devono essere movimenti piccoli, altrimenti il suono esce come stridulo e senza fiato. Come quando hai paura e non riesci a parlare perchè hai l'affanno. Devi... devi azionarlo con calma e con dolcezza, lo so sembra strano, ma è un po' come una donna, o meglio un uomo per te, a meno che non ti piacciono le donne, non lo so, vedi tu. Però devi immaginare di sfiorare una persona che ami molto. E devi avere pazienza. Come con le persone immagino. Non sono bravo con le persone quindi in verità forse è una stupidaggine. Io riesco ad essere paziente con gli strumenti musicali, ma non con le persone. Quindi in verità si, si, ho detto una stupidaggine, scusa. In ogni caso devi farlo con calma così da dare la possibilità alle ance di vibrare con regolarità, ottenendone un suono omogeneo". Ci pensò su qualche secondo, forse stava facendo un discorso troppo complicato. Quei concetti per lui venivano facili, aveva studiato a lungo come funzionava la fisarmonica, la ragazza invece ne sfiorava per la prima volta una. "Le ance sono come il cuore della fisarmonica. Vibrano con l'aria che entra e producono il suono, capito? Beh in ogni caso stai attenta a fare tutto con calma. Ti faccio vedere, posiziona le mani come ti ho fatto vedere prima". Attese che mettesse la destra sulla tastiera e la sinistra sotto la fascetta apposita. "Ora.. io... beh si ecco, così ". Poggiò con tutta la delicatezza di cui era capace le proprie mani su quelle della ragazza, anche se il gesto che ne uscì fu piuttosto grossolano. Strinse la fisarominca facendo passare le dita tra le sue. "Ora tira". Attese di sentire la trazione sotto i palmi per aiutare il gesto. Il suono langiudo e vagamente lamentoso della fisarmonica fischiò per qualche secondo nell'aria. "Ecco devi aprirla più o meno così. Devi stare attenta quando inverti il movimento del mantice ad essere il più delicata possibile, così che lo strumento non lo percepisca. Insomma come una carezza. Quando dai una carezza devi stare attenta che non sembri uno schiaffo, quindi poggi la mano con delicatezza. In questo modo eviti pressioni troppo forti, o strappi, che potrebbero rovinare lo strumento". Fece una leggera pressione sulle mani della ragazza per spingerla a richiudere il mantice. Il movimento di Nik fu molto leggero e delicato, o almeno sperò che lo fosse. "Capito? Prova tu da sola adesso" sfilò di fretta le mani così da lasciarle la possibilità di provare da sola.

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    Nik
    24 anni
    Dreadwolf
    Non ci aveva ancora fatto il callo alla questione della magia nera. Dopo quello che era successo sul retro del felix era diventato un po' paranoico sull'argomento. Non appena aveva anche il minimo sospetto che qualcuno sapesse delle sue pratiche di magia nera saltava come una molla sull'attenti, pronto a stendere chiunque pur di non mettere ulteriormente nei quai sua madre. Che anche lui ci finisse in mezzo era una questione marginale. In fin dei conti, sotto sotto, pensava un po' di meritarsela la galera. Magari avrebbe preferito evitare una condanna a morte, ma probabilmente quello dipendeva dai soldi che Persephone era disposta a sborsare per il suo avvocato. Si augurava fossero parecchi. Guardò di sottecchi Roy, vagamente - leggasi tremendamente - preccopato. Che sapesse? Le dicerie su Durmstrang erano in effetti piuttosto famose, ricordava ancora di essersela quasi fatta sotto i primi giorni di lezioni. Alla fine quelle dicerie si erano rivelate tutte balle, o almeno a lui nessuno gli aveva insegnato niente di proibito. Certo, non è che fosse il primo della classe, con la magia non se l'era mai cavata, così se pure c'era qualche tipo di setta segreta e diabolica lui non era mai stato coinvolto. Roy, dal canto suo, sembrava piuttosto tranquillo, così si limitò a mormorare un vago, quanto sospetto, "Già..." evitando di approfondire l'argomento. Affogò il picco d'ansia in un'abbondante sorsata di vodka. Diede fondo al bicchiere e si premurò svelto di versarsene un secondo, deciso a tramortire per bene l'agitazione. Roy era un tipo a posto, ne era certo. O forse voleva che fosse così. Si passò le mani tra i capelli per tirare via le ciocche riccioliute che gli solleticavano la fronte. Alla fine si decise che pensare non era una cosa che gli riusciva bene e si attacco diplomaticamente al filtro della canna morente. Roy si prese diversi secondi prima di rispondere alla sua domanda riguardo Brakebills. Lo spiò dietro le volute di fumo che espirava lentamente. Le sopracciglia gli si abbassarono leggermente donandogli un'espressione corrucciata. Alla fine Roy non si smentì strappando una risata che gli rinfrancò lo spirito. Non aveva idea di chi fossero queste skinnyqualcosa, ma la storia della ceretta brasiliana era esilarante. Si passò la mano sulla faccia per cercare di contenersi, abbandonandosi sullo schienale della poltrona. "Magari sono lesbiche, che ne sai. Insomma quelle portano sempre i capelli corti. Non è che abbia qualcosa contro le lesbiche, cioè mi piace guardarle fare sesso, mi piace anche farci sesso, tutto il repertorio". Da quanto tempo non faceva sesso? Troppo. Iniziava a percepire una certa pesantezza a livello dei preziosi di famiglia. Ringraziò di avere il pantalone della tuta, così da non avere problemi con protuberanze evidenti. Sollevò giusto un ginocchio sul bordo del divano, facendo passare il piede sotto l'altra gamba. Con un'occhiata si assicuò che nei paesi bassi fosse tutto n ordine e appianato. "Io lì sono durato quasi un anno, è stato un bell'anno, la scuola è figa e tutto il resto. Le lezioni di evocazione erano le più belle, potevo tagliarmi ed evocare un grosso martello ogni vola che volevo e ti assicuro, tralasciando la parte da emo, ero un dio con quel coso in mano. Ho spaccato il cranio ad una tigre dai denti a sciabola, roba preistorica, eravamo in un'arena ambientata nel paleolitico, o qualcosa del genere, non sono bravo in storia". Scosse la testa facendo un segno sbrgativo con la mano come a chiudere il discorso. "In ogni caso te la caverai alla grande, basta che non ti metti nei casini con gente strana fuori dalla scuola. Però, se ti dovesse succedere qualcosa con gente strana, non lo so, chiamami magari ti posso dare una mano, conosco un po' di persone in giro". Cercò di fingere un'espressione indifferente, attaccandosi subito al bicchiere così da scoraggiare eventuali domande. Quando riportò lo sguardo sul ragazzo notò con piacere che si stava chiudendo un'altra canna. Lui ormai era arrivato al filtro. Si allungò per spegnere il mozzicone nel posacenere affollato. Alle parole di Roy gli sfuggì un sorriso sghembo. "Non so che sia il tavernello, ma immagino sia un pugno nello stomaco. Non me ne intendo di vino, mia madre invece beve solo roba costosa con nomi francesi, impronunciabili. Mi chiedo sempre come facciamo a non farsi scivolare la lingua dalla bocca quando parlano. Eppure hanno un certo successo con le ragazze. Il che per me è assurdo, vuoi davvero paragonare uno che dice baise!, con uno che dice yebat'! C'è molta più virilità in yebat che in baise. Cos'è baise? Che cosa vuoi dirmi? Sembra quasi il nome di un tortino col caviale, non sembra che ti abbia appena detto di scopare". C'è anche da dire che aveva messo molta più enfasi quando aveva pronunciato la parola russa. Aveva assunto un tono più roco e profondo, oltre ad una posa perentoria, si era sollevato puntando un gomito sul bracciolo della poltrona e puntando gli occhi in quelli di Roy. Capire per quale delle due lingue parteggiasse non era difficile. Alla fine si lasciò cadere di nuovo sullo schienale. "BAH. Chi capisce le donne è bravo. Io non sono così fortunato. Le mie relazioni migliori sono sempre state con uomini. Anche se a pensarci non ne ho avute così tante. Forse solo una". In effetti si contavano sulle dita di mezza mano, Samuel e Isobelle, fine. Un elenco piuttosto breve. "Mary è la tizia che ha fatto le lasagne? Vivi con lei? Non per farmi i fatti tuoi, sono solo curioso".

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  8. .
    Theodore Duncan Walker
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    I have zero tolerance for betrayal, which they will soon indelibly learn.
    L'agente Lagrange non proferì parola. Il presidente apprezzò il silenzio. Da un po' di tempo iniziava a temere che la sua autorità fosse presa sottogamba, ma fortunatamente c'erano ancora agenti che sapevano quando stare al loro posto. Lagrange in fin dei conti era un gran lavoratore, dedito alla causa, bastava vedere le condizioni in cui era arrivato all'ospedale per capire fino a che punto si sarebbe spinto pur di portare a termine una missione. Forse avrebbe potuto provare ad essere meno duro con lui, agitarsi tanto non faceva nemmeno bene alla sua pressione alta. Ponderò la possibilità di fargli dei complimenti per tirarlo su di morale, nonostante ritenesse che certe cose rammollissero lo spirito. La voce dell'agente Egorov attrasse però la sua attenzione riportandolo alla questione importante: i nemici dello stato. Niente di ciò che disse lo lasciò davvero sorpreso. Sapevano già che per qualche ragione ancora oscura i vampiri volessero quel dannato bastone. Per quanto riguarda la ragazza era la stessa del Museo, quelal che già era in possesso del frammento di Fortune. Per quanto riguardava il negromante era un elemento nuovo, eppure poteva non essere così. Walker fece scorrere la fede nuziale d'oro sul dito anulare. Poteva davvero trattarsi dello stesso mago che aveva dato fuoco al museo? Se fosse stato così voleva dire che le due particelle terroristiche erano in combutta. Doveva assolutamente parlarne con Turner. "Bene. Prima di tutto non appena vi sarete messi in sesto dovete andare da James Turner per fornirgli una descrizione accurata dell'alchimista e del negromante, proverà a vedere se abbiamo già delle informazioni al riguardo e magari se siamo fortunati potremo risalire alle loro identità. Anche se sono poco fiducioso al riguardo. Siete riusciti a vedere in faccia i due vampiri? L'agente Turner potrebbe cercare di identificare la loro identità così da risalire al vampiro che li ha trasformati. Si tatta di piste molto vaghe, ma non dobbiamo lasciare nulla di intentato. La seconda cosa importante è che vi rimettiate in sesto alla svelta. Sarete assegnati a comando delle guardie di ronda a difesa del frammento di bastone in nostro possesso e dello scrigno che avete reperito. Sicuramente la prossima incursione sarà nel caveau del MACUSA. Dobbiamo approfittarne per acciuffare quei delinquenti. La missione non prevede la possibilità di fallimento, prendete tutte le precauzioni del caso, così da essere pronti ad ogni possibile evenienza e risvolto degli eventi. Tutto chiaro?".
    narrato ◆ «parlato» ◆ pensato
  9. .
    Peter Cunningham
    Medimago
    Sacred Heart
    Sposato
    40 anni
    confraternita
    «“Questa è la moderna medicina. Progressi che mantengono in vita persone che avrebbero dovuto morire tanto tempo fa, quando perdettero ciò che le rendeva persone. Ora il tuo lavoro è restare abbastanza sano così che quando qui arriva qualcuno che puoi davvero aiutare, non ti ritrovi tanto sballato da distrarti.”
    (Dr. Cox)»

    La versione della ragazza faceva acqua da tutte le parti. Non è che ci avesse davvero provato a cercare di essere quantomeno credibile. Gli aveva prima sbattuto in faccia il fatto che gli stesse raccontando una balla e poi gliene aveva rifilata una che in quanto a plausibilità stava allo stesso livello degli asini volanti. Alzò gli occhi al cielo cercando di mantenere un minimo contegno professionale, anche se ormai erano soli e nessuno lo avrebbe visto se avesse dato sfoggio delle sue "amorevoli cure", come le aveva definite Bezzy. In effetti non aveva alcun motivo per mostrare contegno. "Senti un po', partiamo dal presupposto che le scale non hanno i cornicioni, quelli al massimo ce li hanno i palazzi. Quindi o sei caduta per le scale, o ti è caduto un cornicione in testa, dal momento che è palese che vaneggi per il dolore rispondo al posto tuo che forse mi esce una storia più credibile. Facciamo che eri distratta a pensare a quanto ami il tuo ragazzo, ai suoi riccioli doro e ai suoi addominali scolpiti, che sei inciampata su un gradino e sei caduta per le scale lussandoti una spalla. Spero davvero che casa tua abbia le scale!" si affrettò a scribacchiare con furia i suoi appunti sulla cartellina, senza fingere nemmeno per un momento che il fatto che sia una menzogna lo riguardi in qualche modo. "E ora ti do quei maledetti antidolorifici, perchè Pelor non voglia che mi scrivi una brutta recensione su tripadvaisor non appena ti rimetto a posto la spalla" inscenò un rammarico talmente plateale e sentito che persino lui si commosse. Finse persino di asciugarsi delle lacrime, l'atto finale della sua piccola messinscena, come se effettivamente la cosa lo ferisse nel profondo del cuore. Con una piccola spinta fece scivolare le rotelle della sedia fino all'armadietto lì accanto dove poggiò penna e cartella per prendere una boccetta ed una siringa. Pozione fresca di calderone, la sentiva ancora bella calda tra le sue dita. "Devo immaginare che una tipa tosta che eroicamente cade per le scale non abbia paura degli aghi, giusto? o vuoi che ti stringa la manina?". Ovviamente era ironico. Aveva stretto la mano ad un solo paziente ed aveva meno di dieci anni. Non ricordava nemmeno il suo nome. John. In ogni caso era un nome comune. Prese uno dei batuffoli di cotone da un piccolo cestello che riempì di disinfettante. Alla fine aspirò il contenuto della boccetta in una siringa. Si alzò con delicatezza ed una certa indifferente lentezza. Tastò la pelle gonfia e livida intorno alla spalla della ragazza, era davvero una brutta lussazione, doveva metterla a posto il più in fretta possibile. Dopo aver disinfettato con il cotone affondò l'ago in diversi punti perchè si insensibilizzassero per bene. "Ecco fatto" gli sfuggì un tono piuttosto soddisfatto. "Comunque non mi hai detto come ti chiami" borbottò ritornando sul ripiano per buttare tutto il materiale. "Non perchè mi interessi, ma devo completare la cartella...". In verità iniziava già a pentirsi del suo scoppio di poco prima. La ragazza era messa male e la spalla in fin dei conti doveva fare davvero un male cane. Si voltò incrociando le braccia al petto e poggiandosi appena sul ripiano. Occorreva aspettare un po' di tempo che gli antidolorifici facessero effetto prima di provare a fare qualcosa, tanto valeva scoprire il nome della sconosciuta. "O vuoi inventarti qualcosa anche per quello? Con la tua fantasia potresti ritrovarti con un nome come Erminia Garcia".

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  10. .
    Peter Cunningham
    Medimago
    Sacred Heart
    Sposato
    40 anni
    confraternita
    «“Questa è la moderna medicina. Progressi che mantengono in vita persone che avrebbero dovuto morire tanto tempo fa, quando perdettero ciò che le rendeva persone. Ora il tuo lavoro è restare abbastanza sano così che quando qui arriva qualcuno che puoi davvero aiutare, non ti ritrovi tanto sballato da distrarti.”
    (Dr. Cox)»

    Dannazione. Doveva alzarsi. Aveva appena posato le sue stanche terga su quel comodo sgabello imbottito. Pensò ai diversi modi in cui poteva gentilmente declinare l'invito senza sembrare uno stronzo. Ma poi da quando si preoccupava di non sembrare uno stronzo? Era la sua arma migliore per tenere lontani esseri viventi e parassiti annessi. "Ultimamente ti vedo molto sciupato, Ed". Iniziò a tastare il terreno, magari lo poteva far passare per sport fuori orario, calorie consumate gratuitamente. Lo faceva per lui a rimanere seduto. In fin dei conti quello già sposato tra i due era lui, non aveva bisogno di tenersi il fisico. Mentre Ed d'altro canto aveva ancora la sua bella vedova nera da ghermire. E se non voleva fare la fine della mosca sulla ragnatela era meglio che si dava da fare per mettere su quei muscoletti smagriti che aveva sulle braccia. E poi quella pancia da birra... andiamo! Era impresentabile. Si era fatto un test per il diabere? Il suo colorito non lasciava intendere niente di positivo. C'era anche da dire che Ed era il suo unico amico. Gli faceva fare colazione sopra le tombe e ogni tanto gli faceva finire anche la sua birra. Per una birra poteva fare lo sforzo di alzarsi. "No, mi sono sbagliato è la luce di neon che non ti dona, o forse è l'aria da mortorio che si respira qui dentro, non saprei". Borbottò qualche impropero sottovoce, si massaggiò la schiena vistosamente così che Ed lo vedesse. Si era alzato anche se soffriva terribilmente, se n'era accorto? Lo faceva solo per lui. "Ah si lui lo ricordo" esclamò mentre afferrava un'estremità del signore smilzo e palliduccio. "Si chiamava... ma che ne so, sicuramente un nome come Norman, o Reginald. Insomma aveva una sciatica, semplice semplice. Lo mollo al reparto degli alchimisti, sai quelli si divertono a giocare ai piccoli chimici con i nervi e quant'altro. Quando poi un giorno scopro che è morto. E poi mi chiedono perchè li insulto. Gli lascio un paziente vivo e mi ritrovo a dover spostare il suo cadavere insieme al becchino". Alla fine Ed se lo caricò dove doveva caricarselo. Peter si stiracchiò cercando di rimettere in asse quel poco di vertebre sane che gli rimanevano. "Farà pure bene alla circolazione, ma a me sembra che stia per venirmi un'ernia, forse dovremmo far costruire degli scivoli con tanto di botole. Sarò pure sacrilego, ma diamine quando sarò morto spero che il mio cadavere non affligga nessuno. Gettalo pure in un forno, o nell'immondizzia fuori da qui, non voglio saperne niente". Si diresse alla fine verso il loculo che Eddie gli aveva indicato. Tirò con uno scatto e per fortuna quel secondo cadavere non aveva idea di chi fosse. "Non hai un carrello, o qualcosa del genere? Una volta Archimede disse "dammi una leva e ti solleverò il mondo", a te basterebbe sollevare un cadavere, non dovrebbe poi esserti difficile. Potresti provare con un cric e farli cadere direttamente sul carrello".

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  11. .
    Peter Cunningham
    Medimago
    Sacred Heart
    Sposato
    40 anni
    confraternita
    «“Questa è la moderna medicina. Progressi che mantengono in vita persone che avrebbero dovuto morire tanto tempo fa, quando perdettero ciò che le rendeva persone. Ora il tuo lavoro è restare abbastanza sano così che quando qui arriva qualcuno che puoi davvero aiutare, non ti ritrovi tanto sballato da distrarti.”
    (Dr. Cox)»

    Flertava ormai già da un po' con un tenero foruncolo da pozione andata a male, cresceva enorme e decisamente prolifico sulla faccia della signora Kneen. Tutt'intorno ce n'erano parecchi più piccoli, sembrava una coltivazione. Erano verdastri, pieni densi di qualche prodotto purulento dovuto all'ingestione della fiala sbagliata. I lunghissimi minuti passati lì a pensare come spremerglieli senza che niente gli finisse in faccia gli fecero rivalutare l'importanza delle etichette. Metterne tante e specifiche. Sopratutto se come pozionista non te la cavi. Non appena vide una piccola matricola scansafatiche bighellonare nelle sue vicinanze l'afferrò per metterla al suo posto. I giovani andavano educati, sopratutto quando c'erano di mezzo casi come quello. Sarebbe stata di certo un'esperienza importante per un motivo che si sarebbe fatto venire in mente più tardi. Buttò i guanti di lattice nel primo cassonetto strofinandosi ancora le mani sul camice per l'orrore. Era diretto al distributore di merendine, aveva puntato una barretta mars che aspettava solamente lui, le monetine erano già pronte nella tasca del camice. Le fece tintinare all'interno giusto per pregustarsi il paicere al cioccolato e caramello che sicuramente avrebbe finito per associare al contenuto verdastro del foruncolo della Kneen... D'improvviso gli passò la fame. Fu proprio mentre rallentava vagamente disgustato che sentì lo scambio di battute tra una paziente e la donna all'accettazione del pronto soccorso. L'infortunata era bionda, spocchiosa e per disgrazia divina a consocenza di parole come "ferita lacero contusa". Era una di quelle che tra le lagne aveva trovato il tempo di cercare su google la propria diagnosi. Le peggiori. Cercò di sgusciare via di soppiatto, indietreggiando lentamente, moolto lentamente, a piccoli passetti. Ebbe anche modo di sentire proteste decisamente autoritarie riguardo la somministrazione di pozioni antidolorifiche. Era anche una di quelle per cui "ogni scusa è buona per un po' di sballo". Doveva assolutamente sparire prima che... "Dottor Cunningham!". Betty, cara, dolce Betty, dolcissimo bocciuolo di rosa. "Sssii?" domandò con finta aria innocente, quasi sorpresa. Lei lo guardò con un ghigno malefico. Maledetta strega. "Qui c'è una paziente che ha assssolutamente bisogno delle sue amorevoli cure". Mi correggo, maledetta baldracca. Quando ci vuole, ci vuole. Peter squadrò la ragazza da capo a piedi, come se facesse parte della diagnosi, quando invece pensava solo al modo migliore per sbolognare anche lei a qualcun altro. Non si stava sottraendo al suo giuramento di Ippocrate, piuttosto si premurava di permettere ai suoi studenti di imparare. Era carina. Bel fisico. Occhi da cerbiatta. Quegli idioti tutto ormoni e niente cervello si sarebbero accapigliati per prendersela. Sfortunatamente a causa della signora foruncolo erano tutti magicamente scomparsi dalla sua vista. Mai e poi mai prendere come specializzandi degli alchimisti, sanno mimetizzarsi meglio di un fantasma. In effetti quella pianta lì in fondo era sospetta. C'era già prima? Dal momento che aveva una pessima memoria in materia di arredamenti con un sospiro stanco si arrese all'evidenza. La paziente tossicodipendente e con la googlata facile toccava a lui. "Certamente, Betty, ti ringrazio davvero tanto, anche se ero molto impegnato, ma vabbene non fa niente. Signorina, pergo, mi segua". Condusse la gentil pulzella in una saletta vuota, relativamente spaziosa, con le tende celeste ospedale tirate. Le indicò il lettino mentre recuperava una nuova cartella e l'ennesimo paio di guanti in lattice. Gli sarebbe venuta un'allergia, sicuramente. "Bene, mi dica nome e cognome e..... diamine cosa ci ha fatto con quel braccio?" esclamò guardando finalmente la spalla della ragazza. Era messa decisamente male, sul lacerocotuso in effetti non si sbagliava.

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  12. .

    « I'm your nightmare »
    Wladislaus Dragwlya [sheet]
    Vlad
    vampiro
    La maschera d'impassibilità di Vlad si incrinò per un istante. Un'ombra fugace attraversò i suoi occhi per un solo attimo prima che tornassero cupe pozze d'inespressività. Il baratro lo richiamò sul fondo con tentacoli viscidi. Si avvilupparono più stretti intorno al suo cuore marcito stritolandolo in una morsa di rassegnazione che quasi non faceva più male, quasi. Avrebbe volentieri distolto lo sguardo, ma aveva ormai imparato ad ignorare i tormentati rimpianti che di tanto in tanto pungolavano la sua anima dannata, ultimi strascichi di un'emotività morente. Avevano lo stesso effetto di reti trascinate sul fondo del mare come artigli arruginiti per strappare gli ultimi singulti di vita dalle tane in cui si annidano. Nella sua rete era rimasto incastrato il doloroso fallimento della sua paternità, che era deciso a soffocare con un'ultima azione di crudeltà pura. Solo per dimostrare a se stesso e ai suoi fantasmi boriosi e grassi che non provava nemmeno uno scrupolo verso chi lo tradiva. Annuì grave prendendo la prima profonda boccata dal sigaro. "Questo è un buon motivo per festeggiare, James. Mi fa piacere scoprire che comprende il potere di una discendenza". Non era certo che comprendesse quello più profondo di famiglia, ma il fatto che non volesse semplicemente rallegrarsi delle sue caduche vittorie era un piacere. Fortunatamente era meno stupido di quanto si era aspettato. Essere sorpreso in quel modo era un evento raro, sfortunatamente la sorpresa, così come la stima, erano fragili come il filo grigio di fumo che si solleva da una candella appena spenta. Il compianto tornò a pungolarlo, come la terribile sensazione che stia provando in qualche modo invidia. Invidia per quell'uomo e per tutti gli uomini in grado di avere una progenie da chiamare propria. L'ombra gravò di nuovo sul suo sguardo, ma rimase in bilico sulle sue iridi. Non avrebbe mostrato più di quanto fosse necessario, non ad un alleato che ancora non aveva provato completamnte il suo valore. Però, nonostante tutto, aveva un consiglio da dare a quell'uomo. "L'infanzia sarà il momento migliore. Mentre l'adolescenza minerà i suoi passi, in quel periodo potrebbe allontanarsi pericolosamente dal cammino che immagini per lui e forse arrivare a cambiarlo al punto da trasformarlo in qualcosa che non sarai più in grado di amare. Se mai avrai la fortuna di provare amore per tuo figlio". Quel genere di cos enon erano scontate, l'amore poteva avere diverse forme, a volte persino scoprirsi un vuoto gelido d'insoddisfazione, incapace di dare il calore e l'emozioni che si era creduto potesse trasmettere. Tristan era stato questo per lui, un velo di illusione che gli aveva scaldato il cuore per un po'. Poi la sua anima debole e la sua natura umana, avevano distolto quel velo mostrando la sua vera natura. Uno squallido uomo, un omuncolo che lo aveva pugnalato al cuore, come il più becero degli ingrati, nonostante lo avesse cresciuto come figlio suo. Ma non lo era. Non lo era affato. Portò di nuovo il sigaro alle labbra, questa volta rigidamente, senza tentare di mantenere lo sguardo sul suo interlocutore, ma portandolo lontano al giorno doloroso in cui sentì il frassino attraversargli il petto come brace ardente.

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  13. .
    · Professore di magia bianca · Capo dei Defensores·

    A
    ll'inizio si era sentito un po' in colpa. Le indagini su Greed erano ancora in alto mare, Astrea era scomparsa e anche se aveva la certezza che Caspar si stesse prendendo cura di lei e di sua figlia, qualcosa gli diceva che era sbagliato. Era sbagliato uscire con Argo in quel periodo, prendersi del tempo proprio in quel momento. I problemi facevano capolino ad ogni porta e la situazione non era delle migliori, nè al mafi, nè tra i defensores. La questione che doveva essere risolta alla svelta, prima che creasse problemi seri, era la faida tra Turner e Jeremiah. Il capo del mafi era un uomo tutto d'un pezzo, lo si capiva anche solo dal modo in cui si muoveva, o guardava le persone, come se non le vedesse. C'era sempre la sensazione che le attraversasse, attratto da qualcosa di molto più importante che lo spingeva anche a modi risoluti. Veniva scontato pensare che fosse perchè avesse per la mente un qualche caso particolarmente difficile. Ogni sua scelta determinava la salvezza di molti maghi, vite umane, per le quali Daniel non poteva essere che grato. Sulle sue spalle gravava il peso di responsabilità enormi. Eppure quelle stesse responsabilità sembravano averlo indurito nel suo ruolo. Non vedeva più le persone come tali, almeno a lavoro. Si era costruito come una roccaforte contro cui Jeremiah continuava a scontrarsi, deciso per qualche ragione ad abbatterla. Il loro, però, non era uno scontro ad armi pari. Turner era un superiore e se anche apparteneva ad un dipartimento diverso Jay doveva riuscire a tenere a posto la sua testa calda. Era una consapevolezza che accettava a malincuore, sapeva che non sarebbe stato facile spiegarglielo e sopratutto farglielo capire. Poi c'era Will, qualcosa in lui non andava, percepiva provenire dalla sua aura una sensazione strana che strideva con l'indole riflessiva e per certi versi controllata di quando era ragazzo. Si trattava di un'agitazione di fondo che cercava senza successo di dominare. Se non fosse riuscito ad aiutarli a riequilibrare il loro chi quando avessero incontrato di nuovo Greed non avrebbero vinto. Dovevano risanare i rapporti che il tempo aveva logorato e in qualche maniera riuscire a collarboare con Turner ed il resto del mafi. Greed e la sua cricca non erano un nemico che potevano affrontare da soli, non quando erano solamente in tre. Una stretta al cuore lo prendeva ogni volta che quel pensiero attraversava la sua mente. Per quanto non pensarci fosse l'unica soluzione per mantenere la calma doveva prendere una decisione. Sostituire i vecchi membri voleva dire chiudere definitivamente un capito ancora troppo importante della sua vita, non sarebbe stato facile. Eppure si era costretto a considerare quella possibilità. Sapeva già a chi avrebbe chiesto di unirsi ai defensores. Trevor era la prima scelta. Aveva completato gli studi sotto la sua guida e prima ancora li aveva iniziati sotto quella di Edward. Era stato un ragazzo maturo e sincero, crescendo era diventato un uomo buono che già metteva le sue capacità al servizio del bene lavorando per il mafi. Aileen era la seconda scelta. Lei avrebbe iniziato la specializzazione di lì a poco. L'idea di metterla in pericolo lo tormentava di notte quando sognava di perderla improvvisamente esattamente com'era stato per suo padre. Però quel posto apparteneva a lei com'era appartenuto ad Edward. Era una sorta di tacito lascito, che portava scritto il suo nome a chiare lettere. L'avrebbe istruita durante la specializzazione assicurandosi che fosse pronta non appena sarebbe arrivato il momento. Poi c'era una nuova possibile recluta. L'aveva vista una sola volta, eppure era bastato perchè comprendesse le sue innate capacità. Lei era come Caspar. Portava dentro di sè una luce intensa di cui era completamente inconsapevole. Si trattava di Jillian Lagrange. Lei probabilmente non aveva idea di chi fossero i defensores, ma un giorno avrebbe cominciato a parlargliene e forse avrebbe preso l'incauta folle idea di affiancarli nella loro missione. Astrea sarebbe tornata, un giorno o l'altro. Fosse anche solo per merito di Adam, che avrebbe smosso mari e monti pur di ritrovarla. Gli aveva letto quella determinazione nello sguardo gelido, come nel suo modo di fare più razionale e pragamatico del solito. Il che per Adam voleva dire raggiungere il livello di distacco di un computer, un robot dalle fattezze umane. Decisamente non gli faceva bene. Lui ovviamente non se ne rendeva conto e la sua stolida tenacia nel preservare i suoi modi controllati faceva vacillare persino Daniel, che a tratti si domandava se non si sbagliasse. Forse era possibile avere quel grado di dominio di se stesso e poter comunque essere una persona emotivamente sana. Al mafi vedere il modo in cui lui e James interagivano senza nemmeno rivolgersi la parola lo aveva annichilito. Si rimpoverava ancora il fatto di non aver ancora provato a stringere un rapporto con lui. Si rimproverava anche di essere scappato con la coda tra le gambe di fronte la possibilità di avere contatti con la sua famiglia biologica. In verità era arrivato a vergognarsi di come erano andate le cose. Se ne vergognava più di quanto non si vergognasse della reazione che aveva avuto nel rivedere Caspar dopo anni. Se nel secondo caso forse aveva delle minime scusanti, con Adam non si concedeva nemmeno quel lusso.
    Nascosti tra tutti quei problemi ce n'erano altri ancora, più vecchi, sedimentati dentro la sua anima come licheni aggrappati ad una statua secolare. Quando ci ripensava si sentiva vecchio. Aveva quarant'anni. Se ne rese conto guardando il tramonto dal porto di Staten Island, mentre sistemava le ultime cime. Era davvero invecchiato. Il suo tempo era trascorso silenziosamente, come la luce di quel giorno ormai al crepuscolo. Nonostante la sua vita si fosse fermata quando Caspar era scomparso, il suo corpo era invecchiato e la sua anima aveva accumulato quasi il doppio dei suoi anni in sofferenza. Chissà se Caspar quel giorno sentiva il peso dei suoi quarant'anni. Si scoprì malinconico. Forse era il momento della giornata, al tramonto scopriva spesso di vedere le cose in modo diverso. Sui pensieri si gettava un'ombra, che era il presagio del buio della notte, quando le sue paure potevano animarsi nei sogni e farsi più cupe e spaventose. Oppure era quel giorno. Un giorno che come tanti altri Greed gli stava strappando dalle mani. Stringendo l'ultima cima, si rese conto di sapere esattamente cosa avrebbe fatto di lì a poco. Altrettanto chiaramente capì che non sarebbe riuscito ad impedirselo, si sarebbe presentato all'indirizzo che ormai aveva imparato a memoria e avrebbe bussato alla porta. Si sarebbe presentato, avrebbe stretto la sua mano, si sarebbe fatto accomapgniare fino al divanetto dove chissà quante altre persone fortunate si erano sedute. Loro avevano avuto del tempo con lui. Avevano potuto parlargli ed essere ascoltate. Un privilegio che a Daniel sembrò inestimabile. Si sentì quasi ferito da un senso d'ingiustizia, che sovvenne insieme al desiderio inalienabile che aveva semplicemente di guardarlo. Era una possibilità che ancora lo scuoteva fin dentro l'anima e di cui si era privato solo per il suo bene. Nessnuo torna mai dal mondo dei morti, eppure il suo Caspar ci era riuscto, lo aveva fatto, era resuscitato inspiegabilmente ed era seduto in quel momento, quel giorno, difronte ad un estraneo zittendo se stesso per riuscire a concentrarsi su di lui. Tornò ancora quella sensazione di disagio, il desiderio di prendersi qualcosa anche se non avrebbe dovuto. Si sentiva come un bambino pronto a rubare un biscotto dalla credenza prima di cena. Fu una sensazione febbrile. Si voltò improvvisamente di nuovo pieno di energia per guardare Argo e assicurarsi che fosse tutto in ordine. La osservò a lungo, anche più del necessario. Aveva passato una giornata perfettamente pigra e nonostante ciò enormemente stancante. Aveva veleggiato per buona parte della costa di Staten Island per raggiungere una zona di pesca. Lui e Trevor avevano pescato due belle trote che avevano cucinato e accomapgnato col vino che il suo ex studente aveva portato. Non era abituato a bere, eppure aveva alzato comunque il gomito, spinto da una spensieratezza che non era stato disposto a contraddire. Il sapore del vino bianco non gli era mai sembrato più buono. E alla fine prima del tramonto erano tornati indietro. Si era concesso persino un bagno prima di partire. Il sole per tutto il tempo lo aveva accompagnato sciogliendo la sofferenza come nodi di gelo. Sentiva la presenza di Pelor più forte che mai, permeava la luce come la carezza affabile di un padre. Con un salto piuttosto incauto passò dalla poppa di Argo alla banchina di cemento senza l'uso della passerella. Fu un tentativo vertiginoso che fortunatamente non si concluse con un secondo bagno e che per qualche ragione lo fece sentire euforico. Il vino doveva ancora solleticargli la mente per renderlo così ridicolmente felice anche in un momento come quello. Mentre camminava ad una luce sempre più fioca verso la macchina, si rese conto di quanto fosse bollente, irradiava calore. Doveva essere stato tutto il sole di quel giorno. Si osservò allo specchietto dell'auto una volta che l'ebbe raggiunta. In effetti era rosso in viso e sulle braccia, lì dove la polo bainca aveva lasciato scoperta la pelle. Abbassò la testa solo per avere la conferma che i bermuda blu notte avevano fatto lo stesso lavoro. Rise di se stesso per quel modo ridicolo in cui si era abbronzato, chiedendosi quanto tempo ci sarebbe voluto per rimediare. Salì sull'auto e partì con i finiestrini anteriori abbassati e il gomito sinistro poggiato per metà di fuori. Il vento s'incanalava nell'abitacolo dell'auto, sollevando mulinelli che gli scompigliarono i capelli. Il sole, grazie anche ai cristalli di sale ancora intrisi, aveva finito per schiarire alcune ciocche, che all'ombra del macusa sarebbero tornate prontamente nere. Ogni volta che passava del tempo fuori in barca finiva in quel modo, come se intrappolasse dentro di sè dei raggi del sole. Quella strana euforia forse era dovuta allo spicchio di sole che era riuscito a rubare, oppure alla sua meta. Il fatto che si fosse concesso con tanta facilità un capriccio come quello rendeva la corsa dell'auto eccitante come una fuga fuori orario. In quel momento stava scappando dalla casa dei genitori dalla finestra per andare sotto al balcone del ragazzo che amava. Quel pensiero alleggerì un po' il peso degli anni che si sentiva addosso. Stava andando da lui. Stava andando da Caspar. Se lo ripetè un po' incredulo e un po' impaziente. Ogni volta che pensava il suo nome l'eccitazione cresceva e così anche la fretta, che lo spingeva a premere sull'acceleratore più di quanto avrebbe fatto altrimenti. Era il tipo di guidatore che non supera mai i limiti stradali, preferendo mantenere la destra che irritare uno dei poliziotti No-Mag. Con un incantesimo psichico avrebbe potuto congedarli in pochi secondi, ma la tentazione non lo aveva mai sfiorato, anche quelle poche volte che lo avevano fermato per controllo di routine. Mostrava i documenti, sorrideva con garbo e poi ripartiva. Gli piaceva seguire le regole di quel mondo di cui si sentiva solamente un ospite. Caspar invece con il suo lavoro ci si era insinuato come se fosse un luogo sicuro. Edward Callahan. Avrebbe dovuto pensare anche lui ad un cognome per il suo personaggio fittizio. David... Clark... Campbell... Carter... Cooper. David Cooper. Sembrava abbastanza anonimo, un professore di letteratura inglese di un liceo. Uno di quelli che indossano una giacca di tweed e camice a quadri. Con sorpresa si rese conto di essere arrivato. Aveva divagato con la mente tanto di quel tempo che aveva pericolosamente smesso di prestare attenzione alla strada. Si ammonì di essere più presente durante il ritorno, nonostante sapesse con certezza che i ricordi dell'ora passata con Caspar gli sarebbero apparsi davanti senza controllo. Il tempo che impiegò a parcheggiare fu intollerabile. Di solito era molto più paziente, invece quella sera non ne voleva sapere di tardarsi ulteriormente, non aveva intenzione di dare a Caspar nessuna scusante plausibile per rimandarlo a casa senza concedergli un'ora di visita. Chiuse la portiera dell'auto e si premurò di bloccare le serrature. Era pronto. D'improvviso immaginò un auto investirlo mentre attraversava la strada per raggiungere il citofono dall'altro lato. Il terrore che una cosa del genere potesse impedirgli di arrivare lo spinse a prestare un'attenzione quasi eccessiva alla strada prima di attraversare. Altro tempo inutile. Cercò di calmarsi, prendere un profondo respiro davanti al cancello. Riuscì ad entrare nel momento esatto in cui una donna usciva. Ne approfittò anche per chiederle dove potesse trovare il dottor Callahan. Pronunciarlo ad alta voce quasi gli fece venire da ridere. Ringraziò la sconosciuta, che gli lanciò un'occhiata incuriosita, in effetti non doveva essere passato per sano di mente. Fortuna che Caspar era psichiatra, così la copertura non saltava. Quando si trovò di fronte la porta si fermò di colpo. Il cuore in petto batteva come un tamburo da guerra, lo incitava ad avanzare con prepotenza, lo sentiva rimbombare fragorosamente persino nelle orecchie. Il petto si alzava e si abbassava rapido e vistoso. Respirò profondamente. Soppresse l'aura. Respirò ancora. Alla fine il sorriso impetuoso che gli aveva illuminaso il viso fino a quel momento si addolcì in una linea sottile, obliqua. I capelli erano scompigliati dal vento e addosso aveva ancora l'odore di mare, sole e sudore, ma non ci badò nemmeno per un attimo. Allungò quasi tremante la mano fino al capanello, vi esercitò una pressione leggerissima. Il trillo violento quasi lo fece trasalire, ma si costrinse a rimanere fermo, composto. David era un uomo mite, un po' trasandato, che facilmente passava inosservato. Voleva essere come lui. Sperava che Caspar avrebbe capito e non facesse storie, che reggesse il gioco. Non appena avesse visto la porta aprirsi e il dottor Callahan emergere avrebbe allargato un po' il suo sorriso, fingendo un'aria distaccata, ma gentile. "Salve dottor Callahan, sono David C...ooper, David Cooper, e sono qui per una visita".
    Daniel Callaway

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    Ogni uomo è
    colpevole
    di tutto il bene
    che non ha fatto

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  14. .

    «Then someone will say what is lost can never be saved
    Despite all my rage I am still just a rat in a cage
    Tell me I'm the only one, tell me there's no other one
    Jesus was an only son
    And I still believe that I cannot be saved»
    Nik
    24 anni
    Dreadwolf
    Tra tutte le cose che gli piacevano della musica, la capacià di trasmettere ciò che provava era l'aspetto che preferiva. Parlare non era il suo miglior mezzo di comunicazione, spesso lo faceva troppo, con le persone importanti troppo poco. Non era mai riuscito a mettere a parole ciò che si portava dentro, faticando a capire come gli altri potessero riuscire a trovare quelle giuste tra milioni possibili. Non era arrabbiato, non era solamente triste, non era malinconico, nè afflitto. Forse, però, era tutte quelle cose insieme e molte altre ancora. Non ne aveva idea e non sapeva come spiegarlo nemmeno se ci fosse stato qualcuno pronto ad ascoltarlo. Per certi versi il fatto che non ci fosse nessuno era una fortuna. Non aveva mai volontariamente cercato la solitudine, ma trovarcisi in quel periodo era stato un buon modo per non ripensare a quello che era successo. Ayumu, d'altro canto, era comparsa all'improvviso e anche se non le aveva detto niente e apparentemente non lo aveva riconosciuto aveva intuito in qualche modo una cosa importante di lui. Dovette di nuovo costringersi a non sollevare lo sguardo per scorgere il suo viso. Lo manteneva piuttosto piantato sul bordo superiore della fisarmonica, lì dove la luce del sole illuminava la vernice nera lucida. Anche se non voleva guardarla e rischiare così di essere riconosciuto Nik si soffermò sulla sua voce gentile, era morbida e sottile, sembrava vagamente intimidita. Forse come al solito era stato troppo irruento. Si sedette più comodo cercando di dissimulare la sua tensione, si portò una mano al cappello per sistemarlo meglio sui ricci scuri con un gesto che sperava sembrasse naturale. "Grazie..." mormorò piano divagando con lo sguardo sul resto del parco. Quando percpì uno spostamento d'aria e un leggero tonfo sordo al suo fianco si ritrovò sorpreso a guardare una borsa . Non appena Ayumu la seguì Nik rimase a bocca aperta. Gli ci vollero diversi secondi per smettere di fissarla mentre si muoveva per raggiungerlo. Abbassò lo sguardo e con la coda dell'occhio vide che si liberava delle scarpe per poggiare i piedi nudi sull'erba. La spontaneità infantile di quel gesto lo divertì al punto da fargli sfuggire involontariamente un sorriso. Tentò di nasconderlo allontanando lo sguardo e portarlo altrove. "N...Klaus" rispose senza riuscire a trattenere un tono ilare. Abbassò la testa e alla fine annuendo si decise che in fin dei conti non era una cattiva idea insegnarle a suonare. Se fosse rimasta distratta non si sarebbe concentrata su di lui e magari non gli sarebbe venuto in mente che era misteriosamente scomparso dopo il disastro del vecchio di Ardan. "Non preoccuparti, è divertente da usare. Ti aiuterà anche a mettere su un po' di muscoli su quelle brccine secche che ti ritrovi" esagerò volontariamente per stuzzicarla mentre si portava le mani dietro la schiena per aprire la cinghia che teneva salde le bretelle con cui sosteneva lo strumento. Se lo sfilò con movimenti goffi, rischiando persino di dare una gomitata alla ragazza. L'imbarazzo lo costrinse a calare ancora più in basso la visiera del cappello. "Ora ti aiuto a metterlo, aspetta" si alzò in piedi portandosi alle spalle di Ayumu, così da poterle allacciare le bretelle dietro la schiena. Le sistemò meglio sopra le spalle e la lasciò andare solo quando fu sicuro che fosse tutto in ordine. Si inginocchiò mentre era ancora alle sue spalle sedendosi sui talloni degli anfibi che indossava. "Allora prima di tutto devi premere questo pulsante qui a sinistra, si, qui, così la fisarmonica si apre e prende aria" cominciò indicandole il bottone perchè lo vedesse. "Ti faccio vedere le prime note, cioè i primi tasti che devi premere in sequenza" aggiunse "Sai usare il pianoforte? Cioè sai come si usano questi tasti? Alla fine è la stessa cosa, i bottoni a sinistra invece non sono delle note singole sono degli accordi, sono 48" aggiunse indicandoli casualmente. "Ti insegno dopo ad usare questi, ora ti faccio vedere le note, posso? .... insomma, ora...". Puntò meglio le ginocchia sul terreno così che lo reggessero e non rischiasse di cadere mentre allungava una mano per posarla sui tasti. Le mostrò una dopo l'altra le posizioni delle dita senza però che lo strumento emettesse alcun suono. "Capito? Riesci a rifarlo tu".

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