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    «Then someone will say what is lost can never be saved
    Despite all my rage I am still just a rat in a cage
    Tell me I'm the only one, tell me there's no other one
    Jesus was an only son
    And I still believe that I cannot be saved»
    Nik
    24 anni
    Dreadwolf
    Finse di scrivere su una lista immaginaria, agitando le mani come se davvero ce l’avesse davanti. La sua innata teatralità lo spinse a fare gesti esagerati, accompagnati da un’espressione concentrata, quella che a suo parere doveva avere babbo natale quando segnava i regali dell’anno. «Vodka per il piccolo Roy, che quest’anno è stato tanto bravo e ha portato da mangiare al suo solo e disperato vicino di casa». Finse di mettere un bel punto e posare la lista nella tasca posteriore dei pantaloni di tuta che indossava. Fu inevitabile pensare che la cosa poteva avere un interessante risvolto da film porno: “Roy quest’anno sei stato così bravo che ti ho portato prima il tuo pacco”, ma preferì tenerselo per sé ridacchiando giusto sotto i baffi - anche se più che baffi si trattava di un'inspida barbetta incolta -. L’erba iniziava a fare il suo sacrosanto effetto. Si era aspettato una giornata deprimente e solitaria, invece Roman era apparso come un’allucinazione nel deserto, una piccola gioia che in altre circostanze lo avrebbe spinto a grattarsi le palle per scaramanzia. Quello che la vita da, la vita toglie. E la vita è una gran figlia di puttana. Quando non c’hai proprio niente che ti può levare si preoccupa di rifornirti per bene. Come minimo la lasagna gli avrebbe fatto venire un cagotto di quelli epici di lì a qualche ora. Alla fine, però, si decise che tanto valeva godersela. Prese un’altra forchettata che si preoccupò di mandare giù prima di rispondere. «Ho studiato a Durmstrang e fattelo dire sei stato fortunato ad andare ad Hogwarts, ti sei evitato un mucchio di smutandamenti. A Durmstrang sembra che i bulli li facciano con lo stampino, tanto per assicurarsi che ce ne siano sempre abbastanza di stronzi. Ovviamente un giorno sono diventato più grosso di tutti e li ho pestati per bene». La storia del condominio fu una stoccata piuttosto dolorosa. Non aveva fatto in tempo a diventare di casa lì da quelle parti che lei se n’era andata e lui aveva iniziato a mettersi sotto con le lezioni di magia nera ed elementale. Scrollò le spalle versandosi un altro bicchiere. Ammutolito all’improvviso aveva preferito tenersi impegnato con qualcosa, giusto per non dare adito a domande a cui non voleva rispondere. Riempì anche il bicchiere di Roy così da farlo stare allegro, magari più stava bene più tempo rimaneva. Ingollò la vodka a occhi chiusi, prima di sbattere il bicchiere sul tavolo con un bel tonfo. «Non mi faccio vedere molto. Ho parecchio da fare in giro, i soldi non crescono sugli alberi e io mango per cinque e bevo per dieci. Devo pur mettere su la pancia entro natale, no? Altrimenti quando passo con le renne mica mi riconoscono. Sarebbe spiacevole se iniziassero a lanciarmi le palline dell’albero di Natale se mi beccano in salotto a bere latte e mangiare biscotti. Che poi mai uno che mi lasciasse birra e sigaro, oh! Te lo dico io è una vitaccia quella di babbo natale, sempre in giro a soddisfare i desideri di tutti quanti tranne che i propri, a nessuno piacciono mai i regali che ricevono e se non ne ricevono affatto finiscono per lagnarsi tutto l’anno. Mai uno che pensasse: cosa vuole babbo natale a natale? Te lo dico io: starsene a casa con sua moglie e il suo zabaglione, quello corretto con la fiaschetta di vodka che si porta sotto la giubba rossa di nascosto da mamma natale. Magari con i piedi sul davanzale del camino e perché no? Fare un marmocchio, o due, da guardare giocare sul tappetto sotto l’albero. Che poi con la storia che i bambini del mondo sono tutti come figli suoi, lui dei figli suoi veri non li ha mai fatti. Non ti sembra un’ingiustizia? A me sembra un’ingiustizia». Si, l’erba stava iniziando a fare il suo porco effetto. Prese un’altra generosa boccata dalla canna, osservando poi il fumo levitare fino al soffitto. «Comunque lasciamo perdere babbo natale, che fa troppo caldo per pensarci. Non ti ho chiesto perché sei qui a New York. Vai a Brakebills?» domandò lanciandogli un’occhiata incuriosita, magari faceva jackpot e anche lui era un mago nero, così se gli andava bene non avrebbe tentato anche lui di accopparlo in futuro. Sarebbe stato piuttosto ironico, a pensarci. Forse era esattamente quello che stava architettando qualche entità benevola che lo aveva preso evidentemente in antipatia.

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    Nik
    24 anni
    Dreadwolf
    La voce di Isobelle arrivò attutita dallo scrosciare della fontana. Il rumore dell’acqua non riuscì a nascondere il suo tono duro. La palla gelida ebbe un pericoloso battito, un gemito di odio che risalì il petto. L’aveva aspettata. Aveva deciso di rifiutare l’evidenza: lei che torna all’alba dopo essere stata con un tizio che si è scopata e che lo aveva minacciato di scoparsela di nuovo se gli fossero girate. Era rimasto zitto, deciso a non farle pesare le sue scelte, deciso a rispettare la sua libertà, nonostante lo ferisse, nonostante lo avesse lasciato solo dopo una notte tremenda. Era colpa sua. Lui aveva fatto la stronzata spinto da una gelosia furiosa, una gelosia che aveva deciso di zittire tirando fuori un autocontrollo che non credeva di avere. Le aveva preparato un bagno. D’improvviso si sentì ridicolo. D’improvviso l’autocontrollo che stava mantenendo per preservarla sembrò solo un modo per renderle le cose più facili. Si sentì preso in giro. Voleva che se ne andasse? A testa bassa magari, continuando a non fare domande? Pronto ad essere usato, buttato via e sostituito a suo piacimento? La palla gelida s’incrinò. Una crepa superficiale, una crepa che gli permise di assaporare uno spasimo eccitante di libertà. Non era uno zerbino. Tutte le sue attenzioni non erano obbligate. Allungò con calma una mano per spegnere la fontana. Tirò via il tappo per far scolare via l’acqua. Voleva continuare a tenersi addosso il suo odore? Bene. Che facesse pure. Si alzò poggiando le mani sulle ginocchia, si voltò incrociando le braccia davanti il petto per poi poggiare una spalla sullo stipite della porta del bagno. «Quando sono tornato… che ora poteva essere: l’una? le due?... mentre ti aspettavo sapendo che eri da quello lì, Noah» disse il suo nome gonfiandolo di sarcasmo, come se fosse un nome importante, importante tanto da giustificare la solitudine di quella notte «Ho pensato a quello che volevo dirti. Non era semplice, perché tutto poteva portarti ad odiare di più Ardan, mia madre, il circolo e quello che sono diventato, quello che sono adesso. Quindi dovevo scegliere bene le parole e quello che potevo dirti. Se avessi saputo che non saresti tornata, che avresti passato la notte con Noah, mi sarei risparmiato tanti arrovellamenti, anzi mi sarei risparmiato proprio di venire, così potevi fare i tuoi sporchi comodi senza doverti sentire in obbligo di tornare. Magari ti sei rivestita anche di fretta perché non ti eri resa conto che si fosse fatta l’alba, sbaglio? Guarda come sono premuroso anche ora, anche se mi stai cacciando da casa mia. Ti avrei detto “fai con calma” se lo avessi saputo, perché tanto non sarei tornato nemmeno io». Istintivamente si mise a ridere, una risata isterica, furiosa. Passò una mano davanti la bocca stringendo le labbra tra le dita, quando l’allontanò tornò a parlare. «Ma visto che ormai sei qui e io come un cazzone ti ho aspettata, sai che ti dico? Parliamo. Mi ero preparato un bel discorso, sai? Ma ora voglio dirti come stanno davvero le cose nel Manor. Ogni notte io torno da mia madre per fare lezione, lei anima la mia ombra e le dice di uccidermi. Passo buona parte del tempo a cercare di non farmi accoppare da beh me stesso, chiedendomi se la mia morte per mano della mia ombra potrebbe essere considerata suicidio, tanto per fare ironia, tanto per ridere. Però, poi, stringo i denti e tengo duro perché voglio tornare a casa da te. Di solito ci riesco, poi capitano certe notti strane. Notti come quella in cui Ezra, quello che ti sei scopata, ricordi? Beh si quello, mi ha ucciso, così, per divertimento. Mi ha fatto anche il favore di ricordarmi che avete fatto sesso mentre morivo, giusto per rendermi più facile il trapasso. Poi sfortunatamente qualcuno ha pensato bene di riportarmi indietro. A pensarci ora ti avrei fatto un bel favore a rimanere morto, così potevi andare a farti consolare da Noah, ma andiamo avanti. Ogni mattina quando mi sveglio e vengo da te trovo le scie di sangue dei cadaveri che Alaska si porta in camera. Ah e non dimentichiamo che la prima notte che ho passato lì un gruppo di loro, tra cui c’era sempre Ezra, hanno inseguito per il manor una ragazza babbana. La sentivo gridare mentre loro ridevano. Non so cosa ci hanno fatto alla fine, forse l’hanno violentata, o forse l’hanno semplicemente uccisa, o entrambe le cose. Non ne ho idea. E sai io cosa continuavo a pensare quella notte? Che potevi essere tu. Tu con quella dannata bocca larga, tu che non sai stare zitta e non sai stare al tuo posto. Ogni volta che venivi al manor morivo di paura perché temevo che incontrassi uno di loro. Così siamo venuti a vivere qui. Mia madre, mia madre, la donna che ho desiderato conoscere per tutta la vita, mi ha detto che era una pessima idea. Lei non voleva che venissi a vivere con te. Forse ha davvero paura, ma forse è gelosa, o semplicemente non le piace che frequenti una maga bianca. Quindi passo il tempo chiedendomi se un bel giorno non si sveglierà e deciderà di liberarsi di te per farmi tornare al Manor. Magari potrebbe farlo passare per un incidente, spingerti giù per le scale, o farlo fare alla tua ombra. Così muoio di paura anche qui a casa nostra. Mi dico che se fossi un uomo migliore mi farei odiare, così mi rimarresti lontana. Però io ti amo e ho bisogno di te per credere che la felicità esista e quindi ti tengo stretta cercando di non metterti troppo in pericolo, cercando di tenerti lontana dal mio mondo per non rischiare che qualcun altro, qualcuno con meno sale in zucca di Ardan, ti prenda in antipatia. Invece poi scopro che passi la notte con Noah come se niente fosse. Forse perché ti disturba che non ti coinvolga nella mia vita, o forse perché a me non ci tieni abbastanza. Beh dovevo capirlo dal fatto che non mi hai mai detto “ti amo”. Come un idiota mi sono detto che tu lo dimostri con i gesti, non sei il tipo che lo dice apertamente». Scosse la testa sciogliendo la stretta delle braccia. «Allora vediamo un po’ i tuoi gesti, eh Isy? Che cosa ne pensi?» Nik fece un passo in avanti, a cui ne seguirono altri per sancire ogni punto della lista «Dopo la notte dell’attentato alla scuola vengo a cercarti per spiegarti ogni cosa, finisce che ci abbracciamo, ti prometto che non ti abbandonerò mai. Vado a cercare Ardan, che ha appena dovuto fare a fette il cadavere di suo padre ed è da solo chissà dove. Quando lo trovo ci nascondiamo per un po’, giusto un paio di settimane, aspettiamo che si calmino le acque perché farsi vedere in giro è troppo pericoloso. E tu che fai? Pensi bene che io me ne sia scappato via, perché giustamente io ho fatto la stessa stronzata dieci anni fa. Quindi ti sembra giusto scoparti un mio amico per ripicca. Ma io mi dico “era convinta l’avessi abbandonata, non mi sono fatto sentire, sono scomparso e lei ha ragione a non fidarsi di me”. Quindi tutto perdonato. Dopo di che facciamo l’amore a Natale e tu non mi permetti di scostarmi quando vengo, quindi io penso che finalmente hai deciso di mettere su famiglia con me. Penso che mi ami tanto da rinunciare alla tua liberta. Quindi credo di essere l’uomo più fortunato del mondo e quando mi chiedi di abbandonare mia madre, ripeto: la donna che ho sperato di incontrare tutta la vita, e Ardan, il ragazzo per cui ho sacrificato la mia libertà, sono ben felice di farmi odiare da entrambi per stare con te. Sono innamorato, l’amore è molto più importante di qualsiasi altra cosa per me. Poi la gelosia mi fa fare un’altra stronzata, Noah è troppo perfetto, è il buono della storia, quello con cui hai già fatto sesso e con cui vai all’università. Noah rappresenta tutto quello che potresti avere e che io non sono: un tizio senza complicazioni, che non ha una madre che potrebbe ucciderti e non è ricercato dal macusa. Lo odio… sono invidioso, lo ammetto, lui è fottutamente perfetto e se fossi un uomo migliore questa notte, vedendo che non tornavi, me ne sarei andato e ti avrei lasciato con il pensiero di averti abbandonata di nuovo. Tanto per te è facile pensarlo, molto facile, appena io potrei fare un errore tu mi precedi e ti scopi qualcuno, meglio ancora se è uno che conosco così posso immaginarti per bene. Perché in fin dei conti è meglio ferirmi piuttosto che darmi una cazzo di possibilità. Giusto?». L’ultima frase quasi la gridò, incapace di trattenere la rabbia che filtrava ad ondate violente dalle crepe del suo autocontrollo. Ormai le era vicinissimo, ad un passo dal suo viso. «Però, sfortunatamente nel tuo piano perfetto di vendetta personale, c’è un piccolissimo dettaglio che non funziona: io torno sempre» ringhiò afferrandole le guance con una mano. Lasciò scivolare il suo mento rotondo nell’incavo tra pollice e indice. Affondò le dita nelle sue guance e la costrinse a guardarlo negli occhi. «Anche se non riesco a guardarti in faccia, perché sai quello che vedo? Vuoi saperlo? Vuoi entrare nella mia testa?» latrò digrignando i denti. Il suo viso non era quello che si trovava davanti, ma la smorfia di piacere mentre Noah le entra dentro. Sentiva i suoi gemiti, gli stessi che aveva ascoltato lui stesso con l’orecchio schiacciato contro le sue labbra quando era lui a starle sopra. La vedeva mentre Noah le baciava il seno, le toccava le gambe e passava le dita tra le sue cosce. La vedeva prenderglielo in bocca e poi osservarlo soddisfatta e compiaciuta venirle sul viso o sul resto del corpo, o magari dentro di lei mentre gli stringeva i fianchi con le gambe. E poi la vedeva accarezzarlo, baciarlo, guardarlo. Quelle immagini lo tormentavano, erano pungoli insopportabili sul fondo del suo cuore che non riusciva ad articolare a parole. Pensieri strazianti gli dicevano che lui non era niente e non meritava niente. Non meritava di essere amato, non meritava di essere consolato. Voci meschine che sussurravano nella sua testa dalla mattina alla sera e che ostinatamente si costringeva a sopprimere, nonostante Ardan continuasse ad odiarlo, nonostante Isobelle continuasse ad allontanarsi, nonostante sua madre continuasse ad ignorarlo come fosse solo un fantasma, qualcuno che l’aveva costretta ad uccidere suo marito tanto tempo prima. Nessuno poteva amarlo e Isobelle d’improvviso era la prova vivente di quella delusione cocente, di quella decisione cosmica per cui lui non meritava di avere una famiglia, né tantomeno essere felice. Strinse ancora più forte la presa sul suo viso, per sopprimere il dolore e la rabbia in quella che era tutta l’intimità che ormai riusciva ad avere con lei. Era solo violenza. Pura brutalità che gli ribolliva nelle vene. Era il sangue nero, lo sapeva, il suo schifosissimo sangue corrotto. In un altro momento avrebbe allentato la presa sul suo collo, le avrebbe permesso di respirare, si sarebbe allontanato e sarebbe scappato via disgustato dal fatto di averla anche solo sfiorata. Invece in quell’istante Isobelle non era nient’altro che il dolore che continuava ad infliggergli e contro cui era sempre stato impotente, incapace di sapere come reagire, cosa dirle per non ferirla, per non farla allontanare. Aveva sempre rispettato la sua libertà, anche quella mattina lo aveva fatto, a discapito del rispetto verso se stesso. Strinse ancora di più la presa, ormai il controllo era lontano anni luce, la palla di ghiaccio nel suo stomaco bruciava come un incendio. E alla fine urlò. Più di un urlo voleva essere un ruggito, voleva essere l’uluato del lupo davanti la luna, il suo grido di solitudine e di rabbia, era il baratro vuoto che non si era mai concesso di provare…

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    Edited by Joy. - 10/8/2017, 11:16
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    Nik
    24 anni
    Dreadwolf
    Isobelle si voltò lentamente. Mantenne gli occhi bassi e un viso inespressivo. Non avrebbe saputo dire se era stanca, triste, o arrabbiata, potevano essere tutte e tre le cose e nessuna di esse. Poteva rimanere di spalle e alla fine non avrebbe fatto differenza. Eppure nei suoi lineamenti c’era qualcosa di rincuorante, la possibilità di indagare i suoi occhi bassi, le sue ciglia lunghe, il modo in cui i suoi capelli le scivolavano sulle guance e sopra le orecchie. Nik s’impresse nella mente ogni spaventoso dettaglio di quella faccia senza espressione. Non l’aveva mai vista così, non è che fosse sempre felice, o sempre arrabbiata, o triste, ma anche quando era normale aveva un’espressione sua, un’espressione di cui non si era mai reso conto fino a quel momento. Non avrebbe saputo dire in cosa era diversa da quella faccia lì. Forse se avesse passato più tempo a guardarla, più tempo ad ascoltarla, avrebbe saputo cosa c’era di diverso. Invece niente, era un muro di pietra che non gli diceva niente e proprio per questo gli faceva paura. Credeva di essersi spaventato da solo con i propri pensieri e il dubbio che in un momento qualsiasi si fosse sciolta i capelli, invece quello non era che un vago timore in confronto a ciò che si ritrovò a provare guardandola. Una palla gelida di ferro, arrivata chissà come nel suo stomaco, gli pesava al punto da rendergli insopportabile l’immobilità. Sentiva l’agitazione fremere sotto la pelle, il bisogno di muoversi, fare qualcosa, qualsiasi cosa, per combattere quello che stava succedendo in quel momento, quello che sarebbe successo di lì a poco. Quando Isobelle parlò guardandolo finalmente negli occhi per poi rifugiarli subito dopo altrove, Nik ne fu agghiacciato. Senza motivo. Semplicemente sentì un gelo inspiegabile entrargli nelle ossa. Forse era per questo che Ardan cercava il freddo, perché paralizzava ogni cosa, ogni sentimento, ogni frustrante pretesa di mobilità. Nik stava sfiorando i confini inesplorati tra paura e sospetto. Sentiva certi pensieri muoversi meschinamente sotto il ghiaccio. Non osò rompere quell’armatura impenetrabile perché era certo di non voler sapere cosa gli stessero dicendo. Isobelle aveva risolto il problema. Isobelle ha risolto il problema. Se lo ripeté forse milioni di volte, fino alla nausea, fino a quando non sentì la testa girargli. Era il lupo che smetteva di correre perché era troppo faticoso, troppo doloroso. Nik aveva rallentato e si era lasciato inghiottire. Si rese conto che ci sono due modi per avere paura. Uno è cadere sempre più in basso nel buio come nel vuoto di un baratro. E l’altro è rimanere sospesi nel vuoto delle stelle, dove non c’è gravità e i pianeti si muovono tanto lentamente da sembrare immobili. In quel momento lui le stava sperimentando entrambi. Il suo corpo era sospeso nel vuoto tra le stelle, in mezzo a pensieri luminosi. Era libero, era tutto apposto, Isobelle aveva risolto il problema, lui non sarebbe stato condannato a morte e lei non sarebbe finita in carcere, il loro bambino sarebbe cresciuto con loro, un futuro era ancora possibile, le cose si erano sistemate. La sua mente, invece, da qualche parte in un posto molto più buio, molto più profondo, irraggiungibile, stava precipitando ad una velocità vertiginosa. Sotto il ghiaccio quei pensieri lo appesantivano trascinandolo sempre più a fondo. Era in quella palla di ghiaccio che gli si era appesa alla bocca dello stomaco che stava succedendo tutto. Non l’avrebbe sciolta, non lo avrebbe mai fatto, il solo pensiero lo inorridiva. Si alzò lentamente dallo sgabello del pianoforte. Non sapeva di essere ancora in grado di muoversi, eppure lo fece. I muscoli tremavano per lo sforzo sotto la pelle, li sentiva instabili e rigidi, eppure si stava muovendo e tanto bastava. Smise di guardarla con la certezza che forse non l’avrebbe più fatto per un bel po’ di tempo. Isobelle aveva fatto ciò che era andata a fare per lui. La profezia che si avvera proprio sulla strada per evitarla. Quel pensiero spinoso era serpeggiato dalla palla di ghiaccio e lo aveva colpito come una frustata al petto. Lo costrinse a ritrarsi con una violenza che non si era mai sentito dentro. Si era promesso di diventare il più cattivo di tutti e aveva appena deciso di iniziare con se stesso. Se non era in grado di imporsi sui propri pensieri, se non era in grado di sopprimere le proprie paure, il coraggio e la forza sarebbero rimasti solo i sogni irraggiungibili di un ragazzino che spera di diventare come Godric Grifondoro e poi scappava in Germania barattando vigliaccamente un sogno per un altro. Le aveva promesso che non avrebbe più fatto lo stesso errore. Per questo era arrivato il momento del compromesso. Legare e imbavagliare una parte di lui, capricciosa e infantile, per permettere al resto di essere felice. Annuì molto lentamente, si rese conto del gesto mentre già la sua testa si muoveva. «Bene». Non sarebbero dovuti andare da nessuna parte, Isobelle poteva continuare ad andare all’università, si sarebbe laureata e avrebbe trovato un lavoro che la rendeva felice. Forse un giorno si sarebbe resa conto che non aveva bisogno di lui, che senza di lui la sua vita era più facile e meno pericolosa. Prima di allora si decise che avrebbe accolto tutti i momenti in cui alla fine tornava, anche all’alba dopo essere stata con un tizio con cui aveva fatto sesso, anche dopo che quel tizio gli aveva detto che l’avrebbe fatto di nuovo. Anche se faceva un male cane. Alla fine lei era lì a braccia conserte, ma c’era. Era quella la cosa importante, l’unica cosa importante. Sentì di nuovo un istinto violento premere i confini della palla di ghiaccio, indurirla ancora un po’ per contenere tutto quanto non voleva sapere. «Sarai stanca» tentò di dirlo con dolcezza. Pensò a quando avevano fatto l’amore e non l’aveva scostato. Era quello a cui si doveva aggrappare. Forse portava nella pancia il loro bambino e fin quando lei fosse tornata la felicità sarebbe stata dietro l’angolo, doveva semplicemente fare un altro lentissimo, dolorosissimo, passo avanti, come il lupo bianco. «Vieni ti preparo un bagno caldo, con la schiuma, come piace a te. Poi dovrò andare, prima che si accorgano della mia assenza». Un’altra certezza era che non doveva mettere in pericolo il resto del circolo. La voce di Persephone rimbombava adirata e triste insieme dentro la sua testa. Sentì la propria delusione verso se stesso come fosse quella di sua madre.
    Si avviò a passi brevi e lenti, con le spalle appena piegate, la testa bassa a guardare le assi di legno rovinate del pavimento. Aprì la porta del bagno e si inginocchiò davanti la vasca, poggiandosi sui talloni. Come sempre chiuse il piccolo tappo di acciaio di cui non sapeva il nome e accese il rubinetto per far scorrere acqua tiepida. Lui amava l’acqua bollente ed era certo che come sempre Isy amasse l’opposto, ma l’acqua gelida non era il massimo, il torpore della stanchezza si sarebbe ritirato intirizzito e non sarebbe riuscita a dormire. Quindi acqua doveva essere tiepida e non si discuteva. Ci spremette dentro una quantità abbandonate di bagnoschiuma. In verità si era assentato guardando l’acqua gorgogliare formando bollicine come neve così era finito per mettercene troppo. Lo lasciò sul bordo della vasca così se voleva Isy poteva mettercene altro, per lei niente era mai abbastanza. Ricacciò quel pensiero. Era più subdolo, più meschino, ma lo riconobbe ugualmente. Proveniva da lì, dal ghiaccio. Si sedette con le spalle contro il muro tra la vasca e il lavandino, aspettando che la vasca si riempisse e che Isobelle c’entrasse. Non l’avrebbe guardata spogliarsi e non l’avrebbe guardata entrare. Sarebbe rimasto lì il tempo necessario e poi sarebbe tornato al Manor per mentire per la prima volta a sua madre. Non aveva ancora avuto occasioni per farlo, tutto qui. Sapeva di esserne capace, con i Winkler non aveva fatto altro, perché con sua madre doveva essere diverso? Poggiò le braccia sulle ginocchia sollevate e incrociò le dita davanti a sé. Si perse nei movimenti del pollice lungo le linee del suo palmo, chiedendosi quale fosse quella della vita e quella dell’amore, se mai s’intrecciassero, o rimanessero sempre divise.

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    Nik
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    Nel sogno c’era un giovane lupo bianco. Correva nel bosco disperatamente. Niente lasciava intendere che fosse disperato, o impaurito, eppure guardandolo Nik era certo che lo fosse. Al suo passaggio le ombre degli alberi si chiudevano divorando i contorni della foresta. Il lupo bianco correva con la lingua di fuori, sempre più stanco e sempre più lento. Finché ogni passo non divenne troppo faticoso e la distanza coperta troppo breve. Quando l’ombra lo raggiunse il lupo cadde nel vuoto. Un tuffo al cuore e il colpo secco dell'anta del frigo lo costrinsero a svegliarsi. Una violenta scheggia di luce gli ferì gli occhi. Richiuse immediatamente le palpebre, ma sotto di esse s’insinuò un intenso bagliore bianco. Tentò di girare la testa per scacciare la luce, ma i muscoli del collo gli fecero un male cane bloccandolo dov’era. Lentamente cominciò a percepire il proprio corpo, prima la nuca dolente, poi il braccio piegato sotto la testa. Ogni volta che tentava di socchiudere gli occhi la luce era meno intensa. Riuscì ad individuare i contorni della finestra che aveva lasciato aperta. A giudicare dalla luce doveva essere mattina. I ricordi tornarono ad emergere dai meandri della sua coscienza sopita, accompagnati da un senso crescente di inquietudine. Stava aspettando Isobelle, poi come un idiota doveva essersi addormentato. Lo trafisse il pensiero che le fosse successo qualcosa. Si alzò di fretta massaggiandosi la nuca. Fu quando riuscì finalmente a voltarsi che la vide. Era in piedi davanti il ripiano della cucina, di spalle. Il suono del cucchiaino contro la vaschetta di plastica era inconfondibile, stava mangiando. Nell’innocenza di quell’attimo tirò un sospiro di sollievo. La paura che l’aveva afferrato appena sveglio sciolse la sua presa intorno al petto così rapidamente da fargli venire le vertigini, solo per afferrarlo di nuovo. Quando era tornata? Perché non lo aveva svegliato? L’aveva aspettata per chissà quante ore e alla fine si era addormentato. Probabilmente aveva pensato che fosse meglio lasciarlo dormire e invece era una catastrofe, doveva tornare al Manor e in fretta, prima che sua madre o Robert scoprissero quella ridicola copertura con i cuscini. La fretta arrivò a scuoterlo, eppure rimase inspiegabilmente in silenzio. Ci vollero ancora diversi secondi perché tutti i pezzi della sua coscienza tornassero al loro posto. L’aveva aspettata fino a quando il cielo non aveva iniziato a schiarire, quello era il suo ultimo ricordo. Si era affacciato, l’aveva cercata con lo sguardo lungo il marciapiede. Quanto tempo prima poteva essere successo? Non molto, la luce fuori la finestra era meno intensa di quanto avesse pensato inizialmente. Tornò ad osservarla senza osare chiamarla per attirare la sua attenzione. Sentiva solo quel suono, il cucchiaino che scavava nella vaschetta e poi arrivava alle labbra. Quando era tornata? Continuava a farsi quella domanda senza però rispondersi. Continuò piuttosto a guardarla, le scapole le piegavano appena la maglietta sulla schiena, mentre le maniche corte lasciavano scoperti i gomiti spigolosi che teneva attaccati ai fianchi. Doveva essere la sua maglietta dei falcons. Ricordò la partita alla radio, si rese conto solo in quel momento che l'aveva interrotta durante il quidditch. Si trattava di una questione importante, ma gli dispiacque averle rovinato quel momento. Notò anche che aveva i capelli sciolti, non erano lunghi perché a natale li aveva tagliati, arrivavano appena sulle spalle. Non riusciva a ricordare se la notte prima ce li avesse legati. Era un dettaglio senza alcun significato, eppure non smetteva di pensarci. Li aveva legati? Non lo ricordava. In ogni caso non aveva importanza. Eppure sembrava una cosa essenziale. Più cercava di non pensarci, più quella domanda tornava a galla. Magari aveva usato una matita, quella che infilava tra i capelli quand’era per casa. Iniziò a cercare la matita con lo sguardo, ma era una cosa tanto assurda che smise quasi subito. Più continuava a pensare a quella stupidaggine più si sentiva ridicolo, eppure era come un trapano che gli torturava il cervello. «Isobelle» chiamò quasi disperato, non voleva rimanere ancora da solo nella sua testa, non con quel pensiero assurdo che ci ronzava dentro. Aspettò che si voltasse, aspettò che i loro occhi si incrociassero. Non osava chiederle della denuncia, non voleva sapere che accidenti avesse deciso di fare Noah, né perché ci avesse messo così tanto a decidersi. Voleva solo che gli dicesse dov’era la matita, quella gialla che usava per legare i capelli, come faceva quand’era bambina. In fin dei conti era una domanda semplice, forse ad Isobelle sarebbe sembrata strana e lui allora avrebbe fatto un gesto vago per sminuire la cosa. Non le avrebbe chiesto di Noah. Se mai avesse deciso di denunciarlo
    sarebbero andati per un po’ a New Orleans come avevano deciso a Natale. In fin dei conti non era colpa sua se non era riuscita a convincerlo. Non doveva sentirsi in colpa, era lui che aveva combinato l'ennesimo casino. Più ci pensava più si rendeva conto che probabilmente era quello il motivo per cui non l’aveva svegliato. Non voleva dargli la brutta notizia, così si era presa del tempo, aveva camminato fino all’alba per cercare il modo di dirglielo e probabilmente ancora non lo aveva trovato. In ogni caso mai e poi mai avrebbe preteso di sapere dov’era andata. Lei era libera di prendersi il tempo che voleva per andare dove voleva e fare quello che voleva. «Dove sei stata?». Seppe che era stata la paura a farglielo dire. Quella che gli si era attanagliata allo stomaco un attimo prima che aprisse bocca. L’aveva fuggita fino all’ultimo secondo, poi ci era crollato dentro. Era come una pozza buia che lo teneva lì fermo sullo sgabello, paralizzato. Gli imponeva di stare seduto e di aspettare una spiegazione che non voleva. Non voleva saperlo dov’era stata. Non lo voleva sapere davvero, perché era sicuro che Isobelle avrebbe reagito male a quella domanda e in quel momento aveva tutto il diritto di arrabbiarsi a differenza sua. Lei aveva curato Ardan anche se non voleva, era andata da Noah per aiutarlo anche se lui aveva reagito male alla proposta. Isobelle aveva fatto tutto per lui. Il minimo che poteva fare per lei era evitare di starle con il fiato sul collo. «Io sono venuto, ti ho aspettato» lo disse con un tono quasi supplicante, come se avesse voluto che lei gli riconoscesse quel merito. Era stato pericoloso, eppure era venuto per parlare. Stava facendo passi avanti, stava cambiando. Non lo vedeva? Se lei non se ne rendeva conto era tutto inutile. Rimanere non era stata una scelta facile. Sarebbe stato molto più facile fuggire via, invece non lo aveva fatto. Era rimasto. Era rimasto perché gliel'aveva promesso.

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    « Drăculeștii, ramo della stirpe dei Basarab, signori di Valacchia»
    Wladislaus III "Tepes" Drăculeștii [sheet]
    30 Novembre 1431
    vampiro originale
    Gli si mostrò con la sua faccia da immortale, quella che si portava dietro ad ogni reincarnazione, quella che non era in grado di abbandonare insieme all’ennesimo cadavere. Non era vanità, ma attaccamento alla tradizione. Senza tradizione non sarebbe stato altro che una squallida sanguisuga. Un parassita che di generazione in generazione si appropriava di carne non sua. Ra’am doveva fare di tutto per sopprimere il pensiero di essere esattamente come lui. In fin dei conti non erano poi così diversi. Vlad poteva conservare il proprio corpo, l’alchimista la propria magia. Entrambi avevano barattato qualcosa che amavano per poter ottenere l’infinità dei giorni. Tuttavia il timore che l’immortalità fosse una maledizione e non un dono, la paura lancinante di essere stato in qualche modo truffato, di tanto in tanto, doveva aver sfiorato anche la sua mente. Nonostante il ribrezzo che Vlad poteva provare per un essere del genere, Ra’am era la cosa più vicina ad un amico in cui potesse sperare. Un amico che disprezzava. Condividevano lo stesso destino, eppure, ne era certo, l’alchimista era troppo tronfio e orgoglioso per poter arrivare a comprenderlo, come invece lui aveva fatto nei secoli che avevano separato il loro primo incontro da quel fatidico momento. A quei tempi avevano provato ad uccidersi. Entrambi ci erano andati molto vicini. Avevano sfiorato la morte, quella definitiva, quella da cui non c’è ritorno. Ed entrambi erano scappati come conigli impauriti. Una scelta strategica, ovviamente. La promessa di vendetta, certo. Tuttavia rimaneva pur sempre una vigliaccheria, il peccato capitale che li aveva portati sulla strada dell’infinito e che li avrebbe condotti fino alle soglie del tempo. Dopo secoli di riflessioni e di buio, dopo anni fallimentari in cui aveva provato a costruirsi una famiglia ad adattarsi alla vita normale di un essere umano, quella che gli era stata strappata via da Radu, aveva capito una sola cosa. Per lui quel mondo aveva perso qualsiasi significato. Niente era più in grado di eccitarlo come una volta, niente smuoveva più la sua anima granitica. Stava marcendo. Il ticchettare del tempo si era trasformato in quella consapevolezza crescente. Marciva in ogni istante, ogni secondo, ogni minuto ed ogni ora del giorno. Dentro di sé l’infinito si stava deteriorando per trasformarlo in qualcosa di molto simile ad una statua, modellata dallo scalpellare incessante del tempo. Sarebbe arrivato un giorno in cui la polvere si sarebbe depositata sulle sue spalle e sulla sclera dei suoi occhi, eppure lui sarebbe rimasto immobile, in contemplazione del nulla, riflesso dell'infinito che si portava dentro. E con quella consapevolezza la disperazione era cresciuta muta e lenta, anno dopo anno, fino a portarlo a quel momento. Doveva fare qualcosa e Ra’am era l’unico che mai avrebbe potuto capirlo. Non cercava gloria, non cercava vendetta, potere, o stragi. Vlad voleva smuovere il proprio animo. Voleva di nuovo una missione da compiere, qualcosa per cui combattere e a cui tendere per dare un senso a se stesso e alla sua non vita. Durante tutte quelle riflessioni rimase in silenzio a fissare il volto dell’Immortale. Forse sarebbe riuscito a leggere nei suoi occhi quella disperazione quieta, o forse le sue iridi scure sarebbero rimaste impenetrabili come i bulbi di vetro di un grosso alce impagliato. «Dovrei fare come te e portarmi dietro la mia casa» mormorò senza nascondere il suo malinconico accento dell’est. Lo conservava tra le consonanti per abitudine, un tempo lo faceva per orgoglio, ma anche quel sentimento si era sopito. Accennò con lo sguardo al corpo della chimera, l’armatura di Ra’am, fatta di carne ed ossa. L’alchimista aveva molto di più in comune con una vecchia tartaruga che con l’essere umano che vestiva. «Sono qui perché ho una missione, Ra’am. Una missione che intreccia la tua». Se solo qualcuno glielo avesse detto qualche secolo prima, lo avrebbe ucciso. Tuttavia le cose cambiano, persino per un essere immutabile. Estese ancora il tempo come una maglia sfilacciata, per permettere a Ra’am di vederne le trame. «Purificare è distruggere. Distruggere è purificare. Io, Wladislaus Drakulestii, l’impalatore, sono dio della distruzione per questa terra miserabile. Dove il mio piede si posa la natura appassisce, le persone muoiono, le anime si corrompono. Tu, Ra’am, l’alchimista, sei dio della purificazione, ad ogni morte purifichi te stesso nascendo di nuovo, come fenice tra le ceneri. Se sei disposto a collaborare io sarò le ceneri per questo mondo, mentre tu sarai la rinascita». Scelse di rivolgersi con il “tu” nonostante non fosse sua abitudine, scelse di trattarlo come pari pretendendo di ricevere la stessa accoglienza. «Sarò sincero con te, in onore della nostra secolare… conoscenza. Non nutro fiducia in te. Sono certo che concedendo la mia spada alla tua causa metto in pericolo me stesso. Non sei tanto sciocco da accettare un’alleanza senza essere certo di liberartene al momento opportuno. Lo so, perché anche io farei lo stesso. Se così non fosse allora sei uno sciocco». Vlad mantenne la testa alta e gli occhi fissi in quelli dell’alchimista. Non gli interessava aver apertamente dichiarato che avrebbe potuto uccidere Ra’am a cuor leggero, così come non si fece remore a smascherare quella che sarebbe stata una farsa talmente lampante da essere ridicola anche la sola pretesa di interpretarla. «Ho solo due richieste in cambio della mia alleanza: voglio che colui che mia moglie aveva spacciato per mio figlio diventi il tuo nuovo contenitore. Ucciderlo non mi darebbe soddisfazione alcuna. Voglio umiliarlo, voglio distruggere la sua anima, voglio che perda completamente ogni potere su se stesso e osservi impotente e terrorizzato ciò che compi con il suo corpo. Voglio strappargli via il libero arbitrio nel modo più doloroso possibile, con la certezza che l’ultima cosa che avrà negli occhi sarà il suo cuore spezzato. Solo allora il dolore che mi ha arrecato in tutti questi anni sarà ripagato a dovere». La sua voce echeggiò nella foresta. Calma, monocorde, eppure talmente roca e profonda da ricordare il rombo di un tuono, lo scontrarsi di nuvole cariche di tempesta. Nessuna parola del vocabolario umano poteva descrivere la delusione che aveva provato nello scoprire che Tristan non era suo figlio. Quel dolore lo aveva spezzato fin dentro le viscere, era maturato come una consapevolezza silente, che pian piano lo aveva spinto verso l’odio e l’alcol, diretta conseguenza dell'odio. Riuscì a calmarsi solamente quando arrivò un pensiero più dolce. Eris. Non era altro che un fragile fuscello tra le sue mani. Un pulcino caduto dal suo nido, che lui stesso aveva raccolto. Per necessità non le aveva ancora spezzato il collo. Tuttavia quella fortuita casualità aveva generato qualcosa di potente. La tenerezza quando la vedeva sfiorava di nuovo il suo animo. Un sentimento talmente leggero da percepirlo appena, più simile alla caducità di un pensiero affettuoso verso qualcosa di naturalmente bello, che ad un vero sentimento. L’orgoglio per i risultati che riusciva ad ottenere nella sua missione non aveva fatto altro che alimentare quella tenerezza fioca. «C’è una maga molto giovane, ma anche molto potente, una maga che ho assoggettato, che rientra nelle schiere dei miei… fedeli. Voglio che lei sia risparmiata. Ha servito bene ed è una risorsa inestimabile. Sono certo che non avrai difficoltà ad apprezzarne anche tu la sua inclinazione verso l’obbedienza. È malleabile creta, scossa dal piacere solo quando è toccata da mani che sanno come modellare la sua anima. Se le farai da guida quando io avrò terminato il mio compito, avrai l’Eva di cui hai bisogno per fondare la tua nuova».

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    Buonsalve! E Benvenuta, a te tocca il primo paziente, molto bene, non so se sei familiare alle nostre pratiche di esitaggio, ma te ne do un primo assaggio, aggiungendo qualche consiglio utile

    Margaret:
    Bonus Post: 34

    Punto primo: hai 5 azioni disponibili, sottolinea solamente le azioni che hanno bisogno di esito, ad esempio l'azione di salutare il paziente è gratuita, quindi puoi andare tranquilla e salutarlo senza che io debba esitare.

    "Salve, buongiorno dottoressa, faccia pure"

    Osservi e analizzi i tagli sul volto il torace e le braccia del paziente (cd40: 35+16) non ci sono principi di infezione, probabilmente il medico del turno di notte gli ha dato qualche farmaco\pozione antibiotica, in attesa di vedere se il paziente manifestava infezione non ha curato le ferite, onde evitare, esattamente come hai pensato anche tu (ottima intuizione!) di curare la pelle, ma non rimuovere i patogeni insinuati nella carne.

    Prima di usare qualsiasi incantesimo di cura disinfetti le ferite (good job! La prossima volta cerca di prodigarti di più nella descrizione di ciò che fa la tua piggì cosi potrai avere un bonus post piu alto) utilizzando un batuffolo di cotone e del disinfettante, ovviamente utilizzando guanti in lattice e tutto il materiale necessario (che magari ti ha portato un'infermiera, o era già lì)

    "Direi... 6, poco fa le infermiere mi hanno somministrato un antidolorifico, me l'ha prescritto il medico del turno precedente, il dottor... Williams, credo..."

    Per curare non hai bisogno di usare le suture, ma un semplice incanteismo di pranoterapia, appreso al primo anno di magia bianca, per il momento questi sono gli incantesimi delle specializzazioni che sblocchi con questo primo post, inseriscili in scheda, faranno parte delle tue conoscenze da medimago:

    CHIRURGIA GENERALE:

    Nome: Occhi penetranti
    Requisito: 18
    Descrizione: Questo incantesimo permette di vedere i diversi strati del corpo, dal sottocutaneo ai muscoli, fino ai visceri interni e alle ossa. Permette inoltre di ingrandire con un limite di risoluzione teorica di circa 0,2 µm (simile a quello di un microscopio ottico), così da poter osservare i tessuti ed eventuali lesioni.
    Bonus: +1 sulla pranoterapia di lesioni traumatiche
    Formula: Acutus Oculus
    Movimento: è sufficiente porre le mani parallele alla zona da osservare, chiudere gli occhi e sussurrare la formula latina, per poi riaprire gli occhi.
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    Theodore Duncan Walker
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    I have zero tolerance for betrayal, which they will soon indelibly learn.
    «Bene» risponde con un ceno della testa. Non ama dover sottoporre ad incantesimi di memoria i propri agenti. Si tratta di procedure con una percentuale di errore e seppure sia minima quei due hanno rischiato a sufficienza per questa missione. In ogni caso si assicurerà che nessuno sappia mai che sono stati loro ad andare in Egitto, così nessuno richiederà una revisione dei loro ricordi. Si è già liberato dei pochi documenti che certificavano la missione. Tutto rimarrà nell’anonimato fin quando la loro vanità, o un bicchiere di troppo, non li spingerà a parlare. Tuttavia i rapporti psicologici sul conto dei due agenti confermano che si tratti di soggetti in grado di rispettare gli ordini e la parola data. Non è attestato abuso di alcol e droghe in passato, né sospettato nel presente. Con un certo margine di possibile le acque si calmeranno molto presto. Walker si sofferma per un secondo ad osservare l’agente Lagrange, attendendo il momento in cui sarà sicuro di poter tirare un sospiro di sollievo. Anche quella missione sta per concludersi, un’altra presto sarà alle porte e già sente la stanchezza premergli sulle spalle. Le parole di Lagrange lo lasciano un attimo interdetto. Theodore si acciglia sconcertato. La missione non è stata un completo successo, ma sono entrati e usciti da un sito archeologico maledetto, lo hanno reso inaccessibile così che non fagociterà più nessun incauto, senza escludere che il loro ritrovamento potrebbe rivelarsi ugualmente molto utile. In fin dei conti i due agenti se la sono cavata molto meglio di quanto si aspettasse. Sacrificare delle abilità simili per lavori semplici di pattugliamento, o ricerca, è ridicolo, un vero spreco di capacitò. «Forse non ha capito, agente Lagrange, lei e il suo collega siete ufficialmente fuori la definizione di “matricole”. Sarete interpellati per molti altri casi come questo, casi che richiedono capacità e sacrificio. Nessuno vi ha mai detto che sarebbe stata una passeggiata, o peggio: un lavoro da scrivania. Se desiderava quello poteva fare l’avvocato, signor Lagrange. Invece ha scelto di essere un agente del dcmc. Ha scelto di fare la differenza. E questo non vuol dire fare da balia ad un paio di creature magiche imbestialite, quello lo può fare anche un qualsiasi magizoologo. Essere un agente del dcmc vuol dire intervenire qualora delle creature, dagli spiriti più innocui ai draghi più pericolosi, interferiscano con la sicurezza delle persone. E si, a volte sarà anche costretto a scontrarsi con malintenzionati, il cancro di questa società, e lei in quanto agente dovrà ingoiare il rospo, stringere i denti, e averci a che fare». Appena smette di parlare Walker recupera il suo normale contegno. Infiammarsi per così poco rientra tra le sue peculiari abilità, ma in verità non ha mai avuto molta pazienza con i capricci. Se avesse voluto ragazzini lagosi tra i piedi avrebbe fatto dei figli, invece ha diligentemente evitato la cosa. Non conosce i motivi per cui l’agente Lagrange voglia fare un passo indietro invece di guardare avanti e conquistare il suo meritato posto di rilevo nel macusa, e detto sinceramente nemmeno gli importa. Se le sue inclinazioni etiche e morali intralciano il suo lavoro allora è meglio per tutti se sposta altrove i suoi interessi e così anche le sue terga. La voce dell’agente Egorov fortunatamente lo distrae dai suoi pensieri riportandolo alla missione. Quell’informazione gli manca. «E’ quello che temevo, dunque ci troviamo di fronte a dei ladri interessati allo scettro di Horus e delle sue abilità, di cui sono certamente informati, anche se non sappiamo fino a che grado». L’aggiunta di un mago nero alla cricca di ladruncole non promette niente di nuovo. Il gruppo si sta infoltendo e probabilmente anche organizzando per recuperare l’ultimo frammento. «I ladri sanno del vostro ritrovamento? Sarebbe un dettaglio importante se non ne fossero a conoscenza. Non chiedetemi cosa sia, o a cosa serve, la segretezza potrebbe rivelarsi particolarmente strategica in questo frangente delle indagini». Rimane ad ascoltare la risposta alla sua domanda. La reliquia recuperata dai due agenti potrebbe essere la chiave per l’utilizzo corretto dello scettro di Horus. Senza quello l’esercito di Horus sarebbe difficile da comandare e potrebbe rivoltarsi chiunque, persino coloro che lo hanno richiamato.
    narrato ◆ «parlato» ◆ pensato


    Edited by Joy. - 4/8/2017, 21:17
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    Peter Cunningham
    Medimago
    Sacred Heart
    Sposato
    40 anni
    confraternita
    «“Questa è la moderna medicina. Progressi che mantengono in vita persone che avrebbero dovuto morire tanto tempo fa, quando perdettero ciò che le rendeva persone. Ora il tuo lavoro è restare abbastanza sano così che quando qui arriva qualcuno che puoi davvero aiutare, non ti ritrovi tanto sballato da distrarti.”
    (Dr. Cox)»

    Una fila di poppanti con in dosso un camice nuovo e uno stetoscopio mai utilizzato lo aspettava davanti il primo lettino del giro visite. Era arrivato quel periodo dell’anno. Il periodo in cui gli studenti di magia bianca venivano da lui ancora sporchi di latte, pronti per essere svezzati. Che gioia. A guardarli sembravano capretti al macello. Alcuni più tronfi di altri, ma tutti indifferentemente privi di qualsiasi briciola del suo interesse. Quella di Peter non era comune misantropia, né una forma di narcisismo. Cioè, il narcisismo nel suo caso diveniva semplice realismo, era più in gamba di tutte le teste di cazzo che lavoravano in quella gabbia di matti. Niente di personale, era un semplice dato di fatto. Sfortunatamente la stretta convivenza imposta da turni di lavoro di centoventisette ore su ventiquattro implicava che fosse necessario un qualche tipo di buon rapporto tra i colleghi. Dunque evitava di esprimere ad alta voce pareri quando le analisi venivano scambiate, qualcuno faceva una diagnosi errata, o ad un paziente cresceva un terzo braccio sull’addome. L’unica nota positiva degli specializzandi era che con loro non doveva sforzarsi ad essere cordiale. Poteva semplicemente essere se stesso. Era certo che qualche ridicolo musical di Broadway insegnasse che “essere se stessi vuol dire essere unici e meravigliosi”. Tanti coriandoli e vissero felici e contenti. Non poteva che essere più d’accordo sul fatto che fosse meraviglioso, ma di certo avrebbe avuto un paio di problemi con il prossimo ad essere sempre se stesso. Fortunatamente i suoi insulti gratuiti agli specializzanti non facevano altro che alimentare l’aria di terrore che girovagava tra i corridoi ogni volta che passava. Gli bastava fissare uno specializzando mentre infilava un catetere, o faceva un prelievo, perché andasse nel panico e scappasse nel primo stanzino. Allontanare le persone con una semplice occhiata era un’esperienza mistica, molto più eccitante di quando insieme a Jimmy faceva fuggire agenti del macusa come fossero leprotti. Ormai aveva abbandonato l’ebrezza di potere che gli dava la magia nera a favore di quella meno gratificante del salvare vite. Questo però non cambiava le cose. Poteva aiutare il prossimo senza che dovesse essergli necessariamente simpatico. Peter afferrò la cartella clinica appesa sul lettino, lì dove il medico del turno di notte aveva segnato la sua diagnosi. Non si sprecò a leggere. Steve, quello del turno di notte, era un idiota, lo avevano piazzato ai turni di notte solo perché nessuno ce lo voleva di giorno, quando c’erano troppi pazienti che poteva rischiare di uccidere. «Allora» esordì infilando al cartella rigida sotto un’ascella per poi strofinarsi le mani. «Dimostratemi di non essere dei completi incompetenti e occupatevi del signor… Wilson Carver», annunciò sbirciando il nome sulla cartella.

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    Eccomi, scusami anche tu se ti rispondo solo ora, mi dispiace un sacco per il fatto dell'aereo, so che non dev'essere piacevole come player dover cercare di assecondare queste cose, sicuramente però vi rifarete andando avanti con la quest, cercherò di fare di meglio la prossima volta :3 e grazie ancora della pazienza, lo apprezzo davvero tanto
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    «Then someone will say what is lost can never be saved
    Despite all my rage I am still just a rat in a cage
    Tell me I'm the only one, tell me there's no other one
    Jesus was an only son
    And I still believe that I cannot be saved»
    Nik
    24 anni
    Dreadwolf
    D’accordo aveva promesso di rimanere al Manor. Aveva anche promesso di mantenere un profilo basso, non mettersi nei guai e cercare di farsi notare il meno possibile, se necessario evitare persino di respirare. Aveva promesso tutte queste cose e poi si era ritrovato inspiegabilmente fuori dal Manor. La noia era troppa, insopportabile. Persephone lo aveva messo sotto torchio con le lezioni di magia nera, sembrava che ogni giorno non aspettasse altro che spaccargli tutte le ossa. Alla fine di ogni loro incontro gli facevano male muscoli che non aveva mai immaginato di avere. Ovviamente non aveva affatto la sensazione di star migliorando. Per buona parte del tempo non faceva altro che correre di qua e di là per evitare che un numero indecente di ombre lo uccidessero. Persephone non ci andava leggera e più colpi Nik incassava più si formulava dentro di lui la convinzione che sotto sotto si divertisse ad umiliarlo. Fino ad allora aveva pensato che ci fosse una sorta di regola non scritta secondo cui alle madri importa qualcosa se i loro figli si fanno male. Persephone, però, sembrava essere un’eccezione piuttosto drastica rispetto a quella che doveva essere la norma. Proprio a lui doveva capitare la madre snaturata con manie omicide? Spinto dal suo naturale senso di ribellione e dal bisogno feroce di un po’ di spensierata libertà, Nik si era dileguato. Era montato su Bezzy la sua motocicletta e con un colpo di acceleratore era arrivato a Manhattan. Attraversare tutto il Bronx e poi il ponte con il vento sulla faccia era stato rilassante. La città filava via davanti ai suoi occhi dandogli l’impressione di potersi lasciare alle spalle insieme agli edifici e al cemento anche i pensieri. Un mucchio di problemi che si disperdevano tra le strade, incapaci di raggiungerlo. Parcheggiò non appena vide Central Park. D’inverno lì faceva un freddo porco, ma d’estate diventava un paradiso. Gli alberi erano immensi, verdi e rigogliosi, abitati da frotte di scoiattoli, che tagliavano la strada come niente fosse. Abbassò il cappello che si era portato dietro fin sopra gli occhi, camminò spedito con la testa incassata tra le spalle, cosi che nessun passante potesse guardarlo bene in faccia. Una volta superato il cancello d’ingresso individuò un piccolo carrettino di noccioline, ne comprò un sacchetto da un signore magrolino, alto, dalla faccia stranamente allegra. Nik ringraziò e alla fine sorrise. Voleva godersi quel momento di libertà. Lanciò noccioline un po’ a tutti gli scoiattoli che gli capitava di vedere, con la speranza di risultare abbastanza simpatico da poter dare ad uno di loro una carezza. Sfortunatamente quegli animaletti erano troppo rapidi e dannatamente diffidenti. Non appena raggiunse un’area abbastanza isolata, cercò un albero sotto cui sedersi. Individuò un faggio piuttosto grande e vi si appollaiò sotto, in un incavo tra le grosse radici. Abbandonò con un sospiro il sacchetto di noccioline per sfilare dallo zaino la sua fisarmonica. Non era uno strumento a cui si fosse dedicato ancora molto. Era parecchio difficile da usare, ma il suono alla fine se si premeva per bene e con abbastanza decisione non era niente male. Poteva trasmettere un’allegria travolgente, da festa di campagna, oppure un’angoscia che s’insinuava fin dentro l’anima. Aveva sentito artisti da strada capaci di fargli vibrare le viscere con la fisarmonica. Il pianoforte era più… delicato. Infilò le cinghie intorno alle spalle e posizionò tra le braccia la fisarmonica, cercando di mantenere una posizione dritta con la schiena. Schiacciò il bottone solitario sul lato sinistro e tirò con il braccio sinistro. Il mantice si rilasciò con un sibilo sordo. Per il momento conosceva solamente un pezzo, non ne ricordava nemmeno il nome. Iniziò un po’ indeciso, riprendendo d’accapo ogni volta che sbagliava, o si ritrovava a confondersi con le dita. Alla fine sarebbe riuscito a fare quel pezzo perfettamente ne era certo.

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    Edited by Joy. - 2/8/2017, 13:14
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    · Professore di magia bianca · Capo dei Defensores·

    Al
    di là del manto di edera c’è un passaggio, esattamente come ha riferito William. A sua difesa non ci sono incantesimi di alcun genere. Al di là delle foglie verde scuro c’è solamente una bocca buia come la pece. Mettere piede al suo interno potrebbe rivelarsi molto più pericoloso di quanto non denuncino le scarse difese poste all’avanguardia del passaggio. Può trattarsi di un luogo abbandonato, la costruzione potrebbe risalire a qualche epoca più tarda, in fin dei conti la storia di quel bosco, il bosco degli alberi piangenti, si perde nei meandri del tempo. Quella voragine nel terreno, d’altro canto, potrebbe trasformarsi facilmente in una tomba se qualcosa andasse storto. Non possono sottovalutare il pericolo, né tantomeno temporeggiare sulla soglia. Entrare, o non entrare. Daniel rimane per un secondo in attesa, assorto in riflessioni caute, paralizzato dal numero incalcolabile di pericoli che può nascondere l’ignoto. Poi d’improvviso William esce dal folto del bosco, avanza completamente scoperto ed entra per primo all’interno della buca. Un azzardo tremendo che gli stringe il petto di paura. Sente subito dopo gli schiocchi silenziosi delle zampe di Fau, si muove rapido tra i bordi di terra dell’ingresso della galleria, al di là dei rami morbidi dell’edera. Non ha bisogno di vedere i riflessi argentati dei sottilissimi fili della sua bava, per sapere che sta tessendo una ragnatela, la conoscenza universale di Vers gli suggerisce quella consapevolezza. Vede grazie alla loro connessione mentale esattamente dove si trovano i fili, individuando così una fessura attraverso cui può infiltrarsi in caso di pericolo. Il timore che accada qualcosa a Will spinge il mago bianco ad attendere con i sensi allerta, pronto a reagire a qualsiasi pericolo. Un rumore sordo, cupo, esplode nel silenzio facendolo trasalire. Vers si precipita immediatamente all’interno della galleria, spinto dalla preoccupazione del suo mago. Nel buio pesto dell’antro semi-sotterraneo il corpo da cefalopode dell’akhi si accende di un’intensa luminescenza violarancio. Un sussurro anima le labbra di Daniel quando pronuncia l’incantesimo della grazia di Pelor. Aiutato dalla destrezza potenziata dalla vicinanza con il suo dio scosta l’edera e s’infila nell’apertura della ragnatela, facendo ben attenzione a non sfiorarne nessun filo. Aiutato dalla luce del suo spirito osserva l’ambiente che si trova di fronte. Will evidentemente è caduto, il suolo è viscido e scivoloso, le foglie d’edera peggiorano la situazione. Daniel tira un sospiro di sollievo e avanza a passi accorti fino al suo compago. Se gli fosse accaduto qualcosa il cuore di Caspar si sarebbe infranto e lui non avrebbe saputo come scendere a patti con i sensi di colpa. William è coraggioso e forte, ma il suo senso del dovere insieme alla sua acerba incoscienza rischieranno di metterlo in pericolo più del necessario. Daniel si piega appena sulle ginocchia, porgendo al ragazzo la mano tesa. «Tutto bene?» domanda con un filo di voce. Una volta sinceratosi delle condizione dell'amico informa James che l’agente Knight non è in pericolo, gli descrive l’ambiente interno del dosso, intimandogli di fare attenzione nel caso voglia entrare perché all’ingresso c’è un incantesimo di protezione lanciato dal Nereau. «Will proseguiamo, fai attenzione, mi raccomando». Daniel lentamente, sempre stando attento a dove mette i piedi, avanza, deciso a non temporeggiare ulteriormente, così da non costringere Will ad esporsi ancora al pericolo.
    Daniel Callaway

    «
    Ogni uomo è
    colpevole
    di tutto il bene
    che non ha fatto

    © .isabella.



    Skills utilizzate nel post

    Vers:
    - grazie a conoscenza universale che è un'abilità passiva informa costantemente Daniel dei movimenti e delle azioni di Fau e della posizione dei fili della sua ragnatela
    - quando Will cade entra nel bunker, il suo corpo in presenza del buio si illumina a causa della sua luminescenza naturale illuminando l'area intorno a lui

    Daniel:
    1) usa grazia divina:
    Nome: Grazia divina
    Requisiti: 20 prima lezione chierico di supporto
    Descrizione: il mago su cui viene castato l'incantesimo viene infuso della grazia divina, che potenzia la sua forza fisica e la destrezza (+3). Dura un numero di turni stabilito dal d4.
    Nota: l'incantesimo non riesce se viene castato su maghi con un'aura corrotta, oppure con intenzioni malvagie (come ad esempio uccidere, rubare, ferire un innocente)
    Formula: Gratia Pelori
    Movimento: sigillo tigre

    2) supera la ragnatela di Fau cercando di non toccare i fili
    3) osserva cosa si trova davanti
    4) si muove cercando di non scivolare fino ad arrivare a will
    5) avanza senza fermarsi fino a che non è costretto a fermarsi per la presenza di un ostacolo, o il raggiungimento di un'area che richiede un'osservazione più approfondita
    Bonus del PG/Bonus Razza

    Bonus Spiriti Elementali:

    - Spirito principale: Vers
    Specie: Akhi
    Livello: IV
    Skills:

    I Livello
    Dominus corallii. [non necessita del tiro del dado]
    Tutti gli incantesimi di Corallo ottengono +2 ai tiri per colpire.

    II Livello
    Unione. [non necessita del tiro del dado]
    Gli incantesimi in combo del mago ottengono un bonus di +2.

    III Livello
    Coscienza universale [non necessita del tiro del dado]
    Lo spirito è in grado di mettersi in contatto con ogni altro spirito in un raggio di 15m. Può sapere cosa vede, sente e pensa in quel momento, arrivando così ad avere anche una vaga idea di quello che pensa il mago a cui è connesso.

    IV Livello
    Luminescenza [non necessita del tiro del dado]
    Lo spirito può emettere luce quando si trova al buio e richiamare una scintilla luminosa dagli spiriti a cui era connesso nel Caos Elementale. Se emessa vicino una manifestazione elementale di erba, questa guadagna resistenza. Se sono presenti altri Akhi che usano Luminescenza verranno attratti l'uno verso l'altro per dare inizio alla loro caratteristica danza, chiamata Almrija, che sblocca automaticamente Fioritura. L'Almrija può essere usata una volta ogni tre turni solo se sono presenti almeno 3 Akhi.
    Contenuto del sacchetto di velluto presente nella tasca destra:

    1) 2) Ematite Da un bonus di +3 ai tiri per colpire se stretta durante l'incantesimo (x2) UNA LA HA CEDUTA A JAMES APPENA è ARRIVATO
    3) Giada Se attivata riesce ad emettere un'aura in grado di potenziare gli incantesimi runici nel raggio di 2m (bonus +3).
    4) Lapislazzuli Il mago può vedere chiaramente attraverso questa pietra anche al buio se viene attivata.
    5) Opale Assorbe un incantesimo di magia nera se brandito davanti a sé. Può essere emesso contro l'avversario a proprio piacimento. Causa un malus di -3 agli incantesimi del turno.
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    · Professore di magia bianca · Capo dei Defensores·

    I
    mpronte. Stando ai rilevamenti di James si tratta di un individuo in corsa. Dice che sono definite, probabilmente sono state lasciate da poco. Daniel soppesa quell’informazione, forse c’è ancora una traccia dell’aura lasciata dal passaggio dell’individuo. Chiude gli occhi e prende un respiro profondo. Immerso nel buio della propria mente si concentra sulle percezioni dell’aura nella speranza di individuare anche la più flebile traccia dell’uomo che ha lasciato le impronte. Insieme alla sua aura spera di poter avvertire anche l’impronta empatica dell’individuo. Capire se sia spaventato potrebbe rivelargli se è in fuga, o piuttosto a caccia, e sapere se si trovano di fronte ad un potenziale nemico, ad una vittima in pericolo, o ad un alleato potrebbe rivelarsi vitale. Una volta riaperti gli occhi Daniel riferisce le informazioni al resto del gruppetto, sempre a bassa voce, sempre facendo meno rumore possibile. Will manda avanti la sua vespa, Daniel la segue a passi lenti fino a trovarsi al limitare di una radura. Affonda preoccupato lo sguardo nella penombra sbiadita dalla luce della luna. La radura non è molto ampia, ma li lascerà comunque completamente scoperti. Sarebbe meglio aggirarla, evitare di uscire dal folto del bosco, eppure al centro un dosso, palesemente di natura artificiale, attrae la sua attenzione, com’è certo che faccia anche con i suoi colleghi. Will li informa della presenza di un ingresso, probabilmente una porta, al di là della cascata d’edera che copre buona parte del dosso. Potrebbe trattarsi dell’ingresso a dei sotterranei, se non vi entrassero continuerebbero a girare in tondo senza mai trovare il luogo verso cui il cristallo li sta conducendo. Daniel lancia un’occhiata incerta al frammento di sole che stringe in una mano per evitare che i bagliori luminosi attirino attenzioni indesiderate. È grande poco meno del suo palmo, la sua luce è piuttosto intensa, eppure non può dire con certezza che sia al massimo del suo splendore, potrebbero essere ancora lontani. Troppe incertezze. Uscire allo scoperto troppo pericoloso. Un fremito lo spinge a cercare con gli occhi l’opinione di James. L’uomo deve avere lo stesso timore, per cui prende la precauzione di disilludere tutti e tre. Invisibili saranno molto più difficilmente attaccabili da chiunque volga lo sguardo a quello spazio scoperto. «Vado per primo, conosco un incantesimo per aprire serrature magiche, qualcuno rimanga un po’ indietro per intervenire nel caso un problema blocchi gli altri» la sua voce è un sospiro flebile, ma esiste. Si muove silenziosamente, evitando di lasciare impronte sul terriccio, fino ai rami d’edera. Non tocca nulla, non prova nemmeno a scostarli, non ancora, onde evitare di rivelare la propria posizione. «Manifesta incantamentum» sussurra per rivelare la presenza di un qualsiasi incantesimo nell’area adiacente. Nel caso in cui ci sia un incantesimo serrante ad impedire l’apertura dell’ingresso, Daniel chiuderebbe le mani a pugno ed eseguendo un movimento fluido delle dita aggiungerebbe la formula «Eripe». Invece, nel caso in cui non sia presente alcun tipo di incantesimo esorterebbe semplicemente James ad aprire la porta, assicurandogli di essere lì per coprirgli le spalle in caso di eventuali attacchi.
    Daniel Callaway

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    Skills utilizzate nel post
    1) percezione dell'aura per individuare la traccia lasciata dal fuggiasco
    2) associa alla percezione dell'aura percezione delle emozioni per capire lo stato emotivo del fuggiasco
    3) si muove silenziosamente verso il bunker dopo essere stato disilluso
    4) usa manifesta incantesimo sul bunker
    Nome: Manifesta incantesimo
    Requisiti: 18 terza lezione chierico di supporto
    Descrizione: Il chierico è in grado di rivelare la presenza di un incantesimo di qualsiasi genere impresso su un luogo, o su una persona. Ad esempio, è possibile in questo modo scoprire:
    - soggiogamento psichico da parte di un mago, o di un vampiro
    - maledizioni in atto
    - incantesimi ad effetto prolungato, come linfa vitale
    Formula: manifesta incantamentum
    Movimento: none

    5) usa incantesimo disincatenante se c'è un incantesimo che blocca magicamente la porta del bunker
    Nome: Incantesimo disincatentate
    Requisiti: 28 terza lezione chierico di supporto
    Tipologia: controincantesimo
    Descrizione: dissolve incantesimi imprigionanti di qualsiasi natura
    Formula: eripe
    Movimento: chiudere la mano sinistra in un pugno e poggiare la destra su di essa. Sollevare le dita della mano destra partendo dal mignolo fino al pollice


    Bonus del PG

    -akti fos: +4 alla vista e agli incantesimi psichici (2° turno)

    Bonus Spiriti Elementali:

    - Spirito principale: Vers
    Specie: Akhi
    Livello: IV
    Skills:
    I Livello
    Dominus corallii. [non necessita del tiro del dado]
    Tutti gli incantesimi di Corallo ottengono +2 ai tiri per colpire.

    II Livello
    Unione. [non necessita del tiro del dado]
    Gli incantesimi in combo del mago ottengono un bonus di +2.

    III Livello
    Coscienza universale [non necessita del tiro del dado]
    Lo spirito è in grado di mettersi in contatto con ogni altro spirito in un raggio di 15m. Può sapere cosa vede, sente e pensa in quel momento, arrivando così ad avere anche una vaga idea di quello che pensa il mago a cui è connesso.

    IV Livello
    Luminescenza [non necessita del tiro del dado]
    Lo spirito può emettere luce quando si trova al buio e richiamare una scintilla luminosa dagli spiriti a cui era connesso nel Caos Elementale. Se emessa vicino una manifestazione elementale di erba, questa guadagna resistenza. Se sono presenti altri Akhi che usano Luminescenza verranno attratti l'uno verso l'altro per dare inizio alla loro caratteristica danza, chiamata Almrija, che sblocca automaticamente Fioritura. L'Almrija può essere usata una volta ogni tre turni solo se sono presenti almeno 3 Akhi.
    Contenuto del sacchetto di velluto presente nella tasca destra:

    1) 2) Ematite Da un bonus di +3 ai tiri per colpire se stretta durante l'incantesimo (x2) UNA LA HA CEDUTA A JAMES APPENA è ARRIVATO
    3) Giada Se attivata riesce ad emettere un'aura in grado di potenziare gli incantesimi runici nel raggio di 2m (bonus +3).
    4) Lapislazzuli Il mago può vedere chiaramente attraverso questa pietra anche al buio se viene attivata.
    5) Opale Assorbe un incantesimo di magia nera se brandito davanti a sé. Può essere emesso contro l'avversario a proprio piacimento. Causa un malus di -3 agli incantesimi del turno.
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    Buongiorno!

    Prima di tutto grazie mille per il feedback e la sincerità, sono felice che tu l'abbia scritto perchè così nella quest per te e Lara cercherò di stare molto più attenta ai dettagli che mi hai fatto notare.

    Per quanto riguarda la turnazione di cui ho parlato con Pat ne terrò enormemente in considerazione durante la tua miniquest cosi che inizio a valutare una prima applicazione pratica, anche se ovviamente essendo solo due le problematiche a tal proposito si dovrebbero ridurre considerevolmente.

    Invece, parliamo approfonditamente dei dettagli che hai messo alla luce
    1) fatica: fino ad ora l'ho considerata solamente per giustificare condizioni in cui un incantesimo, o un'azione non superavano la cd che non è mai stata influenzata veramente dalla fatica. Dal momento che eravate tutti maghi esperti dire semplicemente che avevate sbagliato nella formulazione dell'incantesimo era paradossale, non sempre potevo utilizzare la giustificazione delle tempestiche veloci, o della presenza di distrazioni esterne. Dunque la fatica è sempre stata solo un aggettivo di contorno, questo perchè non è quantificabile per noi master, dipende veramente da troppi dettagli e ci troveremmo molto in difficoltà nella sua valutazione. Se anche ponessimo un limite massimo di incantesimi dopo il quale si entra in "fatica" e la cd degli incantesimi aumenta, ci troveremmo di fronte la situazione che i player sarebbero scoraggiati dall'usare gli incantesimi, cosa che personalmente preferirei evitare perchè lo scopo del gioco è quello e in più è genericamente noto nel mono di magia della Rowling che i maghi abusano enormemente delle loro capacità magiche anche a discapito del loro intelletto (ricorda il primo libro e la prova delle pozioni risolta da Hermione).
    2) Theresa è stata colpita da un fulmine ed effettivamente aveva dei malus fisici, ma faceva i propri incantesimi seduta nella cabina di pilotaggio. Per quanto riguarda gli incantesimi, essendo la sua mente pienamente in funzione (ho evitato tassativamente di darle danni mentali) gli incantesimi erano comunque possibili, in più ha utilizzato incantesimi della cui formulazione è ampiamente esperta. Theresa infatti tende ad utilizzare più o meno sempre gli stessi incantesimi in tutte le quest, ciò fa si che inevitabilmente la cd dopo un po' si abbassi, eppure durante questa quest non ho mai abbassato nessuna cd, proprio per evitare che vi fossero favoritismi.
    3) La partenza dell'aereo: alla fine della quest ho fatto partire l'aereo senza considerare alcuni malus per tre semplici motivi.
    - il motivo principale è che Logan era tramortito e Alexandr non poteva utilizzare la magia. Se non avessi fatto partire l'aereo Theresa e Logan non avrebbero avuto alcun motivo per non ucciderli entrambi e impossessarsi del secondo aereo. So che questa non è una giustificazione valida, perchè si deve sempre aderire alla credibilità e non impedirne il corso per evitare che dei pg muoiano, ma dal momento che il termine di una settimana era scaduto da due giorni abbondanti e i due agenti non erano riusciti ad impedire che il frammento venisse preso dai due ladri, ho preferito mettere un punto alla quest e far partire l'aereo, altrimenti sarebbe potuta continuare tranquillamente per un'altra settimana, molto oltre il limite che vi avevo tassativamente assegnato.
    Questa decisione sicuramente è infelice, oltre che impopolare, ma una volta superate le tempistiche occorre, a mio parere, che il master sia in grado di chiudere una quest.
    - Theresa è un'alchimista esperta e i suoi incantesimi sono sempre andati a segno, l'indebolimento alla struttura del muso dell'aereo non era cosi consistente a mio parere da impossibilitarne completamente la partenza
    - la tempesta di sabbia (cioè l'ostacolo maggiore) aveva esaurito i suoi tre turni (al quarto, cioè all'ultimo post di logan era ormai esaurita) e dunque non impediva più la partenza dell'aereo dei ladri, nè l'atterraggio del secondo aereo
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    «Then someone will say what is lost can never be saved
    Despite all my rage I am still just a rat in a cage
    Tell me I'm the only one, tell me there's no other one
    Jesus was an only son
    And I still believe that I cannot be saved»
    Nik
    24 anni
    Dreadwolf
    Non è che ci avesse mai pensato a fumare cocaina, ma qualcosa che interpretò come istinto di sopravvivenza gli suggeriva che non fosse proprio una mossa geniale. Tuttavia niente gli impediva di chiedere più informazioni se fossero tornati sull’argomento. A dimostrazione del fatto che non sempre lo spirito di sopravvivenza si accompagna alla decenza. Una qualità che non gli era mai davvero appartenuta, come dimostravano i panni sporchi ammonticchiati qui e lì, o la massa di lattine vuote di birra che si dividevano il ripiano della cucina con i piatti sporchi. In effetti a pensarci aveva gli stessi boxer da un po’. Magari era arrivato il momento di metterli al contrario, giusto per usarli per bene visto che non ce n’erano di puliti. Forse era arrivato il momento di approcciarsi alla lavatrice. O fare il mitico bagno di sapone. Se l’era inventato lui. Si riempiva la vasca da bagno di tutti i panni sporchi, si riempiva con acqua fredda e si aggiungeva detersivo. Poi con una cucchiarella, o una spatola, si girava un po’ e alla fine si lasciavano i vestiti in ammollo. Dopo qualche ora, che poteva anche diventare un giorno intero, i vestiti si strizzavano per bene e si stendevano. Molto meno problematico di una lavatrice e alla fine il principio era lo stesso. Magari appena gli fosse passata la botta della pigrizia da erba lo avrebbe fatto. Il problema era dover smettere di fumare almeno per qualche ora. Infattibile. Scacciò con gesto disinteressato la mosca con cui divideva l’appartamento da quando Isy se n’era andata. Quella convivenza funzionava solo se nessuno dei due dava fastidio all’altro. Intanto lo sconosciuto, Roy, era un tipo niente male, uno di quelli che hanno una dote naturale per la comicità. La cosa dell’acqua aveva scatenato una risata fragorosa, la battuta funzionava perché in fin dei conti acqua e vodka si somiglino e si presuppone che uno sano di mente avrebbe dovuto bere più l’una che l’altra e non il contrario. Abbastanza elementare perché persino lui, persino in quello stato semicatatonico, poteva afferrarla. Davvero divertente. Senza contare anche l’altra cosa, il fatto di babbonatale. Non aveva mai davvero collegato le due cose. Rimase per diversi secondi in estatica contemplazione del niente. Un po’ per via dell’erba che aveva lo strano effetto collaterale di farlo incantare sui granelli di polvere e un po’ perché cazzo era dannatamente vero. Lui e babbonatale avevano lo steso nome. Che scoperta grandiosa. Alla fine della lunga meditazione l’estasi di quella scoperta gli illuminò il volto. Si voltò lentamente per guardare in faccia Roy e annuire. «Diamine hai ragione. Ho il nome di Babbo Natale. Hey lo sapevi che era russo? Forse è per questo che i russi mi stanno naturalmente simpatici, chi lo sa». Scosse la testa ancora sconcertato da quella straordinaria scoperta, mentre allungava la mano per versarsi di nuovo da bere. Non centrò completamente il bicchiere, lasciando qualche piccolo lago di vodka a disposizione di eventuali formiche ubriacone. Ne giravano a bizzeffe da quelle parti. Uscivano da qualche buco, ma ancora non era riuscito a capire dove, aveva giusto il giorno prima tappato un buco con un calzino, ma dovevano essere riuscite a trovare un'altra via per entrare. In fin dei conti però la colonia di formiche non faceva altro che alimentare l’ecosistema animale che viveva già in casa sua. Accanto a letto, sulle mensole che aveva montato appositamente per Isy lei ci aveva messo tutte le scatoline con dentro i suoi scarabei. Mostri di Tharizdun a cui doveva dare da mangiare più spesso di quanto lui avesse i soldi per sfamare se stesso. «Mi chiamano quasi tutti Nik, però mi va proprio di farmi chiamare come Babbo Natale. Si, Klaus è perfetto da oggi sono solo Klaus». Gli sarebbe bastato informare il suo stretto giro di amicizie e fingere di non sentire quando lo avessero chiamato Nik e tempo qualche giorno il suo nuovo nome sarebbe stato Klaus. Prese la canna che il ragazzo gli aveva lasciato sul posacenere stracolmo. Prese una lunga boccata prima di scattare in un entusiasta «Ah si, le lasagne! Ho preso due forchette se hai fame». Avrebbe preso anche due piatti, ma ovviamente erano sporchi, niente di nuovo. La prima forchettata fu ovviamente un piacere. Il sugo era bello denso, di quelli che rimangono sul fuoco una giornata e mezza. Le melanzane morbide e il formaggio in mezzo filava ch’era una meraviglia. Il paradiso. Mandò giù un boccone generoso con una sorsata di vodka. Era il paradiso. Roy in quel momento era il suo migliore amico. «Non sono russo» bofonchiò amareggiato con la bocca già piena del secondo boccone. Non era proprio l’immagine dell’eleganza, ma almeno fece il buon gesto di sporgersi verso il tavolo così da non sporcare a terra. Doveva prendersi un cane, quelli presi randagi, con la fame nel dna, in grado di spazzolarsi qualsiasi briciola, o goccia di sugo. «I miei genitori affidatari erano di Berlino, mi hanno preso da un posto a Londra, diciamo, e portato in Germania. Però ho conosciuto un mucchio di russi a…non è che conosci Durmstrang, vero?». Il patto di segretezza era un affare complicato per chi come lui viveva in mezzo ai No-Mag. Uno poteva essere un semplice babbano fino a quando una distrazione non faceva capire che era un mago. Chiedere prima evitava un mucchio di equivoci inutili. «Cioè dico, ha senso per te questa parola, ci sei mai stato? Non che ti è solo familiare, ma devi anche sapere cos’è, se no poi non so se te lo devo spiegare»

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