Posts written by Joy.

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    Incantatore
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    Guardandolo sciogliersi nel bicchiere di scotch, Randall prova una certa invidia per quel cubetto di ghiaccio. Palpita, senza piangere, con gli occhi appena lucidi sotto le ciglia scurissime. Vorrebbe che anche per lui fosse così semplice risolversi, trovare quiete in un destino che l'oblivi di tutto. La pioggia scrosciante oltre la finestra della sua stanza sembra un incantesimo d'argento. La luce del lampadario di cristallo scintilla in ogni gocca che cade sulle tegole di ardesia. Quando piove il manor diventa un'orchestra di suoni in cui si perde. Benchè Randall non voglia, benchè in parte non ci creda, si sente solo. Il fastidio di quella solitudine gli scava gli occhi con vortici d'ansia. In lontananza le fronde degli alberi sono macchie scure agitate dal vento. Il gelo gli penetra nelle ossa, perchè si rende conto che l'unico epilogo non tragico di quella solitudine è di riuscire solo a scalfirla. Lo scotch ormai è completamente annacquato quando realizza due cose: nella solitudine può perdersi e nella solitudine può ritrovarsi. Lascia lo scotch sul sottobicchiere di pelle che Robert ha adagiato sul tavolino. I suoi passi rimbombano nel Manor come i rintocchi cupi di un pendolo. Quando sente la voce di Cameron s'irrigidisce, ma certo, è ovvio che ci sia. Quel viscido non vede l'ora di farli sentire in debito. Si avvicina silenziosamente, i suoi passi vengono attutiti dall'ampio tappeto persiano di velluto rosso. "King" esordisce con voce tonante e ferma. "Non ci vediamo da tempo" lo guarda negli occhi giusto un attimo, poi devia verso Persephone. "Ti assicuro che ho apprezzato ogni singolo istante". Si ferma solo quando le arriva di fronte. Poggia con delicatezza una mano sulla sua spalla e le accarezza una guancia con le labbra fino ad arrivare al lobo del suo orecchio. "Non ringraziare, ti fa sembrare debole" la sua voce è giusto un sussurro, ma esiste. Mentre si allontana la guarda negli occhi. Due pozze di cielo grigio. Si concede alla bottiglia di cristallo che si trova su un vassoio d'argento. Se ne versa due dita, questa volta senza ghiaccio. "Aspettiamo qualcun altro?" chiede distrattamente rivolgendosi ai due.


    Skills utilizzate
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    Bonus pg
    Wendigo (poi copio bene i bonus/malus)
    Skills sbloccate
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    Leah Hoover
    24
    stato di sangue
    occupazione
    stato economico
    confraternita
    «And I find it kind of funny. I find it kind of sad. The dreams in which I'm dying are the best I've ever had. I find it hard to tell you. I find it hard to take, when people run in circles it's a very, very Mad world, mad world, enlarging your world, mad world»

    Tutta la vita se l'è succhiata quella città di merda. Il peccato capitale della metropoli è l'ingordigia. Il desdierio viscerale di avere più di quanto gli spetti, la pretesa di strappare via dalle ossa anche la carne. La lussuria si confonde con i morsi della fame, il piacere non è altro che un modo per arrivare a Dio. Ma non è che un'illusione, il velo davanti lo specchio, la favoletta della buona notte. Cappuccetto rosso arriva dalla nonna e vissero tutti felici e contenti. Invece incontra il mostro dei suoi incubi. Non fidarti. Non fidarti di lui. E invece lei si fida. Non perchè sia ingenua. L'ingenuità è la faccia di una medaglia che nasconde il suo risvolto. Cappuccetto rosso vuole farsi ingannare. Prende una strada diversa, svolta l'angolo sbagliato. Non fidarti. E invece lei lo fa lo stesso. Sale i gradini di un vecchio motel. Il brusio dei led luminosi dell'insegna le rimbomba nelle orecchie. Sulla strada ha incontrato anche un suo vecchio amico. E' roba buona. Perchè no. Si sente galleggiare in un mare di colori densi, l'attraversano come fosse incorporea. Alla hall fa la smorfiosa con il ragazzo brufoloso che le passa la chiave. Si masturberà pensando a lei. Si allontana camminando traballante, sa che le sta guardando il culo quindi si prende tutto il tempo per raggiugere l'ascensore. Le prime volte il lupo cattivo la incontrava in luoghi di classe. Si toglieva i vestiti. E le diceva che facevano l'amore. Dopo un po' veniva. Quando avevano finito si fermava a volte a parlare. Le raccontava di lui. Le chiedeva se avesse bisogno di qualcosa. Faceva il tipo carino. Adesso è diverso. Quando entra nemmeno la guarda. Non fa in tempo a chiudere la porta che le infila le mani sotto i vestiti, per eccitarsi. Sente le sue dita sudaticcie strisciare come lumaconi tra le cosce, cercare di infilarsi sotto le mutandine fino a toccare la cavità umida che lo eccita tanto. Puzza di birra. Si è ubriacato di nuovo. Non sopporta l'idea di tradire sua moglie, così si ubriaca talmente tanto da non doversi ricordare di lei il giorno dopo. La fa sedere sul letto e si apre i pantaloni. La fibbia della cintura tintinna. Resta lì davanti a lei. Si masturba un po', con tutto quel'alcol in corpo fatica a farselo venire duro. Poi glielo ficca in bocca. Non sarebbe lo schifo che è se almeno stesse zitto. Ma lui deve parlare. Gli si ammoscia se non parla. "Ti piace, eh troia? E allora succhialo, cagna schifosa, prenditelo in gola, dai, che ti fa godere, stupida troia". Chissa che gusto c'è a dare della troia alla donna che ti sta facendo un pompino. Che senso ha? Lei lo sa benissimo di essere una troia. Ci sono molti modi per stare a galla. Leah ha scelto quello di succhiare il cazzo del capitano della polizia Holm. Quando se l'era svignata dal giro di Mallory aveva detto basta a quella merda, ma poi c'era cascata di nuovo. Almeno adesso non ha nessuno che le dice come fare il suo lavoro. Nessuno tranne il capo della polizia. Per un pompino ogni tanto se ne sta buono e non le da fastidio. Leah fissa dal basso la sua faccia di cazzo. Quando gode fa un'espressione da coglione. Gli uomini mostrano la loro vera natura quando godono, è il momento in cui sono più vulnerabili. Le basterebbe stringere i denti intorno al suo cazzo e tirare. La droga però le ha sciolto i muscoli, a malapena sta in piedi. Si ripete che prima o poi sarà tutto finito. Questo schifo di merda. Alla fine lui viene. Fa delle specie di ridicoli ruggiti e le riempie la bocca di sperma. Ha un gusto orrendo. Lo sputa subito dopo sulla moquette. Fa per pulirsi la bocca con il dorso della mano, ma lo stronzo le pianta la canna della pistola sul collo. E' gelida. "Che cazzo fai, troia? Hai sporcato tutta la moquette, ora chi pulisce? eh?". Leah lo manderebbe a fanculo se non fosse così ubriaco, controlla, la pistola non ha la sicura. "Tiri fuori il ferro perchè il cazzo non ti funziona?". Non sa perchè lo ha detto. Forse il motivo è lo stesso per cui non riesce ad uscire dal giro. Lui abbassa la pistola, ma ha gli occhi di un pazzo. La canna scivola lungo il collo, sul tessuto nero del vestito aderente, segue lo sterno fino allo stomaco. Il lupo cattivo sogghigna. Le afferra il collo con la mano libera. "Per una troia come te il cazzo non basta, dico bene?". La canna della pistola è gelida. Quando le entra dentro fa un male cane. Leah rimane immobile. Il colpo potrebbe partire da un momento all'altro. Si aggrappa alla vita con tutte le sue forze ed è in quel momento che la sente scorrere di nuovo, che tutta quella merda non sembra più una merda. Il suo appartamento schifoso. Le sue routine del cazzo. Il suo spazzolino da denti sopra il lavandino. Il capitano della polizia intanto se la ride, ha il potere e gli piace, gli piace fare lo stronzo e sapere di avere tutta la libertà di passarla liscia. "Godi, non è così? Si che ti fa godere". Quando finalmente la finisce e crolla nel letto Leah è ancora viva. Abbassa il vestito, il pizzo delle mutandine è umido forse ha sanguinato per quella cazzo di pistola. Si allontana trascinando i tacchi. Le cosce sono appiccicose, ma non ci bada. L'ascensore si apre con uno scampanellio allegro. Arrivata alla hall si accorge di tremare come una foglia. Tira fuori dalla borsetta il pacchetto di sigarette. Picchietta il fondo e ne fa saltare una. L'accendino scintilla, una due volte, poi si accende. Prende un respiro profondo, lo stomaco è attorcigliato, ma ha smesso di tremare. Il rossetto sporca il filtro bruno della sigaretta. Le si avvicina un tipo che la chiama signorina. Ha una faccia troppo allegra per essere uno che ha un occhio nero. Forse la sua è una di quelle storie in cui bisogna vedere com'è ridotto l'altro. Tutte quelle smancerie e quelle parole infilate una dietro l'altra la fanno sorridere piano, un sorriso senza gioia, che le muore sulle labbra con la malinconia con cui appassisce un petalo di rosa. Lo squadra attraverso una nuvola di fumo. Vuole scopare? Non sa se c'è ancora molto lì sotto da fottere. Forse dovrebbe farsi vedere da un dottore. L'idea di bere però le piace di più. E' per il modo in cui lui inclina la testa, sembra quasi la desideri. "Si" espira in un soffio. Eppure non si muove di un passo. Rimane immobile a fissarlo. I suoi occhi grandi come nocciole non lo abbandonano nemmeno un attimo, lo osserva assorta, quasi voglia affogarlo tra le striature di legno delle sue iridi scure. Vorrebbe carpire di lui quel qualcosa che ancora non afferra. E' come una scintilla di vita che scorge appena sul fondo del suo sguardo. Sente irrefrenabile l'impulso di afferrarla e schiacciarla tra le dita come farebbe con una lucciola, solo per assitere al momento in cui una stella muore. Ma non è solo vita. E' qualcosa di più profondo, qualcosa che fa parte di lui e del modo in cui si muove. Passione. Sfida. Interesse. Innocenza? Qualcosa di incorrotto. Puro. E' da lì che viene la scintilla. O forse è talmente fatta da vedere cose che non ci sono. Cose che magari desidera. "Chi sei" non ha l'inflessione di una domanda, ma è solo l'abitudine a non emettere suoni troppo acuti per paura d'infrangersi come un bicchiere.

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    Edited by Joy. - 5/10/2017, 22:30
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    Incantatore
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    L'aria all'esterno di quel porcile era quasi respirabile. L'olezzo di olio strafritto mescolato a quello speziato delle salse gli tormentava ancora le estremità del nervo olfattivo, abituato a ben altri odori. Il profumo ferroso del sangue, quello più tenero della carne, o la fragranza della pelle di Emma. Tuttavia l'aria pungente d'autunno allontanava piano ogni odore che non fosse quello secco delle foglie. Quelle folate rade dovevano arrivare da Central Parck. Dio, quanto gli mancava Manahttan. Se il moccioso ci avesse messo un secondo in più lo avrebbe lasciato cuocere nel suo brodo di bibite annacquate e menu a prezzo fisso. Quando percepì il proprio araldo agitarsi dentro di lui come un pesce rosso in una boccia, il compiacimento lo ripagò di quella sgradevole gita ai confini della civiltà. Ascoltò immobile le parole del ragazzo, piacevolmente sorpreso nello scoprire che l'arguzia della sua mente rispecchiasse i lineamenti acuti. Il caro Oscar Wilde sicuramente si riferiva a capricci più elevati quando parlava di "piaceri della carne", non di certo agli hamburger di MacDonald. Eppure la chiave d'interpretazione del ragazzo gli diceva qualcosa di importante di lui e cioè che non aveva assolutamente idea di cosa volesse davvero. Il suo era un impulso grezzo, ancora inesplorato, quel fast food era il primo passo di un anatroccolo appena uscito dal guscio. Lo osservò quasi con affetto, compativa la sua inesperienza che rendeva il suo mondo uno spazio piccolissimo, quasi asfissiante. Senza quel suo desiderio trasgressivo di libertà forse sarebbe morto soffocato dalla sua stessa vita. La storia del ragazzo iniziò a suscitare in lui un qualche tipo di placido interesse. "Chi sono io?". Randall lo squadrò accigliato, tutti si concentravano sempre su di lui. Era comprensibile, certo. Uno sconosciuto ti avvicina senza alcuna ragione apparente e ha la presunzione di sapere cose che nessun altro sa. Chi sarà mai? A lui piaceva conservare il suo alone di mistero. "Negli anni ho capito una cosa. Di tutte le parole di tutte le lingue che esistono, quella che ha maggiore importanza è colei che ci identificia. Certo, in molti individui appare già come una sfrontatezza che abbiano il coraggio di pronunciare la parola "io", figuriamoci il proprio nome. Per quanto mi riguarda sono solito farmi conoscere come l'Incantatore". Inclinò la testa verso il ragazzino in cenno di saluto. "La domanda, però, che dovrebbe interessarti è chi sei tu". Randall sogghignò diverito, quella situazione poteva essere potenzialmente interessante. "Chi mai arriva a New York e il suo primo desiderio è quello di mangiare? Chi ha una mente così piccola da vedere un mostro di ferro e cemento e non desidera dominarlo? Farlo proprio? Possederlo? Affondare le mani nella sua carne, sporcarsi del suo marciume, inseguirne la vita per le sue vene trafficate, salire sopra la sua schiena e cavalcare i suoi grattacieli?". Randall aveva allargato le braccia e fatto qualche passo indietro. La voce profonda e rauca si era sollevata come un'eco tra le pareti di roccia di una caverna. Quei porci che entravano e uscivano dal MacDonald lo guardavano straniti quasi divertiti da quello che credevano non fosse altro che uno spettacolino. Inetti. Idioti. Non avrebbero mai potuto capire. "Capisci l'ironia che si nasconde dietro tutto questo? Tu che credi di essere libero e invece sei ancora in catene" rise abbassando le braccia e avvicinandosi al ragazzo. "Non fraintendermi, ragazzo, noi tutti scontiamo una condanna a vita nelle segrete dell'Io. Eppure tu mi dai l'impressione di essere più imprigionato degli altri". Lentamente arrivò ad un passo da lui, lo fissava con avidità, quasi volesse affogarlo nelle pozze nere dei propri occhi.
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    L'aquila lo sfiorò appena. Eppure la sentì attraversarlo, librarsi tra le pieghe aride che gli arrochivano la gola e i rilevi rocciosi che gli annichilivano l'anima. Fu un volo rapido eppure bastò per consentire ad una sensazione di libertà e leggerezza di vibrare nei muscoli e poi dentro le viscere, fino al centro del petto. Percepì una presenza confortante avvolgersi intorno al suo cuore e prendervi posto come fosse il suo nido. Travolto da quell'esperienza non si rese conto che il buio era calato di nuovo intorno a lui. Le luci blu si accesero una dopo l'altra e rapidamente schiarirono l'oscurità tornando a mostrargli i contorni della stanza in cui era in piedi davanti a Cornelius. Indossava il teschio di tigre e fu in quel momento che lo riconobbe come l'essenza che lo aveva accolto nel buio. Era a torso nudo e dietro di lui lo specchio mostrava il suo tatuaggio a forma di tigre. Rimase in silenzio con la bocca sencca e il cuore in fibrillazione. Le parole dell'uomo lo inchiodarono al suolo cancellando la sensazione di leggerezza che l'aquila gli aveva donato. Lo seguì con lo sguardo uscire dalla stanza e chiudere la porta dietro di sè. Quando portò di nuovo gli occhi davanti a sè incorciò il proprio riflesso. Notò così le linee scure che si susseguivano sul suo petto. Disegnavano i contorni di un aquila in procinto di spiccare il volo. Le ali semiaperte si allungavano sul petto e le spalle, le piume più lunghe gli carezzavano il collo fin dietro l'orecchio. La testa ed il corpo si avvolgevano intorno al petto così che il cuore di Nikolaus si trovasse alla stessa altezza di quello dell'aquila. Il becco adunto sfiorava quasi l'ombelico, mentre gli artigli delle zampe erano artigliati tra le costole. Nik rimase a bocca aperta, ancora ammutolito. Incrociò l'unico occhio del rapace e per un istante ebbe l'impressione che ricambiasse il suo sguardo. Si posò una mano al petto. Senza ragione, solo per sentire il proprio cuore battere e con esso finse battesse anche quello del suo animale medicina. "Proverò ad esser all'altezza, te lo prometto". Afferrò di fretta la maglietta blu dalla sedia in cui l'aveva gettata e si affrettò a raggiungere Cornelius.


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    Il buio calò come una coltre di nebbia. "No! Aspetta!", allungò le mani, corse ostinatamente in avanti, ma prima che potesse fare nulla era di nuovo in un mondo buio. "Cornelius! Forza andiamo! C'era ancora... dovevo ancora...". La voce gli si affievolì sulle labbra. Si fermò, o almeno smise di tentare di avanzare. Il buio si stava illuminando di nuovo. Pian piano una luce fievole mostrò scaffali ricolmi di buste di patatine e paccottiglia alimentare di diverso genere. Si guardò intorno. Era in un minimarket. Le luci al neon erano quasi accecanti. Sentì il piagnucolio del cassiere. Nik si voltò. Intravide un ragazzo con la pistola in pugno. Immeditamente capì. Il cuore nel petto iniziò a battere furiosamente. Non appena scattò in avanti sentì le imprecazioni di Matt. Un fruscio d'aria. Uno sparo. Non di nuovo. Il ragazzo era in piedi, mentre Matt era a terra in un lago di sangue. Come allora Nik non si fermò a pensare, ma si avventò sul ragazzo. Cadde all'indietro contro le porte di vetro dei frigoriferi che andarono in frantumi. Gli immobilizzò le braccia sotto le ginocchia e iniziò a prenderlo a pungi. Ancora e ancora. Fin quando non lo vide sputare sangue. Si alzò di scatto. Non di nuovo. Si guardò le mani sporche e le nocche scorticate. Il ragazzo immobile tra surgelati e schegge di vetro. Quando lo assalì il terrore il buio calò di nuovo. E poi ancora. Era nel parco giochi ideato da Ryan, l'arena dove i suoi piccoli stupidi gladiatori si battevano per lui. Stava annegando. Isobelle si stava solo difendendo. Eppure la rabbia e la disperazione lo afferrarono con talmente tanta violenza che non desiderò altro che distruggere la causa di quel dolore, voleva smettere di soffrire. Poi l'esplosione. Buio di nuovo. Questa volta davanti a lui c'era Ardan. Solo, infreddolito come un ghiacciolo, cavalcioni sulla scala antincendio come un gatto. Ma sopratutto solo. Chiuso in un dolore che lo tormentava. Lo sentì provocarlo di nuovo. Dare ad Isobelle della ladra e della puttana. Esattamente come allora scattò per la rabbia e lo scaraventò sul bordo dell'inferriata, lo tenne in bilico tra la vita e la morte. Voleva svegliarlo, fargli sentire di nuovo il desiderio di vivere. Invece Ardan gli sgusciò via dalle mani e lo spinse di sotto, solo per riafferrarlo all'ultimo istante. Sentì la paura scuoterlo come una scarica elettrica. E poi ancora una volta una rabbia cieca. L'idiota quella notte si fece prendere a pugni senza muovere un dito e Nik lo rifece con ancora più gusto. Quel bastardo aveva pensato bene di abbandonarlo nel momento peggiore della sua vita. Eppure se lo meritava di rimanere solo. Quando arrivò di nuovo il buio sperò che tutto si fermasse, perchè sapeva cosa avrebbe visto. "Bene, molto divertente, lo scherzo è bello se dura poco, basta così". La coltre scura prese a schiarirsi. "Cornelius. Cazzo, non fare lo stronzo, ho detto basta!". L'acqua azzurra della vasca da bagno brillava davanti a lui riflettendo la luce della lampadina accesa. "Ho capito la lezione, sono un pezzo di merda, ho capito, lo giuro, tirami fuori!". Si alzò in piedi per andare nel salotto, la guardò dalla soglia del bagno. Si rifiutò di ascoltare ancora le sue parole, una vergogna bruciante lo assalì soffocandogli i polmoni. Ogni passo che faceva per avvicinarsi a lei lo spinse ad urlare. L'afferrò per il collo, voleva solamente alzarle il mento per costringerla a guardarlo, invece cominciò a stringere. Gridò ancora più forte e la presa si fece più stretta. Buio. Respirava affannosamente. Non voleva ricordare, non voleva pensarci, non voleva vederlo. La nausea l'assalì come un pugno diretto allo stomaco. Quando la luce tornò era di nuovo nella piccola radura dietro il masso. L'erba era rossa come fuoco e il cielo sulla schiena degli alberi d'argento aveva il colore del tramonto. Quel posto per qualche ragione ebbe il potere di rasserenarlo. Era di nuovo al sicuro, lì dove poteva essere un eroe al caldo di quei colori accoglienti. Quando una luce intensa vibrò in spire luminose fino al cielo Nik abbassò lo sguardo. Una luce bianca, fumosa, circondava il profilo di un'aquila enorme. Gli era capitato di vederne in passato, a Durmstrang, ma quella era completamente diversa. Non si trattava solamente delle sue dimensioni, ma anche della sensazione di fierezza che irradiava. Rimase a bocca aperta in silenzio, ancora più sbalordito non appena sentì la sua voce risuonargli tra i pensieri nonostante non accennasse ad aprire il becco. Sapeva semplicemente che era lei a parlargli. Le sue parole lo attraversarono come una folata d'aria calda, sentiva il suo cuore risponderle dalle cavità del suo petto. Eppure quella sensazione di fiducia che sentiva crescere dentro di lui si abbattè contro il disgusto che i ricordi avevano animato nella sua mente. "Io non so perchè me lo stai dicendo, forse ho salvato il tuo cucciolo e pensi che in qualche modo sia in grado di capire ciò che sei, ma fidati io non posso. Io ferisco chi amo, non sono in grado di proteggere la mia famiglia, non ho orgoglio, nè fierezza, nè libertà. Io non volo libero nel cielo e non cammino libero nemmeno sulla terra. Io mi detesto. Non sono la persona che credi".




    Edited by Joy. - 2/10/2017, 00:14
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    Fu un attimo. Percepì i propri movimenti scattanti, più rapidi di quanto fossero mai stati, ma soprattutto più precisi e potenti. La goffaggine con cui aveva combattuto tutta la vita d'improvviso era scomparsa a favore di un dominio totale. Era una sensazione rincuorante, lo consolò di mille paure e lo fece sentire per la prima volta sicuro di se stesso. Fu un attimo. Eppure bastò a farlo sentire diverso. Spietato e libero, ma anche controllato e preciso. Durò un solo istante, sentì il sangue come magma, ribollire e sprigionare energia che fibrillava nei suoi muscoli contratti. Fu un attimo. Poi, esattamente come aveva desiderato, sentì il serpente stretto nelle proprie mani. Il serpente si dimenava furioso, percepì come propria quella sensazione di disperazione e paura. L'aveva provata lui stesso decine di volte durante le lezioni di magia nera, quando si fermava anche un solo attimo a riflettere. Ricordò Ardan sanguinante steso per terra e la sensazione d'impotenza. La stessa che lo aveva afflitto mentre lo guardava allontanarsi dalla macchina. Allora aveva capito che il suo nuovo mondo, il mondo dei maghi neri, era confinato al di là dei margini della società, fuori dalle regole di morale e pietà. Se voleva proteggere chi amava doveva essere più spietato di tutti gli altri. Bastò uno scatto. Un movimento rapido delle mani. Le vertebre che collegavano la testa al resto del corpo schioccarono con un suono inquietante. Rimase in silenzio per un attimo. Il cadavere del serpente ancora stretto tra le mani. D'improvviso sentì un moto di nausea risalire lo stomaco. E ringraziò quella sensazione di ribrezzo. Uccidere non gli era piaciuto. Almeno non era ancora del tutto impazzito, il sangue nero non era arrivato a trasformare anche quella parte di lui. Lanciò il rettile tra i cespugli, qualche animale affamato sarebbe arrivato a spolparne la carcassa. Poi tornò indietro per recuperare l'uccellino e il suo nido. Cercò un ramo basso e concavo per rimettere il nido al suo posto. La mamma uccello forse avrebbe ritrovato il suo piccolo seguendo i suoi pigolii disperati. Non appena avesse trovato il punto perfetto avrebbe rimesso il nido a posto e una volta certo che fosse stabile ci avrebbe abbandonato il piccolo. "Stà tranquillo la tua mamma tornerà presto. Diventa grande e forte mi raccomando, altrimenti quando ti cresceranno le penne non riuscirai a tenertele addosso per molto". Una volta abbandonato si sarebbe diretto in direzione del mugolio che aveva sentito poco prima. "Hey capo" si riferiva a Cornelius, lo stomaco ancora gli tremava, non aveva voglia di rimanere da solo con i propri pensieri. "non sapevo che fossi un guardone, ti apposti anche al parco per guardare le coppiette che fanno le cose zozze?"


  7. .
    Quando sentì chiamare il suo nome quasi si diede una manata sulla faccia. Uno fa tanto per mantenere segreta la sua identità con degli sospetti sconosciuti che ecco arrivare qualcuno a spiattellare il tuo nome in giro. Quella cosa del mantenere un basso profilo che aveva promesso a sua madre gli stava riuscendo peggio del previsto. Era frustrante sopratutto perchè aveva preso la cosa sul serio e la situazione invece stava rapidamente sfuggendo dal suo controllo. Avrebbero dovuto andarsene e trovare uno spirito di un qualsiasi dannato elemento per Ariel, godersi il panorama e poi tornare dritti a casa. E invece no. Si voltò in direzione di Nicole facendole un arcigno cenno della testa. Ciò che c'era di positivo era che ora sapeva anche il nome di quel tizio. Theo. Che nome ridicolo. Ecco perchè aveva evitato di presentarsi subito. Gli faceva venire in mente un bambino in calzoncini celesti e un cappellino ridicolo con un grosso leccalecca in mano. Niente di particolarmente minaccioso. Seguì arrendevole Theo, o meglio non Theo, ma Ariel, che aveva avuto la brillante idea di acconsentire a fare un lavoretto per lui. Ovviamente non si riteneva coinvolto nell'accordo, eppure non si premurò di specificarlo, presto il vecchietto lo avrebbe scoperto da solo. Incrociò di nuovo le dita dietro la nuca e sollevò gli occhi verso il cielo, al i là delle creste degli alberi scuri. La linea frastagliata di fronde e fogliame incorniciava un mare luminoso di stelle. Alcune pulsavano altre invece erano piccolissime e immobili, puntine luminose come diamanti. Credette di riconoscere un paio di costellazioni, ma non poteva esserne certo dal momento che non era siucro che il chaos elementale si trovasse nello stesso quadrante cosmico della terra, o addirittura nella stessa dimensione. Doveva chiedere a Prosper. In ogni caso le stelle gli erano sempre piacute, a Durmstrang aveva fatto in tempo ad imparare un paio di cosette prima che lo cacciassero dal corso dal corso di astronomia perchè si era presentato ubriaco - lì per lì gli era sembrata una buona idea. Lo spettacolo che però attirò presto il suo sguardo fu quello delle stelle cadenti. Da lontano sembravano un po' come fuochi d'artificio, di quelli che salgono in cielo come un'unica stella e poi esplodono in milioni di scintille bianche che cadono giù come una fontana. Invece da lì sotto lo spettacolo era completamente diverso. Il bosco si era diradato e aperto in ampie radure, in lontananza c'era anche una scalata rocciosa che proseguiva lungo il fianco di una montagna. Da lì capì che in verità le stelle non stessero davvero precipitando. Era più come se volassero, però ad una velocità vertiginosa. Si fiondavano verso il suolo, alcune lo toccavano altre invece viravano progressivamente così da correre tra gli alberi in arabeschi che lasciavano dietro di sè scie luminose che avvolgevano tronchi, rami e arbusti. Insomma schizzavano da una parte all'altra come saette, due di loro si scontrarono e ci fu per un attimo un'esplosione di luce. Nik istintivamente si portò la mano davanti gli occhi, ma quando tornò a guardarle le stelle si erano già fiondate altrove. Sorrise, una smorfia obliqua, quasi intenerita dalla sensazione giocosa di libertà che trasmettevano quelle luci. La magia s'infranse quando Theo riprese a parlare. La notizia interessante era che quelle stelle erano spiriti appena nati. La notizia decisamente meno interessante era invece che volesse imprigionarle in delle ampolle. Col cavolo. Ad occhio e croce era una cosa sbagliata. Certo, non aveva il diritto di giudicare visti i suoi trascorsi, ma almeno uno straccio di moralità ce l'aveva e imprigionare degli spiriti indifesi non rientrava tra le cose accettabili. Rimase immobile con le mani dietro la nuca a guardare le luci sfrecciare qui e lì tra gli alberi, senza accennare nemmeno un attimo a prendere l'ampolla del caro vecchio Theo. D'altra parte Nicole sembrava piuttosto entusiasta di quella piccola missione fuori programma. Che fosse completamente svitata non c'erano dubbi. Lanciò un'occhiata a Theo per godersi la sua reazione, prima di tornare a fissare la ragazza. Come agente di telvendite non era male, sarebbero bastati una camicetta scollata per stuzzicare l'immaginazione dei clienti e un paio di occhiali per darle professionalità. Aveva, però, qualche dubbio riguardo il fatto che gli spiriti ci fossero cascati... magari qualcuno particolarmente idiota. "Vai Nicole, continua così, stai andando benissimo". Un po' di supporto non faceva male a nessuno. Si voltò a cercare Ariel e scoprire invece quale sarebbe stato il suo piano. Una volta adocchiata si sarebbe avvicinato, o magari l'avrebbe seguita. "Vuoi provare anche tu la tecnica di Niky, o hai in mente qualcosa che potrebbe funzionare davvero?".





    Skills utilizzate
    - Osserva lo sconosciuto
    Bonus pg
    Elemento principale: Fuoco
    Elementi Affini: Terra
    Spirito principale: Ignis (Ignis protegge un bersaglio che altrimenti sarebbe colpito dalle tue emissioni di fuoco)
    Spirito affine: Arkel (puoi attivare spendendo un'azione Vista crepuscolare: non risenti di malus sulla visibilità per condizioni di luce, vedi meglio al buio)
    La CD degli incantesimi della prima lezione del primo anno diminuisce di 2

    Skills sbloccate
    Manipolazione Semplice
    Requisiti: 18
    Il mago è in grado di muovere l'elemento a lui più affine. Questo tipo di manipolazione elementare consente di spostare minimamente:
    una manifestazione elementale in movimento [massimo 50cm]

    una manipolazione elementale statica [massimo 1m]
    Tale spostamento può avvenire in un'unica direzione, senza cambiare traiettoria. La CD sarà inferiore per gli elementi a cui il mago è affine [Fuoco + Terra].

    Appello Elementale (Arkel: Irrobustimento, Fossa)
    Requisiti: 20
    Durata: 1 Turno
    Il mago si appella al potere di un Cangiante precedentemente incontrato nel Caos Elementale per praticare l'Innesco. Non è necessario un patto. La CD sarà inferiore per gli elementi a cui il mago è affine [massimo 1+2]. Può essere usato solo a turni alterni, e la CD aumenterà progressivamente qualora si ricorresse troppe volte consecutive allo stesso spirito.

    Legame spiritico
    Requisiti: 22
    Durata: 3 turni
    L'utilizzatore accetta un patto con uno spirito elementale inferiore. Questo sarà legato all'utilizzatore fino allo scioglimento del patto che avviene dopo l'utilizzo delle sue abilità (a meno che non sia stato sbloccato Destino Comune). Fintanto che il legame è in corso, il mago potrà accedere agli incantesimi con requisito massimo di 26 del proprio elemento, pur se depotenziato. Una volta al di fuori del Caos Elementale, il mago potrà richiamare lo spirito per un nuovo patto. Può essere usato una volta ogni tre turni.

    Estinzione (aka "Piano coi bollori")
    Requisiti: 22
    L'utilizzatore è in grado di spegnere le fiamme. Ovviamente non è ancora un dio del fuoco, quindi saranno fiamme piccole.
    Ottimo per i dominatori più distratti.

    Fiato Ardente
    Requisiti: 26
    Il mago riesce a mutare l'aria emessa dalla bocca in un getto di fuoco. La gittata non è granché, serve una distanza ravvicinata per colpire il bersaglio, ma è quasi impossibile sbagliare mira.

    Palla di Fuoco
    Requisiti: 26
    L'utilizzatore accumula il fuoco generato dallo spirito, e lo scaglia come fosse un proiettile dalle mani, solo più grosso, appariscente, e... di fuoco. Non può controllarne la traiettoria una volta lanciato, il principio di base è che sia un colpo piuttosto rapido e con una precisa mira ad cazzum.
    Il termine "Palla" forse non è corretto. Più una "massa informe di fuoco", che già manipolare la forma è difficile, figurarsi per un dominatore del fuoco...ma era troppo lungo.[/color]

    Incenerire (aka "Tutto è polvere cenere")
    Requisiti: 26
    L'utilizzatore riduce letteralmente in cenere il bersaglio. Ovviamente con "bersaglio" non si intende assolutamente un essere umano.
    Avete presente quelle bellissime liane prodotte dal dominatore di erba? OPS. Quali liane?

    Vampata
    Requisiti: 28
    L'utilizzatore emette una potente scarica di energia dal corpo, grazie all'Innesco tale emissione si traduce in un'esplosione di fuoco che colpisce tutti i bersagli nel raggio di un metro con danni di entità variabile a seconda della distanza.

    Piromania
    Requisiti: 28
    Lo spirito innesca una serie di piccole scintille, l'utilizzatore le usa per generare un vero rogo, difficile da controllare, ma molto molto scenico.
    Inconveniente: potrebbe essere un po' faticoso fare tutto quel fuoco, motivo per cui le fiamme si formano nell'area circostante il mago stesso... ottima per scaldare l'ambiente. ("Non trovi faccia un po' caldo qui?" cit.)

    Parete di fuoco
    Requisiti: 30
    Il mago crea un muro di fuoco. Ogni turno è necessaria un'azione di mantenimento perché riesca a contenere le fiamme.

    Frenesia Incendiaria
    Requisiti: 30L
    L'utilizzatore scaglia da 2 a 4 palle di fuoco in altrettanti punti diversi che fungono come focolai, generando piccoli incendi.
    ... fate uscire prima donne e bambini e chiamate i pompieri. ("Amore, il bambino va a fuoco" "Per te solo il meglio, cara" cit.)

    Estinzione Migliorata
    Requisiti: 22
    Il mago è in grado di spegnere fiamme di dimensioni medie.

    Lingue di fuoco
    Requisiti: 24
    Il mago è in grado di generare lingue di fuoco che si allungano verso l'avversario. Il fuoco è sotto il suo pieno controllo.

    Fiamma Divina
    Requisiti: 28
    Il mago è in grado di generare fiamme bianche (temperatura che si aggira intorno i 1200°C). Visto il costo in termini di energia non possono essere più grandi di un proiettile.

    Fruste Infuocate
    Requisiti: 26
    Il mago riesce a creare una frusta composta dal suo elemento dell'estensione massima di 2,5m. Tale frusta seguirà i movimenti decisi dal mago in modo preciso, senza bisogno di competenza nell'uso di fruste.

    Conoscenza del creato [Livello 1]
    Requisiti: 28
    Il mago è in grado di sapere se il proprio elemento è in contatto con qualcosa entro 20m. La percezione è possibile solo con l'elemento a cui è più legato, più forte se in forma pura, quindi non ibridata e nello stato tipico. In tal modo è possibile "sentire" attraverso il proprio elemento, conoscere quindi la forma dell'oggetto (solo se fermo) o della persona, la sua temperatura, eventuali movimenti. Nella mente del mago apparirà come un'ombra. Questo tipo di percezione elementale risulta più difficile per i manipolatori di Fuoco, Fulmine e Aria. Mano a mano che il mago procede nello studio della magia elementale verrà potenziato questo incantesimo.
  8. .
    Probabilmente aveva sbagliato a valutare la situazione. Non che fosse una novità. Pensava che il grande spirito volesse impedirgli di intervenire. Insomma per la questione "legge del più forte" e quel resto di crudeli cazzate che giravano intorno alla realtà dei fatti: pesce grosso mangia pesce piccolo, e via dicendo. Lo shandrillà gli piaceva ogni secondo di più. "Scusa grande spirito". In quel momento un bagliore luminoso lo circondò. All'iniziò senti uno strano formicolio sottopelle, come i suoi muscoli sfrigolassero per la smania di scattare. D'improvviso era pieno di vita, consapevole di ogni partre del suo corpo come dopo una doccia fredda. Istintivamente sorrise, un sorriso obliquo, quasi ferino. "Non ho capito di cosa stai parlando, ma mi piace... e sai una cosa? Questo non mi servirà". Chiuse il coltellino a scatto e lo lasciò scivolare di nuovo nella tasca posteriore dei pantaloni. L'uggiolio di poco prima si fece risentire. Non aveva molto tempo, forse c'era un altro animale in difficoltà e questo voleva dire solo una cosa: un'altra imperdibile occasione di fare l'eroe. Lo faceva sentire così maledettamente bene, come se fosse in grado di reggere da solo tutto il peso del mondo, lo stesso che fino ad un attimo prima lo schiacciava. I sensi di colpa e tutte le stronzate che si era detto per impedirsi di lasciarsi andare in quel momento non valevano più niente. Il serpente era bello grosso. Lo vide sollevarsi, le squame verdi scricchiolarono le une sulle altre, mentre piegandosi portava la testa a cuneo quasi cinquanta centimetri da terra. Sibilò a fauci spalancate. La lingua guizzò in avanti e frustò l'aria. I canini erano lunghi e affilati. Sapeva di doverlo afferrare per il collo. L'immagine delle sue dita affondate nella pelle di Isobelle gli apparve davanti di nuovo. Istintivamente ringhiò, come se bastasse quello per scacciarne il ricordo. Scattò in avanti consapevole che l'adrenalina avrebbe cancellato ogni pensiero superflo. Combatti o fuggi. Se gli andava bene avrebbe ucciso un serpente a mani nude, se gli andava male sarebbe finalmente finito tutto quanto. Quella consapevolezza lo spinse in avanti con ancora più violenza. Allungò rapidamente le mani aperte per afferrargli la testa e il collo prima che scattasse per morderlo. Se ci fosse riuscito avrebbe stretto così forte da impedirgli di aprire le fauci. Non c'era ragione per cui l'uccellino dovesse vivere e il serpente morire. Lo sapeva, da qualche parte nella sua mente c'era quel pensiero. Tutto il resto del suo cranio era invaso invece dal desiderio bruciante di prevalere. Prevalere su quel serpente letale, prevalere su se stesso e sui suoi ricordi, e allo stesso tempo lasciarsi andare ad una sensazione di forza in cui poteva identificarsi senza doversi sentire un mostro.




    Edited by Joy. - 29/9/2017, 11:59
  9. .
    La scena che si era prospettato era più o meno simile a quella che si ritrovò davanti. Tranne per il fatto che l'uccellino era più indifeso di quanto si fosse immaginato e il serpente decisamente più grosso. Strisciava facendo guizzare la lingua in avanti minacciosame. Sapeva per un modivo a lui ignoto che i serpenti avevano le papille olfattive sulla lingua, così quello era il suo modo per capire dove si trovasse la preda. Il piccolo pennuto nel frattempo se ne stava tutto agitato e pigolante sul suo nido rovesciato, probabilmente caduto per una folata di vento, o forse c'era qualche pazzo in giro che si divertiva a mettere le cose sotto sopra. Un po' la storia della sua vita, solo che quel pazzo in genere era lui stesso. L'agitazione di poco prima si trasformò in gelida ostilità. Si decise ad intervenire prima ancora di pensarci. "Prenditela con qualcuno della tua taglia, stupido rettile". Fu quando fece il primo passo in avanti che sentì la voce dell'entità con il teschio di coiote. Gli rimbombava nelle orecchie come se ce lo avesse avuto di nuovo davanti, eppure quando si lanciò un'occhiata intorno non lo vide. Probabilmente lo stava guardando dall'alto della sua ciotola, da lì doveva sembrare piccolo come una formica, mentre si agitava per un uccellino qualsiasi. Salvato lui avrebbe lasciato digiuno il serpente che sarebbe andato ad ammazzare qualche altra preda, o sarebbe morto di fame. Era il cerchio della vita. Nik afferrava l'inutilità del suo gesto, quanto il fatto che in verità agisse spinto dal bisogno di riemdiare al male che aveva fatto. Salvare il piccolo uccellino in un posto dove c'era solamente lui era un modo come un altro per liberarsi di un peso. Dannazione se non gli era concesso fare l'eroe nemmeno nel suo personale spazio onirico dove altro avrebbe potuto farlo? Sarebbe stato un segreto tra lui e il pennuto e al diavolo il cerchio della vita e tutte le stronzate sull'equilibrio. "Oh grande spirito, mi ci pulisco il culo con l'essenza sanguinaria della natura. E per inciso non mi sarei fatto pestare da Noah Brody" pronunciò quel nome con un certo disgusto, "come un sacco di patate se veramente mi fregasse qualcosa del fatto che sono lo sfavorito. Chiamami pure illuso, ma il pennuto oggi vive, puoi scommetterci le tue treccine bianche". Avanzò deciso fino a posizionarsi a metà strada tra il serpente e l'uccellino. abbassò appena la schiena e tirò fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni il coltellino a scatto che gli aveva regalato sua madre. Con uno schiocco sfoderò la lama. Arricciò il naso e le sopracciglia per assumere un'espressione che sperava feroce. "Allora? Ti va di scoprire chi è il più veloce?" ghignò scoprendo i denti in un sorriso obliquo.


  10. .
    Cornelius gli aveva detto che si trattava di una specie di sogno... un viaggio onirico, ecco. Tuttavia per qualche ragione cominciò a sentirsi allarmato. Il fuoco non gli creava problemi, sapeva che se mai avesse avuto bisogno c'era Ignis al suo fianco. Una bella Estinzione e tutto si sarebbe spento in un attimo. In più in quel posto niente era come sembrava, così come aveva detto Cornelius "dove andrai gli elementi sono tutti e nessuno allo stesso tempo". Quel fuoco era anche acqua terra aria e tutto il resto. Ciò che lo agitava davvero era quel verso, acuto e stridulo. Sembrava una disperata richiesta di aiuto. Non parlava di certo la lingua degli uccelli, ma in quel momento sapeva che lo stesse chiamando. E poi il sibilo di poco prima non prometteva niente di buono. La scena che si aspettava di vedere mentre scendeva dalla roccia era quella di un piccolo uccellino caduto dal suo nido pronto per diventare il pasto di una biscia, o qualche altro dannatissimo rettile. Lui aveva metaforicamente perso il suo bambino, quello che si era convinto Isobelle stesse aspettando. Non voleva che mamma uccello tornando a casa trovasse le penne del suo piccolo sparse sull'erba e un pigolio in meno dentro il nido. Il vuoto si fece sentire di nuovo. Era come una palla di ghiaccio dentro lo stomaco che trascinava verso il basso tutti i suoi organi. Saltò con un balzo per atterrare nell'erba con un'artistica posa da supereroe. Persino spiderman aveva iniziato la sua carriera salvando un gattino. Probabilmente quello sarebbe stato il primo passo di un radioso futuro da... In quel posto era facile dimenticare. Scosse di nuovo la testa portandosi una mano alla fronte. L'uccellino. Salvare l'uccellino. Senza divagare. Era una lezione di criptozoologia, era quello che probabilmente andava fatto. Niente di più. Niente folli vaneggiamenti. Doveva solo portare a termine il suo compito. Tornò a guardare intorno a sè. Era atterrato lontan dalle fiamme del falò, scoppiettavano come se fossero state alimentate da legna poco secca. Eppure per un'assurda ragione si convinse che non era quello il motivo. Segretamente fingeva di avere un qualche tipo di contatto emotivo con il fuoco. Quando si arrabbiava immaginava di esplodere come un vulcano. Finse che il fuoco stesse scoppiettando per la sua agitazione. "Si esatto anche a me questa storia non piace per niente" mormorò a bassa voce, giusto per precauzione, onde evitare che chiunque fosse in ascolto pensasse che fosse uno psicopatico.Si diresse lentamente in direzione del cinguettio, stando ben attento a qualsiasi movimento strisciante. Se si trattava di una biscia non doveva farla spaventare per nessun motivo al mondo o zac gli avrebbe morso le palle. Uno dei suoi tre peggiori incubi. Forse però i Jeans lo avrebbero protetto, anche se non ne era completamente certo. Aveva visto dei boa in uno zoo e avevano dei canini niente male.


  11. .
    Arrivato sulla cima della roccia cercò una posizione stabile prima di sollevarsi in piedi. Gli era smebrata una roccia molto più bassa da terra, ma da lì riusciva a vedere praticamente tutta la radura dov'era precipitato, o atterrato... le dinamiche dell'arrivo in quel posto non gli erano del tutto chiare. In ogni caso era uno spettacolo. Più in là gli alberi si facevano sempre più fitti. Quella ressa di rami d'argento e foglie rosso fuoco riaccese dentro di lui lo scintillio di un impulso. Un atavico desiderio di esplorazione, lo stesso che aveva sacrificato per rimanere a New York. Lo aveva fatto prima per Isobelle, poi per sua madre, per dimostrare chissà a chi di essere cambiato. Eppure in quell'istante gli sembrò una grandissima stronzata. Perchè era ancora in quella città? Sentiva di averla consumata fin dentro il midollo, come un verme grassoccio rimasto intrappolato in una mela marcia e vuota. Si era lasciato imbrigliare. Respirò profondamente per riempire i polmoni di aria. La sensazione di calore che gli aveva dato il fiume si era rapidamente dissipata e nel vuoto che si portava dentro si stava annidando di nuovo il gelo. Sollevò gli occhi solo per scoprire che le bolle erano ancora lontane, non sarebbe riuscito a saltarvici sopra nemmeno se avesse spiccato il volo. Meglio così, non era poi un amante delle altezze. Stava ancora guardando le bolle sparire verso l'alto, quando lo attrasse un cinguettio curioso. Quel giorno c'erano in giro più uccelli di quanti ne avesse visti nell'ultimo periodo. La sua vita era diventata sobria come quella di un monaco ed in effetti la clausura e l'astinenza forzata iniziavano a farlo sentire più santo di quanto non fosse in realtà. Anche se Tharizdun probabilmente aveva una scala di valori differente dalla religione cristiana, anzi a pensarci bene non aveva proprio dei santi. Tuttavia dopo quello che aveva fatto ad Isobelle probabilmente era rientrato comunque tra i suoi discepoli migliori. Certo il sangue nero quella notte non lo aveva aiutato a controllare la rabbia. Grazie tante Tharizdun. Invece con la criptozoologia forse ci sarebbe riuscito. Se c'era qualcuno che ne sapeva di violento istinto animale quello era Cornelius. Andare da lui era stato praticamente una scelta obbligata. Aveva temporeggiato tutta l'estate. I suoi tentativi di controllarsi però erano diventati sempre più difficili. Era un po' come pretendere di tenere buona una tigre del bengala ogni giorno più affamata. Un'impresa dolorosa, oltre che fottutamente impossibile. Si scrollò di dosso quella sensazione di sconfitta per tornare a concentrarsi sul pigolio. Si guardò intorno in cerca della fonte di quel verso, doveva essere un uccello, poco ma sicuro, o una bestia mutante, decisamente meno probabile. Non appena fosse riuscito ad adocchiare l'animale che si lamentava, o almeno nel caso in cui fosse riuscito a capire da dove provenisse quel verso, si sarebbe calato di nuovo giù dalla roccia per raggiungerlo.


  12. .
    Aveva chiuso gli occhi, ma il fiume di lava brillava anche dietro le palpebre. L'aria di tanto in tanto si sollevava per portargli l'odore legnoso dei tronchi d'argento e quello più dolce del polline e delle foglie. La sensazione di fresco tiepido che gli carezzava la pelle lentamente iniziò a farsi più pesante. Sentiva l'aria calda e densa, carica di pioggia come prima di un temporale. Aprì gli occhi e alzò lo sguardo, ma il cielo era ancora terso. Il rosso si era fatto solo leggermente più scuro e i movimenti del vento mescolavano il colore come pennellate. Fu guardando il cielo che si accorse di piccolissimi pianeti rossi dai riflessi celesti e viola. Si muovevano lentamente. Nik li osservò con più attenzione, sembravano allontanarsi, dovevano fare milioni di chilometri ad una velocità tremenda. Quando uno di essi esplose in mille scintille si alzò in piedi tenendo la testa alta. Si avvicinò alle piccolissime stelle cadenti. Alargò il palmo e quando una di esse gli cadde al centro si rese conto che si trattava di una piccolissima gocca d'acqua dai riflessi colorati. Il sapone si muoveva sulla sua superficie dandogli quelle sfumature violacee. Nik alzò gli occhi dalla propria mano e tornò a guardare quelli che aveva confuso per pianeti. Erano bolle. Emergevano da un punto che non riusciva a definire, al di là dell'orizzonte, eppure se saliva su qualche roccia o albero poteva sperare di saltare su una di quelle più basse. Si guardò intorno e fu allora che si rese conto che c'era un grosso masso ricoperto di terra dietro di lui. Qualcuno doveva averlo messo sotto sopra, perchè altrimenti la terra sulla superficie non era spiegabile. Forse un gigante abitante di quei boschi. Gli alberi d'argento in effetti lo circondavano quasi completamente. Si allontanò dal fiume per raggiungere il masso, tentò di salirvici incastrando le dita tra le fessure della roccia. Il terreno sotto il polpastrelli e la superficie ruvida della pietra gli graffiavano la pelle, eppure continuò a salire. Il desiderio di arrivare in alto era più forte di qualsiasi altra cosa. Voleva salire su una di quelle bolle e cercare la fenice di poco prima. Si chiese se fossero state in grado di trattenere il suo peso senza esplodere. Per qualche ragione fino a quel momento non se n'era minimamente preoccupato. Se fosse saltato da quella altezza e la bolla fosse esplosa probabilmente avrebbe fatto un bel volo. Però, d'altro canto, poteva contare sul manto soffice di erba rossa. Magari cadendo non si sarebbe fatto poi così male. Una volta in cima avrebbe atteso la bolla più bassa e piegandosi sulle ginocchia avrebbe tentato di saltarci sopra.


  13. .
    ps, non mi sono soffermata molto su Charles (quasi per niente) perchè ancora non lo conosco, ma dammi tempo <3


    Peter Cunningham
    Medimago
    Sacred Heart
    Sposato
    40 anni
    confraternita
    «“Questa è la moderna medicina. Progressi che mantengono in vita persone che avrebbero dovuto morire tanto tempo fa, quando perdettero ciò che le rendeva persone. Ora il tuo lavoro è restare abbastanza sano così che quando qui arriva qualcuno che puoi davvero aiutare, non ti ritrovi tanto sballato da distrarti.”
    (Dr. Cox)»

    Era tutta la mattina che cercava di convincere la barista cicciona del quarto piano a preparargli un irish coffe. Il suo turno era finito da circa un'ora, quindi non c'era il rischio che mettesse le mani su qualche paziente, eppure insisteva a non aggiungere un po' di misero whiskey al suo dannatissimo caffe espresso. Erano le sette e mezzo di mattina e secondo lei era "troppo presto per cominciare a bere". Pam, la su citata barista cicciona, aveva la così detta sindrome della mamma. Sfortunatamente c'erano due dettagli che non prendeva in cosniderazione. Prima di tutto lei non era sua madre quindi non erano affaracci suoi. Secondo punto aveva appena terminato un lungo, estenuante, soporifero turno di notte quindi le sette e mezzo di mattina per lui erano un po' come le undici di sera. "Va a casa a dormire, Peter". E considerando anche che lui era più vecchio probabilmente di una trentina d'anni, Pam poteva benissimo andarsene al diavolo. "Dottor Cunningham". Il caffè ovviamente si stava freddando, mentre il suo umore finiva sempre più in basso nella sacala che va da "commetterò un omicidio" e "trovo il resto del mondo tollerabile". "E a casa l'altra sera ho finito il whiskey, mi rimane solo dello schifosissimo gin da discount, che ho preso per quelle serate speciali in cui sono tanto ubriaco che potrei mandare giù una tanica di benizina ed esercitarmi con il mio kit da mangiafuoco. Ora dammi quel dannato caffè, donna". Sulla faccia di Pam si disegnò un sorriso che sperò vivamente non fosse di compiacimento, ma piuttosto un tic nervoso. "Forza, ammettilo che sotto sotto ti piace stare in questo posto a lamentarti tutto il giorno, altrimenti non staremmo qui ogni mattina a fare questo teatrino". Il suo morale scese di una decina di tacche avvicinandosi pericolosamente al momento in cui il suo buon senso cedeva il posto all'istinto omicida. "Sentimi bene", Peter si sporse oltre il bancone, il suo sguardo da folle forse sarebbe stato abbastanza eloquente già da solo, eppure decise di continuare. "Noi facciamo questo teatrino ogni mattina perchè tu hai un evidente problema con il tuo spirito di autoconservazione. Quindi se non vuoi che ti apra come un maiale e venda tutti i tuoi organi al mercato nero, correggimi-questo-dannato-caffè". Sillabò le parole dell'ultima frase, ringhiandole una ad una. Era stata una pessima giornata, o meglio nottata. In altri momenti avrebbe tentato di contenersi, ma no, quella volta non ci riuscì. Pam assunse un'aria torva, quasi severa, sembrava una madre che sgridare il suo bambino. Tuttavia gli sfilò il bicchiere di carta dalle mani. "E va bene, dottor Cunningham, vuole rovinarsi il fegato? D'accordo, benissimo, faccia pure. Aspetti al tavolo perchè avere la sua faccia da psicopatico al bancone mi spaventa i clienti". Probabilmente voleva sputargli nel caffè. Poco male, l'importante era essere riuscito ad ottenere ciò che voleva. Si voltò per trovare il primo tavolino vuoto lontano dal resto del mondo, quando incrociò un essere umano che non odiava completamente. Si avvicinò e sprofondò sulla sedia senza troppi convenevoli. Lanciò un'occhiata alla cartella. "Oh hai la cartella del piccolo bugiardo. Se lui è caduto per le scale io sono una modella brasiliana con un bel paio di tette sode che vive in un attico di Miami, che beve Margaritas e sopratutto non deve avere il permesso della barista per farsi correggere un caffè".

    code by .isabella.

  14. .
    Cornelius gli aveva spiegato tutto. Eppure quando calò il buio lo colse una strana sensazione di disagio. L'oscurità era talmente profonda da sembrare densa. Abbassò gli occhi per guardarsi le mani, ma quello che vide fu solo un orizzonte nero, infinito, che si spandeva in ogni direzione, anche lì dove sapeva ci fosse il suo corpo. Non aveva mai sperimentato una sensazione così assoluta di buio. Percepì il proprio respiro accelerare e il cuore battere contro il petto. Si guardò intorno, o forse rimase fermo. Se ci fosse stato altro da guardare forse avrebbe capito che la testa gli girava. Era solo. Completamente e assolutamente solo. Non poteva ferire nessuno, sentiva il sollievo crescere insieme alla paura. Poi d'un tratto una scintilla rossa illuminò le sue dita protese. Corse nella sua direzione, ma non vi si avvicinò mai, rimase piuttosto alla stessa identica distanza. La scintilla diede vita ad una fiammella. Sembrava Ignis, eppure sapeva che non lo era. Poi altre scintille, una dopo l'altra, diedero vita ad altrettante fiamme azzurre, tutte intorno a lui. Nik girò su se stesso, seguendo il divampare di luce. Il cuore rallentò, ma quando si fermò l'entità che gli era apparsa davanti gli fece quasi venire un infarto. Era una figura alta e imponente, non solo per via del teschio di scaicallo e la criniera di capelli bianchi. Emanava un'aura di potenza trascendentale, qualcosa che andava al di là dei confini del suo corpo, che sembravano quasi illuminati di luce propria. Nik strinse i pugni abbassando le mani. "Chi sei?", la sua voce uscì attutita e flebile, un sospiro appena. Quando l'entità rispose, invece, le sue aprole gli rimbombarono nelle orecchie decine di volte, come se avessero attraversato un tubo lungo migliaia di chilometri. Sentì l'ansia crescere dentro di sè. Rivide le prprie mani strette. Isobelle. Scosse la testa. Aveva paura. "Non posso", dalle sue labbra uscì una voce tremante, che per la prima volta gli sembrò ridicola. Lo spirito protese una coppa e fu solo allora che la vide nelle sue mani. Era d'oro, riluceva anch'essa, ma di una luce di un giallo denso, sembrava quasi muoversi tra le sue mani, fluire in lenti mulinelli dalle mille sfumature, tutte diverse e mai uguali a se stesse. Nik si allungò immediatamente per guardare all'interno. Vide distese sterminate di un luogo straordinario. I prati e le chiome degli alberi erano rosse come il sole al tramonto e i fiumi nastri di lava di un arancione denso e luminoso, i tronchi affusolati erano dita d'argento protese verso un cielo che non poteva vedere. La luce del sole si rifletteva dovunque, rimbalzava da un angolo all'altro come se ogni fiore, ogni schiena d'avorio d'elefante e corna di mogano di cervo fossero specchi che arricchivano di colori caldi quel luogo. I bagliori si riflettevano anche fuori la ciotola d'oro, illuminando il buio. Quando l'entità parlò di nuovo Nik chiuse le labbra, eppure non riuscì ad alzare gli occhi da quella visione. "Shandrillà" ripetè estasiato. Era un nome senza senso, ma orecchiabile. Che lingua era? Voleva impararla. Prima che potesse chiedere la ciotola si avvicinò pericolosamente, la visione all'interno gli arrivò sul viso come acqua talmente ghiacciata da brucargli la pelle. Quando il bruciore fu tanto intenso da essere insopportabile sentì la prorpia voce gridare. La visione si agitò in un vortice di colori. Rosso, giallo, arancione, marrone, bianco. Tutto divenne un'unica tavolozza. Sentì il prorpio corpo rotolare scompostamente contro qualcosa di morbido e la sensazione di bruciore svanire. Quando finalmente tutto si fermò scoprì di essere disteso a pancia sotto sul prato che aveva visto da lontano nella ciotola d'oro. L'erba aveva un odore fresco di terra. Un venticello tiepido si alzò a sferzare gli steli d'erba brillanti come rubini. Un profumo cristallino d'acqua detonò nell'aria. Nik affondò le mani nel manto erboso. Una seconda onda di fuoco fece scintillare di nuovo il prato. L'aria gli sferzò i capelli e il viso con la delicatezza di una carezza. Tutto era fresco e caldo contemporaneamente. Quando fu in piedi si pulì gli steli d'erba incastrati tra el trame dei jeans. Il cielo si oscurò per un attimo e fu allora che alzò lo sguardo. Intravide un cielo arancione e decine di pianeti grandi e piccoli dalle sfumature, gialle, rosse, viola e blu. Tuttavia la cosa più traordinaria furono i raggi del sole che filtravano attraverso grandi ali incandescenti. La fenice gridò, aveva un verso aquilino, eppure estremamente musicale. Scomparve subito dopo con un solo battito d'ali. Quando abbassò gli occhi incrociò il ruscello di magma. Vi si avvicinò con lentezza convinto che il calore lo avrebbe ustionato anche a quella distanza. Invece l'aria rimase di quella sua temperatura fresca e tiepida allo stesso tempo. Sulle rive ustionate di ciottoli di carbone neri e bianchi, alcuni di essi incandescenti altri già polvere, si inginocchiò. Il carbone scricchiolò come neve sotto le suole dei suoi anfibi. Puntò le ginocchia aperte accanto al pelo del fiume di magma, ma ancora non si ustionò. Vi immerse lentamente le mani. Bolle gialle e incandescenti esplosero e sfrigolarono a contatto con la sua pelle. Il magma da rosso e arancio, divenne sempre più giallo e luminoso intorno ai suoi polsi. Il calore di quel fiume era piacevole. Chiuse le dita a coppa e le sollevò. Emersero stringendo una pozza di luce gialla dal cuore bianco. Senza una ragione particolare la bevve. Sapeva di doverlo fare e allo stesso tempo voleva farlo. Bevve dai polsi e un calore bruciante si diffuse dalla gola al torace, fino a spandersi nello stomaco e in tutto il dorso. Il freddo si allontanò dal suo cuore come minuscoli brividi atterriti, che risalirono le braccia e le gambe. Ebbe la sensazione di tremare, ebbe paura che le ginocchia cedessero. Tuttavia il calore lentamente si affievolì e allo stesso modo si espanse fino alla punta delle dita delle mani e dei piedi. Alla fine espirò come se finalmente si fosse sollevato un peso enorme dal suo petto. Dentro la testa non aveva più niente. Nessun pensiero vorticante, nessun tentativo faticoso di comprensione. Niente di niente. Una pace cristallina e senza memorie. Rimase in silenzio ad osservare il fiume senza fare assolutamente niente. Prese giusto una posizione più comoda, incrociando le gambe davanti a sè. Cornelius gli aveva detto di aspettare e lui avrebbe atteso lì, finalmente libero dalla fatica di farsi domande.


  15. .
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    Incantatore
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    Si trascinava. Composto, imperturbabile, stretto in un completo nero perfetto. Le ombre della città lo accomapgniavano silenziose, schiacciate contro i finachi dei palazzi e sui marciapiedi incrostati di polvere. Quella città sfatta era il fondo del barile, il marciume raschiato via da chi si scavava la fossa e ancora non sapeva di essere già morto. No-Mag inconsapevoli lo affiancavano durante i suoi vagabondaggi. Abbandonava di rado il rockefeller center e quando lo faceva era sempre per una buona ragione. Era come un richiamo. Sapeva che quel flebile sussurro che gli risuonava nelle orecchie era la voce del suo araldo. Il coltivatore. Colui che vede i figli di Tharizun e li riporta al padre. Quando aveva stretto il patto sperava di avere un ruolo diverso da quello di babysitter, a volte si sentiva il fattorino del suo circolo. Tuttavia ospitare uno dei cinque araldi maggiori era un onore, gli aveva permesso di entrare nell'elite della magia nera nonostante le sue origini. Elizabeth gli diceva di andarne fiero, era grazie a lui che le dinastie di maghi neri non si erano ancora estinte, se nuovi adepti potevano essere aggiunti a rimpolpare le file di adepti di Tharizdun. Così com'era stato il dio incatenato anche i discepoli che lui riuniva erano scarti. Tuttavia questa volta si trattava di qualcuno di diverso. Lo percepiva diverso. Questa volta dalla sua anima smembrata emerse qualcosa di simile ad un vago interesse, una scintila di curiosità, che era pur sempre qualcosa di diverso dal buio torbido in cui era precipitato dalal scomparsa di Emma. I suoi passi proseguirono fino ad un fetido quartiere. I No-Mag iniziavano a lanciargli strane occhiate e la sua fame di carne d'improvviso gli sfarfallò nello stomaco. Avrebbe spezzato qualche osso quel giorno, se lo sentiva fin dentro le viscere. Quando arrivò espirò pesantemnete. Il piccolo idiota era in una di quelle catene di fast food per pezzenti. Davanti a lui le porte a vetri scorrevoli si aprivano e chiudevano per far entrare e uscire folcloristica marmaglia. Sapeva che alla fine avrebbe ceduto, eppure per diversi lunghi minuti rimase immobile con una mano nella tasca a fissare quella fogna. Alla fine si portò le dita a massaggiarsi la radice del naso. "Perchè mi fai questo Tharizdun?". Eppure officiava ogni dannatissimo rito e ogni singola festività, con assoluta puntualità. Prese una profonda boccata d'aria, chiedendosi se fosse sufficiente a trattenere il respiro mentre era dentro quella topaia. Superò la soglia facendo spazio ad un ciccione che si ingozzava di pepite di pollo surgelate. Si guardò intorno cercando il piccolo ingrato per cui stava sacrificando la sterilità del suo cappotto. Probabilmente lo avrebbe fatto bruciare prima di entrare in casa. Le ombre aggrappate a ciascuno dei presenti non erano altro che pallidi demoni dall'aria grassoccia, manifestazione di basso livello. E alla fine lo vide. Seduto in uno di quei tavolini lerci e appiccicosi. Un ragazzo dall'aria nobile e un demone alle spalle di un brillante color onice. Sapeva che non era un tiro a salve, quel tipo doveva essere figlio di maghi neri a giudicare dalle dimensioni e dalla brillantezza della sua ombra. Il motivo per cui era in un lurido MacDonald gli era del tutto oscuro. Sistemò la giacca sui polsini della camicia e si avvicinò a passi lenti. Si sedette sullo sgabllino imbottito davanti a lui solevando appena la coda del cappotto. Quanto breve era in grado di farla per poter uscire da lì nel minor tempo possibile? Stava per poggiare le mani sul tavolino quando i suoi occhi incrociarono un balunginio untuoso. Optò per stringere le braccia al petto. Mollemente sollevò lo sguardo sul ragazzino. Aveva un viso sottile e gli occhi color ghiaccio. Un'aspetto quasi nobiliare, che non veniva sminuito dal viscidume che li circondava, anzi ne era illuminato. L'ombra dietro di lui lo osservò con occhi brillanti e un becco adunco. Era un aquila reale, nera come il fondo di un pozzo in una notte di luna piena. Irradiava energia come avrebbe fatto una vecchia stufa al cherosene. Bollente, ma poco funzionale. Era ancora un potenziale acerbo, Persephone avrebbe saputo plasmarlo. L'araldo sussurrò ancora. "Fammi indovinare. Sei qui per un solo nobile movito", gli rivolse un sorriso obliquo. "Il piacere sottile della trasgressione. In fondo ti capisco, la libertà non si assaggia quando sei privo di confini, ma quando sei dall'altra parte. E tu sei uno dei pochi amanti della libertà sopravvissuti a questa società. Una società che fa credere a tutti di essere libreri solo quando si fa ciò che piace" lanciò un'occhiata intorno a sè, sinceramente disgustato da quegli individui famelici e tristi intenti ad ingozzarsi come maiali. Tornò a guardare il ragazzo con uno sguardo quasi rattristato, "Ma in questo modo si diventa solo schiavi di un altro padrone. Questa non è la libertà che stai cercando, è solo un'altra gabbia" una gabbia di grassoni senza cervello, devoti ad uno stupido pagliaccio. Scosse la testa, "Dal momento che questo posto mi disgusta profondamente, me ne vado, se hai un po' di cervello mi verrai dietro, ti farò vedere cosa vuol dire essere veramente libero". Bene, era stato breve. Si alzò compostamente, facendo però attenzione a non sfiorare nessuna superficie onde evitare di contrarre qualsiasi tipo di patogeno condividessero gli avventori di quel luogo. Non aveva tempo per le chiacchiere, soprattutto se lo costringevano a rimanere lì, così prima che il ragazzo potesse ribattere fece un cenno della testa e si avviò in direzione della porta scorrevole.


    Edited by Joy. - 22/9/2017, 12:18
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