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    Una piccola lacrima, quasi invisibile al mondo esterno, percorse il viso di lei, indugiando un attimo sul mento prima di perdersi tra i ciuffi d'erba che le solleticavano i piedi scalzi. « Papà... » sussurrò, la mano avvicinandosi automaticamente al volto di Leonard, rappresentato in una strana versione di tronco d'albero. Abbassò gli occhi sorpresa al suono della risata del padre: il cerbiatto stava brucando l'erba sopra le sue radici. Fee non capì totalmente il perché ciò gli provocasse ilarità. Immaginò fosse per il piacevole fastidio nel percepirlo mangiare sui suoi "piedi", ma non poteva esserne certa e comunque in quel momento non le sembrava importante. Ciò che contava era sentire di nuovo quella risata. Dio, quanto le era mancata. Incerta, colmò la distanza già precedentemente accorciata tra il palmo della sua mano ed il tronco. Accarezzando la parte dell'albero che avrebbe dovuto rappresentare la sua guancia destra. Quando la chiamò Daisy gli occhi chiari le si riempirono di lacrime. Stava là con lacrime pronte a scendere ed un forte nodo in gola, ma nonostante ciò un sorriso solcava il suo volto. C'era qualcosa in quell'attimo che richiamava una strana sensazione. Si poteva percepire una serena nostalgia aleggiare in lei, mentre il sorriso continuava a persistere nel ricordare che solo suo padre la chiamava così. Le raccontava ogni volta che poteva che aveva insistito lui perchè lo ricevesse come secondo nome. Per lui le margherite erano davvero importanti.. tanto da volerci chiamare sua figlia. Sembrò non sentire il colpo di tosse provenire da casa, troppo concentrata sull'osservare suo padre. Era morto da quasi un anno, ma le sembrava passata un'eternità. « Mi manchi tanto sai » mormorò, continuando ad accarezzare quel volto così familiare e lontano al tempo stesso. Volse finalmente lo sguardo dall'albero quando il cerbiatto le si avvicinò. Spostò lo sguardo tra la creatura ed il tronco, non comprendendo appieno la situazione. Un brivido le corse lungo la spina dorsale non appena colse lo sguardo di Leonard. Ricordava perfettamente quel suo modo di guardarla. Così pieno di amore da farle sentire il cuore traboccante di gioia, come se nient'altro avesse importanza su quel pianeta. Non appena suo padre la informò che un'altra persona desiderava vederla, Fee capì. Era vissuta a contatto con pochissime persone fino al suo arrivo a New York e sapeva che poteva essere solo una persona. Il battito cardiaco subì un leggero aumento, dovuto all'emozione, mentre le mani corsero l'una verso l'altra, stringendole a tal punto da non sentire quasi più la circolazione del sangue scorrere. Notò lo scorrere dello sguardo di Leonard, fino a fermarsi in un punto dove poco distante Felicity sapeva esserci casa. « Va bene, vado. Tu però non sparire eh... » commentò, allungandosi per dare un bacio alla fronte del padre, anche se le sue labbra si posarono solo su duro legno « per favore » dopo un'ultima supplica di non sparire, rivolta al genitore, la bionda si voltò per ripercorrere la radura dove si era fermata poco prima. Solo dopo qualche passo però si fermo un attimo, voltandosi verso il cerbiatto. « Se ti va, mi farebbe piacere se mi accompagnassi » sorrise teneramente, certa che la creatura potesse comprenderla. Sperando che la seguisse percorse il breve tragitto nel bosco, decidendo di farlo camminando nonostante le ali fossero ancora libere di muoversi sulla sua schiena. Preferì camminare invece di volare, per perdere un attimo di tempo. Aveva un'immensa voglia di vedere sua madre, ma sentiva anche una stretta allo stomaco al pensiero di cosa invece poteva trovare una volta arrivata. Non appena giunse davanti alla porticina di legno si fermò un attimo, indugiando. Prese un profondo respiro, portando le braccia dietro al suo corpo e nascondendo le ali sottopelle. Se il cerbiatto fosse stato lì Fee gli avrebbe rivolto uno sguardo preoccupato, forse per tentare in qualche modo di essere rassicurata. Entrò, la tensione ben evidente sul suo intero fisico, teso e ansioso. Tensione che si dissolse non appena vide la donna, per far spazio però ad un totale senso di smarrimento. Ricordi di quando era molto piccola riaffiorarono nella sua mente. La mamma stava sempre a letto, aveva l'aria sofferente e lei non capiva perché. Batteva i piedini cercando spiegazioni dal padre, che però non arrivavano mai. Fee abbassò il capo, immersa nei suoi pensieri. Una lieve ruga di tristezza le solcava il volto, nascosto parzialmente dalla lunga chioma. Erano passati diciassette anni dalla morte di Talia, eppure per la ragazza era ancora una ferita non del tutto guarita. Rialzando lo sguardo, notò che la madre stava provando a tendere una mano verso di lei. « Arrivo mamma » per la seconda volta in poco tempo, sentì nuovamente gli occhi bagnarsi. Prese una piccola e deliziosa sedia di legno presente nella stanza e la portò ai margini del letto. Prima di sedersi però si allungò verso il genitore, dandole un tenero bacio sulla fronte e stringendo delicatamente la mano stanca fra le sue. « Da quanto tempo eh » Sorrise, lo sguardo appannato dalle lacrime che premevano di scivolare via libere.
    Felicity Daisy Johnson
    Empatica ○ 22 Anni ○ Mezza fata della terra ○ Scheda

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    Anche io me l'ero immaginato in quel modo in effetti ahahahahah
    Comunque certo che accetto l'ecoempatia *-*
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    Si guardò intorno, lo stupore ben evidente nei lineamenti del suo volto. Stava partecipando alla sua prima lezione in assoluto e non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo. Si era sempre immaginata gli insegnamenti come una schiera di banchi, un docente che parlava e tanti appunti da prendere. Invece, il professor Callaway aveva dato loro un ciondolo da indossare. Non appena Fee lo aveva fatto scorrere delicatamente intorno al collo si era sentita teletrasportare da qualche parte. Un luogo fatto interamente di specchi. Sembravano tanti corridoi più che una stanza grande, la creatura non riusciva a capirlo così bene. Comunque restare là immobile non l'avrebbe portata a nulla. Mosse i primi incerti passi. Subito, tutto sembrò mutare. Gli specchi sparirono come se non fossero mai stati là. Un rumore familiare l'avvolse prima ancora di percepire dove si trovasse. Seduta nella sedia di legno con incisa la scritta "Fee" dietro allo schienale, non poté non sentire il cinguettare degli uccellini. Una tiepida luce primaverile filtrava dalle finestre semi aperte, portando con sè un'aria fresca e gradevole. La ragazza sapeva perfettamente dove fosse. Impossibile non riconoscere casa sua dopo averci vissuto ventidue anni. Sorridendo con tenerezza osservò le ciotole poggiate sul tavolo del piccolo soggiorno. Nulla sembrava mutato. Oltre al cinguettio qualcosa si aggiunse a quel suono. Era acqua e Felicity non potè non alzarsi in piedi al solo sentirlo. Le ali, nascoste sottopelle, premevano di uscire come non mai. Quando si trovava a casa infatti, vivendo lontana dai NoMag, poteva tranquillamente lasciarle libere di muoversi. Uscì con passi brevi e rapidi dalla casina, lasciando la porta di legno aperta dietro di sè. Senza pensarci un attimo, andò a sedersi sul bordo del laghetto vicino casa. Si tolse le ballerine colorate che quel giorno aveva deciso di indossare, rimanendo scalza. Alzandosi i Jeans fino a metà polpaccio mise i piedi dentro l'acqua fresca. Sorridendo felice si sdraiò sull'erba soffice, lasciando comunque parte del corpo dentro il laghetto. L'idea di chiudere gli occhi e farsi un riposino le stava iniziando a passare per la mente, quando successe qualcosa di anomalo. Dal ciondolo che teneva al collo sembrò fluire qualcosa di luminoso, andandole dietro e sparendo momentaneamente dalla sua vista. « Ma cosa » mormorò alzando di poco il capo, quel tanto che bastava per riuscire ad osservare dietro di sè. Poco distante da lei un piccolo cerbiatto la stava fissando con quegli occhietti così dolci. Non era però un normale animale. La sua consistenza era luminosa e questo fece automaticamente aprire la bocca a Fee. « ...e tu chi sei? » chiese, non ottenendo però risposta. Anzi, il cerbiatto si voltò verso il bosco iniziando ad allontanarsi. « Ehi! Aspetta, per favore » la voce le uscì allarmata, mentre si alzava togliendo i piedi dall'acqua. Iniziò ad inseguirlo scalza, completamente dimenticatasi delle scarpe. Dapprima l'animale sembrò andare al troppo, ma non appena Fee tentò di raggiungerlo iniziò a correre. « No! » la ragazza aumentò il ritmo. Qualcosa le diceva che non doveva perderlo. Non poteva. Doveva capire perchè si trovasse lì e cosa stava succedendo. Si inoltrarono nel bosco, dando inizio ad uno strano inseguimento. Invece di raggiungerlo però Felicity sentiva come se si stesse allontanando. Cercando di evitare di perderlo, sentì premere di nuovo sottopelle le ali e quella volta le ascoltò. Indossando una cannottiera scollata sulla schiena riuscirono a liberarsi senza nessuna fatica. Con un piccolo balzo spiccò il volo. Una risata leggera le uscì dalle labbra, cosa che succedeva sempre ogni volta che si librava nell'aria. Con nuovo vigore tornò a seguirlo, l'aria che le sferzava le guance. Passarono solo qualche minuto prima che il cerbiatto decise di fermarsi all'improvviso. Talmente all'improvviso che Fee rischiò di finirgli addosso. Lo sorpassò a sinistra, scartandolo, fermandosi poco dopo. Poggiò piano le dita dei piedi sul manto di margherite. Voltò la chioma bionda verso l'animale, la fronte aggrottata. « Perché? » chiese, come se il cerbiatto potesse dargli una risposta solo guardandola. Si trovava in quella precisa radura... nel rifugio suo e dei suoi genitori. Non riuscì a pensare al perché quella creatura conoscesse un posto così prezioso a lei, distratta da un rumore. Al margine di quella piccola radura circolare stava un albero, un salice piangente per la precisione. Era sempre stato il suo preferito, per la forma così particolare in confronto agli altri. L'ampiezza del tronco era notevole e fin dal basso partiva un reticolo di rami, in cui Fee amava giocarci quando era piccola. Dietro le tante foglie, strette e allungate, la ragazza aveva sempre avuto l'impressione di potersi nascondere dal mondo. Ma adesso il suo sguardo non si muoveva da metà del tronco. Al centro infatti l'albero sembrava aver preso le sembianze del volto di una persona. « Ma... » riuscì solo a dire, in un mormorio confuso. In risposta un "ciao mia piccola daisy" Il cuore della ragazza smise di battere per un attimo. Quel volto era di suo padre. Del suo defunto padre.
    Felicity Daisy Johnson
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    lamya najwa cavendish

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    Il suo corpo oramai si poteva definire come solamente un involucro vuoto, una macchina da guerra senz'anima. Non riusciva a pensare a niente, l'unica cosa che doveva fare era distruggere Zoey Reeze, la persona a cui teneva e che aveva osato sfidarla, ferirla e che si era presa gioco di lei. Stava per caricare l'ennesimo pugno, quando percepì una presenza dietro di lei. Prima che potesse fare niente sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Boccheggiò alla ricerca di aria, il respiro affannato per via della lotta. Si guardò intorno, visibilmente spaesata. L'ambiente intorno a lei si era fatto nero con striature rosse e davanti a lei la bionda, che ancora sorrideva dietro una maschera di sangue. Un lieve gemito le uscì dalle labbra, osservandola. Cosa aveva fatto? Cosa le era preso? Aveva perso del tutto il controllo, dando spazio ad uno dei suoi demoni interiori che la perseguitavano fin da piccola. « Anche a me manca, sai? » Tenendo il resto del corpo immobile, voltò il capo quel tanto che bastava per vedere la figura che era riuscita a fermala, in piedi accanto a lei. Aveva lo sguardo basso, gli occhi nascosti dai riccioli scuri. Lamya però lo riconobbe subito: era Callaway, il suo insegnante. Colui che quella notte si era trovato inerme dentro la teca. Ricordava molto bene la sua espressione vuota, immerso in quello strano liquido. Un nuovo senso di colpa la invase. Dopotutto non era solo la rossa ad aver subito un trauma, ma tutti quelli presenti nell'istituto che ne erano usciti vivi. Invece di cercare di farsi forza insieme agli altri si era chiusa in se stessa, tra autocommiserazione ed alcool. Si accorse di piangere solo quando percepì qualcosa di umido e salato lungo le guance. Inerme, lasciò che l'insegnante le abbassasse le mani doloranti e sporche del sangue di Zoey. Tornò ad osservare per un attimo l'ex amica, rendendosi sempre più conto di ciò che aveva fatto. Il suo viso era quasi irriconoscibile dai tantissimi colpi che aveva ricevuto. Chinò la testa, provando una sensazione di tristezza ed umiliazione al tempo stesso. Ascoltò le sussurrate frasi di Callaway, riuscendo chiaramente a percepire il dolore che accompagnava le sue parole. « Balle, professore. Non mi tratti da stupida raccontandomi cazzate » il suo tono, al contrario di quello di lui, era forte e deciso « Mi ha ferita gravemente, voleva uccidermi. E stava facendo tutto lucidamente, glielo posso garantire » strinse i pugni abbandonati lungo i fianchi, gli occhi chiari fissi sul terreno sabbioso « non si possono guarire i pazzi, non prometta cose che sa che non potrà mantenere » sentì la rabbia tornare a crescere velocemente dentro di lei « Sa, forse loro hanno ragione. Forse... forse siamo noi ad essere dalla parte del torto » ma che stava dicendo? Puntò lo sguardo in quello dell'uomo, cercando di trasmettergli tutta la sua disperazione.


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    chiedo scusa per il post imbarazzante, ma devo scappare e.e
  4. .
    lamya najwa cavendish

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    Il vento africano soffiava tra le case di Khartum, caldo e soffocante. I capelli di Lamya, raccolti in una blanda treccia, si muovevano rapidi nella sua schiena, finendo di tanto in tanto sul suo volto scoperto. Non era abituata a sentire la tiepida brezza sul viso. In tutti gli anni che era stata lì il velo era stato una costante sempre presente nella vita della bambina. Con i suoi tratti sarebbe stata troppo strana in mezzo a quelle persone. O almeno così la pensava il suo tutore illegale. Le pallide braccia della ragazza, fasciate dal maglione, crollarono lungo i suoi fianchi. Aggrottò le sopracciglia, confusa dagli sguardi che il leopardo stava rivolgendo a lei e Nadim. Non avrebbe fatto del male a nessuno dei due, adesso lo sapeva. Piuttosto era come se volesse proteggerla. « Ma da cosa? » sussurrò, cercando di capire « O da chi? » possibile cercasse di metterla in guardia da l'unico uomo per cui provava qualcosa simile all'affetto? Ignorando il senso di colpa si voltò verso Nadim, stringendo i pugni dal nervoso. Lui la stava fissando con un espressione che riuscì a destabilizzarla. Non aveva mai scorto in quel volto così familiare qualcosa di anche vagamente simile. « Nadim » lo chiamò, facendo un passo in avanti. Proprio in quel momento la città sembrò riprendere vita e l'uomo sparì tra la marea di gente. Sentendo il cuore iniziare a batterle velocemente dall'agitazione, iniziò a farsi strada tra le persone con gomitate e spintoni. Quelle però sembravano impedirle in tutti i modi di arrivare al leopardo e a Nadim, che aveva momentaneamente perso di vista. I piedi della rossa si fermarono con brutalità, non appena scorse un volto tra la folla che si stava lentamente disperdendo. Non c'era più l'uomo che aveva considerato un padre per anni... al suo posto c'era « ... Zoey » il nome della ragazza uscì piano tra le labbra di Lamya, a tal punto che fu sicura che la bionda non l'avesse sentita. « Zoey » ripeté con forza, il tono di voce deciso. Strinse i pugni talmente tanto da far sanguinare i palmi delle mani con le unghie, affondate nella carne. Non appena la bionda si voltò Lamya scattò in avanti, correndo verso di lei. « Tu, stronza, aspetta » urlò, la nota di disperazione ben chiara nella sua voce. In quel caso furono in due a ringhiare. Il leopardo e Lamya stessa, che sentiva l'adrenalina scorrere lungo il corpo. Voleva raggiungerla. Voleva fermarla, parlarle, offenderla.. farle del male, se necessario.


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    lamya najwa cavendish

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    Gli occhi le si alzarono automaticamente al cielo che albeggiava, nel sentire la frase della bionda. « Certo che è la prima cosa che ho pensato, se mi fai prendere un accidente » borbottò poggiando la schiena al tronco, con le mani dentro le tasche del cappotto per evitare il rischio di ipotermia. Con il respiro tornato tranquillo, la fissò inespressiva quando lei le chiese se sapeva tenere un segreto. Annuì svogliata con un cenno del capo. In realtà quella ragazza, e il suo modo di fare, la incuriosiva e anche parecchio. Non voleva però mostrarsi interessata, così aveva messo su la sua classica faccia da "non me ne frega un cazzo di te. Ti ascolto solo perché non ho niente di meglio da fare". Zoey parlò di una trattativa finita male. Chissà in cosa si era cacciata quella. « Trattativa eh? Non oso immaginare di cosa e cosa hai combinato a quel poveretto » la schernì, trovandosi però d'accordo con lei. Lo aveva picchiato? Gli aveva scagliato contro un incantesimo? Beh avrebbe fatto bene, per avere rispetto uno doveva guadagnarselo. Anche a suon di costole incrinate. Quando la bionda tirò fuori una bottiglia, per la precisione vodka -la riconobbe subito-, Lamya ebbe diverse reazioni contrastanti. Ammirazione verso quella ragazzetta così tosta da contrabbandare e scolarsi una bottiglia di vodka a quell'ora; nausea alla vista dell'alcool dopo tutto quello che aveva già bevuto durante la notte e allo stesso tempo la gola le bruciò leggermente, segno evidente che aveva comunque voglia di altra vodka. Un sorrido di sincero ringraziamento le si disegnò sul volto, mentre allungava il braccio per prendere la bottiglia e mandar giù un lungo sorso. Sentì lo stomaco in fiamme, ma per lei era una delle sensazioni più piacevoli che potesse provare. « Ah ah » commentò, facendo un secondo giro di vodka « l'alcool non si rifiuta mai sweetie, neanche se può portarti malattie » scrollò le spalle, asciugandosi le labbra con la manica della giacca. Una vera e raffinata nobildonna, insomma. Passò la bottiglia alla bionda, iniziando a cercare qualcosa nella tasca. « Poi dimmi quanto ti devo dare per la bottiglia » tirò fuori un pacchetto di sigarette. Con lentezza dovuta alla sbornia ancora in corso nel suo corpo, si accese una sigaretta e allungò il pacchetto aperto verso Zoey, senza chiederle se fumasse. Per lei era scontato che tutti lo facessero. Aspettò che ne prendesse una o le dicesse di no e rimise l'involucro mezzo vuoto in tasca. « Devo già ricomparle » borbottò infastidita, parlando praticamente con se stessa. Fumava decisamente troppo. E non che le importasse del prezzo, fortunatamente era ricca, ma era una scocciatura dover sempre ricomprarle. Un giorno se ne sarebbe fatta spedire una scatola intera. « Eeee comunque » puntò lo sguardo negli occhi chiari di Zoey per un solo attimo, abbassandoli subito dopo verso terra « credo che dovrei chiederti scusa per come ho reagito a lezione, quando volevi curarmi. Non è stato il modo migliore per mostrarti ringraziamento, ecco » parlò velocemente, a disagio. Odiava chiedere scusa, era come ammettere di essere in torto. Dette un tiro di sigaretta scrollando le spalle, gli occhi fissi con ostinazione su un piccolo masso poco distante, evitando di incrociare il volto di lei.


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20 replies since 13/10/2014
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