Votes taken by •Lithium•

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    scheda | pensieve | cercasi
    shawhynes
    Felix Felicis | 24 y.o.
    Alice In Chains@Rotten Apple -
    I'm crawling back to start
    Dopo la sera del piano andato miseramente a puttane, al Felix era tornato tutto nella norma e ognuno dei suoi dipendenti aveva ripreso le sue postazioni. Le persone avevano ricominciato ad ignorarlo, più che altro ad evitarlo per non creare problemi inutili, e a lui andava più che bene così. Sia chiaro: delle rotture di palle che riceveva era solo la noia data da siparietti visti e rivisti ad infastidirlo, nient'altro. La nota positiva in tutta quella stonata melodia che era il suo lavoro risiedeva proprio nel rapporto che col tempo aveva maturato col grande capo, un rapporto che gli garantiva ore più o meno tranquille in un luogo ricolmo della peggiore feccia della città, sempre pronta ad attaccar briga anche per la più insulsa delle cazzate. E lui di cazzate ne aveva abbastanza. Per la testa aveva ben altro, partendo da sua madre fino ad arrivare a qualcosa che aveva attirato la sua attenzione proprio la notte del fattaccio: Ariel. Inizialmente aveva pensato di aver visto male, non poteva davvero essere lei perché certe coincidenze esistevano solo nei film o nei romanzi, ma uno sguardo più attento prima che la folla scemasse aveva confermato la sua identità. Durante quei giorni si era domandato cosa ci facesse a New York ma, più che altro, per quale motivo fosse arrivata proprio al Felix Felicis. Ovviamente il fatto che bazzicasse luoghi come quello non l'aveva sorpreso, considerando che a Londra il suo giro, almeno per la durata della sua relazione con Marcel, era stato lo stesso di Shaw. L'aveva conosciuta proprio grazie a Marcel, che spesso l'aveva portata a casa in occasione di festini o anche serate tranquille. O per scoparsela, e in quei casi Shaw preferiva uscirsene piuttosto che sorbirsi il loro piacere o peggio, la sua amica. Ma aveva imparato a conoscerla, ad accettarla e ad apprezzarla, finendo anche col parteggiare per lei quando l'amico aveva iniziato ad essere pressante. Tempi passati, periodi che Shaw pensava di aver lasciato a Londra insieme a tutte le sue conoscenze, ma evidentemente la realtà era ben diversa dal suo immaginario.

    Quell'anonima serata era trascorsa miracolosamente senza troppi intoppi, e alla fine Shaw era riuscito anche a farsi un bicchiere di birra in santa pace prima che l'ultimo cliente schiodasse il culo dalla sedia. Il vecchio Kurt, il più silenzioso figlio di buona donna che avesse mai conosciuto, aveva appena chiuso la porta dietro alle sue spalle ricurve e Shaw, in assenza di Cornelius, poteva chiudere baracca e burattini e tornarsene alla sua moto. Chiudeva sempre dando le spalle alla strada, lo sguardo sulle chiavi per trovare quella giusta, ma i sensi ben attenti all'ambiente circostante l'avevano già avvertito di una presenza dall'altro lato della strada. Girò un paio di volte la chiave nella toppa, infilò il mazzo nella tasca interna della giacca di pelle e tirò fuori la prima Camel Light della serata per farsi qualche boccata di fumo. Solo a quel punto si voltò e quello che vide lo sorprese meno del dovuto. Con un mezzo sorriso sollevato su un angolo di bocca, sorriso che difficilmente andava ad intaccare anche lo sguardo fermo, il ragazzo si incamminò verso di lei col casco sotto braccio.
    «Non si paga per entrare, dovresti saperlo.»
    Tirò dalla sigaretta e si fermò solo quando le fu davanti. La guardò dall'alto e ai suoi occhi apparve sempre la stessa, come se dall'ultima volta in cui l'aveva vista non fosse passato neanche un secondo. Si domandò come ci fosse finita lì, cosa facesse nella vita, quando avesse lasciato New York e cosa fosse accaduto a Marcel e alla cerchia di Shaw da quando lui aveva smesso anche di farsi sentire per la sicurezza di tutti, un anno prima. Ma alla fine puntò lo sguardo sulla bottiglia al suo fianco, aperta ma ancora quasi del tutto piena.
    «Ancora sobia? Progressoni.»
    Il tempo per parlare di cose importanti l'avrebbero trovato, più tardi. Si piegò sulle ginocchia per avere il volto sul suo stesso piano, poggiò il casco a terra e, con un gesto lento ma sicuro, portò una mano sul suo viso. Un gesto decisamente lontano dallo Shaw che tutti conoscevano, forse lontano anche da quello che Ariel stessa aveva conosciuto, perché sebbene fosse stata l'unica ragazza alla quale lui avesse mai concesso una parte di sé non si era mai avvicinato tanto, almeno non da sobrio. Ma non era propriamente un gesto d'affetto, quello sfiorare di pelle breve prima che tornasse in posizione eretta, quanto più una verifica di ciò che aveva davanti.
    Prese il pacchetto di sigarette e glielo aprì davanti in un muto invito a prenderne una, poi riprese il casco da terra.
    «Vieni con me.»

    © code created by jellyfish in blondieland


    Edited by •Lithium• - 27/5/2017, 11:59
  2. .
    Letto, cibo, bevande e maratona serie tv: il programma dei campioni. O delle campionesse, in questo caso. Da quando si erano conosciute, Joe e Lara avevano trovato più punti d'interesse comuni di quanti ne avessero immaginati agli albori. Dopo le lezioni, le camminate e le faticate in palestra o in giro per la confraternita, accadeva spesso che le ragazze si rintanassero nella stanza della più socialmentesfigata delle due per chiudersi davanti allo schermo del pc, sempre a caccia di nuove serie televisive da guardare e commentare insieme. Quella era la serata d'inaugurazione di Vikings.
    «Comunque lei...», disse di punto in bianco Joe, indicando lo schermo con l'unico dito libero della mano che reggeva il bicchiere, «... mi sfugge il nome ma va bene. Non c'è problema, vai così Joëlle! Dicevo... lei è molto cazzuta. Mi piace. Lui...»
    Cosa pensasse di lui restò un mistero, perché all'improvviso la ragazza si ammutolì. Fu una sensazione strana, all'inizio, un'intrusione mentale alla quale lasciò un'apertura per poter capire meglio quello che sembrava essere un messaggio. Era arrivato all'improvviso, come un sussurro di una persona invisibile ma dal timbro inconfondibile. Restò a guardare lo schermo, estraniandosi dai rumori provenienti dalle casse del pc per concentrarsi sul breve flusso di parole che le stava attraversando la mente. Il messaggio telepatico era leggermente confuso, quasi disturbato forse per via di un legame non ancora ben definito, ma il succo, ciò che d'importante Noah voleva che trapelasse dalle sue parole, era arrivato chiaro come il sole. Trascorsero una manciata di secondi, poi sollevò di scatto le spalle e si voltò verso Lara per essere certa di aver sentito bene. Le bastò uno sguardo per avere la certezza che Noah avesse trovato quello che stavano cercando e che sicuramente avrebbe avuto bisogno di loro, al Felix.
    «Molliamo Ragnarr.»
    Detto questo chiuse il laptop, afferrò una felpa da mettere sopra la tuta e insieme all'amica e agli animali medicina uscì di corsa dal dormitorio e dal Brakebills.

    Raggiungere il Felix fu semplice, così come trovare Noah affidandosi principalmente al fiuto. Quando fu certa di essere arrivata nei paraggi si allontanò da Lara per tentare di accerchiare il trio senza dare nell'occhio. Si mosse in silenzio per avvicinarsi e si tenne nascosta nell'ombra, cercando al contempo di affidarsi all'olfatto, uno dei suoi sensi più sviluppati, per tenere sotto controllo la situazione nella zona. Da quella posizione inziò anche a preparare l'evocazione di un'armatura, così da tenersi pronta per eventuali attacchi futuri.


    Scusate lo schifo ma almeno sono entrata.

    Potenziamenti Sensoriali PASSIVI:
    gusto:
    udito: +1
    olfatto: +1
    tatto:
    vista:
  3. .

    Shaw Hynes
    voice or outfit
    role song


    E
    ra chiaro: Ivashkov aveva preso la sua decisione.
    Shaw raddrizzò le spalle con una calma mortale, sostenendo lo sguardo consapevole del ragazzo che aveva davanti. Erano così uguali che non poté dire niente, totalmente privo del diritto suggerirgli che stava facendo una delle cazzate più grandi che potesse fare. A tutti spettava il diritto di scelta così come il diritto di poter utilizzare la propria testa. Ivashkov non era uno stupido, Shaw poteva leggerglielo negli occhi lì e in quel momento, ma in quel momento stava peccando d'incoscienza. Di fronte ad una faccia come quella, pronta a mettere in guardia sulla pericolosità di un ambiente nel quale lei stessa sguazza da sempre, rifiutare un suggerimento velato non era una mossa saggia. Non gli rispose, annuì semplicemente con la stessa lentezza con la quale iniziò a riempire un nuovo bicchiere da far scivolare lungo il bancone, in direzione dell'ennesimo ubriacone che aveva lasciato i suoi soldi sul legno prima ancora di parlare. Avrebbe risposto di lì a momenti offrendo a Tristan la strada che lui stesso si era tristemente scelto, e magari avrebbe tentato di nuovo a distoglierlo dai suoi desideri di autodistruzione, ma ci pensò la voce di Bates a mettere un marchio indelebile sul destino del ragazzo.
    La sala si ammutolì, il boss aveva fatto il suo ingresso. La paura portava gli uomini ad agire in maniera insolita, ma quel terrore era figlio di esperienze provate sulla pelle. E se la pelle non era la propria, era appartenuta senz'altro a qualcuno che un tempo aveva avuto la sfortuna di sedere su quelle sedie, accanto a chi adesso si vedeva bene dal proferire parola.
    Shaw sollevò appena il mento, un po' per far capire a Cornelius di averlo visto e sentito e un po' perché era abituato a farlo.
    «Sentirsi utili.», rispose senza troppi fronzoli.
    Aveva imparato a non essere diretto nemmeno quando il capo dei capi era nei paraggi. Era un vizio che si portava dietro già da Bristol, quando aveva iniziato a frequentare i primi giri loschi per alzare qualche soldo sotto la spinta di Wood. Era finito in un piccolo traffico, naturalmente ai tempi non aveva mai visto chi ci fosse dietro a quello smercio illegale, ma gli avevano sempre detto di non essere diretto neanche quando pensava di avere il culo coperto. "Tanto la gente giusta ti capisce, bello.", e così era sempre andata. Anche Cornelius avrebbe capito, e se quella ragazza non avesse deciso di giocare alla roulette russa sarebbe andato tutto a gonfie vele e lui stesso si sarebbe occupato di Ivashkov e della mora. E invece la situazione precipitò nel giro di un affronto e di uno schiaffo sonoro. Il silenzio carico di tensione era interrotto solo dal suono dei respiri della ragazza, delle sue parole mescolate a quelle di Cornelius e allo spostarsi di sedie di qualcuno che, vendendoci lungo, aveva deciso bene di levarsi dai piedi prima che finisse male. E sarebbe potuta finire davvero male, questo Shaw lo sapeva bene.
    Osservò tutta la scena da dietro al bancone, mantenendo quella maschera che per una vita intera l'aveva accompagnato senza mai tradirlo. Con tutta calma, riempì un bicchiere del liquore migliore che aveva riposto in un armadietto in particolare e lo posò sul bancone tenendolo con la mano. Gli occhi erano fissi in quelli del capo, profondi e più espressivi rispetto a tutto il resto del suo corpo.
    «Il migliore lo tengo sotto perché la gente di solito ci mette un po' a pagare, così si beve quello che decido io.», disse interrompendo anche la chiacchieratina iniziata da Tristan mentre avvicinava a Bates il bicchiere col liquore più buono, «Comunque la ragazza potrebbe essermi utile, adesso. Sam sta male, qualche volta mi tocca andare di sotto perché succedono bordelli e non ho ancora imparato a sdoppiarmi.»
    Prima ancora di salvezza per la donzella che, seppure paresse godere di quella situazione, aveva bisogno di essere salvata da una possibile morte. Chissà quali problemi avesse.
    Lo sguardo era sempre fisso in quello di Cornelius, come ogni volta che gli parlava. Specialmente quando si trattava del personale del Felix.
    «Lui lo conosco. Sarebbe da andare nel tuo ufficio per questo. Lei, intanto, potrebbe iniziare a fare la sua prova per vedere se il lavoro se lo merita e se è in grado di arrivare a fine serata.»
    role code by »ANNAH.BELLE« don't copy

    Scusate per lo schifo ma ho sonnissimo
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    Joëlle M.
    Come quando ci si sveglia da un sogno, i cinque animali eterei scomparvero lasciando il posto ad una porta. Bastava un battito di ciglia a modificare la realtà in certi casi, ma Joe si sentiva più sveglia che mai. Fece i tre passi che la separavano da quel passaggio ancora chiuso e, portando le dita sulla superficie liscia, aprì quel varco verso l'ignoto. La curiosità era sempre stata una sua caratteristica, fin da bambina non aveva mai provato timore nell'affrontare le novità che la vita le poneva davanti e sempre aveva affrontato le conseguenze a testa alta. Ma adesso era diverso perché non sentiva il cuore pompare rapidamente per la consapevolezza di star facendo qualcosa di proibito: galoppava perché sapeva di dover fare quel passo.
    Il buio la investì non appena la porta si chiuse alle sue spalle, lasciandola sola in un luogo sconosciuto nel quale non riusciva a vedere nulla. Ma gli occhi si abituarono presto e in pochi secondi riuscì a distinguere due particolari: un occhio di bue e...
    «Maman?»
    La sorpresa con la quale pronunciò quella parola in qualche modo sorprese anche lei. Fu un attimo, giusto il tempo di avere la certezza che quei lineamenti appartenessero proprio alla sua mamma, e gli occhi iniziarono a bruciarle. Era sorpresa di vederla lì, con quella veste burgundy ad attenderla davanti a quell'altare. Non la vedeva da anni ed era certa che lei non avesse mai smesso di cercare i suoi figli, che non si fosse data per vinta di fronte alla possibilità che fossero entrambi morti. Joe lo sapeva, era certa che lei li avrebbe accolti anche in quel modo, anche ora che erano diventati prede della loro stessa famiglia.
    «Sì, Joëlle, sono io. Avvicinati, per favore... non avere paura. Che cos'è la paura, Joëlle?»
    «La paura non è altro che una limitazione contro il giusto. O se non si oppone al giusto, combatte il reale in quanto tale.»
    Si avvicinò a sua madre con passi leggeri, recitando le parole con le quali lei e suo fratello erano stati condotti verso una strada segnata per diritto e dovere di nascita. Col tempo, lei aveva imparato a rivedere tutti quegli insegnamenti e a piegarli sotto un punto di vista differente, imparando davvero a tenerseli accanto perché ormai pregni d'un significato ben diverso. E la consolavano, a volte, facendola sentire vicina ad una famiglia che ormai aveva perso per sempre.
    «Hai imparato a scoprire il vero significato di quello che dici, sono molto fiera di te. Hai quasi finito questo viaggio, Joëlle, devi essere forte.»
    Passo dopo passo raggiunse l'altare, spostando quindi lo sguardo dal volto di sua madre - conservato ormai solo nelle sue fotografie - al lupo rosso al suo fianco. I loro sguardi si incrociarono, entrambi chiari e profondi.
    «A volte per accettare pienamente ciò che sei devi mettere un punto, devi lasciare un segno. Oggi, meravigliosa figlia, dovrai fare qualcosa che forse ti risulterà difficile ma che è inevitabile.»
    Ancora una volta, la ragazza corrugò le sopracciglia in un'espressione interrogativa. Spostò lo sguardo dal lupo a sua madre e poi tornò indietro, e notando tutto quel banchetto non poté che pensare al peggio. Sembrava il palcoscenico adatto per un sacrificio. La consapevolezza di questo arrivò prima ancora che sua madre potesse confermare la sua intuizione e, con lo sguardo sull'animale iniziò a scuotere appena il capo in segno di diniego.
    «No... no, non pos-»
    «Calmati, Joëlle. Certo che puoi. Giustiziando questa creatura non priverai nessuno di niente, ma arricchirai te stessa e ciò che ora hai davanti agli occhi. Servono sempre dei sacrifici per raggiungere qualcosa di più grande, questo te l'ho sempre insegnato e tu, ogni volta, ne sei stata ripagata. Sei pronta per farlo, ti manca solo il gradino più importante per arrivare. Puoi farcela, come sempre.»
    Il primo pensiero fu quello che la situazione era il perfetto esempio dei suoi incubi: un membro della sua famiglia che le chiedeva di uccidere quella parte di sé sbagliata, di levare di mezzo il lupo con le sue stesse mani. Ma quella che aveva davanti era sua madre. Si era sempre fidata del suo giudizio e della sua saggezza, e adesso più che mai aveva bisogno di aggrapparsi a ciò che stava vivendo. Di ascoltare, almeno per un'ultima volta, i consigli della donna che l'aveva tenuta in grembo e poi cresciuta. Doveva fidarsi di lei, affidarsi a lei, per quanto il solo pensiero di dover sacrificare quella creatura lì e ora la facesse soffrire. Guardò sua madre e annuì, poi si piegò sulle ginocchia per avvicinarsi al lupo. Lo guardò negli occhi e posò una mano sul suo capo per fargli una carezza.
    «Suppongo sia inevitabile...»
    Ma di certo lui, più che osservarla con quegli occhi meravigliosi, non avrebbe fatto. Joe non aveva armi ma era meglio così, ritenendo l'uso di qualcosa un vantaggio da vile, in un caso come quello. Allora gli mise le braccia attorno al collo, avvicinando il suo orecchio a quello del lupo e strizzando gli occhi per farsi forza. Contò a voce bassa e in francese.
    «Un... deux... trois...»
    Joe strinse la presa. Era forte, ma sapeva di dover essere veloce per ridurre al minimo la sofferenza della bestia.
    «Quatre... cinq... six... sept... huit... neuf... dix.»
    Al dieci si fermò. Le lacrime avevano bagnato il pelo dell'animale laddove i suoi occhi erano stati in contatto col manto. Quando lasciò la presa lo fece con delicatezza, adagiando il corpo esanime dell'animale sul pavimento per poi sollevare lo sguardo su sua madre.
    «Non è un addio, il vostro.»
    «L'ho comunque ucciso.»
    «L'hai fatto perché potesse nascere un legame indissolubile fra voi due. Ci sono dei sacrifici che per donare i loro frutti devono essere fatti, Joëlle. Adesso bevi questo.»
    La ragazza tolse la mano da sotto l'animale per prendere il calice che sua madre le stava porgendo. Osservò per un attimo il contenuto e poi bevve, ingoiando quel liquido che la fece pensare alle tisane alla lavanda che prima sua nonna e poi sua madre le preparavano sempre. Un sapore tremendamente familiare che l'aveva accompagnata per tutta la vita e che, ancora adesso, aveva il potere di tranquillizzarla e farle dormire sonni tranquilli. Prima ancora che Joe potesse dire alcunché, sua madre si inginocchiò accanto a lei, le liberò la mano da quel calice e la indirizzò verso il pelo del lupo sorridendole incoraggiante. Le dita si immersero in quel manto liscio e caldo, un po' come liscie e calde erano le foglie degli alberi rinate sotto il sole di primavera. Perché in fondo anche quella era una specie di rinascita.

    Skills sbloccate + Bonus licantropo


    Potenziamento Sensoriale Passivo - OLFATTO
    Requisiti: Partecipazione alla I lezione I anno
    Tipologia: Potenziamento
    Descrizione: Lo studente riceve un potenziamento di +1 ad un senso a sua scelta. Questo potenziamento rimane di BG
    Formula: //
    Movimento: //

    Potenziamento Olfattivo
    Requisiti: >26 I lezione I anno
    Tipologia: Potenziamento / Incantesimo
    Descrizione: L'incantesimo permette di potenziare il senso dell'olfatto. (+2 all'olfatto del pg durante la lezione)
    Formula: "Geruch"
    Movimento: Stringere la propria pietra catalizzatore fra le mani e portarla sotto il naso, inspirare rapidamente e pronunciare la formula. Se l'incantesimo funziona lo studente sentirà l'odore specifico della pietra, che dipende da studente a studente e sarà sempre la stessa. (3 turni)

    Potenziamento Visivo
    Requisiti: >26 I lezione I anno
    Tipologia: Potenziamento / Incantesimo
    Descrizione: L'incantesimo permette di potenziare il senso della vista. (+2 alla vista del pg durante la lezione)
    Formula: "Sehkra"
    Movimento: Stringere la propria pietra catalizzatore nella mano dominante e aprire il palmo davanti a sé pronunciare la formula e chiudere gli occhi. Se l'incantesimo funzona lo studente vedrà, con gli occhi chiusi, il colore specifico della pietra, che dipende da studente a studente e sarà sempre lo stesso. (3 turni)

    Abilità sensoriali: I lycan hanno sensi enormemente sviluppati rispetto agli esseri umani, persino più fini, in alcuni casi, di Vampiri e Wendigo. Hanno +5 alle prove di osservare/annusare/ascoltare/vedere in penombra/cercare tracce. Hanno inoltre, grazie al loro spirito animale, +4 ai tiri prontezza sui riflessi, dettati dall'istinto di sopravvivenza.
    - 23 - Licantropo - Ψ B Z
  5. .
    Bentornato Rooooss! Sono Ire, lo preciso perché con questo nickname boh, la bellaggente conosciuta ai tempi forse tende a dimenticarsi di me (...)
    Ok, la smetto. Bentornato again, sono tanto contenta di rivederti qua! E stavolta resta, CAPITOOOO?
  6. .

    Joëlle M.
    [...]
    Inutile nascondere la dolce sorpresa che le scaldò il cuore quando si ritrovò a muovere i primi passi nel folto della vegetazione. Agli occhi di una persona qualunque quel luogo sarebbe parso come un semplice sentiero in bezzo alla boscaglia, ma a Joe bastava inspirare quell'aria pulita, unita all'umidità che riusciva già percepire attraverso l'olfatto per capire di essere nei pressi di quello che era stato il suo nascondiglio per qualche mese. Quella era la Francia, la Provenza per essere più precisi. St-André-les-Alpes, da che ne aveva memoria, era il posto in cui avrebbe sempre voluto vivere a discapito di Parigi. Probabilmente perché lì ci trascorreva le vacanze e si sa, i luoghi di vacanza in quanto tali possiedono il privilegio di restare nel cuore, eppure era finito col diventare la sua prima ancora di salvataggio. Sua nonna era una persona saggia e aveva visto più di quanto non le avesse lasciato intendere prima di quel giorno, quando Joe e suo fratello avevano trovato asilo in quel nido caldo. Per arrivarci dalla civiltà bisognava percorrere La Ferraye e poi proseguire per un pezzo a piedi o in bicicletta, ma quella pace era di un valore inestimabile.
    Joe sapeva perfettamente di essere a metà strada. Attraverso gli alberi riusciva già a scorgere il luccichio del Lac de Castillon sul quale si affacciava la sua casa. Il silenzio assoluto era interrotto solo dalle gronde degli alberi mosse dal vento leggero che riusciva ad infilarsi fra le foglie fitte, dai piccoli animali che si aggiravano indisturbati, gli insetti che le ronzavano attorno. Quelli più silenziosi erano anche i più numerosi, visibili specialmente nelle zone in cui la luce riusciva a filtrare creando macchie illuminate nelle quali i moscerini danzavano secondo un moto confuso. Joe passò all'ombra, senza disturbare quella festa apparentemente priva di significato. Da piccola provava sempre ad arrampicarsi sugli alberi troppo grandi per lei, finendo con le ginocchia sbucciate e un broncio sul viso che la diceva lunga sulla sua voglia di smettere di provare, e così, alla fine, sua nonna le aveva costruito una specie di rampa con agganci da poggiare contro un albero proprio all'angolo della casa. Era ancora lì, solo che il legno era scrostato e presentava così tanti piccoli buchi da essere palesemente fragile. La faceva pensare al rapporto con la sua vita passata, ormai abbandonato a se stesso, quasi del tutto inesistente. Superò quel legame nostalgico e passò di fianco alla casa per raggiungere la rimessa sul lago. Fu costretta a calarsi fino a scendere sulla costa per poi arrampicarsi di nuovo e risalire, perché alcuni punti erano più praticabili rispetto ad altri e, sebbene avesse una scopa dalla sua, le sembrava giusto così: alla vecchia maniera. Si aggrappò alla ringhiera e si issò su quella specie di balconcino che dava sulla rimessa. Chissà se sua nonna era in casa, di sopra, o se invece quello che stava vivendo non fosse altro che una proiezioni nella quale non avrebbe incontrato nessuno. Il silenzio a volte poteva essere opprimente, specie quando la solitudine era accentuata dallo scricchiolare delle travi sotto i suoi piedi mentre camminava. Si voltò verso il lago, immoto solo se guardato in lontananza, perché sotto di sé la piccola barca che più volte li aveva condotti al centro del Lac de Castillon veniva accarezzata da piccole e delicate onde dolci. Inspirò a pieni polmoni quell'aria confortante di casa, mai dimenticata ma ormai troppo lontana, poi raggiunse la porta-finestra per entrare in quel casottino in cui erano conservati anche tutti gli attrezzi. Non era cambiata di una virgola, l'arrendamento completamente in legno aveva mantenuto le stesse postazioni. Il tavolo al centro della stanza con sopra un cesto di frutta e una bottiglia d'acqua in vetro, la credenza lunga e piena di oggetti dall'altra parte della stanza. Sulla destra c'era la stufa a legna con il coperchio circolare sollevato, il gancio per alzarlo poggiato al suo fianco e una cesta in vimini a terra per contenere la legna tagliata. Alle pareti c'erano i quadri dipinti da suo nonno e dal bisnonno, raffiguranti natura morta, paesaggi ma anche componenti della loro famiglia. C'era anche lei, sebbene piccola, ed era stata affissa dall'altra parte della finestra che dava sul lago per via della luce del tramonto, stando a quello che diceva suo nonno.
    La porta che conduceva all'altra stanza della rimessa, dalla quale si risaliva anche alla casa vera e propria, era aperta. Era là dentro che Joe era atterrata insieme a suo fratello con la materializzazione, e quando ne varcò la soglia non vide altro che buio. Quella zona possedeva un'unica finestra che ora aveva le imposte chiuse. C'era quell'odore di segatura ancora presente, così come quello di chiuso. Spostò le sguardo dal bancone da lavoro alle scale ripide che risalivano fino all'ennesima porta, ma per quanto avesse voglia di farsi un giro all'interno della casa preferì tornare indietro e mettersi seduta fuori, a terra, con la testa poggiata contro le sbarre che la dividevano dal lago. Si dimenticò della lezione di Criptozoologia, del fatto che la sua condizione non le permettesse di essere sincera nei confronti del mondo in cui viveva, e per un momento, una frazione di vita, si concesse di respirare come avrebbe voluto fare. Libera, scaldata dal sole, senza pensieri e con lo sguardo che non aveva bisogno di raggiungere l'altra parte della sponda perché era esattamente nella propria che voleva sentire di esistere. Era di nuovo a casa.
    - 23 - Licantropo - Ψ B Z


    Non ha magia bianca!
  7. .
    Niente raga... accettate il code senza foto perché quelle gif da semplice sono il male e non ho idea di cosa andare a cercare per trovare qualcosa di decente e coerente.

    Casa Everett, Montana
    Se c'era una cosa certa su Theresa Dixon era la sua capacità di rendere anche i pensieri della persona più casta del pianeta degni della più severa censura. Jeremiah aveva un'età in cui tenere a freno certi impulsi diventava molto difficile davanti ad atteggiamenti come quelli della ragazza, e lei sapeva perfettamente come attirarlo nella sua ragnatela di seduzione. Se non fosse stato così distratto, probabilmente si sarebbe sentito soggiogato... Ma stiamo parlando di Jeremiah, che per quanto potesse essere uno che con le donne sapeva il fatto suo restava sempre un po' salame.
    Guardò quel sorrisetto espendersi sulle sue labbra, indice di quanto stava aspettando che lui prendesse in mano la situazione.
    «Stai continuando...», le fece notare con una risata sulla bocca. Ma ci mise poco a scomparire quel verso, perché più la toccava, più la voglia di averla saliva esponenzialmente. E se lei si allontanava da lui, allora le mani andavano a stringere le sue gambe per strattonarla verso di sé e premersela contro. Le spostò dal suo corpo solo per permetterle di sfilargli la canotta e alla fine bastò quella domanda a mandare all'aria tutta la buona volontà di arrivarci con un minimo di calma. La guardò per un secondo, poi avvicinò la bocca a quella di Theresa forzandola in maniera forse un po' brusca a dischiudersi per lui. Ma chi li voleva i bacetti a fior di labbra? Lui di sicuro no...
    Con le mani se la premette contro, poi risalì fino al bordo della sua maglia per toglierla di mezzo, lasciandola così a diretto contatto con la propria pelle. Buttò l'indumento da qualche parte, le mani andarono ad esplorare quelle curve coperte dal pizzo mentre liberava la sua bocca dalla propria per scendere verso l'incavo del suo collo. Ma era ancora troppo poco, voleva di più.
    Ancorò le mani alle cosce di Theresa e si diede una spinta per scendere da quel mobile, ma solo affinché potesse girarsi verso di esso e stenderci sopra la ragazza, supina. Tempo una manciata di secondi ed era già a frizionarsi fra le sue gambe, con la bocca che scendeva lungo lo sterno per poi andare a prendersi cura di ciò che ancora era coperto... ormai solo per metà, dato che l'irruenza muoveva le cose. Una mano, poi, andò a slacciare la cinta e sbottonare i propri jeans per farli scivolare via insieme a tutte le scarpe, l'altra non ne voleva sapere di staccarsi dal corpo della ragazza. Stringeva, toccava, e alla fine si infilò sotto la sua schiena per sganciare i ferretti del reggiseno. Era sempre stato un problema sganciarlo con una mano, ma lui era un contadino e con le mani sapeva il fatto suo. I ferretti del reggiseno non li temeva mica.
    Aveva un corpo perfetto, Theresa, e le sue mani addosso, il suo respiro sul collo e i suoni che uscivano dalle sue labbra schiuse non facevano altro che aumentare quella tensione che sentiva premere. Le labbra scesero ancora, inarrestabili, perché niente e nessuno a quel punto l'avrebbe fermato.

    Niente e nessuno :')
    Scusa ma non le so scrivere queste cose facendo attenzione a non far diventare la scena pornazza...
    Jeremiah
    Everett
    Montana
    2006 circa
  8. .
    Non è proprio una cosa spinta però forse è bene avvisare che c'è del contatto fisico (?)

    Casa Everett, Montana
    I mesi estivi nel Montana potevano essere molto caldi e quel giorno si contavano trentasei gradi. Non erano affatto una passeggiata, specie se trascorsi sotto al sole senza avere neanche una goccia d'acqua da potersi versare addosso. Gli Everett erano scesi a Winston, lasciando Jacob in casa e Jeremiah fuori insieme alla sua amica. Paul, capito l'andazzo, aveva trascinato sua moglie alla fiera di quella domenica con la scusa di dover comprare cartucce.
    «Però hey, cowboy, usa la testa.», gli aveva detto da uomo a uomo prima di caricare l'unica donna di famiglia sul pickup e imboccare la strada per la civiltà.
    Ma tornando al caldo, il ragazzo non aveva la minima intenzione di sudarsi l'anima sotto lo scoppio del sole. Preferiva sicuramente farlo in altri modi. Theresa era la ragazza che frequentava ormai da un annetto circa, Wampus come lui ma più piccola. Più piccola solo d'età, perché quanto a fisico aveva già sviluppato pienamente tutte quelle forme che un ragazzo nel pieno della sua maturazione - per essere eleganti - non riusciva a non guardare, e Jeremiah era caduto con tutte e due i piedi in quella trappola di seduzione piazzata davanti a lui dalla ragazza stessa. Apprezzava il suo modo di camminare, di muoversi, di esibirsi davanti a lui senza provare vergogna, e lui poteva sentirsi libero di prenderla e fare di lei più o meno ciò che più preferiva. E più lui prendeva in mano la situazione, più lei ne usciva soddisfatta.
    L'aveva portata nel fienile e si era seduto comodo su un mobile adagiato contro una delle balle di fieno, da vero uomo di campagna, e adesso la guardava aggirarsi forse fintamente curiosa fra briglie e balle accatastate. Probabilmente lei lo faceva di proposito a camminare in quel modo, ondeggiando i fianchi sotto un seno messo in risalto e lanciandogli di tanto in tanto occhiate trasversali fra una parola e l'altra. Stavano parlando di cavalli, cavalli, ma Jeremiah in testa aveva già ben altro. Quando gli passò davanti, lenta e dannatamente sexy, lui l'afferrò per un polso e la strattonò sopra di sé.
    «Ma mi spieghi perché adesso parli così tanto? Io non ho voglia di parlare...», iniziò premendosela addosso e facendo scivolare lo sguardo dalle sue labbra a zone più formose, per così dire. Era un ragazzo, dopotutto... «Magari dopo ma adesso...»
    Risalì con una mano fino alla sua canottiera e iniziò a sollevarla. Voleva vederla davanti a sé coperta solo da quell'intimo accuratamente scelto affinché potesse mandarlo un po' fuori di testa prima di farlo sparire del tutto. Perché alla ragazza piaceva leggergli il desiderio nello sguardo, J l'aveva capito e questo lo eccitava maggiormente. Strinse la presa sulla sua coscia semi-nuda, spostandola verso l'esterno in modo che potesse mettersi a cavalcioni su di lui. Era già piuttosto grosso, e le sue mani ricoprivano la maggior parte della pelle della ragazza senza dover ricorrere a chissà quali grandi manovre. La bocca si spostò lungo la sua mandibola fino a raggiungere le labbra di Theresa, contro le quali parlò con un'evidente quanto imbarazzante brama. Ci metteva così poco ad andare su di giri che sì, poteva essere davvero imbarazzante.
    «Adesso ti voglio.»
    Prima o poi avrò il tempo per fare delle gif decenti e scrivere qualcosa di leggibile, lo prometto :')
    Jeremiah
    Everett
    Montana
    2006 circa
  9. .
    Shaw Hynes
    Tamarro | Studente | Felix Felicis
    Il cellulare vibrò nella tasca posteriore dei pantaloni di Shaw nel momento in cui Curtis iniziò ad avvicinarsi ad Ayumu, costringendolo in un primo momento ad ignorare quella notifica. Avrebbe voluto spezzargli il braccio e farglielo ingoiare, perché i tipi come lui li aveva sempre odiati. Specialmente ora che Curtis aveva iniziato a trattare Ayumu come la prostituta che pensava fosse, gli avrebbe spaccato volentieri quel muso del cazzo che aveva. Ma fu la giapponese a rispondere, prendendo in mano la situazione senza che questa prendesse un risvolto decisamente peggiore. Shaw non poteva rischiare di mostrarsi per quello che era realmente, di certo non al Felix e specialmente non in quel momento, o avrebbe rischiato di mettere tutti nella merda più di quanto non lo fossero già. Guardò Ayumu, cercando di capire cosa le passasse per la testa, ma a quel punto era impossibile provare a tenere sotto controllo una situazione che aveva perso completamente la rotta prestabilita. L'unica certezza era la fiducia nelle loro abilità e solo su quelle, unite a un po' di furbizia, avrebbero avuto qualche possibilità di tirarsi fuori da quel pantano di merda improvviso. Si era già ritrovato in situazioni - per così dire - spinose con la Kurosaki e conosceva abbastanza bene le sue potenzialità da lasciare che conducesse da sola un gioco nel quale era stata infilata per un caso sfortunato.
    «Cameriere. Servici da bere. Il miglior whiskey che hai e non farci aspettare troppo, non vorrai che mi spazientisca, vero? Com'è che si dice? Il cliente ha sempre ragione?»
    Spostò gli occhi su Curtis e si portò dietro al bancone senza fretta, giusto per farlo aspettare tanto quanto qualsiasi altro cliente in quella bettola.
    Ragione un par di cazzi.
    Ma doveva mantenere la calma, ingoiare il boccone ed evitare di creare ulteriori problemi. Considerando che a quell'ora l'incontro doveva quasi essere terminato e Dulcinea non si era ancora fatta vedere, per le cazzate in nome del suo orgoglio non c'era spazio e ci mancava solo una rissa con uno dei mercenari di Cornelius...
    «Mai fatto il cameriere. Per la grana poi te la vedi direttamente con Bates.»
    Prese una bottiglia di whiskey e due bicchieri e piazzò il tutto davanti ai due.
    «Godetevelo.»
    Il suo compito di cameriere, come l'aveva chiamato quel coglione, poteva dirsi concluso. Shaw tirò fuori il telefono e lesse il messaggio direttamente dall'anteprima, facendo in modo che solo lui potesse scorgere le lettere sul display.
    "Amico, scendi immediatamente di sotto. Credo ci sia una di quelle stronze delle celle."
    Sbloccò il telefono e lo bloccò di nuovo per far sparire il messaggio. Doveva far tornare Leah a sbrigare il suo lavoro in sala, dato che Ezra si era ovviamente rivelato essere la persona meno appropriata a svolgere mansioni elementari come servire alcol. Fu mentre si girava verso la porta che conduceva allo scantinato che vide Dulcinea in compagnia di Wyatt, diretti entrambi verso il retro del locale. Aveva perso di vista i due gorilla che accompagnavano ovunque il viscidone, ma era certo che fuori ci fosse Justin mentre nello scantinato Tristan era ancora da solo. C'era Miguel, ovvio, ma da che parte sarebbe stato? E di chi altri potevano fidarsi?
    «Se te la devi scopare fallo sul retro.»
    Se Justin, Ayumu e Dulcinea si fossero ritrovati tutti insieme avrebbero avuto senza dubbio maggiori probabilità di eliminare le loro minacce. Da soli potevano essere deboli, forse, ma in gruppo avevano sempre una marcia in più.
    A quel punto Shaw uscì dal bancone per imboccare la strada per lo scantinato, consapevole del fatto che se Ayumu avesse avuto bisogno d'aiuto l'avrebbe chiesto.
    [A patto che nessuno si metta in mezzo nel frattempo...]
    Aprì la porta e scese la rampa, facendosi largo fra le persone che sostavano lì dividendolo dal suo punto d'interesse. Non guardò in faccia nessuno, non per bene almeno, troppo concentrato su Miguel, Tristan, il tipo mascherato e la ragazza sporca di sangue per notare la presenza di chi che non avrebbe mai potuto immaginare di incontrare lì.
    «Leah, torna su a lavorare.»
    La voce di Shaw sovrastò le altre. Si era mantenuto su uno degli ultimi gradini per far sì che lei potesse vederlo senza alcuno sforzo. Era chiaro che non avrebbe accettato un no come risposta, senza contare che sarebbe stata una mossa poco saggia da parte sua opporsi a quell'ordine: se era vero che il sangue delle teste di cazzo che avevano affrontato nelle celle era infetto e che almeno una di loro aveva mostrato segni di cannibalismo affatto rassicurante, allora avrebbero fatto meglio a levare le tende più persone possibili. Senza contare che dalla posizione di Miguel nei confronti di Carnage risultava chiaro quanto il clima non fosse dei migliori.
    Finì di scendere i gradini e iniziò a raggiungere Ivashkov. Nel tragitto vide quel corpo a terra e sollevò lo sguardo sulla ragazza, riconoscendola solo mentre si avvicinavano. Avevano frequentato delle lezioni insieme al Brakebills, probabilmente di Magia Psichica, e Shaw si domandò da quanto tempo facesse parte di tutta quella messinscena del cazzo. Si guardò intorno per avere un'idea più chiara sul numero di persone, sulle loro facce e anche sulle loro intenzioni, perché il corpo, seppure un minimo, riusciva sempre a trasmettere qualcosa se si muoveva in un modo piuttosto che in un altro, e fu allora che la vide. Trattenne lo sguardo su di lei per una manciata di secondi, le sopracciglia lievemente aggrottate. Com'era possibile che lei fosse lì, al Felix? Era sicuramente colpa della luce scarsa. Con molta probabilità quella ragazza somigliava ad Ariel e basta, perché altrimenti non avrebbe avuto senso che lei fosse al Felix. Forzatamente convinto di questo si accese una sigaretta tenendo in mano l'accendino, poi riportò gli occhi sul gruppo al centro della scena, e a quel punto iniziò anche a preparare la sua armatura. Non aveva nessuna intenzione di mettersi a combattere nello scantinato del Felix esattamente come la feccia che lo bazzicava, ma se la situazione avesse preso una piega pericolosa allora sarebbe stato pronto.
    Questo post viene dopo quello di Ali!
    Mi sono fermata lì perché credo ci sia qualcosa in atto, quindi non vorrei spezzare niente. Magari ditemi voi se riesce ad arrivare accanto a Tristan

    Skills utilizzate/Potenziamenti

    ◤ I tuoi incanti legati alla manipolazione elementale, evocazione e psichica sono aumentati di potenza.
  10. .
    Marzo 2016, Felix Felicis | Scheda | Pensieve
    Shaw Hynes
    Animali guida, mostri alla Piccoli Brividi, esperienze di merda da rivivere e latinismi da psicopatici per fare incantesimi... benvenuti nel nuovo mondo di un inglese spaesato.
    Era difficile abituarsi alla realtà attuale, ancor più quando, ormai accettata, ci si ritrovava a ricominciare a lottare per ottenere un posto in quel nuovo mondo. Tanti sacrifici andati a puttane, tante lotte buttate nel cesso per dover ricominciare daccapo a farsi largo a silenziose spallate fra la folla per riappropriarsi di una strada personale di base già delimitata. Shaw usciva spesso la sera, specialmente quando la pratica di quelle nuove abilità appena scoperte finiva col dare più fastidi che soddisfazioni. Vagava per le strade di New York alla ricerca della sua stessa ombra, quella che probabilmente aveva lasciato nella sua vecchia casa a Brixton a sistemare certi affari che continuavano a perseguitarlo. Forse non stava facendo bene il proprio lavoro, la sua gemella, o magari aveva già trovato un nuovo posto in cui gettarsi a capofitto per riprendere la sua attività, quella che aveva permesso al ragazzo di sopravvivere nella propria giungla. Probabilmente, invece, si era già comodamente seduta al bancone del Felix Felicis, locale-bettola in cui Shaw era solito passare le sue serate a studiare il personale e la clientela. Era il posto adatto a lui, quello, pieno di scarti della società sui quali farsi le ossa e ricominciare tutto dall'inizio, soprattutto adesso che iniziava ad aver bisogno di soldi. L'alcol facilitava sempre quella scalata, specie quando si era in possesso della bottiglia e della possibilità di imprecare ad alta voce e spaccare i denti di qualcuno che pretendeva di comandare. Quella stronzata de il cliente ha sempre ragione non aveva alcuna validità in locali come il Felix, perché quando il cliente pretendeva di essere nel giusto contro chi si muoveva al di là del bancone potevano succedere solo due cose: o si aveva la pazienza di astenersi dal rispondere, oppure la testa di cazzo veniva sbattuta fuori e lasciata sul marciapiede a sanguinare. E nessuno aveva mai la pazienza necessaria a fingersi sordo.
    Quella sera Shaw si fece strada fino al luogo interessato con un motivo ben preciso. Come sempre vestito di nero, varcò la soglia di quel posto che urlava squallore da ogni angolo e si avvicinò al bancone, dove piazzò i gomiti una volta sedutosi su uno sgabello mezzo sfasciato. Portò un pugno chiuso davanti alla bocca e lo ricoprì con il palmo dell'altra mano, il quale andò a circondare le nocche della gemella per sostenere la punta del naso. Appoggiato su se stesso non ordinò niente, limitandosi a fissare il barista finché non ebbe terminato di preparare quei tre whiskey scadenti. Si vedeva chiaramente che conosceva quel posto come le sue tasche, il ragazzo, e dal modo in cui l'aveva visto intrattenere parte della clientela senza rimediarci qualche sediata sulla schiena era ovvio che la gente lo avesse in simpatia, per così dire. Era allegro e spigliato in un modo che lui non sarebbe mai stato, ma probabilmente mancava proprio un po' di durezza in quel posto e quella di Shaw la si poteva scorgere già dal suo sguardo. Ora lo teneva incollato su di lui, e solo quando il tipo fece per sfilargli davanti lui parlò col suo solito accento inglese marcato, sollevando il mento fino a sfiorare le nocche della mano sinistra.
    «Oi, tu. Che si deve fare per lavorare qui?»
    Il ragazzo, che bene o male doveva avere all'incirca la sua età, si girò senza lasciare il vassoio mezzo arrugginito sui bordi.
    «Be', dipende. Sei disposto a calarti i pantaloni sul retro del bar per scoparti il capo che sarei io?»
    Shaw restò in silenzo, visivamente impassibile di fronte a quella che stava a metà fra una presa per il culo e una voglia altrui di prenderlo in quel posto, giusto per essere delicati. Era palesemente in attesa di una risposta seria, così il ragazzo continuò.
    «Ho capito, amico, preferisci altro, non sarò io a fartene una colpa... Comunque devi chiedere al grande capo - quello più grande di me, si intende - che di solito se ne sta al piano di sopra. Bussa due volte e non fissarlo negli occhi: l'ultimo che è salito non è più sceso.»
    Quanto cazzo parlava? Per prima cosa pensò al fatto che se non avesse avuto bisogno di sapere dove trovare il boss gli avrebbe chiuso la bocca, ma poi tornò a focalizzarsi su ciò che gli serviva. Soldi, prima di tutto.
    Inclinò leggermente il capo, lo sguardo ancora fisso sul ragazzo davanti a lui, poi con calma liberò le mani e si alzò in piedi.
    «Non me lo scoperei mai il capo, e tu non sei il capo. Inizia a calarti i pantaloni
    Perché ovviamente sarebbe tornato con un lavoro sulle mani, lui che era così sicuro di sé da fare quasi schifo.
    Con la promessa di un ritorno certo, Shaw si fece largo fra i tavoli per raggiungere il luogo indicatogli dal ragazzo.


    Sorry ma tornare indietro nel tempo è difficile... Il barista è Nikolaus, ho parlato con Engie per il dialogo


    Edited by •Lithium• - 26/7/2017, 21:33
  11. .
    Shaw Hynes
    Tamarro | Studente | Felix Felicis
    Forse Ezra non aveva appreso il concetto. Forse voleva rischiare più di quanto potesse non permettersi di azzardare mosse contro di lui. Forse non aveva compreso appieno chi comandava lì dentro, chi dei due potesse davvero concedersi un'azione come quella di esercitare forza su qualcuno. Evidentemente pensava di poter richiamare l'attenzione di chissà chi e mettere in moto qualcosa che non avrebbe avuto assolutamente nessun risultato.
    «Si vede proprio che non ci capisci un cazzo di magia per pensare che uno che la conosce possa essere un santo. Ti ha messo paura una puttana che al massimo si può curare un braccio? Che tristezza, cazzo.»
    Ezra provò ancora a parlare e allora Shaw lo face tacere, sbattendogli quella faccia da cazzo che si ritrovava sul tavolo. Rideva, lo osservò ridere e un un angolo della bocca dell'inglese si sollevò in un sorriso di quella che sembrava pietà mista a ribrezzo. Gli fece quasi pena in quel momento, a guardarlo godere di qualcosa che non aveva il minimo senso. Ma il fatto che Ezra trasudasse il marcio che aveva dentro non poteva di certo frenare la voglia che aveva di spaccargli il muso. Strinse la presa ma l'altro riuscì a liberarsi. Era riuscito a sfuggire al suo controllo, Dio solo sapeva come, e pensava pure di poter rispondere con la violenza. Quel verme incarnava il miglior esempio in piccolo di cancro della società ed era il primo segno del male che portava tutto alla rovina, il campanello d'allarme che da diversi mesi aveva iniziato a risuonargli in testa. Era ciò che andava estirpato sul nascere perché privo di alcun tipo di potenziale potesse migliorare la merda che aveva sempre circondato Shaw, la stessa che aveva condannato chissà quante altre persone che, se avessero potuto scegliere, avrebbero imboccato altre strade. E pretendeva pure di fare il grosso... ma così come ognuno apprendeva qualcosa dall'ambiente di origine, Shaw aveva vissuto abbastanza in postacci - minorile compreso - da sapere bene cosa sarebbe successo di lì a poco. Inoltre, Ezra l'aveva tenuto d'occhio troppo a lungo per poter contare sulla sorpresa di certi attacchi. Se lo aspettava un pugno come quello, degno della peggiore fighetta dopo quelli che puntavano ai coglioni, quindi nel momento in cui lo vide caricare il colpo mosse rapidamente la mano sinistra per afferrare il polso di Ezra, stringelo forte e ruotarlo di scatto verso l'esterno, in modo di schivare il suo attacco e lasciarlo scoperto in un'unica azione. Allo stesso tempo, però, contrasse la muscolatura dell'addome sia per reazione al proprio movimento sia perché, sapeva perfettamente che se anche il pugno di Ezra avesse superato l'ostacolo di quella presa ferrea, almeno avrebbe incontrato una resistenza piuttosto dura proprio dove avrebbe voluto affondare. Non si sarebbe piegato nemmeno se avesse ricevuto il colpo, troppo abituato a quel genere di aggressioni per averne dovuti incassare quando ancora non poteva difendersi e ora troppo allenato per poter soffrire le nocche di quel coglione. Senza lasciargli il tempo di utilizzare l'altra mano, mentre gli apriva il braccio verso l'esterno, chiuse il pugno destro e lo abbatté sulla mandibola dell'altro con abbastanza forza da farlo traballare di almeno qualche passo, così magari avrebbe smesso di tenersi in faccia quel sorriso di merda che aveva. A quel punto lo avrebbe lasciato andare contro qualunque cosa avesse al suo fianco, tavoli, sedie o quello che era, perché probabilmente non meritava nemmeno di farsi spaccare le ossa da lui. Spreco di tempo, spreco di energie, spreco di pazienza.
    «Forse non hai capito che di te non me ne frega un cazzo. Per quanto mi riguarda puoi tornare a lavorare dove ti ho detto di stare e smetterla di farmi girare i coglioni perché credimi, Hughes, non ti conviene farmi incazzare al punto da fracassarti quella testa di cazzo che c'hai sulle spalle.»
    Perché sì, gli aveva assestato solo un bel pugno e forse gli aveva causato qualche problemuccio al polso, ma si era mosso in fretta e senza nessuno scopo di lasciarlo steso a terra. La disciplina nella lotta, con uno come Ezra, non aveva affatto senso di essere utilizzata. Al minorile c'era una sola regola da mantenere quando ci si ritrovava a darsele di santa ragione ed era la rapidità, la spontaneità e la voglia di fare male nel più breve tempo possibile. All'epoca il motivo era semplice ed era da attribuire al fatto che le guardie ci mettevano ben poco ad arrivare e se si voleva lasciare il segno bisognava essere veloci; in quel momento invece la rapidità con cui Shaw aveva effettuato i suoi movimenti impressi di forza risiedeva nella necessità di levarsi di torno quel problema minore che era Ezra. Aveva situazioni ben più grandi da affrontare e quello era solo un incidente di percorso, perché mai si sarebbe aspettato che quella fighetta tirasse fuori i coglioni che non aveva per provare a creare un precedente al Felix. Doveva levarselo di torno nel più breve tempo possibile ma lasciando un segno ben visibile su quella faccia da cazzo che aveva, un monito sia per lui che per tutta la feccia che stava lì a guardare. No, non dovevano mettersi in mezzo.
    «Se c'è qualcun altro che stasera ha voglia di fare il capo può levarsi dal cazzo e andare a bere in un altro buco di merda.»

    Sorry ma devo scappareeeee!
    Ezra, giuro che se fossi stato più grosso e più in salute avrei anche incassato i colpi come ho già fatto in giocate Justin e Ardan... Ma in questo caso sarebbe davvero poco credibile :')
  12. .
    Shaw Hynes
    Tamarro | Studente | Felix Felicis
    Nessun segno né di Ivashkov né di Kurosaki. Shaw iniziò a domandarsi per quale motivo non fossero ancora in mezzo a quella marmaglia di gente e non poté fare a meno di immaginare cosa li avesse trattenuti. Miguel aveva preso Tristan in simpatia, sicuramente non era stato lui a metter su una qualche questione di Stato per la presenza della giapponese, mentre Ezra era Ezra. Se non avesse avuto la certezza che Dulcinea fosse ancora lì, avrebbe invertito la rotta per accertarsi di persona che non ci fossere grossi problemi su di sopra. Invece eccola lì la bionda, in tutta la sua biondaggine che in quella stanza risaltava quasi più che un'insegna al neon. Avesse avuto in testa il megafono dell'arrotino sarebbe passata più inosservata, ma a quanto pareva la sua figura richiamava lo sguardo di buoni intenditori, più che della feccia abituale. Shaw lasciò perdere il suo contatto per inquadrare meglio la figura scortata che aveva puntato la sua preda.
    Cazzo.
    Se qualcuno avesse scritto un libro su quel tipo l'avrebbe intitolato "Il cacciatore di bionde", una tanto squallida quanto macabra presentazione di una storia inquietante. Bates gli aveva sempre consigliato di farsi i cazzi propri quando si trattava di quell'uomo ma a Shaw era sempre puzzato, e forse anche a Miguel.
    «Tristan e la sua ragazza si sono ficcati nei guai con Curtis, li vuole sbattere fuori»
    Se lo trovò alle spalle ma non voltò le proprie a Dulcinea. Ruotò per metà col corpo, spostando un passo affinché non fosse costretto ad effettuare grossi movimenti per spostare lo sguardo da Miguel al suo nuovo oggetto d'interesse. Sputò fuori dalla bocca un'imprecazione col suo accento duro. Era il momento più sbagliato per una rottura di coglioni come quella e Shaw non riuscì a pensare al fatto che, per quanto riguardava ciò che forse gli premeva di più, la metà della colpa di quelle difficoltà fosse da attribuire a Dulcinea e alle sue prese di posizione ribelli della minchia. Non sprecava mai fiato a caso, Shaw. Quando parlava lo faceva con il chiaro intento di far arrivare dei messaggi e l'aveva avvertita, le aveva detto di coprirsi e di non dare nell'occhio ma lei, come sempre, aveva preferito fare di testa propria. Cazzo.
    «Vado io.»
    Si mosse in fretta, puntando sul fatto che l'uomo l'avesse appena avvicinata per far sì che Tristan potesse sostituirlo. Sapeva che di solito quel viscido restava fino alla fine dell'incontro prima di andarsene via, ma non poteva contare su questo e aveva bisogno di essere certo che lei fosse al sicuro. Si fidava di Tristan e nessuno avrebbe sospettato niente.
    Salì le scale e rallentò giusto in prossimità della porta che dava sulla sala principale. Quando entrò lo fece mostrando la sua calma stoica, quella calcolata e studiata talmente bene da apparire quasi naturale.
    «Chi vuole sbattere fuori chi?», si portò vicino al gruppetto nei pressi del bancone, senza degnare d'uno sguardo Ezra ma tenendo il mento leggermente sollevato. Si soffermò su Curtis, però, che vicino al suo compare di certo avrebbe saputo dire qualcosa riguardo ciò che stava accadendo. Lavorava per Cornelius qualche volta, ma non aveva nessun diritto né sul locale né tantomeno sulla gestione dello stesso. Ancor meno su Shaw. Guardò Tristan e lo liquidò con un gesto della mano che indicava la porta per lo scantinato. «Tu vai pure a lavorare, Ivashkov.»
    Non aveva senso fare il gentile, specialmente quando davanti aveva alcune delle peggiori teste di cazzo in circolazione in quel posto. Tra l'altro, doveva essere certo che qualcuno potesse tenere sott'occhio Dulcinea adesso che lui si era dovuto allontanare.
    Tornò a concentrarsi sui gentiluomini, ignorando volutamente Ayumu ancora lì, praticamente fra loro.
    «Da quant'è che certe decisioni le prendete voi? Magari, che ne so, mi sono perso qualcosa per strada... tipo che gente a caso decide di poter avere un qualche potere che nessuno gli ha dato, visto che di solito conta un cazzo di niente.»
    Si avvicinò ad Ezra e stavolta la mano destra gliela strinse attorno alla nuca.
    «Dico bene, Hughes?»
    E senza perdere altro tempo, con un gesto brusco e rapido, gli sbatté la testa contro il ripiano più vicino, sollevando l'altra mano come a voler fermare qualunque segno d'intromissione. Fu un movimento forse inaspettato, perché tendeva ad ignorare Ezra, ma in fin dei conti era certo che c'entrasse in quel casino considerando che era successo tutto pochi secondi dopo il suo arrivo nel seminterrato. Lo disgustava, senza contare che avrebbe importunato la giapponese esattamente come faceva con la nuova cameriera, forse anche peggio. Li conosceva i tipi merdosi come lui, anche se non aveva mai avuto l'opportunità di beccarlo seriamente in azione. Ma ad ogni modo, se non avesse avuto un motivo valido per agire in quella maniera si sarebbe limitato a domandare cosa fosse accaduto, ma Ezra non era stato in grado di gestire due minuti di sala, rivelandosi debole anche in questo finendo col disturbarlo. Poteva essere un motivo sufficientemente valido per farlo reagire in quella maniera, affatto eccessivo dato che l'inglese non si era mai risparmiato dal ricorrere alla forza quando necessario sia per mantenere l'ordine che per farsi rispettare, in passato. Quindi lo fece, anche se forse non ci avrebbe ricavato tutta questa grande soddisfazione a fargli impattare le ossa del cranio contro il ripiano duro, ma si avvicinò subito a lui con la bocca.
    «Dai, spiegamelo tu che è successo. Scendo e tempo due minuti e mi tocca risalire.», e poi sollevò lo sguardo verso Curtis, tenendo Ezra contro il tavolo, «Oppure me lo spieghi tu?».
    Curtis poteva essere grosso quanto gli pareva, incazzato nero e felice di menar le mani alla prima occasione disponibile, ma chi comandava lì dentro? Cornelius. E chi si occupava di tutto il resto? Shaw. A livello teorico, nessuno avrebbe dovuto rompergli i coglioni. Lasciò la presa sulla nuca di Hughes. Aveva tutto il diritto di comportarsi in quella maniera, Cornelius non l'aveva messo lì per caso perché se i clienti avessero iniziato a fare quello che più li aggradava senza un minimo di controllo il luogo sarebbe andato allo sfacelo più totale. Shaw lo sapeva, come sapeva quanto contasse molto di più la vicinanza al boss rispetto ad altro in quei casi, altrimenti non avrebbe azzardato tanto.
    Solo a quel punto portò gli occhi su Ayumu, mantenendo come al solito quell'espressione che era una maschera per le emozioni.
    «Sei tu quella di Ivashkov. Adesso mi spiegate senza troppe troiate che è successo, poi tu mi segui di sopra.»
    Sia Ezra che Curtis - e chiunque altro avesse ascoltato la conversazione - avrebbero capito senza alcun dubbio: Shaw l'avrebbe portata direttamente da Cornelius e sarebbe stato lui a giudicare. Le chiacchiere e le cazzate da dodicenni erano finite.
    A quel punto, dopo aver ascoltato eventuali spiegazioni, avrebbe dato una spinta alla Kurosaki per farsi precedere verso la direzione per raggiungere le scale e la stanza di Bates.

    Scusate l'immagine tamarra ma non ho resistito...
    Come al solito è tutto ipotizzato, l'unica azione penso che sia quella di sbattere la testa sul tavolo di Ezra... ed è tardi e non rileggo, perdonatemi vvb


    Praticamente la sua azione è quella di osservare la folla per trovare la coppia scomparsa (?), Dulcinea e anche un tizio abbastanza "fidato" che credo sarà un png
  13. .
    Shaw Hynes
    Studente | Felix Felicis
    «Spero tu non perda i quattro spiccioli che guadagni in questo buco»
    Shaw sorrise con un angolo della bocca, ma senza dubbio non si trattava di un'espressione amichevole.
    «Saranno la tua mancia, Hughes. Quattro spiccioli guadagnati grazie al tuo impero... come ci si sente ad essere Dio?»
    Osservò lo sguardo da cane di Ezra ma ricambiò con la stessa espressione messa su per rispondere alla sua frase, perché al massimo avrebbe potuto regalargli la solita faccia che gli mostrava ogni benedetto giorno. Gli avrebbe fatto più pena se solo non fosse stato così viscido, ma Hughes era senza speranze e no, non si sarebbe fatto inchiappettare da quel coglione.
    «Sei tu il capo, ma sei sicuro di voler lasciare a quel cane il bar?»
    La voce di Leah emerse fra le urla dei peggiori pezzenti di New York, radunati lì per la sagra del degrado. Le lanciò un'occhiata prima di riportare lo sguardo sull'incontro.
    «Il collare a strozzo fa male quando tiri troppo.»
    Incrociò le braccia al petto e sollevò appena il mento, spostando lo sguardo dai due sfidanti alla folla. Inutile dire a Leah quanta poca utilità avessero i suoi avvertimenti dal momento che aveva già adocchiato Ezra dal loro primo incontro. E il bastardo poteva anche prendersi i suoi cinque minuti di gloria se avesse voluto, che al massimo ci avrebbe pensato dopo a ricordargli quale fosse il suo posto in quel cesso di posto se solo si fosse azzardato a sfidarlo. Ci doveva anche solo provare a fotterlo, Hughes, specie in un momento in cui i pensieri di Shaw erano proiettati verso la loro missione. E non c'era bisogno di far sapere tutto a Leah, perché le parole non erano altro che un'inutile spreco di fiato.
    Continuò a far vagare lo sguardo fra le teste in movimento davanti a sé. Doveva trovare Dulcinea per tenerla d'occhio, intercettare Ivashkov e Kurosaki che aveva perso di vista e, allo stesso tempo, aveva bisogno di inquadrare una di quelle facce note al Felix. Per iniziare aveva bisogno di puntare su qualcuno con cui aveva avuto modo di parlare qualche volta, che lo conoscesse abbastanza bene da non sospettare che stesse indagando su qualcosa in particolare.
    «Ah, la prossima volta che decidi di venire qui invece di sbrigare il tuo lavoro me lo dici prima. Sgarra un'altra volta e ti butto fuori.»
    Di nuovo le parlò senza guardarla, tenendosi più o meno al suo fianco. Si mostrò duro come al solito, irremovibile e velatamente minaccioso. Era quello che doveva fare in quella bettola, e col passato che aveva alle spalle non gli era affatto difficile vestire i panni del pezzo di merda che sembrava anche solamente a guardarlo.


    Praticamente la sua azione è quella di osservare la folla per trovare la coppia scomparsa (?), Dulcinea e anche un tizio abbastanza "fidato" che credo sarà un png
  14. .
    Jeremiah J. Everett
    DeadManWannabe, PelorLover
    Caotico Buono
    Erano troppo potenti rispetto a loro, nonostante in fatto di numeri i maghi bianchi fossero partiti in vantaggio. Se la negromante avesse voluto, avrebbe potuto crearsi un esercito per distruggerli uscendone del tutto illesa, puntando sulle sue creature a loro volta negromanti per generare un crescendo di bestie immonde. Non poteva lasciarli scappare in quella maniera, non era ammissibile che se ne andassero dopo aver ucciso ripetutamente anche sotto i loro occhi. Erano mostri, non c'era nulla che potesse essere salvato in loro e presto o tardi sarebbero stati giudicati. Jeremiah aveva già iniziato ad evocare la sua chimera, una creatura mostruosa, molto lontana dal Demiguise caduto poco prima nella speranza di radere al suolo l'esercito nemico. Ma un mostro evocato in nome del bene era necessario per combattere l'oscurità. Sarebbe stato abbastanza grande da poter fronteggiare i Berserk puntando sulla potenza per metterli a terra prima di ucciderli, affondando i denti nelle carni e poi riprendere la sua avanzata verso i maghi neri. Jeremiah cedette altra energia magica per far sì che quella chimera potesse apparire sul loro piano e combattere al suo fianco, muovendosi insieme a lui per mettere fine a quello scontro. (2 x Richiamo Magico).
    Ma forse arrivava tardi. La negromante raggiunse il suo compagno, il suo esercito cadde e un portale si aprì sopra i due maghi oscuri.
    «Ci rivedremo»
    Se la chimera fosse apparsa al suo fianco, Jeremiah avrebbe lanciato un urlo per incitarla a muoversi e lei si sarebbe lanciata all'interno del portale prima che questo si chiudesse alle spalle dei nemici, tentando di attaccare fisicamente entrambi i due maghi con un colpo di zoccolo al mago nero e un morso mortale alla negromante.

    Di nuovo soli in quella radura di morte, Jeremiah si voltò verso i suoi compagni per assicurarsi che stessero tutti bene. Lo sguardo sostò più a lungo su Maeve, che se l'era cavata egregiamente. Sentì un moto d'orgoglio che fu costretto a reprimere, perché per certi sentimentalismi non c'era spazio in quel momento. Si avvicinò ai cadaveri dilaniati delle vittime sacrificali e si piegò sulle ginocchia per essere vicino ad una delle tre donne. Una morte orribile, quella che aveva subito, e sicuramente tanto ingiusta quanto prematura. Perché alcuni si arrogavano il diritto di privare un altro essere della propria vita? Specialmente per portare avanti progetti oscuri, volti a distruggere chiunque osasse frapporsi tra loro e la supremazia di un male corrosivo che avrebbe annientato ogni cosa. Portò una mano sulla fronte della vittima e chiuse gli occhi. Non era riuscito a salvarla, poteva almeno tentare di liberare la sua anima.
    «Animam Conicio.»
    Era il minimo che potesse fare, e se anche non avesse avuto alcun potere su quello spirito avrebbe potuto dirsi di averci provato.
    Si alzò in piedi dopo qualche secondo di profondo rispetto nei confronti dei cadaveri, e solo a quel punto iniziò a girare la zona per cercare qualunque indizio potesse fornirgli informazioni più dettagliate circa i maghi che avevano appena affrontato, osservando attentamente il terreno per non rischiare di perdere indizi importanti. Un oggetto dimenticato, un frammento di qualcosa... Perché Sorin aveva ragione: si sarebbero rivisti.

    Non so se riesca ad evocare la chimera ma visto che dalla regia dicono che la lezione è praticamente finita (andate in pace, amen) ho ipotizzato un attacco.
    Azioni Jeremiah:
    - 2 x Richiamo Magico
    - Liberare anima
    - Cercare indizi
    - Osservare
    Azioni chimera a patto che ci sia e che sia possibile...
    - Si lancia verso il portale per entrare dietro i due maghi neri
    - Tenta di dare una zoccolata (...) a Sorin
    - Tenta di azzannare Liliana
  15. .
    Shaw Hynes
    Studente | Felix Felicis
    «Non ti mettere niente di appariscente.»
    «Soprattutto vieni con scarpe comode.»
    «Indossa qualcosa con un cappuccio, sei troppo bionda.»
    «Non farti mai vedere spaventata.»
    «Grana alla mano.»
    «Stai lucida.»
    «Parla cercando di farti sentire solo dal tuo obiettivo.»
    «Mantieniti visibile.»
    «Non mi parlare.»
    Parlava poco, Shaw, e se proprio dobbiamo essere sinceri non era neanche in grado di farlo. Non c'era alcun dubbio sul fatto che prediligesse frasi concise rispetto a qualcosa di elaborato, quindi spesso il suo tono appariva più perentorio e aggressivo di quanto non lo fosse in realtà. Quando era tornato ai dormitori insieme a Dulcinea, la sera della riunione, ne aveva approfittato per darle alcune dritte affinché superasse al meglio quella missione. Ovviamente lei non l'aveva presa proprio benissimo, era in grado di badare a se stessa, ma lui aveva notato quel pizzico di leggerezza che si portava sempre appresso avvolgere anche la concentrazione che stava alla base di una buona riuscita del piano. E non c'era bisogno di rischiare, soprattutto al Felix.
    Dietro al bancone, Shaw stava servendo alcol già da qualche ora. Era lo stesso di sempre, con i suoi vestiti scuri e lo sguardo serio che scrutava la clientela come il peggiore ceffo di New York, pronto a captare qualunque segnale in grado di avvertire l'imminente scontro fra teste calde. Ma quella sera, più che fare il cane da guardia mentre Miguel si occupava degli ingressi per l'incontro che sarebbe iniziato a breve, Shaw era in attesa perché non era una serata qualunque, quella: era la serata.
    Dulcinea arrivò mentre lui era intento a finirsi una sigaretta appoggiato con un fianco al mobile dietro al bancone. Si avvicinò a lei come avrebbe fatto con qualunque altro cliente.
    «Il whiskey è gratis al primo giro, bionda, il rum si paga.»
    Portò la mano con la cicca col palmo aperto verso di lei, l'altra intanto prese un bicchiere e la bottiglia interessata. Le servì da bere solo dopo aver ricevuto i soldi, poi fece un tiro di sigaretta e buttò il mozzicone nel lavandino.
    Si era messa i tacchi... Sembrava quasi pronta per una serata in discoteca. Non faticava a mantenere la sua costante espressione distaccata, ma avrebbe voluto farle notare quanto non avesse minimamente ascoltato una ceppa. Questo, il fatto che non calcolasse i pericoli come avrebbe dovuto, lo irritava.
    «Magari più tardi.»
    Lei l'avrebbe capito.
    Shaw attese che arrivassero anche Ivashkov e la Kurosaki - certo che Justin fosse già sul retro -, fece passare qualche altro minuto e a quel punto si avvicinò al regno di Hughes. Era il suo castello fatto di merda, quella stanza, e lui ci scorrazzava mostrando un'espressione quasi fiera. Che soddisfazione.
    «Oi, Miguel. Controlla il bancone finché non porto qua Hughes.»
    Shaw poteva muoversi come meglio credeva in quel locale considerando la fiducia che era riuscito ad ottenere nei confronti di Bates, quindi superò il gorilla e si fece largo fra la folla che aveva già iniziato a gridare incitazioni incomprensibili. Raggiunse Ezra appollaiato su Leah e gli si piazzò dietro. La mano destra andò ad agguantarlo per la spalla, stringendo la presa giusto per palesare la sua presenza.
    «Stasera mi sostituisci in sala. Ho puntato, voglio vedere.»
    Be', il tono stavolta lasciava intuire come non avrebbe accettato un no come risposta. Non gli era mai andato a genio, Hughes, e non ne aveva mai fatto mistero dal loro primo incontro, quindi non si sarebbe fatto problemi a ribadire il concetto se il collega, per così dire, non fosse andato a sostituirlo dietro al bancone. Avrebbe potuto chiedere a Leah, certo, ma lì in mezzo era l'unica che non avrebbe creato problemi di alcun tipo. Insomma, non era lei quella che spesso gli teneva gli occhi addosso.
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