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    È solo l'ingresso

    Scheda ▴ Licantropo ▴ 23 anni
    a06CmL8
    Joëlle Marie Bresson
    Forse il ritardo più che in fatto d'orario era quello mentale di chi l'avrebbe portata diretta al manicomio. Ma sebbene la stanchezza di badare a chi avrebbe dovuto sapersela cavare da solo, misurandosi quanto bastava per non crearsi problemi di cui non aveva affatto bisogno, probabilmente non avrebbe mai smesso di stare dietro alla sua metà. Nemmeno di insultarlo, ovviamente.
    Era così dalla notte in cui erano stati morsi: Jean distruggeva ciò che Joe cercava di costruire e lei rimetteva insieme i pezzi, modificando ogni santissima volta quel vaso disastrato e irregolare che era la loro vita. Ormai non si capiva più neanche cosa raffigurasse, tante erano le volte in cui era stato fatto cadere in mille cocci rischiando quasi di perderlo per sempre, e nonostante questo lui continuava a non capire. Jean la rabbia a volte non riusciva a gestirla, rischiava troppo spesso di esporsi e lei doveva costantemente intervenire in calcio d'angolo per toglierlo dai guai. Per toglierli dai guai, perché non era solo lui a rischiare e questo non riusciva a metterselo in testa. O forse lo sapeva, solo che era troppo egoista da non pensare al fatto che sua sorella, magari, stava cercando di inquadrare la propria vita e di trovare una qualche strada per realizzarsi, così da poter badare ad entrambi. Ogni volta che Joe si sentiva vicina ad una tranquillità sconosciuta, ad un soffio dal poter iniziare un viaggio in direzione di una felicità appena spensierata, questa veniva trascinata via di fronte ai suoi occhi. E allora si ritrovava a dover fare una scelta, a decidere se afferrarla senza guardarsi indietro o se lasciarla andare per l'ennesima volta, rifiutando l'opportunità di provare a vivere normalmente. Ed era questo che accadeva sempre senza che lei riuscisse a lottare, perché il senso di colpa per non essersi opposta abbastanza ai cacciatori e aver tradito suo fratello innamorandosi dell'artefice della loro maledizione era troppo grande per lasciarla agire in modo egoistico. Ma non era schiava di Jean, che in fondo non agiva con lo scopo di nuocere lei, era schiava di se stessa.

    Notte in bianco, rientro a casa in condizioni fisiche ben poco ottimali, lezioni della mattina da non poter saltare e, alla fine, quella di recupero di Magia Bianca alla quale era già tremendamente. Non aveva neanche più le forze per correre dopo la nottata passata ad inseguire l'odore di suo fratello, quindi arrancò semplicemente fino all'aula di Callaway ed entrò quando lui aveva già iniziato a spiegare in cosa avrebbe consistito quella lezione. Indossava una tuta, e i capelli sciolti circondavano il volto abbastanza bene da distogliere l'attenzione sulle ombre violacee che le circondavano gli occhi. Prese posto su un banco al lato dell'aula per non dover disturbare l'attenzione sulle parole del docente, e solo quando questi passò fra gli studenti per lasciare una pietra sul ripiano lei sussurrò qualche parola educata.
    « Grazie, professore. E mi scusi per il ritardo. »
    A quel punto seguì la sua schiena con lo sguardo e poi cercò di concentrarsi sul resto del discorso.
    Narrato ▴ "Pensato"« Parlato »« Parlato Altrui »
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    Shaw Hynes
    24 ▪ Barista ▪ Scheda

    Narrato ▴ "Pensato"« Parlato »« Parlato Altrui »
    « Amicizia... », lo scimmiottò mantenendo il proprio tono. C'era del palpabile sarcasmo nell'intensità della sua voce, messo in rilievo dal sorrisetto sardonico che gli aveva ravvivato il viso giusto per qualche secondo, il tempo necessario a scivolare oltre le spalle di Jack e rispondere a quella domanda la cui risposta, positiva o negativa che fosse, era così lontana dalla realtà di Shaw da non permettergli neanche di dire qualcosa. Geloso... Lo divertiva, però, quel modo di fare che aveva Jack, comprese quelle domandine palesemente derisorie che gli lanciava di tanto in tanto, forse per testare quanto poco la sua espressione potesse subire cambiamenti. Eppure avrebbe potuto tentare di gettare nero su bianco una scala Hynes, Jack, perché era l'unico a cui fosse concessa una visuale completa sul pacchetto della sua espressività nascosta. Divertimento, rabbia, eccitazione, tensione, godimento, frustrazione, forse persino un accenno di sofferenza in un momento di estraneità dalla realtà in cui il moro pensava di essere del tutto solo, immerso nei propri turbamenti. In un modo o nell'altro le aveva viste tutte, seppure alcune nel loro risicato formato convenienza.
    Quella appena appena divertita che aveva riservato alla nuca di Jack mutò lentamente quando il corpo dell'altro si protese in avanti. A pochi centimetri dai suoi pantaloni tirati, Shaw fece scorrere lo sguardo lungo la sua schiena con una naturalezza che appariva quasi disinteressata ma che nascondeva pensieri che più tardi il collega avrebbe compreso senza troppe difficoltà. Ma adesso studiare forme che già conosceva non aveva alcuna utilità, per cui sfilò l'accendino dalla propria tasca e, inclinando il capo verso una spalla, diede fuoco alla punta della propria sigaretta con le sopracciglia leggermente corrugate.
    « Il mio amico pensa che tu stia cercando di prendermi in giro. Io non credo che tu sia il tipo da mettermelo in culo a tradimento, però, capisci non posso esserne del tutto certo. Anche se sono uno che tende a fidarsi delle persone, per me non c’è alcun problema a farti fare una sera di prova. Hai qualcosa da dire al mio amico per aiutarmi a convincerlo? »
    « E il tuo amico non può dire a me qual è il problema? »
    Quando liberò la bocca dal filtro sollevò appena il mento e puntò lo sguardo in quello dell'americano. In silenzio, a studiare quella che gli pareva una doppia faccia del cazzo, bevve un sorso di whiskey e poggiò il bicchiere accanto al fianco di Jack sporgendosi appena in avanti. Gli occhi rimasero su chi stava dall'altro lato del bancone, poi il corpo tornò a rilassarsi contro il mobile alle sue spalle.
    « Senza offesa, ma sono venuto a cercare un lavoro, non a fare pratica per togliermi i poliziotti dal culo, di quello ne ho abbastanza. »
    Che problemi aveva? Adesso aveva iniziato a parlare di polizia?
    Sbuffò una risata che gli rimbombò brevemente in gola, tanto breve quanto cupa, e la bocca si piegò per metà in un sorriso beffardo.
    « Quasi sbirro buono e sbirro cattivo, quindi. Solo che a me non frega un cazzo di te nel dettaglio, quindi personalmente al culo non hai nessuno. Quello che mi interessa è il locale, il fatto che non voglio rotture di coglioni inutili. Capisci che intendo, giusto?»
    Prese una pausa, lasciò che il tipo di Detroit puntasse ancora sulla voglia di fare amicizia di Jack, il salame di turno, quindi staccò il didietro dal mobile e si avvicinò al bancone dal quale prese uno straccio che aveva visto tempi migliori per poi sbatterlo senza troppa grazia sul ripiano davanti al ragazzo. In tutto ciò gli occhi non si staccarono mai dal suo viso.
    « Awright mate. »
    Gli stava dando il lavoro? Lui, così, all'improvviso e seguendo giusto il dannoso istinto di Jack?
    Ah, ha... no.
    Però come si diceva? "Tieni i tuoi amici vicino, ma ancora più vicino tieni i tuoi nemici". Non che lo ritenesse un nemico, assolutamente, solo che non gli piaceva e poterlo osservare anche solo per una sera prima di mandarlo a casa senza un lavoro poteva rivelarsi utile. Era arrivato al Felix, aveva puntato proprio quel luogo e Shaw ai propri confini ci teneva. Quindi poteva approfittarne facendo affidamento su chi, seppure in maniera differente, aveva la sua importanza in quel locale.
    Erano mesi che passava le serate in mezzo a quel branco di delinquenti disperati e seppure non fosse il più simpatico dei baristi in circolazione era pur sempre quello che riempiva i loro bicchieri di alcol e che poteva buttarli fuori dal locale a calci in culo. Aveva ottenuto, quindi, un minimo di rispetto - se così vogliamo chiamarlo per convenienza - dai più assidui frequentatori del Felix che conoscevano la sua calma apparente abbastanza bene da alzare il muso sbronzo dal loro bicchiere quando la sua voce sovrastava tutte le altre. L'avevano visto anche menar le mani in situazioni calde, sistemare le cose a modo proprio quando gli eventi nel locale prendevano una piega esagerata che avrebbe rischiato di fare più danni che divertirli.
    Avrebbero collaborato, alla loro maniera.
    « OI! Listen 'ere! This geezaa wants ter clean yaahr shi' an' serve yew drinks. Give 'im some love, eh? »
    Era chiaro quanto non lo vedesse di buon occhio e per quale motivo avesse richiamato l'attenzione della clientela. Tutti lì temevano seriamente che qualche sbirro si infiltrasse per mettere al fresco un bel po' di gente e possibilmente buttare la chiave, quindi non sarebbero stati gentili col nuovo arrivato. La pressione era un buon metodo per tirare fuori la vera essenza delle persone e, anche se non fosse esplosa del tutto, si sarebbe mostrata probabilmente in gesti ed espressioni fugaci.
    « Divertiti. », disse prima di tirare di nuovo dalla sigaretta. Lasciò andare lo straccio per permettergli di iniziare a rendersi utile per la sala e, senza staccargli gli occhi di dosso, infilò il filtro in bocca per darsi una lavata alle mani. A quel punto si rivolse di nuovo a Jack.
    « Quando imparerai a tirarti su le braghe sarà già troppo tardi. Mica l'avevo capito ti piacesse a secco... »


    Scusate ma la tarpanata doveva essere fatta prima o poi...
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    Thomas Ryan Lojewski | Scheda | Outfit

    P
    er quanto lo riguardava, Sienna avrebbe potuto continuare a parlare a mai finire, a srotolare quegli insulti a volte velati e altre palesi finché avesse avuto fiato da sprecare. Sì, che continuasse pure, perché ogni frase detta dalla mora veniva appuntata accuratamente in quel taccuino mentale che Thomas aveva in testa, quello in cui, alla fine di ogni pagina, scribacchiava parole chiave che gli ricordassero l’esatto stimolo scatenato dalle provocazioni ricevute in un determinato momento. Sarebbe stato molto più facile, poi, trovare le giuste e dolci punizioni da farle assaggiare.
    Deliziosa. Pensava forse di scalfirlo con quelle frasi ad effetto? Tanto coraggiose quanto stupide, erano la firma consapevole di una condanna al male. Come se al ragazzo servissero incentivi per volerla implorante… Sebbene non necessitasse di fin troppe motivazioni per decidere di agire nel peggiore dei modi con qualcuno, in questo caso Thomas poteva basare la sua sete di potere su qualcosa di concreto iniziato anni prima.
    « Non direi penose, Sienna, no… Direi piuttosto sicure. La sicurezza in credenze personali sta proprio alla base della realizzazione dei propri obiettivi, dovresti saperlo. Invece continui a zigzagare scompostamente come un cercatore ubriaco con nessuna possibilità di afferrare un boccino che non ha ancora neanche avvistato. Sarei penoso perché credo fermamente in qualcosa? Mmh… », sorrise, quasi eccitato dalla vittoria che percepiva udendo se stesso e questo Sienna l’avrebbe notato. Gli piaceva sentirsi accusato da lei, lo mandava in estasi poterle rispondere senza neanche doverci pensare su. Era così certo dei propri credo che non aveva bisogno di tempo per ribattere ad accuse di ogni sorta e no, non avrebbe lasciato spazio al dubbio di insinuarsi nella sua testa. Troppo cocciuto, assolutamente senza speranza.
    Inspirò l’aria quando la ragazza si lasciò avvicinare, ancora col sorriso sulle labbra e quella luce inquietante negli occhi che nessuno a parte lei avrebbe visto, e lo avrebbe notato solo quando il suo sguardo si fosse posato in quello di lui.
    « E tu pensi di potermi spaventare? »
    Ah, Sienna… così coraggiosa.
    « Non mi fai paura. Mi fai schifo… sei ripugnante e ti trovo così disgustoso che anche starti vicina adesso mi fa accapponare la pelle. Forse pensi di avere un qualche ascendente sulle donne… »
    « Sì, ti prego, continua. », sussurrò muovendosi appena sul posto, con un tono che oscillava fra una sinistra eccitazione e la cruda sfida. E sorrise, sorrise in risposta a quella risata che avrebbe volentieri soffocato per giusto il tempo di lasciarla un po’ senza fiato, magari con le lacrime agli occhi per la frustrazione data dall'impotenza per poi vederla lottare di nuovo e ricominciare tutto da capo. Come a farle intuire il pensiero, portò la mano sul collo con fare apparentemente devoto.
    « E se pensi che mi limiterò a pestare i piedi e a fare qualche capriccio… oh, ti sbagli di grosso. »
    Con gli occhi nei suoi, Thomas mantenne il sorriso. Quella determinazione era pane per i suoi denti, l’eccitazione per avere ricevuto in dono un carattere così combattivo era alle stelle.
    « Ma io ci conto, Sienna… Spero davvero di sbagliarmi, sarà tremendamente più divertente. »
    E così le mise una mano addosso per manovrarla a suo piacimento, sporgendosi quanto bastava per poterle sussurrare direttamente contro un orecchio e vedere, solo dopo, parzialmente le sue espressioni. La lasciò anche libera di privarlo del bicchiere, soffiando una risata contro la sua pelle mentre anche la seconda mano ormai libera andava a posarsi sul suo fianco. La toccò, strusciando piano le mani sulla sua pelle nuda per infilarle poi appena sotto l'abito, sia per sentirla rabbrividire sotto al suo tocco sia per quella sensazione di potere che percepiva da quel gesto. In quel momento era alla sua mercé e non poteva fare molto per sottrarsi alle sue mani.
    Di nuovo arrivò l'ennesima risposta, più velenosa delle precedenti e con un linguaggio più scurrile del solito. Chissà, magari entro la fine della serata lo avrebbe anche morso letteralmente...
    « Spero vivamente che tu non l'abbia già fatto, Sienna. Spero tu abbia mantenuto la tua purezza per me. », le lasciò quel bacio morbido, poi d'un tratto la sua presa si fece più salda, le dita affondarono nella sua pelle e la strinsero abbastanza forte da farle sentire del dolore controllato ma in un punto coperto dall'abito. Il tono divenne più affilato, sebbene il controllo fosse ancora udibile, « Prega di averlo fatto, di non esserti fatta scopare né dalla feccia che frequenti né da altri, Sienna, prega davvero. »
    A quel punto, riportando il sorriso sul suo volto, la lasciò andare, notando quel suo modo di divincolarsi senza dare troppo nell'occhio. Quindi le propose in modo ambiguo di trovare un posto isolato. Probabilmente si era creato un fraintendimento che, però, andò tutto a favore del ragazzo.
    La seguì, prendendo un bicchiere pieno dal vassoio sorretto da un cameriere per poter bere un nuovo drink. Uscito fuori, gli occhi agganciati al corpo della Blackwook, Thomas tirò fuori un portasigarette d'argento dalla tasca interna della giacca, e a quel punto si avvicinò alla sua futura moglie. Si accomodò sul divanetto davanti a quello di Sienna, in modo da poterla osservare ma lasciandole la possibilità di avere un ostacolo che la dividesse da lui, quel tavolo sotto al quale nascondeva quello che pareva essere il suo segretuccio.
    « Devi ancora nascondere i tuoi vizi? », la schernì prima di far scattare il suo accendino e sistemarsi comodo sulla poltrona. Era chiaramente a suo agio, spaventato da nulla e del tutto aperto a trascorrere una piacevole serata con la ragazza. Piacevole a modo suo...
    « Ah, Sienna, prima che mi dimentichi e giusto perché tu lo sappia: aspetterò cinque minuti, al termine dei quali dovrai essere seduta qui accanto a me. Considerala una prima prova di fiducia nei miei confronti. Ti ho anche lasciato del tempo, sono o non sono un gentiluomo? », aprì leggermente le braccia, come a dimostrare quanto fosse disposto a concederle tanto.
    Dopo quella breve sceneggiata, diede una sbirciata al suo orologio da taschino lasciandolo in bella vista in modo che lei potesse vedere lo scorrere del tempo, poi tornò a guardare la ragazza che aveva davanti, parlando solo dopo essersi concesso un gustoso sorso del suo whiskey.
    « Aggiornami sui tuoi progetti. Proseguirai i tuoi studi privatamente, mi auguro. »
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    Thomas Ryan Lojewski | Scheda | Outfit

    A
    cida e orgogliosa, praticamente un delizioso invito a dare il peggio di sé. I pronostici erano tutti a favore del godimento personalissimo di Thomas, che certamente quando fosse arrivato il momento non si sarebbe risparmiato.
    Quella sarebbe stata una serata molto divertente, sarebbe stato così generoso da darle addirittura un assaggio. E poi doveva sentirsi dire di non essere buono.
    « Non mi sono mai piaciuti i cambiamenti, li trovo profondamente incoerenti. », le rispose mettendo dell'enfasi sull'ultima parola. Si riferiva, ovviamente, al suo cambio di bandiera, quello per il quale se solo lei non fosse stata così desiderabile gli avrebbe fatto provare del ribrezzo tale da non toccarla nemmeno con un dito. Ma poi dove sarebbe finito tutto il divertimento?
    Accanto a lei, il ragazzo portò le labbra sul bicchiere e bevve un sorso di whiskey, il viso rivolto verso la ragazza solo di tre quarti. Non aveva intenzione di toglierle gli occhi di dosso, non finché lei avesse continuato ad improvvisare quella scenata da ragazzina forte che suscitava una certa ilarità in Thomas. Era chiaro dal sorriso dipinto sulla sua espressione, quel sorriso calcolato di chi si stava divertendo ma aveva già iniziato a stilare una lista di cose meravigliose da fare in risposta agli atteggiamenti di chi aveva deciso di provocare.
    Le lasciò concludere tutto il suo discorso eroico, portò di nuovo la mano su di lei per premerla contro la sua schiena affinché prolungasse quel bacio di Giuda. Le persone che confidavano nel potere della speranza erano le migliori da spezzare.
    Si voltò col busto verso di lei e con le dita di una mano andò a spostare una ciocca di capelli all'indietro, guardando il percorso della stessa e non gli occhi della ragazza. Non ancora, almeno.
    « Sienna, Sienna... Così mi inviti proprio a nozze. Pensi che infastidendo la mia calma tu possa ottenere qualcosa di positivo? », a questo punto fece scivolare la mano più in basso, le dita scesero fino alla nuca e il pollice restò sul collo mentre gli occhi andavano a conficcarsi in quelli della ragazza.
    « Tu non dovrai sottostare alla punizione di un matrimonio combinato, perché le ragazzine che pestano i piedi lo fanno solo perché magari hanno già messo gli occhi su qualcuno che non sia il promesso. No... tu dovrai sottostare a me, mia cara, credimi sarà ben differente... », se la avvicinò di nuovo, stavolta portandola a frapporsi tra lui e il camino con quello che dall'esterno sarebbe potuto passare per un movimento quasi di estrema dolcezza, perché la mano tornò a premere un suo fianco finché il corpo della ragazza non combaciò perfettamente col proprio. Averla davanti di spalle, a differenza dell'apparente gesto d'amore, avrebbe nascosto le parole successive alla vista dei presenti. Avvicinò la bocca al suo orecchio e le parlò con le labbra fra i suoi capelli, la voce che era un sussurro caldo e colmo di sadiche promesse che non vedeva l'ora di mantenere. « ... e alla fine ti piacerà così tanto che io mi stancherò tremendamente di te e del tuo inevitabile asservimento. Ma non temere, sono sicuro che prima farai in tempo a darmi eredi maschi. Quindi anche io non vedo l'ora che tu diventi mia moglie, Sienna. Sarà estremamente appagante averti nel mio letto, qualche volta. », e chinò appena il capo per lasciarle un bacio sul collo, sotto alla mandibola, laddove avrebbe percepito il battito del suo cuore.
    L'avrebbe spezzata e nessuno avrebbe potuto dire niente.
    « Adesso che abbiamo chiarito i nostri desideri, che ci siamo scambiati le nostre promesse mature e sincere, perché non ti comporti da degna padrona mostrandomi di nuovo la tua residenza? »
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    Thomas Ryan Lojewski | Scheda | Outfit

    I
    matrimoni combinati riuscivano ad eccitare solo gli organizzatori degli stessi, mai i diretti interessati. Erano eventi che venivano pianificati con estrema attenzione affinché gli affari e i progetti delle famiglie coinvolte non risentissero di alcun eventuale problema.
    Era stata Doreen Morley a puntare la famiglia giusta, quella che avrebbe garantito una prole di sangue purissimo e un appoggio al MACUSA. Due piccioni con una fava.
    « Anneka. »
    Fece schioccare le labbra ora tinte di rosso davanti allo specchio, poi si voltò quasi a voler trapassare la porta accostata con lo sguardo.
    « Anneka! »
    Passi rapidi iniziarono a farsi sempre più alti, superando gli ultimi scalini prima che una ragazza in tenuta da cameriera entrasse nella stanza della padrona di casa.
    « Mi dica, Signora. »
    « Vai a chiamare Thomas Ryan, digli che sua madre lo riceve nelle sue stanze. Sbrigati. »

    Dalla camera da letto di Thomas provenivano suoni di ovvia natura. Anneka, che aveva subito dal ragazzo più di quanto fosse umanamente accettabile, bussò un paio di volte e deglutì la sua angoscia.
    Il padrone aveva imparato a riconoscere quel suo modo di battere le nocche sulla porta di legno pregiato, dunque la invitò ad entrare con un imperativo e ambiguo "entra", ben consapevole di cosa si sarebbe trovata davanti la giovane domestica non appena avesse varcato la soglia. L'aveva sempre imbarazzata quella depravazione, la spaventava anche immensamente per via di alcuni trascorsi ai quali non aveva potuto fare altro che subire passivamente. Si era sentita dire di essere falsa a non ammettere che sotto sotto le andasse a genio anche solo l'idea di ritrovarsi in certe posizioni, perciò tenne lo sguardo basso mentre iniziava a sentirsi quello pesante di Thomas addosso.
    « Sua madre desidera vederla subito, Signor Lojewski. »
    « A quanto pare anche tu desideravi vedermi. »
    Al contrario della mora bendata che stava lì a fargli compagnia. Non aveva possibilità di movimento, era completamente alla mercé del giovane che, come se fosse circondato da schiavi e non da persone, si alzò e infilò una vestaglia senza nemmeno preoccuparsi di dirle che sarebbe tornato perché tanto la ragazza avrebbe atteso in silenzio.
    « Se hai terminato il tuo dovere vattene. »
    Lei non se lo fece ripetere due volte.
    Arrivato in camera di sua madre, bussò ed entrò quando Doreen Morley lo invitò a farlo. Era una donna dall'aria austera, già vestita per un'uscita sera in compagnia di suo marito, ma per quanto potesse conservare ancora la sua bellezza la luce di follia nei suoi occhi era visibile a chiunque la guardasse per almeno cinque secondi.
    « Mio caro, ti ricordi dove siamo attesi fra due ore? »
    « Ovviamente. »
    « Ricordi anche il motivo di questo evento? »
    « Ovviamente. »
    « E dimmi, Ryan, ricordi anche il tipo di comportamento da assumere nei confronti della figlia dei Blackwood? »
    Una pausa, un sorriso da parte del ragazzo.
    « Cara madre, tu ricordi una volta in cui io non sia stato in grado di gestire i miei affari? »

    Casa dei Blackwood l'aveva già vista molti anni prima, quando era ancora troppo piccolo per poter comprendere appieno l'impegno che avrebbe dovuto portare avanti. Tuttavia per lui non sarebbe mai stato davvero un impegno dal punto di vista di doveri coniugali, perché certi vizi non li avrebbe persi né per la Blackwood né per qualunque altra persona, specialmente se donna. Thomas aveva una considerazione retrograda delle donne, una considerazione che presto Sienna avrebbe imparato a conoscere e ad accettare per forza.
    Arrivò al maniero in compagnia dei signori Lojewski che, subito, iniziarono quell'attività sociale priva di reale interesse nei confronti delle persone. Quegli incontri erano, perlopiù, basati sugli affari. Erano la giusta scusa per combinare accordi fra potenti, per scambiarsi favori basati su frasi articolate il cui contenuto emergeva fra le righe ovvio e schietto a chi di dovere.
    Thomas non era lì per i soliti affari, dunque salutò i signori Blackwood, si fece servire un bicchiere di finissimo whiskey incendiario e seguì la direzione indicatagli dal padrone di casa.
    Nel suo completo chiaro di alta fattura, aperto sul gilet che copriva la camicia bianca e lasciava intravedere la catena dorata dell'orologio da taschino, il ragazzo si fece largo fra la folla con gli occhi puntati sulla schiena della sua futura e dolce mogliettina. Sapeva già tutto sul suo conto, compreso ciò che forse non avrebbe dovuto sapere. La sua simpatia per la feccia, qualcosa che la rendeva sporca a dispetto della perfezione che ostentava.
    La studiò bene, apprezzò le sue curve e se la immaginò chiaramente in situazioni ben diverse da quella, situazioni che probabilmente l'avrebbero fatta inizialmente pentire di aver scelto la strada sbagliata e che l'avrebbero rimessa in riga.
    « Vedo che gli anni sono stati piuttosto generosi con te, Sienna. », silenzioso le si era avvicinato alle spalle per affacciarsi quasi alla spalla destra, posizionando delicatamente la mano sinistra sul suo fianco.
    « Adesso non fare la sgarbata... non davanti a tutti, almeno. », aggiunse subito dopo in previsione di una reazione che non avrebbe affatto accettato. A quel punto, solo dopo aver premuto appena l'indice contro il tessuto del suo vestito, il ragazzo lasciò andare la presa e si portò al suo fianco bevendo un sorso del suo drink.
    « Perché non fai un bel sorriso e mi mostri la tua felicità di rivedere il tuo futuro e promettentissimo marito? Non è una fortuna da tutti, non dimostrarti ingrata prima del tempo. »
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    Shaw Hynes
    voice or outfit
    role song


    C
    ome a voler mettere il dito nella piaga, l'inglese avvicinò appena le sopracciglia per mettere su l'espressione di chi a certe balle proprio non ci credeva. Storielle da raccontare per fingere di non aver messo il piede su una cagatella fresca fresca. Sbuffò appena e scosse poco il capo, anche se in realtà stava esagerando appositamente solo perché lei aveva mostrato della stizza.
    « Ma senti le cazzate che mi tocca sentire... »
    Dopo aver assecondato il suo gioco la guardò, notando quel sorrisetto e domandandosi per quale motivo fosse così soddisfatta. Non glielo chiese però... L'avrebbe scoperto da solo al momento più opportuno, perché tanto cosa aveva da temere? La stava sottovalutando.
    Il bicchiere di Taylor sfiorò la sua camicia e lui prese la bottiglia per riempirlo. Lo fece riportando gli occhi nei suoi, un po' come a volerle trasmettere il concetto "vacci piano e non tirare la corda" con quell'atteggiamento che, comunque, a modo suo lo divertiva anche. Il whiskey iniziò a scivolare lungo il collo corto della bottiglia per riempire quel contenitore, e fu in quel momento che Shaw percepì qualcosa di diverso nello sguardo altrui. Non l'aveva mai guardato in quel modo né così a lungo senza alcun motivo. Non stavano neanche parlando in quel momento e nei suoi occhi non c'era il segno di una risposta al modo in cui lui la stava guardando, quindi doveva esserci dell'altro sotto. Shaw rigirò la bottiglia, il bicchiere era ormai pieno, e al tempo stesso assottigliò lo sguardo e restò in silenzio. Lei aveva già dimostrato di volerlo conoscere, in qualche modo, ma in quel momento la sua mente non sembrava essere stata attaccata. La paranoia era sempre in agguato anche quando nei paraggi c'erano persone che per il momento non sembravano degne di sfiducia e quello sguardo perso, seppure brevemente, non gli era piaciuto. All'improvviso, senza dire nulla, si girò con lentezza per recuperare una sigaretta ed accendersela, poi si voltò di nuovo verso la ragazza e, con la sigaretta a penzoloni su un angolo di labbra, si versò un altro bicchiere.
    « Tutto ok? », domandò come se nulla fosse. Riferendosi a tutto e a niente, interessato egoisticamente solo a ciò che era appena accaduto ma consapevole che, probabilmente, lei avrebbe risposto con qualcosa di futile.
    role code by »ANNAH.BELLE« don't copy
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    Shaw Hynes occupation voice role song
    S
    i fosse trattata di semplice vendetta mirata si sarebbe già preso ciò che desiderava, senza se e senza ma a frapporsi tra lui e il biondo. Ci sarebbe stato senz'altro poco gusto, questo era ormai più che ovvio, ma almeno avrebbe avuto il piacere di fargli esalare l'ultimo respiro. Chissà se gli sarebbe piaciuto chiudere le dita attorno a quella gola chiara e fredda, a guardarlo boccheggiare per la mancanza di ossigeno... Peccato solo che non era ciò che più gli interessava, al momento. Non aveva passato tutte quelle notti a cercare tracce del biondo per far terminare tutto in un battito di ciglia o per rischiare di abbassarsi a un livello che attualmente, per qualche motivo scatenato forse dagli eventi, non lo rispecchiava. Aveva bisogno di pazientare, di capire.
    Cinque.
    Iniziò a contare i passi, lo sguardo fermo all'altezza della nuca di Morley.
    Gli aveva dato una scelta, gli aveva offerto l'opportunità di far durare quell'incontro meno di quanto avesse dovuto con tanto di rilascio finale. Il tempo per un altro confronto a due, poi, sarebbe sicuramente tornato.
    Quattro.
    Ingratitudine. Chiunque avesse avuto modo di conoscere Shaw quando ancora bazzicava certi giri londinesi sapeva bene che certe occasioni andavano colte al volo, senza doverselo far ripetere più volte. Qui la situazione era ben diversa, ovviamente, ma il succo del discorso restava sempre lo stesso. Nobili o meno che iniziassero a diventare certe sue azioni, Shaw si sarebbe sempre portato dietro il suo passato ambientato nel degrado peggiore, quello in cui per sopravvivere bisognava essere abbastanza figli di puttana da guadagnarsi il rispetto col sangue, non solo quello altrui. Alcune persone, certi atteggiamenti, avrebbero continuato a risvegliare la parte peggiore di lui, quella senza scrupoli nonostante fedele alla propria morale del tutto personale.
    Tre.
    Sapeva già che Morley non si sarebbe girato, era talmente ovvio che se non avesse rispettato le proprie decisioni non avrebbe neanche sprecato mezzo secondo a lasciargli libero arbitrio. Se Shaw non fosse stato così chiuso mentalmente, probabilmente nell'atteggiamento e nel percorso vitale dell'altro ci avrebbe rivisto un po' di sé, forse al contrario.
    Due.
    La mano di Morley si alzò, esibendosi in quello che per Shaw non fu altro che un chiaro invito a concludere il conto alla rovescia di quello slancio di gentilezza nei suoi confronti. Gentilezza...
    Rispetto nelle proprie decisioni, piuttosto.
    Uno.
    "Time's up."
    L'ultimo passo fu seguito da una falcata più lunga, abbastanza rapida da permettergli di accorciare considerevolmente le distanze in modo da potergli piazzare una mano sulla spalla per strattonarlo con una gran violenza fisica rafforzata dal termine della pazienza. Un movimento veloce e brusco con il quale l'avrebbe fatto voltare per metà per poi sbatterlo di schiena contro la parete e piazzarglisi davanti. Un movimento unico, abbastanza fluido ma intriso di determinazione ad ottenere ciò che desiderava, senza più giocare al gatto e al topo come un coglione. Se Ardan avesse provato a reagire in qualche modo, con un pugno, un calcio, una testata o chissà cos'altro, Shaw si sarebbe premurato di schivare il colpo e bloccare gli arti dell'irlandese sia con le gambe che con una delle mani. E non si sarebbe neanche risparmiato più di tanto: se fosse stato davvero necessario, non ci avrebbe messo molto ad afferrargli un polso con una mano sia per romperglielo che per allungare il braccio - possibilmente lo stesso del medio che gli era stato esibito - verso l'esterno per colpire la spalla in modo da danneggiare anche quell'articolazione. Gli allenamenti con Justin, uniti ai suoi in solitaria, di certo avevano iniziato a dare i loro frutti e per il momento, finché l'altro non avesse azzardato un attacco servendosi della magia, l'inglese avrebbe utilizzato armi più o meno pare. Sapeva quanto poco gli convenisse lasciare tracce magiche in giro di quei tempi, e in fin dei conti cosa c'era di meglio di un po' di sangue a macchiare la pelle?
    Se avesse avuto una mano libera, questa avrebbe afferrato Morley per il collo della maglia per sbatterlo una seconda volta contro il muro prima di scivolare sul suo collo.
    « Sei talmente una ridicola primadonna che proprio non capisco come abbiano fatto ad ammetterti al party della merda. », gli sbuffò addosso una specie di risata di scherno mista a disgusto, ma con quella sfumatura di falsa pietà che se l'avessero riservata a lui si sarebbe fatto girare i gioielli in maniera esagerata.
    Strinse la presa, tornò serio e iniziò a domandare con tono basso e fermo, sempre pronto però a reagire a qualunque movimento dell'altro. Che Morley lo temesse o meno non gli interessava minimamente, perché tanto ormai il tempo dei giochi e delle chiacchere a vuoto era finito e con la paura del biondo non ci avrebbe fatto assolutamente niente.
    « Che significa il sangue? Che cazzo c'entrano il rosso e la Reeze? Chi altro fa parte di questa stronzata e perché la vostra merda familiare è andata a puttane? Parla, da bravo. »
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    Finché non parte l'azione da entrambe le parti mi trovo in difficoltà, quindi decidi tu cosa fare :')
    Se non si capisse bene il movimento che ha fatto dimmelo che ti mando un video o quello che trovo...
    E scusa la cagatella ma dovevo rispondere per forza tvb
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    S
    tava per arrivare, la risposta-domanda che spesso aveva sentito venirgli rigirata in situazioni simili a quella che stava vivendo... Lo sentiva, lo sapeva. Era scritto poiché umano.
    « E tu mi diresti cosa pensi? No, suppongo. Per cui.. »
    « L'unica differenza fra me e te è che tu hai avviato il discorso. Quindi la tua domanda non ha motivo d'esistere nei miei confronti. Se decidi di parlare e fare ipotesi poi devi essere in grado di portare avanti la giostra, sennò è tutto un cazzo. »
    Secondo la sua mente, parlare implicava necessariamente il dover essere in grado di rispondere a qualunque cosa. Era come una prova di fiducia da dover sostenere nei confronti di chi veniva all'incirca messo sotto esame, per questo diveniva doveroso il dover concedere per primi qualcosa di se stessi.
    E allora era molto meglio farsi i cazzi propri e campare di quelli, cosa che a lui risultava fin troppo facile. Evitava come la peste il contatto con le persone per molti motivi, uno dei quali era proprio quello di non avere nessun desiderio di farsi scoprire poiché ciò che gli apparteneva era suo e suo soltanto.
    Fuori dai coglioni ce l'aveva scritto in faccia.
    Non le disse niente quando prese a fumare, perché in fin dei conti il fumo di sigaretta non poteva fare altro che alleggerire il puzzo ammuffito che aleggiava in quella sala. Seguì solo il movimento rapido di Taylor, scivolando dapprima sul suo fianco che si era sollevato all'improvviso per poi tornare sulle mani che, senza alcun motivo apparente, avvicinarono i due bicchieri per poi riempirli di nuovo. Erano palesemente uguali e quella domanda che gli fece, forse, avrebbe dovuto piazzare il seme del dubbio nella sua testa.
    Quale scelgo?
    Shaw sbuffò l'ennesima risata, quindi sciolse le braccia e prese il bicchiere che aveva indicato come "mezzo vuoto", ma solo per riempirlo di whiskey e poggiare la bottiglia di nuovo al suo posto.
    « Scelgo questo. »
    Le fece un occhiolino. Un occhiolino su quella faccia da cazzo che aveva messo su, abbastanza enigmatica da lasciar capire che quella risposta non era solo un capriccio ma era il simbolo di ciò che lui era sempre stato.
    Senza dire una parola, prese il bicchiere scelto e se lo scolò.
    « Quindi... hai deciso di spaccarti il fegato in questa topaia, stasera. »
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  9. .


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    U
    no dei problemi più grande nei rapporti umani, di qualunque natura essi siano, è l'incomprensione. Non importa che avvenga fra amici, fra amanti, fra semplici conoscenti o fra nemici: l'incomprensione crea uno strato di realtà fittizia che conduce inevitabilmente verso lo sfacelo totale e ingiustificato della verità. Danneggia il confronto e annienta la possibilità di stendere un epilogo in cui tutte le azioni siano state scartate. Tutti dipingono la realtà secondo il proprio immaginario schizzandola dei colori dei propri pensieri, esagerando ma traendone una certa soddisfazione fino al punto in cui della verità non resta nient'altro che un paesaggio di sfondo dalle forme esageratamente sfocate. I personaggi sono immersi proprio lì, inconsapevolmente persi a causa di loro stessi e divisi da quadri ben diversi il cui tema di fondo, però, è il medesimo.
    In quella bettola, accerchiati dal caos della vittoria di uno dei due sfidanti, uno di fronte all’altro c’erano due esempi lampanti di questo: da una parte c'era Ardan, il cui scopo primario era quello di uccidere Chaos, dall'altra c'era Shaw, che esigeva delle risposte per prepararsi a ciò che di peggiore sarebbe arrivato presto o tardi.
    Morley, come aveva già capito, non era altro che una pedina in quel gioco lento e snervante, e se il suo intento fosse stato quello di ucciderlo in quel momento non ci avrebbe messo molto ad evocare un pugnale ombra e a tagliargli la gola lì, approfittando sia del luogo che della situazione. No, c’era tempo e modo per vendicarsi di quell’affronto personale ma non era quello. A lui servivano informazioni, così come le aveva cercate durante il combattimento nelle celle. In quell’occasione si era fatto sfuggire consapevolmente la possibilità di levarlo di mezzo una volta per tutte, preferendo attendere l'occasione di poter avere delle risposte circa quel teatrino di cui era stato fatto un personaggio a tutti gli effetti. Alcune le aveva ottenute, ma in confronto a ciò che cercava adesso erano del tutto irrilevanti... ma era certo che Morley sapesse qualcosa, e lui lo avrebbe ossessionato finché non avesse sputato fuori le informazioni che aveva.
    « Prego, kitty, non c'è di che. », rispose Shaw con ancora quel sorrisetto sghembo sulla bocca.
    Le parole del biondo non lo scalfirono, specialmente perché ancora non gli aveva fatto girare i coglioni a modo. Il fatto che avesse mollato la presa subito, senza mettersi a fare il duro quando in tasca non gli sarebbe entrato niente di positivo, aveva certamente mantenuto Shaw nella sua calda sfera di calma apparente. Aveva dimostrato più volte il suo autocontrollo nei confronti di quel coglione, specie prima della lezione di Evocazione quando, nonostante l’avesse apertamente stuzzicato, lui l’aveva ignorato senza veli. Avere davanti di nuovo quell’Ardan Morley, seppure fosse ormai più un’ombra di se stesso, di certo facilitava l’impresa di prendersi ciò che desiderava con i giusti metodi. Aveva passato l’intero mese sulle sue tracce, non poteva di certo permettersi di mandare tutto a puttane perché l’insana voglia di spaccargli i denti era sempre presente a pulsargli nelle vene con ferocia.
    Tempo al tempo, le priorità erano altre.
    Lo guardò prendere i soldi, lo sentì parlare e non cercò neanche di fermarlo. Era quello che gli veniva meglio, in fin dei conti: Ardan era capace solo a scappare. Era scappato nelle celle, era scappato nei laboratori e continuava a scappare ad ogni occasione, probabilmente anche da se stesso, quindi lo lasciò dirigersi verso l'uscita. Il fatto che gli permettesse di raggiungere l'esterno non significava che lui se ne sarebbe rimasto lì, fermo in piedi come un coglione a guardare le sue spalle allontanarsi sempre di più. Oh no... col cazzo. Non attese di perderselo fra la folla prima di seguirlo, anche perché voleva che sapesse di non potersi liberare così facilmente di lui, almeno non finché non avesse deciso di azzardare un teletrasporto e sparirgli letteralmente da davanti. A quel punto l’inglese non avrebbe più potuto fare nulla, almeno non per quella sera.
    Le scarpe frantumarono un pezzo di vetro sul pavimento lercio, residuo di qualche bottiglia spaccata chissà quando, lo sguardo restò incollato al cappuccio del biondo e le spalle presero a fare largo con forza al resto del corpo attraverso quella folla di pezzenti che gli inveirono contro senza essere degnati d’attenzione. Salì le scale e spinse la porta con un gesto secco prima che gli si chiudesse davanti.
    Il freddo gli colpì la parte di volto scoperta, proprio come la notte che si era affacciato attraverso quel varco aperto dalla stessa persona che ora aveva davanti. Aveva realizzato, ormai, di aver sviluppato una resistenza maggiore alle diverse temperature; non sapeva se fosse dovuto al fatto che il suo corpo veniva ripetutamente messo alla prova anche a temperature più basse privo di protezioni o se, piuttosto, quella novità fosse dovuta proprio a ciò che era avvenuto più di un mese prima, ma in fin dei conti non gli interessava il perché… gli faceva solo comodo.
    Lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle e con un gesto della mano bloccò la seconda fiamma dell’accendino di Morley permettendogli di aspirare subito due boccate di fumo, un gesto che l’altro, forse preso dai suoi intenti, non avrebbe certamente notato. Lo seguì, lasciandolo ancora libero di muoversi come meglio credeva, aspettando a bloccarlo per dargli anche solo una possibilità. In fin dei conti non l’aveva ancora mandato a fanculo, motivo per cui Shaw non considerò chiusa l’offerta di scelta data solo qualche secondo prima.
    « Non sono venuto a cercarti né per levarti dai coglioni né per dimostrarti quanto sia facile mettersi sulle tue tracce… », iniziò Shaw col suo solito tono piatto mettendo un accento contorto su quanto il MACUSA fosse inutile, la voce mantenuta bassa quanto bastava affinché qualche passante non ne cogliesse il suono. Gli stava alle calcagna, di gridare non c’era alcun bisogno.
    « Se non ti fermi da solo entro cinque passi del cazzo la tua scelta sarà ovvia e agirò di conseguenza. »
    Ultimatum. Aveva rispettato quel modo d’agire che si era imposto, sapeva quanto al biondo non convenisse lasciare tracce magiche in giro e poteva puntare su quello per concedergli la scelta. Ma la pazienza di Shaw non era infinita: se Morley non si fosse fermato, allora ci avrebbe pensato lui senza più offrire possibilità.
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    E
    straniatosi completamente dal resto della sala, Shaw poteva anche concedersi qualche minuto di pausa mentale. Aveva pieno potere di staccare la spina, evadere per qualche minuto da quei pensieri che gli attorcigliavano il cervello rendendolo schiavo consapevole di se stesso. Poteva farlo quando voleva, ma aveva bisogno di una spintarella da parte degli eventi per convincersi che riprendere un po' di normalità non poteva nuocere al fine di raggiungere i suoi scopi. La bionda era la scusa del momento.
    Sollevò per un secondo lo sguardo su di lei mentre riempiva i bicchieri, sollevando un angolo di labbra in un sorrisetto sghembo appena accennato.
    « Ritenta. »
    L'uomo di mille parole concluse il discorso senza condirlo troppo, scherzandoci su alla sua maniera.
    Di vista la conosceva già dal suo arrivo al Brakebills, quando entrambi avevano trascorso dei mesi all'interno dello stesso dormitorio. Poi erano state aperte le confraternite anche ai primi e, mentre lui se ne era rimasto nei comuni, lei evidentemente era riuscita ad entrare in una qualche cerchia come tutte le persone normali. Tuttavia, sebbene avessero condiviso la stessa struttura di alloggi e seguito diverse lezioni in comune, non avevano mai scambiato una parola. Non che fosse una novità: quando si parlava di Shaw e le sue interazioni sociali era più probabile che ci fosse poco da dire... Ma era servito morire 8 volte per portarli a dialogare, scoprendo con una certa e intima sorpresa di aver trovato un altro essere al quale poter concedere più di una semplice bestemmia mentale.
    Dopo quella notte si erano ritrovati a buttare giù insieme per caso qualche bicchiere al The Racy Curse, frequentato abitudinariamente già da prima tanto da Shaw quanto da Taylor, e così avevano iniziato ad avere una qualche specie di interazione fondata sulla battaglia della quale non Shaw non parlava e sull'alcol.
    Al secondo bicchiere seguì il secondo, e a spezzare quel silenzio che si era creato fu il rumore secco del vetro contro la superficie metallica accanto al lavandino col quale Shaw si liberò le mani.
    « Qui tutti sanno vero? Riesco a percepirlo sotto a quella loro dannata puzza di morto e losco..guardandoli mi vien voglia di farli fuori..ma poi tu dovresti pulire e non sarebbe carino.. »
    Una breve e secca risata venne sbuffata da Shaw, che non spostò lo sguardo verso la clientela ma lo mantenne fisso sulla bionda. Quel sorrisetto come al solito non mutava la sua espressività di base, piatta e priva d'indizi circa ciò che gli frullava per la testa.
    « No, infatti. »
    E come al solito rispondere a ciò che gli faceva comodo era la sua tattica di base, un meccanismo automatico e non controllato. Semplicemente era l'abitudine consolidata dai suoi precedenti e attuali modi di vivere.
    « Ma tu si che hai qualcosa da nascondere..si vede..o meglio, lo sento.. »
    Ed eccola qua, l'ennesima persona a chiedersi cosa gli passasse per la testa. Era lecito, in fin dei conti... Shaw non si apriva con nessuno, teneva per sé ogni cosa e questo era palese a chiunque. Bastava guardarlo in faccia per capire che la sua mente era off-limits, e a parlarci risultava ancora più chiaro per via delle sue risposte che sviavano alle domande principali. Spesso non ci si faceva neanche caso, spesso riusciva a convincere che le sue parole di risposta fossero le uniche disponibili e che sotto non ci fosse altro.
    « Ah sì? », domandò sollevando appena un sopracciglio e incrociando le braccia al petto, l'espressione neutra e rilassata « E che altro sentiresti? Sentiamo un po'. »
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    N
    on servivano incubi quando il peggiore era proprio la realtà stessa. Non per Shaw, almeno, che non ricordava un sogno da quando aveva troppi pochi anni per esserne cosciente. La sua mente si rifiutava di lasciargli indizi persino durante la notte, quando chiusi gli occhi riusciva ad abbandonarsi per qualche ora, giusto per ricaricare le energie e spaccare un’altra giornata non appena si fossero riaperti di nuovo. La sua mente lavorava da sveglio, mentre dormiva era così egoista da non permettergli neanche di sbirciare nel suo subconscio nonostante avesse tentato varie tecniche. Pensava, anzi sperava, che riuscire a ricordare il frutto dell’elaborazione mentale quando il corpo si prendeva una meritata pausa potesse aiutarlo a capire più rapidamente… Il sonno iniziava a diventare tempo sprecato, ma la consapevolezza di doversi spegnere di tanto in tanto era ben più chiara della testardaggine di risolvere l’enigma che si era lasciato alle spalle.
    Quella notte avrebbe fatto di nuovo tardi, l’ennesima notte ad aggirarsi nell’ombra sulle tracce di chi aveva iniziato a cercare con una costanza invidiabile, ma sotto la giusta guida aveva imparato a cacciare senza farsi notare. Senza ogni dubbio sarebbe passato prima dal dormitorio dopo aver finito il turno, a patto che quelle due ore fossero passate in fretta. Era una serata piuttosto piatta, le persone avevano ancora paura, specialmente la feccia che sapeva di non poter vantare una coscienza pulita, quella priva di peccato che era la clientela abituale del seminterrato. Tutti si guardavano le spalle da tutti, anche se fondamentalmente non c’entravano un cazzo di niente con tutta quella storia e se Shaw non fosse stato quello che era, forse gliel’avrebbe vomitato in faccia che se ne potevano stare tranquilli, che nessuno li avrebbe cercati. E invece se ne era stato tutta la sera ad ascoltare per forza quei discorsi degni di un voltafaccia bipolare senza stati di eutimia. Un interminabile scontro di tennis fra “l’avrei fatto pure io se fossi stato Wave Claw” e “il MACUSA lo prenderà e poi sì che saranno cazzi da pelare!”, perché il timore di avere esponenti di una delle due fazioni attorno era più forte della coerenza… Quella sconosciuta.
    Quindi l’inglese, che al contrario di Jack non andava a giocare con la clientela, se ne era rimasto al bancone per tutta la sera. Era ancora lì quando notò una chioma bionda platino farsi strada senza grazia fra gli scarti della società, beccandosi qualche insulto e anche qualche apprezzamento degno del più viscido degli stronzi durante la sua marcia verso Shaw.
    « Shaw… Dammi da bere. Non chiedermi cosa… fammi solo bere.. »
    Lui la guardò per qualche secondo, rigirandosi il bicchiere in mano facendo sciacquare il whiskey al suo interno. La guardò a lungo, col suo sguardo che al solito non lasciava intendere assolutamente nessun pensiero circa la ragazza che aveva di fronte, ma nei giorni passati aveva avuto modo di scambiarci qualche parola ed instaurare un qualche tipo di rapporto.
    « Stai una merda, Cristo. », disse senza girarci troppo intorno e senza curarsi di poter risultare offensivo.
    Staccò il bacino dal mobile alle proprie spalle e fece due passi per raggiungere il bancone, accorciando le distanze dalla bionda. Anche lo sguardo si spostò per agguantare la bottiglia già aperta alla sua destra e versare una generosa dose di whiskey in un bicchiere che aveva visto tempi molto migliori. La bottiglia tornò sul ripiano dopo aver rimpinzato la propria bevuta e il bicchiere finì senza troppa grazia accanto alla mano che Taylor aveva battuto sul bancone.
    « Ti ci abituerai. », disse indicando l’alcol che le aveva versato. Quel whiskey aveva un sapore di merda, e se fosse proprio lui o i bicchieri nei quali veniva versato non era ancora molto chiaro, ma era ciò che quella bettola aveva da offrire e bisognava mandarlo giù se si voleva bere qualcosa di poco costoso.
    Shaw batté il fondo del bicchiere sul bancone e, con un gesto secco, se lo sparò in gola per poi rimpinzare il giro. Ad entrambi.
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    L
    'impegno dava sempre i suoi frutti, specie quando a mantenerlo costante vi era un bisogno viscerale di raggiungere il proprio traguardo. Ma qual era il suo, di traguardo? Dove voleva arrivare Shaw con quella ricerca ininterrotta? Cosa avrebbe fatto dopo averlo trovato?
    Da quel giorno, quello in cui aveva assistito alla trasmutazione di Morley nella feccia oscura che si era impegnato tanto a diventare, Shaw aveva pensato alla sua rivalsa. Erano stati pensieri confusi, contrastanti e talvolta così assurdi da farlo ricominciare da capo. Ragionamenti lontani e di ben più larghe vedute, perché il disegno non si limitava a quello contornato da chi aveva messo in moto quel meccanismo distruttivo che li aveva portati quasi tutti alla deriva. Il centro esatto della sua sete di vendetta non poteva essere solo il biondo, che forse non era stato altro che l'ennesima pedina su quella scacchiera mortale.
    No, c'era qualcosa di ben peggiore dietro e Shaw lo sentiva, percepiva sotto pelle quel sentore di allerta costante che lo teneva sul chi va là ormai da più di un mese. Ma nonostante quello sì, aveva pensato naturalmente anche a Morley, ci aveva pensato provando un senso di frustrazione che lo portava a scaricarsi ogni giorno a livello fisico, sempre di più, spingendo il suo corpo ai limiti per poter poter oltrepassare anche quelli della sua mente. Si stava mettendo a dura prova per rafforzare ogni sua potenzialità, sfinendo se stesso senza tregua. Il suo lavoro iniziava già a dare i suoi frutti, ma questi non erano abbastanza... doveva spremersi di più e nulla l'avrebbe fermato, specialmente quella mente contro la quale continuava a lottare nonostante non ne fosse così convinto.
    Ma a contrapporsi alla liberazione di quest'ultima c'era sempre qualcosa, una barriera che gli impediva di vederci davvero chiaro in tutta quella storia. Era quasi ossessionato da Morley tanto quanto lo era diventato verso se stesso, perché se anche solo fosse riuscito a liberarsi della sua corazza mentale forse, forse, sarebbe riuscito a vederci più chiaro, ad inquadrare meglio il ragazzo che aveva desiderato uccidere quando ancora indossava la sua maschera.
    Shaw era tormentato e neanche lui riusciva a capire cosa ci fosse alla base di quello stato d'animo, ma una cosa era assolutamente certa: la soddisfazione di averlo davanti, di averlo in pugno, era così elettrizzante da lasciarlo quasi senza fiato. Vedere prima quella reazione sorpresa e poi quella reazione era il minimo e allo stesso tempo il massimo che potesse chiedere. Era quasi velenosamente dolce quel contatto, quella stretta al collo che forse avrebbe dovuto spaventarlo, farlo tornare sui suoi passi... ma Ardan non era stupido e comunque avrebbe potuto leggere sul sorriso compiaciuto e velatamente sadico che si dipinse in risposta sul viso del moro, segno di quanto avesse già calcolato quel risvolto ovvio. Non spostò la sua mano, la lasciò lì giusto per fargli stringere in pugno un minimo di sicurezza.
    « Prova di nuovo a nominare quel cognome, provaci anche un solo fottutissimo attimo e giuro che rimedierò all'errore di non averti ucciso quella volta »
    Sarebbe stato un bel colpo di scena se avesse gridato alla folla che quello era Ardan Morley, dandolo di conseguenza non solo in pasto al MACUSA ma anche a chi aveva perso qualcuno in quella battaglia a causa sua. Ma forse il biondo qualcosa di Shaw l'aveva capita: non avrebbe tratto alcuna soddisfazione a chiuderla in quel modo né ad ammazzarlo, specie senza ottenere informazioni. Oltretutto, nell'attuale stato delle cose non avrebbe servito un sistema che si era rivelato il più fallimentare di sempre. No, non sarebbe stato così semplice, così breve.
    Il sorriso di Shaw non si perse, al contrario si illuminò maggiormente. Era inquietante quando allargava le labbra in quel modo, perché di base la muscolatura facciale era restia dal produrre tutti quegli sforzi e l'espressione finale ne risentiva visibilmente. Sotto quegli occhi indifferenti ma vivi di una luce di forte determinazione, poi, si creava un quadretto atto a fare intuire quanto poco temesse l'altro o quella situazione di palpabile tensione. Sempre in guardia ma con la sua tanto amata maschera di vita ad adombrare i suoi pensieri.
    « Addirittura... Io non farei tanto la testa di cazzo spavalda se fossi in te. O vuoi attirare l'attenzione su di te e mandare a puttane la tua ridicola latitanza? », domandò monocorde mentre una mano risaliva lungo il proprio costato per posarsi ferma sul polso dell'altro. Aveva gli arti molto caldi quando le dita strinsero la zona che avevano afferrato, intimandolo silenziosamente e senza neanche troppe parole a mollare la presa, perché quelle dita lo avevano toccato fin troppo. Poteva concedergli la prima mossa, fargli scaricare un po' di rabbia tanto per sentirsi anche un po' magnanimo, ma non gli avrebbe permesso di poter pensare di avere un qualche potere su di lui. Se Morley non avesse lasciato il suo collo, Shaw l'avrebbe indotto a farlo stringendo quell'osso più esile rispetto al proprio abbastanza da rischiare di scomporglielo e, se avesse insistito, allora non si sarebbe più fatto il minimo problema a sbatterlo violentemente di schiena sul tavolo piazzandogli una mano sulla gola, smascherandolo letteralmente ma coprendolo volutamente col proprio peso. Non poteva permettere che lo vedessero per vari, forse troppi motivi.
    Osservò le sue occhiaie e quella pelle vitrea, notando chiaramente i frutti delle sue azioni stampate in bella vista su quello che un tempo era stato un bel faccino angelico.
    « Ma non ci sarebbe nemmeno gusto. », commentò prima di avvicinarsi di nuovo, stavolta in un faccia a faccia, « Sai cosa farai adesso? Riporterai il culo su quella sedia o in un angolo più appartato - se hai deciso che alla vita ci tieni - e mi offrirai da bere come se fossi il tuo amichetto di scommesse per non dare nell'occhio », gettò un'occhiata rapida intorno a loro, « cosa che però hai già fatto con il tuo slancio da duro, così potrai rispondere a tutte le mie domande senza scatenare un casino del cazzo che ti vedrebbe inchiappettato nel tempo di far volare una bestemmia. Ti ho trovato una volta, posso farlo di nuovo, forse non c'è bisogno di ulteriori dimostrazioni. »
    La folla attorno a loro continuava a gridare incitazioni condite da imprecazioni e bestemmie di ogni sorta, sollevando le braccia ad ogni grugnito di chi si dimenava al centro del ring. L'odore forte del whisky che era stato riversato a terra da chissà chi era così forte che, in mezzo a quel fetore, quasi quasi isolava l'olfatto dal resto dello schifo. Ma non gliene poteva fregare nulla di essere urtato accidentalmente dai pezzenti con la fedina penale più sporca delle loro unghie, quello che più interessava ce l'aveva proprio lì, sotto agli occhi e isolato dal resto, e capire che tipo di persona fosse sarebbe stato più semplice lasciandogli una scelta.
    Era essenziale, per Shaw, mettere i propri nemici di fronte a dei binari. Lui non aveva mai agito alla sprovvista, almeno non del tutto, preferendo prima lanciare un avvertimento in modo da poter iniziare qualunque tipo di confronto senza disparità di ogni sorta. Morley, per quanto avesse agito più volte a discapito del moro, non avrebbe avuto un trattamento diverso. Nel pieno della sua immoralità, un proprio codice d'azione Shaw l'aveva ormai sviluppato.
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    Poi ricontrollo stasera da pc BEIBEH
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    ell’angolo di quella stanza disordinata e solitaria ardeva un cumulo di fogli accartocciati e gettati all’interno di un cestino di metallo. L’odore di bruciato aveva allontanato Stizzo, portandolo a raggiungere la scrivania ancora illuminata dalla luce di una lampadina al neon che gettava ombre scure oltre i suoi ostacoli. Le zampe del gatto scavalcarono silenziose una penna e una pila di fogli macchiati d’inchiostro, ancora troppo vuoti per poter essere aggiunti a quella mappa scarabocchiata e attaccata alla parete di fronte alla sedia.
    New York era stata stilizzata, i nomi delle singole zone appuntati da una calligrafia sgraziata, indecifrabile se non dalla mano che l’aveva impressa su carta; il blu delle linee di alcune vie era intervallato da un paio di cerchi rossi qua e là e molte croci sparse su più punti precisi. Schizzi vermiglio ad evidenziare sia ciò che era stato eliminato, sia quello che ancora doveva essere controllato. Non erano dettati dall’azzardo, ma da un pedinamento meticoloso portato avanti durante quelle settimane in cui aveva potuto tenere d’occhio qualcuno che, sapeva bene, lo avrebbe portato indirettamente verso il suo bersaglio. C’era una parte mancante in quella mappa: un paio di fogli erano stati strappati via, lasciando una zona totalmente scoperta. Quella era la zona prescelta, lì avrebbe trovato il locale giusto e non poteva permettersi di lasciare indizi su dove fosse in quel preciso istante. Se si fosse rivelato l’ennesimo locale sbagliato, Shaw avrebbe ricostruito la cartina per poi tentare altrove, procedendo in quella maniera esattamente come aveva fatto per un mese intero.
    Mentre il fuoco bruciava gli ultimi residui di carta, riempiendo il fondo di quel secchio con nient’altro che piccoli e fragili veli di cenere, la porta della camera di Shaw si aprì e si chiuse, lasciando Stizzo libero di poter chiudere gli occhi e dormire un po’.

    Le persone per bene giravano a largo da quella zona, il cui puzzo di piscio e marciume fungeva da cartello d’avvertimento. Avvolto nella sua lunga giacca nera - dotata di un cappuccio abbastanza largo da concedergli sia di coprirsi che di avere maggiore libertà di movimenti - per coprirsi dal freddo dicembrino e dallo sguardo di occhi indiscreti, Shaw si fece strada fra le puttane e la feccia stanziata in quel quartiere. Se ne stavano tutti ai lati della strada, le prime ferme come statue del sesso scolpite da una mano incapace e i secondi in movimento come topi di fogna, incapaci di resistere all’odore della spazzatura. Shaw imboccò un vicolo stretto, sorpassò un tizio che se lo stava facendo succhiare da chissà quale schifo di portatrice sana di merda e poi girò a destra. Il fetore gli si infilava nelle narici come se tutta l’aria del pianeta fosse stata impregnata dello stesso, ma poteva sopportare. Aveva sopportato di peggio.
    Senza toccare la maniglia fece scattare il meccanismo di chiusura servendosi della psicocinesi ed entrò in un edificio che, sapeva, l’avrebbe condotto direttamente nei sotterranei del localaccio in cui sperava di trovarlo.
    Salì le scale in silenzio, diagnosticando le varie auree nei paraggi per non dover affrontare chissà quale ubriacone in cerca di risse e dopo qualche altro passo varcò l’ultima soglia prima di essere nel bel mezzo del caos.
    Naughty Nell’s
    L’insegna di legno sopra il bancone lasciava intravedere solo cinque lettere, le altre erano state portate via sia dal tempo che dai segni delle varie risse o rappresaglie che avevano avuto luogo all’interno di quel posto lurido. Il mobilio era decadente, nulla che lo sconvolgesse più di tanto ma certamente poco adatto al signorino che stava cercando. Dunque era finito a sguazzare in quelle topaie, eh?
    Capirci un cazzo di qualcosa in quella sala che forse era spaziosa ma che - gonfia di gente in quella maniera - sembrava stretta come una gabbia per cani, era impossibile. Passare inosservato non era facile, considerando la sua stazza, ma le grida d’incitazione nei confronti dello scontro che stava avendo luogo al centro della parte nascosta del locale, su quel ring raffazzonato nel peggiore dei modi, bastavano a distogliere l’attenzione dall’ultimo arrivato. La concentrazione dei presenti, la poca rimasta considerando sia il livello intellettivo che quello alcolico e salutare, era tutta sull’incontro clandestino fra maghi, dove i due interessati si battevano a colpi di incantesimi lanciati un po' alla cazzo di cane, spaccando ora un lampadario, ora un osso sbagliato. A Shaw non poteva fregare di meno, i suoi occhi presero a vagare sulle schiene e sui volti che poteva vedere da sotto il suo cappuccio di tutti i presenti. Fece un giro largo, ordinò un Jack che non avrebbe bevuto e si addentò senza troppi spintoni un po’ più verso il cuore della tifoseria assetata di grana per osservare l'incontro con disinteresse. La sua diagnosi dell’aura non era servita solo ad evitagli qualche incidente di percorso, no... aveva percepito qualcosa, la presenza, seppure minima e vaga, di un'aura con la quale aveva già avuto il piacere di incontrarsi.
    Di scontrarsi.
    Era stato un fugace sentore, ma abbastanza da spingerlo verso la direzione nella quale l'aveva individuata.
    Fra le barbe sporche di birra e le braccia macchiate di solo Dio sapeva cosa, seduto a un tavolo con una calma totalmente contrapposta a ciò che lo circondava c'era qualcuno che, esattamente come lui, sembrava essere poco intenzionato a mostrarsi in viso. Una bottiglia di whiskey a far compagnia ad un solitario che teneva alla propria privacy, quale invito migliore ad avvicinarsi?
    Fece qualche passo verso di lui, il capo basso ma lo sguardo fisso sul ragazzo col cappuccio calato sul viso che lasciava intravedere qualche ciocca di capelli biondi. Shaw si appostò alle sue spalle, un paio di uomini di distanza da chi si occupava di segnare le scommesse, attendendo il momento giusto per averne la conferma.
    « Punto cinquanta dollari su Brooks. »
    Bingo.
    La soddisfazione di averlo trovato lo portò a curvare un angolo di labbra in un sorriso, uno di quelli rari ma spontanei. Adesso non restava che dargli il bentornato.
    Aspettò che sistemasse l'affare peggiore della storia, così da lasciargli qualche altro secondo di gloria nella sua nuova vita da pezzente prima di fare la sua mossa.
    « Non impari mai... », si era già avvicinato silenziosamente, poggiando la mano sullo schienale della sedia verso la spalla del ragazzo, quella opposta rispetto al proprio corpo, e prima di parlare si era chinato abbastanza da farsi sentire solo da lui, « ...punti sempre sulla persona sbagliata, Morley. »
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    Edited by •Lithium• - 30/11/2016, 02:38
  14. .
    Shaw Hynes
    24 ▪ Barista ▪ Scheda

    Narrato ▴ "Pensato"« Parlato »« Parlato Altrui »
    Mescolarsi alla feccia presente nel locale durante quelle pause auto-concesse risultava sempre utile, specialmente se il turno era da portare avanti con chi faceva prima a farsi inchiappettare che a versare un bicchiere di whiskey.
    Il Felix era il raccoglitore di feccia magica per eccellenza, c'era poco da dire, ma a volte a far visita arrivava la feccia della feccia, quella palesemente ripulita in superficie ma così imputridita dentro da essere più merdosa dei bagni di quel locale all'orario di chiusura. Jack non era stupido come dava a vedere, Shaw non sapeva nemmeno se stesse reggendo il gioco del tipo di Detroit o se ci fosse cascato con tutte le scarpe e le mutande, nel dubbio era rimasto ad ascoltare un po' la loro conversazione. Se ne stava seduto al suo tavolo in solitudine, lo sguardo che, vagato sul nuovo arrivato sin dal suo ingresso nel locale, ora se ne stava sul bicchiere quasi vuoto che teneva fra le dita poggiato sul tavolo.
    Chissà quante stronzate aveva imparato a montar su quel tizio, che si era presentato lasciando indizi su un passato niente affatto rispettoso e adesso parlava di strumenti musicali quasi strizzando l'occhio come il migliore fra gli amiconi.
    Cristo santo, che messinscena patetica. Di gente come quel tizio ne aveva conosciuta fin troppa negli UK, durante la sua lunga scalata per l'Inferno, quindi perché mandarla avanti ancora a lungo?
    « Pianoforte, chitarra, amore... Ci mancava solo il complesso del cazzo in questo posto. », esordì col suo accento schifosamente inglese alzandosi dal tavolo senza ancora dar loro il volto, ma utilizzando un volume abbastanza alto da farsi sentire sia da Jack che dall'altro. Tirò fuori una sigaretta dalla tasca della felpa nera e se la ficcò in bocca prima di prendere il bicchiere e fare il giro del bancone. Per tutto il percorso, lo sguardo restò fermo e al solito indecifrabile sulla figura dall'altro lato del ripiano; le palpebre leggermente abbassate erano un segno distintivo del fatto che Shaw fosse l'emblema del menefreghismo più assoluto nei confronti delle persone, specialmente quando queste persone appartenevano a certi ambienti che gli gettavano addosso il mantello della distaccata strafottenza che meritavano. Era essenziale che il ragazzo capisse di non avere alcun potere su nessuno, lì dentro, che se l'avessero assunto sarebbe stato voluto e non dovuto. Di poter aggirare qualcuno ma non tutto il branco di teste di cazzo che lavoravano in quel posto. Doveva capire, e questo era essenziale, che se avesse iniziato a pulire quei bicchieri avrebbe avuto il fiato sul collo.
    Passò dietro a Jack, bestemmiandogli all'orecchio con una risata sbuffata prima di aggiungere un appunto, « -ddio. Questo è venuto a chiedere un lavoro e tu gli parli della tua vita... »
    Sembrava quasi un ammonimento bonario scandito da chi, anche con un leggero sorriso, manteneva quella faccia da stronzo che non faceva una piega.
    Si riempì il bicchiere e si rigirò la sigaretta liberata dalle labbra poco prima fra le dita, quindi continuò.
    « ... così pensa bene di leccarti pure il culo, ché tanto gliel'hai già aperto in faccia. »
    A quel punto bevve quel whiskey da quattro soldi e si appoggiò col retro dei jeans neri al mobile alle proprie spalle. Aveva tutto il diritto di starsene lì a rigirarsi la sigaretta fra le dita con lo sguardo sull'aspirante barista, perché tanto avevano già tutti da bere e i bicchieri potevano aspettare.


    Holaaaa! Engie mi ha invitato così mi sono aggiunta al party
  15. .
    In azzurro parla all’auricolare

    Scheda ▴ Licantropo ▴ 23 anni
    Joëlle Marie Bresson
    Raccogliere quelle lacrime fu più facile del previsto. Joe si concesse qualche secondo in più in compagnia di quello Squonk: per quanto potesse essere bruttarello in fondo in fondo - parecchio in fondo - aveva il suo perché e il fatto che le avesse concesso tanto lo rendeva ancora più carino. Se lo sarebbe portato via, se avesse potuto...
    « Adesso non ti spaventare... », disse mentre rimetteva l'orecchino al suo posto.
    Prese il frutto del nuovo incantesimo appreso e, senza fare movimenti bruschi, con un'ultima carezza si alzò in piedi e fece qualche passo all'indietro guardando l'orologio. Individuata la figura dell'insegnante, la ragazza decise di incamminarsi verso di lui, per due motivi principali: il primo riguardava il fatto che, probabilmente, avrebbe trovato nuove creature anche durante quel tragitto, il secondo era legato al primo poiché, se non avesse trovato nulla di utile, avrebbe potuto girare i tacchi e tornare indietro percorrendo un'altra direzione, tenendo a mente la strada per raggiungere Chandra.
    Dunque, sempre muovendosi il più silenziosamente possibile - stavolta facendo un po' più attenzione ai propri piedi -, Joe iniziò a muoversi nella direzione scelta osservando attentamente l'ambiente circostante e rimettendo in allerta tutti i suoi sensi per anticipare eventuali creature.
    SQUONK - 10 PUNTI
    SKILL APPRESA: incantesimo della goccia
    OGGETTI TROVATI: 3 biglie di lacrima di Squonk.

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154 replies since 26/2/2015
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