Votes taken by -Chaos.

  1. .
    Anche Rev è in blodsmell per il sangue di Emma, Sally ascolta la canzone ahahaha

    Reverse - Carnage
    ■ Black Magician ■
    SchedacercaVoice

    "I've no name, no face, no live... And no one else will"


    I
    l dolore arriva forte, diretto alla spalla mentre Emma ne stacca un pezzo netto.
    Ne vuole di più, l'odore del suo sangue mischiato a quello che la ragazza perde dal naso lo inebria, lo rende bestiale. Ne vuole di più. Il dolore è nulla in confronto all'eccitazione che sale lungo il suo corpo al richiamo di quel miscuglio di odori e sensazioni, al bruciante contatto del suo corpo su di lui. Quasi vorrebbe stringerla, forte, portare il combattimento su un altro piano, scoparla lì davanti brutalmente per saziare la fame che spinge il suo corpo dall'interno, eppure non vi riesce. L'odore del sangue di Emma e il forte dolore portano nebbia nella sua testa, impedendogli di ragionare e lasciando andare il proprio corpo ai più profondi istinti.
    E' pura brutalita, pura furiosa spinta, quella che spinge la sua mano ad afferrare la testa di Emma, troppo vicina perchè possa schivare il colpo, e ruotare su se stesso per sbatterla con forza contro di terreno. Non vuole romperla, non vuole ferirla più del necessario. E' più grosso e più forte di lei e un semplice morso alla spalla non rappresenta un problema per le sue doti rigenerative. Vuole che si infuri di più. Vuole che si senta persa, disorientata, distrutta e che reagisca in tutta la sua magnificente bellezza, che provi con tutte le sue forze a opporsi e riveli al mondo la sua natura bestiale.
    Persino lui, perso nel dolore, perso nella furia del berserk che cresce dentro di lui come veleno e irrora il suo cuore e la sua mente. Che tutti vedano di cosa sono capaci. Che tutti vedano la forza di delle bestie nere, cannibali e terribili di fronte a loro. Si china, non pesa molto, non può contare su una resistenza fisica, non contro di lui, e non vuole abusarne.Afferra la gamba di Emma, roteano velocemente su se stesso e lanciandola con furia violenta contro la folla, approfittando della forza bestiale dovuta alla sua razza.
    E' stanco, il dolore è lancinante, ma non può fermarsi adesso. Non può lasciarsi morire dissanguato da un semplice morso, per quanto veloce fosse la guarigione dei Wendigo sarebbero passati comunque almeno un paio di giorni prima che la ferita guarisse del tutto. La sua musa ha esagerato come al solito, ma forse è proprio questo a eccitarlo, stimolarlo al punto tale da desiderare tanto il suo corpo quanto la sua carne, morderla e divorarla mentre la fa sua, vederla guarire sotto i suoi occhi, solo per ricominciare.
    Un rapporto malato, fatto di carne e sangue, ma al tempo stesso il più eccitante e vivo che potesse sognare di avere. Allarga le braccia, deve fermare il sangue, per prima cosa. Fortunatamente è un'altra puttana, una vera, ad avergli insegnato i segreti di una magia oscura e terribile, in grado di sopperire a una tale inezia. Il taglio di sangue sarà sufficiente a ricoprire la zona ferita e fermare l'afflusso di sangue, per quanto riguarda il dolore... oh il dolore è il meraviglioso miele d'ambrosia che tende ogni muscolo fino allo spasmo e digrigna i suoi denti e permette alla sua voce di uscire con tanta violenza dalla sua gola, forte e terribile, nei confronti di una ragazza che non deve smettere di combattere.
    Che non deve smettere di uccidere.
    Di mordere.
    Di mangiare.
    Di fargli provare un connubio di emozioni tanto meraviglioso quanto terribile.
    «ALZATI!»


    S
    kills utilizzate durante il post


    S
    tatistiche base relative alla Peak Human Condition:


    Forza: +2
    Velocità: +2
    Costituzione: +2
    Agilità: +3
    Resistenza: +3

    Bonus Allenamento:
    Anni di addestramento fisico specifico = +3

    Bonus Wendigo non necessari per parità di Razza


    gxydCX7

    "SHUT THE FUCK
    AND GET UP!"
    Role Code by Chaos.

  2. .
    Reverse - Carnage
    ■ Black Magician ■
    SchedacercaVoice

    "I've no name, no face, no live... And no one else will"


    S
    chiva, poi la prende al ginocchio. Sa che il colpo è stato subito di striscio, ma sa anche come questo basti a provocare più di un semplice dolore alla giovane ragazza.
    Eppure la vede. Vede il suo sorriso, vede i suoi occhi cercare il sangue e la morte e stringersi mentre ancora attacca e ancora schiva i suoi colpi. La cosa lo eccita. Lo ha sempre fatto. Quella spinta divoratrice e assassina, celata sotto una maschera di fine eleganza, ha da sempre scosso il suo animo e il suo corpo più di quanto chiunque avesse fatto, prima e meravigliosa dea di morte.
    Oh, li sente. Sente gli insulti e i commenti ingiuriosi che la folla solleva su di lei, uomini piccoli che non si rendono conto di chi hanno di fronte, chiusi nei loro mondi troppo a lungo sicuri e privi di pericoli. Sente come la folla inciti il sangue, come non si renda conto della parità dovuta solo alla somiglianza, come inneggi a una furia brutale che non potrebbe contenere né controllare, una furia cieca e cannibale.
    Volevano vedere il sangue.
    Volevano vedere la lotta.
    Avrebbero visto l'uno e l'altra, e l'avrebbero persino sperimentata. Era il momento che la dea togliesse la sua maschera da brava donna e indossasse la più veritiera e stupenda faccia del mostro. Era il momento che la sua musa si mostrasse fiera e bellissima per ciò che era.
    Lei cerca la sua caviglia, parla forzatamente, ma ancora si mantiene distaccata e cauta e non scende nella furia che dovrebbe esserle propria. Un colpo semplice, alla caviglia, studiato e preciso per impedirgli ogni movimento mentre mantiene questo unico appoggio. Ha il ginocchio alzato, non può schivare quel colpo senza saltare, mantenendosi a terra e contando sulla sua stabilità. Non può indietreggiare, non può portare indietro la gamba senza poggiare l'altra, e se la poggia non ha il tempo di schivare il colpo.
    Può solo parare l'arrivo del calcio, con l'unico elemento a suo vantaggio e disposizione, l'unico elemento mobile che fosse abbastanza veloce da intercettare il colpo. Sposta velocemente la gamba sinistra alzata, cercando di intercettare il colpo di lei frapponendo la tibia al suo ginocchio teso, puntando sulla rigidità della sua articolazione e poggiando il piede sinistro a terra come appoggio. Il suo peso aiuterà a impedire l'evoluzione del movimento del calcio, parando la caviglia destra da un colpo che sarebbe stato devastante e fornendogli un appoggio sicuro sul terreno.
    Ma deve colpirla, deve colpirla e svegliarla da quel torpore, e deve farlo adesso. Sfrutta l'appoggio appena ottenuto sul piede sinistro, roteando il corpo da destra e alzando la gamba tendendola per colpire il volto di Emma con un calcio rotato.
    Vuole che il suo sangue scorra, che ne senta il sapore, e non solo il suo. Se riuscisse nell'impresa si allontanerebbe dalla ragazza a terra. Vuole che perda il controllo, vuole che si scagli con tutta la furia che la sua razza impone.
    Porterebbe la mano artigliata al petto, graffiandolo e lasciando che il sangue scorra, che il suo odore arrivi alle narici di Emma.
    «Surriscaldati cara»


    S
    kills utilizzate durante il post


    S
    tatistiche base relative alla Peak Human Condition:


    Forza: +2
    Velocità: +2
    Costituzione: +2
    Agilità: +3
    Resistenza: +3

    Bonus Allenamento:
    Anni di addestramento fisico specifico = +3

    Bonus Wendigo non necessari per parità di Razza


    gxydCX7
    "I'm gonna fight 'em all
    A seven nation army couldn't hold me back
    They're gonna rip it off
    Taking their time right behind my back"
    Role Code by Chaos.

  3. .
    Bonus del personaggio nel relativo pannello.
    La canzone è figa.

    Reverse - Carnage
    ■ Black Magician ■
    SchedacercaVoice

    "I've no name, no face, no live... And no one else will"


    P
    erchè?
    Perché lo ha trascinato in quell'assurdità? Perché preme per combattere una battaglia insensata e priva di fondamenti qual è quella che stanno imbastendo? Perché vuole provare il suo valore di fronte a lui?
    No, perché piuttosto lui si prende in giro, quando ben sa il motivo di quello scontro. Oh lei vuole combattere, lo vuole disperatamente per mettere a nudo quella violenza carnale che spinge i loro corpi dalle corna nere ogni notte di luna nuova. Lei... brama quel sangue, quella violenza brutale che si confina alla pura cibazione. Lei lo brama, e mentirebbe se dicesse che per lui non vi è fame o voglia di morte. Ogni singolo giorno, ogni singolo sguardo, ogni singolo bacio e morso e graffio e tocco brama quel sangue e quella violenza.
    Oh sa perfettamente perché adesso si trovano faccia a faccia, mascherati, a girare lentamente e fissi negli occhi altrui come bestie feroci pronte al combattimento. Perché lo sono, bestie. Il manor prende il tuo corpo, il tuo animo, e lo chiude in catene che neanche uno specchio possono eguagliare. A nulla valgono le raccomandazioni del padre. A nulla vale Randall che impone le sue regole e i suoi riguardi quando loro a fatica strisciano nella fame carnale e violenta che scuote i loro sogni ogni notte.
    E adesso sono lì, l'uno di fronte all'altra, l'uomo e la donna, Adamo ed Eva forse, se si potessero definire nuovi precursori di una generazione di bestie affamate di carne e sangue.
    E il sangue, per lo meno, lo avrebbero avuto.
    Piega il capo di lato, osservando la giovane Wendigo, e sorride, in attesa. La sua esperienza è superiore. La sua forza è superiore. Eppure Emma conserva in sé il potenziale di ridurre il suo corpo in cenere se solo lo volesse, terribile e distruttiva com'è. Non bisogna mai fidarsi della facciata conservata a fatica, poiché preclude la vista della bestia nascosta dietro di essa.
    Eppure sorride, sorride e strizza l'occhio dalle lunghe ciglia, schiudendo un secondo le labbra rosse per poche, lievi, parole. Sorride a sua volta, scoprendo i denti sotto la copertura di quella maschera rossa che porta. Scrocchia il collo, a destra e a sinistra, poggiandosi poi la mano sul petto e privandolo della maglia nera per evitare che possa fungere da appiglio durante il combattimento. La getta di lato, rivolgendo di nuovo gli occhi alla donna davanti a sé. Emma voleva il sangue, Emma voleva la presa violenta della lotta, mai sazia della violenza che già le dava. E l'avrebbe avuta.
    Non aspetta, si getta subito in avanti, contro di lui. Reverse è più alto e più grosso, perciò ovviamente punta sulla velocità e sulle dimensioni relativamente ridotte, si abbassa e si porta avanti per essere difficile da colpire. Eppure attacca frontalmente, a guardia alta, sfruttando la sua velocità. Sa bene che la sua superiorità fisica gli consente un vantaggio solo fintanto che la mantiene, e sa bene quanto facilmente Emma possa sfruttare il suo peso per gettarlo il terra e sovrastarlo. Ha bisogno di una posizione stabile e statuaria, incapace di vacillare ma non per questo ridotta nei movimenti e nell'elasticità, consentendo attacchi potenti e veloci e permettendo all'avversario di stancarsi nel tentativo di farlo cadere, quel tanto che basta per concedersi un maggiore usufrutto della sua agilità.
    E karate sia.
    Si avvicina frontalmente, e lui l'aspetta. Allarga il braccio e la gamba destra, portando il pugno chiuso alla fronte e la punta della scarpa sul terreno mentre ancora si avvicina. Poi lo vede. Il suo attacco arriva al corpo, ma non importa, non ha ancora preso la sua posizione. Ruota la gamba destra e il pugno destro, in un movimento di spazzata con la gamba, accompagnato da un soto uke del braccio. Un unico movimento coordinato, una rotazione di poco più di 90°, atto a deviare ogni colpo diretto in arrivo verso sinistra, colpendolo lateralmente e scongiurando la minaccia, e al tempo stesso portandolo in una posizione orizzontale rispetto all'avversario, chiudendo ogni possibile apertura in guardia. Sa che è veloce, e sa che molto difficilmente una semplice deviazione può scongiurare l'arrivo di un colpo. Emma... Emma è persino più subdola di quanto lui possa essere. Emma gioca con le sue vittime, le coglie di sorpresa, e sa bene quanto la sorpresa sia un fatto importante contro un avversario della mole di Reverse, contro cui la forza bruta non può vincere. Eppure deve tenere sempre almeno un piede a terra, non può permettersi di inseguirla e stancare il suo corpo in una corsa inutile e sfuggente, la deve attendere, assecondare, intercettare nel momento in cui porta avanti il corpo e in cui finta un movimento e colpire forte in maniera che non possa reagire. Non ha intenzione di infierire, ma vuole capisca che non deve trattenersi.
    Vuole godersi quello scontro.
    Aguzza gli occhi, studiando i movimenti dell'avversario in maniera da percepirne lo schema, per intuire l'arrivo del colpo, ma non la insegue. Si volta, quando lei si muove, cercando di intercettare la sua stabile posizione sollevando appena il piede sinistro per colpire con un rapido Fumikomi l'incavo del suo ginocchio, in maniera da rallentarla e fermare il suo movimento, sbilanciandone la posizione. Ritira indietro il sinistro in maniera da portare il ginocchio al petto, deve essere rapido, più di lei, muoversi senza che si accorga realmente di essere stata colpita e distendere una seconda volta la gamba, mostrando il taglio del piede, colpendo con uno Yoko geri kekomi la gola della ragazza perché possa cadere indietro priva di fiato.
    Se non vi riuscisse, allora sposterebbe indietro il peso spingendo sulla gamba sinistra per allontanarsi dalla ragazza, alzando la guardia per fronteggiare l'arrivo di un eventuale colpo.
    «Suvvia baby, puoi fare di meglio»


    S
    kills utilizzate durante il post


    S
    tatistiche base relative alla Peak Human Condition:


    Forza: +2
    Velocità: +2
    Costituzione: +2
    Agilità: +3
    Resistenza: +3

    Bonus Allenamento:
    Anni di addestramento fisico specifico = +3

    Bonus Wendigo non necessari per parità di Razza


    gxydCX7
    "I'm gonna fight 'em all
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    Role Code by Chaos.

  4. .
    "There is no War that is not Your War"
    P
    ochi colpi bastarono ad abbattere la parete, poche mosse ad attraversarla. Piccole case si profilarono di fronte ai loro corpi, piccoli umanoidi bitorzoluti, non più grandi di una mano, parlarono con loro. La soluzione era semplice, lo era dannatamente, e l'esito di quella scelta sarebbe stato inevitabile.
    Ti va di rimanere ancora un po' a casa, Aijirn?
    Non penso di potermi aspettare altro

    Si fermò, chinando il capo e voltandosi verso Joy. Avrebbe trovato un'altra strada, ci sarebbe riuscito, per rivederla. Avrebbe attraversato tutto il Chaos elementale pur di vederla ancora, anche se ci avesse messo tutta la vita, ma non poteva lasciare che nessun altro rimanesse indietro oltre lui. Un destino infame, il suo, una scelta unica e irrimediabile. Lo aveva scelto, lo aveva sognato con l'innocenza di un bambino e concretizzato da adulto, evolvendosi già da principio e più ora dal semplice combattimento contro le forze del male all'accettazione del compito di proteggere tutti, chiunque potesse. Indipendentemente dall'antipatia, dai comportamenti e dai grugniti che numerosi costellavano il suo aspetto, non avrebbe mai permesso che un ragazzo rimanesse al suo posto.
    Rialzò gli occhi, Markab oppose resistenza. Era normale che lo facesse, era normale che ci provasse. Poggiò una mano sulla spalla del ragazzo, avvicinandosi a lui in maniera che lo sentisse, e forse il tono perse per la seconda volta quella strettezza militare che aveva blaterato ordini a destra e a manca.
    «Tranquillo, va bene così: sono un evocatore. Posso uscire da qui evocando un Groundring, ma ovviamente non potevo considerarlo prima, visto che posso usarlo solamente io. Ora che abbiamo un modo per uscire non c'è motivo che rimanga qualcun altro, visto che posso tranquillamente tornare»
    Non c'era nessun Groundring. Era l'unico evocatore del gruppo, l'unico, tra loro, che seguisse il corso di Peterson. Molti di loro non avevano nessuna idea di cosa fosse un groundring, molti di loro non avevano idea di cosa fosse il principio stesso dell'evocazione e quali fossero i suoi limiti. Avrebbero avuto remore, avrebbero avuto dubbi, ma la situazione richiedeva una decisione veloce e le sue parole sarebbero state affidabili, quel tanto che bastava per permettere agli altri di andare avanti. Si chinò sulle gambe, portandosi più vicino alla visuale delle creature.
    «Per noi va bene, se ci dite come posizionare i monoliti per attivare i santuari ve li riporterò indietro io stesso. Affare fatto?»
    Allungò la mano in avanti, e forse, per la prima volta sinceramente, sorrise a quelle piccole creature. Era ovvio, la sacralità di quelle pietre per loro doveva essere molto importante, e normalmente le avrebbero rivolute in dietro. Aspettò di capire come posizionare quelle pietre, grandi come uova di drago e certo scomode da portare fin lassù, ma nulla che non fosse impossibile. Si alzò, evocando un pugnale ombra e stringendolo tra le mani, cercando per l'ennesima volta di focalizzare il volto della donna che amava, immaginandola libera da quello pseudo inferno e vertendo a quello l'intenzione per la sua evocazione. Una bisaccia, una bisaccia in pelle di capra con due forti bretelle in cuoio che potesse portare sulle spalle, utile e abbastanza capiente da contenere tutti i monoliti per il ritorno e consentirgli di effettuare la scalata più avanti.
    Se vi fosse riuscito, avrebbe preso quanti più monoliti possibile, cercando di lasciare libere le mani a tutti perchè potessero aiutarlo durante la scalata con le loro magie, considerando la sua forza e la sua abilità l'unica in grado, tra loro, di portare il peso senza cadere per il dislivello. Dopotutto si era addestrato per anni in territori ben più impervi.
    Si avvicinò alla salita, chinandosi in avanti e cominciando a scalarla utilizzando le mani e i piedi, controllando che non vi fosse nessuno direttamente dietro di lui, in modo tale che cadendo non travolgesse nessuno e potesse muoversi lentamente quanto necessario, superando il dislivello. Si fermò, lì davanti, posizionando nella maniera corretta, come detto dalle creature, i monoliti al posto giusto nei santuari, attivando il portale.
    Si voltò ancora una volta verso la ragazza, guardandola avanzare nei suoi capelli biondi, allungando la mano per sfiorare la sua quel tanto che bastava per assicurare a lei e a se stesso che ce l'avrebbe fatta, che sarebbe tornato. Come sempre.
    «Ci vediamo dopo»
    scheda
    Narrato - «Parlato» - Pensato

    ■ Human ■

    ■ Magician ■

    ■ Special Force Academy ■

    gxydCX7
    Requiem for a Dream


  5. .
    Combo

    "There is no War that is not Your War"
    L
    a stanza illuminata rivelò il profilo di una strettoia da un lato della caverna e di un piccolo passaggio dall'altra parte della caverna, poco più che un foro nel muro. Si avvicinò, lottando con il dolore alle articolazioni e valutando persino la possibilità di auto sottoporsi ad un elettroshock che intorpidisse i suoi nervi e limitasse le fitte continue.
    Eppure passo dopo passo sentiva il dolore diminuire, forse a causa della robusta ripresa dei muscoli o delle notti passate disperso tra i vicoli oscuri della città. Una voce irruppe nel silenzio. Si voltò, osservando il volto di Markab e Skyler, appena usciti dalla fenditura. Due comuni ragazzi, li conosceva per la loro presenza a runica, con il quale condivideva il corso, eppure non si era mai trovato faccia a faccia con la sguaiata maniera di quei due. Scosse il capo, concedendosi un triste sospiro mentre osservava i due avanzare.
    L'idea che fossero provenuti dalla feritoia lasciava facilmente intendere quanto la via d'uscita fosse preclusa da quella parte, eppure il passaggio ulteriore rimaneva troppo piccolo per la stanza di chiunque, in quel momento. Rifletté, ordinando i pensieri, non badando agli avventori che si avvicendavano in chiacchiere futili, parlando prevalentemente con gli spiriti ad essi legati, se non quando uno di essi rivolse parole all'unica persona in quella stanza cui doveva avere riguardo per una distanza minima di centro metri.
    Si voltò, notando il tono ammiccante, con la coda dell'occhio. Per quanto la maschera incutesse timore nell'animo dei criminali della città, nulla era paragonabile allo sguardo che rivolse, in quel momento al ragazzo. La sua maschera era un misto di muta serietà e promessa non tanto velata di una morte certa, sebbene tutt'altro che immediata.
    «Ehi amico, sta lontano un po' tu da lei prima che ti casti addosso una sberla di quelle che si ricordano»
    Poche, semplici, parole. Un tono duro e quanto mai simile al tono della maschera nera. Non poteva ovviamente sapere del suo rapporto con Joy, eppure Justin non riusciva a fare a meno di desiderare la frattura di ogni più piccolo osso del corpo di chiunque le si avvicinasse ammiccante. Si voltò, grugnendo e cercando di togliersi dalla testa l'idea di saltargli addosso, scusandosi con uno sguardo nei confronti di Joy per la sua gelosia. Bisognava capirlo un po', dopotutto, per tanti anni aveva vegliato su di lei senza poterla avere o avvicinare, e non era disposto a vedere avvoltoi sulla cosa più importante della sua vita.
    Eppure erano lì insieme, e insieme necessitavano di uscire.

    Perchè non ci hai pensato tu?
    La voce di Aijirn arrivò chiara alle sue orecchie, quando lo spirito del ragazzo tornò dalla perlustrazione appena avvenuta. Un passaggio si profilava dall'altra parte del tunnel, pronto ad aprirsi su una salita quantomai ripida e irta, eppure una via d'uscita. Sembrava ci fossero delle creature dall'altra parte del muro, creature che, stando alle parole di Markab, non andavano disturbate. Si esibì in un leggero gesto della mano, scacciando le parole dello spirito e avvicinandosi al foro. Il buio impediva di percepirne l'effettiva profondità, e l'idea di una scintilla spinta oltre il foro poteva rivelarsi fatale al fine di mantenere la calma delle creature.
    Eppure non poteva sapere quanti metri di roccia ci fossero da scavare verso un'improbabile via d'uscita.
    Non importa
    Si scosse, percependo le parole di Aijirn
    Siamo simbionti, non possiamo allontanarci troppo dall'ospite. Valutando la distanza non sarà profondo più di mezzo metro
    Simbionti? Bene, era passato dall'essere uno pseudo vigilante all'essere uno pseudo Venom, e guai ci fosse stata la presenza di un Carnage. Eppure l'informazione, scevra dalle inquietanti rivelazioni, si dimostrava vitale. Potevano sfondare la parete, potevano sfondarla facilmente. Si avvicinò, poggiando una mano sulla roccia e osservando in alto il limitare del burrone, troppo lontano per scorgerlo del tutto e rivelatore di metri e metri di roccia che sarebbero potuti cadere, dato il fragile spessore, per chiudere loro l'unica probabile via d'uscita. Chinò il capo, voltandosi verso i ragazzi.
    «Dobbiamo aprire un varco, ma dobbiamo contenere la roccia in maniera che non ci crolli addosso»
    Riflettè un secondo, osservando i ragazzi. Ancora una volta, l'ironia di Mendeleev gli ricordava come non potesse proseguire il cammino da solo, rendendo necessaria una combinazione di poteri sufficiente a sconvolgere la roccia intorno a loro senza chiuderli in una tomba priva di vie d'uscita.
    «Posso indebolire la roccia e sfondarla. Voi due avete uno spirito di terra a quanto ho capito»
    Si voltò, avvicinandosi alla roccia e poggiandovi sopra la mano, cercando di valutare l'area adatta all'apertura del varco. La runa del depotenziamento fisico si era rivelata peculiarmente utile nell'indebolimento di oggetti materiali di quella portata, manifestandosi quindi come particolarmente utile in una situazione del genere.
    «Utilizzerò il Down Reid sulla roccia, una porzione intorno all'apertura, e faremo in modo di spostarla. Voi, utilizzate le skills di terra per irrobustire la parete circostante evitando un crollo e tu invece - si rivolse ad Orchidea - pensi di poter far crescere delle piante in questa zona, le radici darebbero solidità al tunnel»
    Si accorse forse tardi del tono di comando che ebbe nei confronti dei ragazzi e di come questo si fosse fatto più disteso verso Orchidea. L'aveva appena conosciuta, eppure quei gesti altruistici, appena esternati, lo avevano portato a rivalutare la figura della ragazza consentendogli se non altro di trattarla in maniera amichevole. Si voltò di nuovo, e di nuovo strappò la carne del suo dito perchè il sangue ne uscisse. Un'immagine altrettanto semplice, lineare come quella della torcia, di un bastone in legno di quercia rozzo e appena intagliato che avesse sul capo il profilo ricurvo e appuntito della testa d'acciaio. Si concentrò, cercando di evocare due picconi*, osservandoli di fianco, poggiati di fronte alla medesima cava, lasciati lì da due minatori fratelli che andavano a consumare insieme il pasto della sera.
    Se li avesse avuti, li avrebbe momentaneamente poggiati di lato, di fianco al foro, per poi imporre le mani sulla roccia astante l'apertura. Lasciò che la magia fluisse, ruotando le mani intorno al passaggio mentre imponeva su di essa la runa del depotenziamento fisico**, focalizzandosi sulla friabile consistenza del gesso che avrebbe avuto la roccia immediatamente accanto all'apertura. Se vi fosse riuscito, pochi lievi colpi di quelle armi rudimentali avrebbero spezzato la roccia con facilità disarmante, consentendogli un passaggio veloce e sicuro oltre quella barriera.
    Fece un passo indietro. Prendendo in mano il piccone e sgranchendo i muscoli del collo e delle spalle, fermandosi poi di colpo. Lo spirito era stato chiaro su quello, non potevano permettersi di disturbare il sonno tranquillo delle creature oltre l'apertura. Le onde sonore erano trasmesse dalla vibrazione e dispersione meccanica attraverso l'ambiente circostante, e per quanto loro, da quella parte, avessero percepito il suono secco del colpo attraverso la roccia, questa non avrebbe consentito una buona trasmissione del suono oltre la parete. Eppure, diversamente, il foro stesso avrebbe dipanato i suoni con l'eco dovuto alle pareti ristrette, rischiando di trasformare l'azione pulita e silenziosa in un disastro di crolli e rumori. Dovevano fare in modo di eliminare la trasmissione sonora dall'altra parte della barriera.
    «Un vuoto d'aria..»
    Si voltò verso i ragazzi, fissando lo sguardo su Joy
    «Serve qualcuno che crei un vuoto d'aria oltre la parete, nella zona del foro. Una corrente di ricircolo o ascendente in maniera da impedire la trasmissione dei suoni. Possiamo applicare anche una cinesi, se qualcuno di voi segue il corso, la cosa importante è bloccare la vibrazione meccanica dell'aria in maniera da essere silenziosi»
    La necessità di mantenere l'azione quanto più silenziosa possibile si imponeva su di loro come un'ennesima complicanza. Solo quando questa si sarebbe risolta, quando le pareti fossero state rafforzate, tanto dalla magia quanto dalle semplici piante, quando il rumore fosse stato quietato e la roccia ridotta a gesso, allora avrebbe afferrato saldamente il piccone e colpito con forza due volte in maniera tale da creare il varco necessario all'uscita.

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    *Evoca una coppia di picconi gemelli dallo stesso piano
    **Azione eseguita due volte
    scheda
    Narrato - «Parlato» - Pensato

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    ■ Magician ■

    ■ Special Force Academy ■

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  6. .
    "There is no War that is not Your War"
    C
    addero nel vuoto, perdendo l'appoggio del solido terreno e scivolando nel vuoto più profondo. Che stessero per morire? Watson l'avrebbe permesso? No, per quanto severo il suo insegnamento era più che semplice prova vessatoria e immotivata. Nascondeva al suo interno un'intrinseca e paterna dolcezza, mista alla severità tanto familiare al quale era stato abituato, addestrato.
    Le piume arrivarono ad attenuare la sua caduta, dolcemente poggiandolo sul fondo di quello che sembrava un burrone. L'aquila, grande e imponente, parlò loro con tono profondo. Aveva ragione, aveva dannatamente ragione. Per quanto imperdonabile fosse la sconfitta, per quanto per anni avesse visto l'ira e il disappunto negli occhi di un maestro despota, ogni qual volta le sue gambe cedevano ed era costretto al suolo dalla fatica, non poteva lasciare che essa riducesse il suo corpo e il suo animo ad una tale bassezza. Alzò gli occhi, sorridendo brevemente allo spirito per la grazia che aveva concesso loro.
    Non aver paura di cadere
    Abbassò il capo, sorridendo mentalmente, dandosi dello stupido per un orgoglio immotivato e dannoso, che aveva distolto la mente dall'unica vera realtà perdurante nella sua vita: proteggere. Joy era in salvo, così Orchidea, eppure si era fermato a combattere inutilmente, chiuso nella vergogna. Non avrebbe più permesso a se stesso un simile errore.
    Voltò gli occhi verso il territorio circostante, constatando con estrema chiarezza quanto non si vedesse una benemerita ceppa. L'oscurità regnava sovrana, il suo ambiente, la sua naturale dimora, e il suo caldo abbraccio stringeva le membra. Sospirò: peccato non avere un visore, in quel momento. Sorrise, fortunatamente, in quel mondo rinnovato, poteva contare di nuovo su qualcosa che conosceva alla perfezione, l'insieme di regole e leggi che piegavano l'universo alla comprensione umana e lo rendevano creta malleabile al tocco di mani maestre. Cercò di respirare a fondo l'aria povera della caverna, calmando il suo corpo e il suo spirito alla ricerca della pacatezza mentale di cui si faceva fregio più volte. Doveva richiedere l'aiuto di qualcun altro. L'aiuto di colui con cui condivideva un destino comune.
    Aaaand here again, wonderful
    «Giuro, messo a tuo confronto sembro un simpaticone»
    Ridacchiò brevemente. Per quanto Aijirn fosse incline alla parola quando un pitbull fosse incline ad una dieta di sola insalata, non poteva fare a meno di stimare quel comportamento serio e impettito che aveva un chè di regalità, quasi. Era fortunato, in un certo qual modo, di averlo avuto accanto per tanti anni. Si voltò verso le ragazze, intercettando un contorno appena sfocato nell'oscurità incessante.
    «Ragazze, abbassatevi, cerco di fare un po' di luce»
    Se avesse ricevuto una conferma da parte delle due compagne di sventura, avrebbe esternato il suo potere elettrico, utilizzando la tecnica delle scintille per creare innumerevoli barlumi luminosi sparsi per la caverna, che avrebbero consentito una chiara visione dello spazio circostante e della situazione nel quale si trovavano. Per quanto il potere elettrico fosse limitato ad energia e potenza, le implicazioni e le interazioni che aveva permeando le più infinitesime fibre della materia stessa lo rendevano adatto ad ogni utilizzo. L'elettricità era luce, l'elettricità era calore, era pura energia.
    Wow, devo ammetterlo, usare il mio potere per delle lampadine, che idea geniale, onorevole...
    Non ci badò, cercando di scacciare l'ironia di quella situazione, constatando come entrambi avessero ben poco di onorevole durante quella prova. Le scintille avrebbero di certo illuminato la sala, ma rappresentavano un grosso limite nella possibilità di un passaggio. Immobili ed eteree non sopperivano la mancanza di una fonte di luce portatile e duratura. Si voltò. Orchidea riusciva a manipolare l'erba, ma non poteva richiederle di utilizzare il suo potere oltre i limiti consentiti. Vi era una seconda possibilità in ballo, tuttavia. Portò il suo dito alla bocca, stringendo forte la pelle e sentendo il sapore ferroso del sangue dalla lacerazione causata dai suoi denti, mentre il profilo di un lungo bastone di legno grezzo si delineava nella sua mente. Spesso, non troppo lungo, appena sui 40 cm, e ornato di un grumo di garze e bende dalla struttura traforata, in maniera che l'ossigeno passasse liberamente tra le fibre di tessuto. Una torcia. Dovevano trovare una via, dovevano trovare una possibilità di evadere da quel buco, tutti e tre, insieme, sani e salvi. Era pur sempre un punto da cui iniziare. Evocò la torcia, una, inutile munire tutti e tre di una fonte di luce personale e temporanea quando si presupponeva un movimento sincronizzato e in precisa formazione. Non sarebbe stato un problema, una semplice torcia era ben invocabile dalle sue abilità in quella materia, ma non l'avrebbe tenuta per sé. Si voltò, porgendo l'oggetto alla dominatrice dell'erba, ornando il suo volto di un mezzo sorriso, troppo poco abituato a rivolgere un comportamento gentile agli astanti ma memore della lezione appresa fino a pochi secondi prima.
    «Tieni, usa la garza come superficie per ricoprirla di erba secca. Avvicinala alle scintille e l'effetto Joule la surriscalderà abbastanza da farla infiammare. Magari non al primo tentativo, ma dovrebbe funzionare, Joy stessa può manipolare l'aria per alimentare la fiammella»
    Si voltò, facendo per muovere un passo. Interminabili fitte di dolore percorsero il suo corpo come una scarica di proiettili. Sotto la spinta adrenalinica del combattimento non si era curato più di tanto del profondo dolore sperimentato dal suo corpo, eppure in quel momento il peso di una fatica immensa e di un dolore insopportabile ricaddero su di lui in tutta la loro ignobile forza. Si voltò verso Joy, sorridendo stanco al suo viso. Non si era ancora dato pena di guardarla per bene dall'inizio della lezione, constatando solo allora di quanto il semplice tratto del suo viso potesse rincuorarlo e rassicurare ogni suo timore.
    «Joy, tesoro, tu che segui le grazie e il potere del grande e potente Pelor...»
    Si mosse, gemendo
    «Quando hai tempo, una mano....»
    Aveva perso la verve odiosa e antipatica avuta sino a qualche minuto prima, forse gettando la maschera nera che tanto incuteva timore e mostrandosi per se stesso alla donna che amava e alla ragazza, che fino all'ultimo si era mostrata tanto altruista nei suoi confronti, facendo sì che la sua natura eroica impallidisse di fronte a gesti così aperti e spontanei. Scosse il capo, ritornando a concentrarsi e sfruttando la luce emanata dai globi elettrici per osservare ogni anfratto del baratro in cui si trovavano, muovendosi lentamente e mantenendosi basso per evitare di finire in balia della sua stessa trappola, ma approfittandone per esplorare le pareti alla ricerca di un'apertura adeguata al proseguimento di quel percorso.
    «Se qualcuno, ahi, vede, ahi, qualcosa, ahi... faccia un fischio»
    scheda
    Narrato - «Parlato» - Pensato

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    Requiem for a Dream


  7. .
    Ah ah l'ho capita adesso questa!
  8. .
    "There is no War that is not Your War"
    L
    a scossa pervase il suo corpo con moderata intensità, costringendo il suo corpo sulle ginocchia in un gemito di dolore. Era piegato dal dolore, dalla fatica, e nulla era comparabile ad una vergogna crescente nel suo corpo.
    Era riuscito a malapena a distrarlo, a malapena a sorprendere la creatura. Joy era riuscita ad avanzare verso la crepa, ed Orchidea, per quanto bloccata, aveva la possibilità di scattare in avanti al momento giusto. Persino lui aveva una possibilità di scattare in avanti e raggiungere la fenditura, salvarsi e proseguire la prova ed il suo cammino verso la torre d'avorio. Per un secondo, piegato in due dal dolore, dall'elettricità che percorreva il suo corpo violentemente, dalla vergogna e dal peso di un orgoglio ferito profondamente, per quel secondo accarezzò l'idea di seguire la figura delle ragazze, correre via verso una salvezza effimera e una soluzione semplice, servita da un colpo fortunato. Per un secondo accarezzò l'idea di partire avanti, di pensare all'utile e abbandonare ogni stralcio dignitoso ancora rimasto nel suo corpo. Per un secondo lo pensò davvero.
    Sorrise, tristemente.
    Con quale coraggio pensava anche solo di muoversi, di scappare. Con quale coraggio prendeva la sua vita, la ragione che spingeva il suo corpo al limite ogni notte, dietro una maschera che ne nascondeva il volto e una tuta che ne proteggeva il corpo. Piegò il capo in avanti. Il suono della voce di Aijirn ridondava nella sua mente e feriva il suo animo come cento pugnali fiammeggianti.
    Non puoi batterlo, non da solo
    Sorrise, tristemente, per l'ironia di quelle parole.
    «Quando mai ho combattuto da solo, Aijirn...»
    Non aveva mai realmente combattuto da solo. Non aveva mai realmente contato solo sulle sue forze. Aveva avuto bisogno di una maschera per incutere timore nelle menti della criminalità di New York. Aveva avuto bisogno di una tuta che proteggesse il suo corpo. Aveva avuto bisogno di congegni per aumentare il suo potere elettrico. E persino allora, persino allora si era reso conto che quel potere, il fondamento stesso della sua azione, della sua vita, derivava dall'azione di uno spirito che non aveva mai meritato di sfruttare.
    Persino allora rivide il volto stanco di Shaw attraverso il fumo nero e denso del magazzino, persino allora rivide il brutale dolore sul volto di Joy, conscio dell'orrenda manipolazione operata su di lei. Persino allora rivide la realtà dietro la bugia rappresentata dietro l'eroe solitario. Non era mai stato solo. Non sarebbe mai andato avanti, non finchè non fosse stato sicuro delle sue possibilità, non finchè non fosse stato sicuro della sua forsa e della capacità di difendere le persone intorno a lui. Non lo avrebbe permesso, perchè la vergogna e il dolore troppo fortemente trattenevano i suoi passi, e troppo fortemente lo costringevano a fronteggiare il nemico che così fieramente si era opposto a lui.
    Il suo dominio è il tempo, ma qui il vero padrone è il fulmine. Il fulmine dà vita, impartisce i suoi ordini
    Il fulmine era vita, il fulmine era dominio, sovrastava il volere delle semplici creature che si muovevano in quello scenario. Eppure sapeva la verità. Sapeva quanto grande fosse la difficoltà nel guadagnare una posizione di comando, quando così basso era il rispetto che persino lui stesso nutriva per lui.
    No, non si sarebbe mosso, non si sarebbe mosso ancora, finchè non fosse stato degno di quel potere, finchè non fosse stato in grado di imprimere la sua volontà sulla creatura che tanto aveva vessato il suo corpo, non finchè lui stesso non l'avrebbe riconosciuto come pari, e avesse fatto incedere la sua figura senza opporre resistenza alcuna. Neanche allora sarebbe stato da solo, neanche allora, come mai lo era stata nella vita, come non lo era stato ogni notte.
    «Per tanti anni sei stato tu... non è vero?»
    Parole vuote e insensate, forse ovvie, forse scontate, eppure così importanti in quel momento.
    «Non ho mai dubitato del mio potere, Aijirn, ma se quello che mi hai dato per così tanti anni era solo un minimo di quel potere, ti chiedo adesso di concedermi un ultimo favore...»
    Alzò lo sguardo sul Curanderos, osservandone la figura fiera stagliarsi di fronte a lui. Oh era potente, era veloce, ed era fiero del suo ruolo e del modo in cui aveva così vittoriosamente affrontato lo stolto di fronte a lui. Eppure non poteva indietreggiare, non ancora. Non lo avrebbe fatto.
    «Concedimene ancora un po' di più»
    Concentrò la sua mente, attivando il legame spiritico con colui che così silenziosamente gli era stato amico e compagno per tanti, troppi anni. Il Curanderos era potente, era veloce, era... sicuro di sé. Si era mosso sfruttando una velocità elevatissima, ma per quanto fosse incarnazione del tempo e del fulmine si era dimostrato vincolato da leggi che permanevano persino in quel mondo. Oh, non vi era velocità che contasse quando il corpo vagava nell'aria, senza un punto al quale appoggiarsi e dal quale sospingersi. La creatura era veloce, la creatura era forte, eppure troppo sicura si mostrava a lui.
    «Aijirn: al momento giusto»
    Concentrò il suo potere, ricercando il potere del suo spirito e sgombrando la mente affinchè lo accogliesse con lui, ricercando un potere troppo a lungo agognato, sovraccaricando il suo corpo di un'elettricità sfrigolante e tremenda, aumentando il suo potere per concentrare l'elettricità in un unico colpo, un'unica dimostrazione di forza unica e chiara. La creatura era troppo sicura di sé. Evocò un pugnale ombra, lanciandolo in avanti verso il viso della creatura. Un tiro pulito, ovvio, preciso, nulla che potesse impensierire un controllore del tempo dalla tale velocità. E in quella sicurezza contava. Sia che lo avesse schivato, sia che avesse lanciato in avanti una bolla temporale per rallentarne il colpo, avrebbe sfruttato la distrazione e il bilanciamento precario della creatura per utilizzare una manipolazione elementale semplice.
    Un movimento d'aria. Un movimento d'aria breve ma veloce, intriso forse della sua natura fulminea, un movimento d'aria diretto lateralmente alle gambe del Curanderos, atto a sollevarlo da terra per il tempo necessario ad annullare, anche solo per un decimo di secondo, la sua figura.
    Ed il tempo di fermò, mentre andava portava avanti il pugno e dischiudeva le labbra in un unico urlo. Il potere, il dominio, non poteva ottenersi per mero diritto. Il comando non si poteva ottenere per semplice reclamo, per semplice diritto di nascita. Non c'era potere cui la creatura si sarebbe piegato, se non avesse riconosciuto il rispetto che quello incuteva in quello scenario. Esso era signore del tempo e della velocità, e solo un suo pari avrebbe ottenuto il suo rispetto.
    «Ora, AIJIRN!»
    Distese il pugno verso la figura sbalzata del curanderos. Forte della sua incapacità di reazione. Forte del sovraccarico della sua elettricità. Forte della fiducia che riponeva in un unico colpo. Lanciò contro di lui un e-bullet, un solo colpo che avesse attraversato l'aria ricolmo dell'aura e della velocità di un fulmine per colpire la creatura. Probabilmente, l'avrebbe solo ricaricato, probabilmente non avrebbe risentito minimamente dei danni che un colpo del genere avrebbe arrecato. Eppure avrebbe sentito il suo potere, la sua elettricità, e se Aijirn l'avesse voluto avrebbe riconosciuto in un colpo il dominio di un elemento che si ergeva a signore di quella dimensione. E infine, ed infine, lo avrebbe piegato.
    Avrebbe abbassato il braccio libero, operando una manipolazione elementale semplice, ancora dell'aria, ancora una spinta, l'ultima, che avrebbe piegato il corpo e l'orgoglio della creatura, affinchè riconoscesse il dominio del fulmine sulla sua rabbia. Se aveva perso la possibilità di parlare, doveva imporsi. Schiacciò la mano verso terra, spingendo in basso la colonna d'aria immediatamente sopra il Curanderos, perchè lo spingesse in basso e lo schiacciasse al suolo e lo lasciasse sconfitto e caduto come lui era stato. Non per rabbia. Non per la mera spinta eroica e arrogante, quanto più per raggiungere il potere necessario a difendere quella bionda chioma sparita nella fenditura nella roccia.
    Era il suo dovere, la sua ragione di vita. .
    scheda
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    Requiem for a Dream


  9. .
    «Guarda Mbare non ti dico che hai la mamma puttana ma sembrerebbe ridondande»
  10. .
    *ruba la bottiglia di assenzio ad Ardan*
    «Da qua che porcabbuttana sto co** bip bip porco biiiiiip bip infame inculato biiiiiip crocefisso che madbiiiiiip»
  11. .
    "There is no War that is not Your War"
    I
    l fulmine cadde abbastanza vicino da sbalzarlo indietro di diversi metri. Come un'esplosione di migliaia di luci, l'ambiente intorno a lui si distorse cadendo in pezzi, e il nulla del deserto si confuse con il nulla della notte.
    Cadde, infine.
    Sentì le scintille di elettricità scorrere sulla sua belle, il calore bruciante eppure così rinvigorente che dalle estremità raggiunse il culmine della sua fronte, incidendo col fuoco il marchio di un potere troppo a lungo sopito dentro di lui. La voce aveva parlato ancora, lo aveva schernito ancora, eppure, ancora, si era prestato a dare anche solo un frammento del suo potere al ragazzo.
    Si alzò a fatica, sconvolto ancora in parte dalle scariche elettriche che viaggiavano per il suo corpo folgorato, cercando di rimettere a fuoco un paesaggio che riacquistava lentamente i suoi toni spenti e luminosi a tratti. L'inferno di fulmini spandeva ancora la sua furia intorno ai ragazzi, eppure non era l'unico pericolo contro il quale si trovavano a combattere.
    Il serpente era ancora vivo. Lo aveva notato, aveva notato come gli shuriken si fossero conficcati sulla creatura venendo comunque pervasi da scosse elettriche. Un fenomeno dalla stranezza disarmante, che come un rasoio di Ockham eliminava ulteriori ipotesi circa la possibilità di una natura univoca e lasciava aperta solo quella di una condizione duplice. Un entità a metà tra la forma materiare e l'eterea manifestazione elementale. Che fosse o meno capace di cambiare a comando la sua natura, questo poteva risultare scontato, eppure nel momento più imprevisto si era dimostrato come un essere a cavallo tra i due piani di fisicità ed energia.
    Considerazione e nota ulteriore: non era ancora morto.
    Vide le fauci del serpente scattare contro di lui, avvicinandosi pericolosamente e forse per la lunga distanza non riuscire a chiudersi sui suoi polpacci. Non ebbe tempo di reagire che la creatura fu più volte immobilizzata e resa innocua dalla magia di chi aveva a lungo e ingiustamente sottostimato. Alzò lo sguardo, fissando gli occhi luminosi su Orchidea e spostandoli poi su Joy, spostando lo sguardo tra i due volti mentre il suo viso si scioglieva in un'espressione di remissiva allegria, conscio forse dell'aiuto indispensabile che la ragazza gli aveva portato. Non potè fare a meno, almeno per un secondo, di ricordare quanto le sue precedenti azioni poco giustificassero il semplice gesto altruistico che con tanta naturalezza la ragazza aveva esibito. Piccoli gesti di “eroismo” che rendevano pallida la maschera nera della notte.
    Abbassò il capo, chiudendo la porta a quei pensieri.
    Non vi era tempo per abbandonarsi in elucubrazioni su quale fosse o meno l'atto di eroismo più grande, non in quel luogo, non quando gli era stata data una missione da compiere.
    La creatura era a cavallo tra la dimensione materiale e quella elementale, ma lo stesso elemento sollevava dubbi sull'effettiva utilità di un attacco. Poteva combattere con le armi, eppure si trovava in netto svantaggio se considerava che il suo potere si basava sulla stessa natura di cui probabilmente si facevano portatori i suoi nemici. Osservò le sue mani, aprendole di fronte a sé. Eppure la voce gli aveva parlato, da soldato a soldato.
    Dischiuse le labbra, cercando di controllare la sua mente e sgombrarla così da raggiungere il fulcro di quella voce lontana. Sapeva che il suo rinnovato potere dipendeva dall'intercessione di una voce nel buio, eppure non conosceva i limiti di quella stessa voce, di quello stesso potere... non lui almeno.
    «Se io li intercetto nella loro forma fisica...»
    Un flebile sussurro, sufficiente perchè solo chi di dovere lo sentisse e solo lui capisse la profondità di quelle parole
    «...tu, puoi colpirli?»
    La terra sarebbe stata più utile, e così l'aria e persino le piante viventi, contro uno spirito di pura elettricità. Eppure non riusciva a distaccarsi da un potere sfruttato così a lungo e diventato parte della sua stessa essenza, parte della sua stessa vita. Non ebbe tempo di curarsi a lungo di quei pensieri. Vide la sconosciuta avviarsi verso la feritoia nella roccia, avventata e incosciente, e prevedibilmente scoperta all'attacco di una creatura che aveano a malapena intravisto prima. Si voltò in tempo per vedere i volatili spinati muoversi ondeggiando verso di loro.
    Il tempo si fermò.
    Erano troppo lontani tra loro. Troppo per tentare una difesa unica e coordinata dall'attacco spinato delle creature. Il colpo era veloce, ma abbastanza distante perchè tutti e tre potessero difendersi lucidamente. Il dilemma così evidente si fece strada negli occhi del ragazzo, mentre dall'alto osservava la situazione ruotare vorticosamente: o difendeva loro, o difendeva sé stesso. La scelta era ovvia. Poggiò gli occhi su Joy, a rallentatore, rimembrando il dono e il talento che aveva nella pranoterapia, e su quello fece affidamento tante volte come in quel momento.
    Girò lo sguardo.
    Volse le spalle alla creatura, tendendo i muscoli e contraendoli perchè il danno fosse minimo, facendo affidamento sulla sua grossa stazza per incassare* l'attacco di spine alle spalle, mentre stendeva le braccia in direzione delle due ragazze. Gli acuminati proiettili erano un bersaglio veloce, piccolo ed in movimento, decisamente troppo complicato da raggiungere con la magia, persino per lui. Ben diversa era la questione per le ragazze. La forza telecinetica seguiva il principio di un applicazione vettoriale di intensità proporzionale alla propria forza fisica, e più tardi avrebbe ricordato con un sorriso i molteplici momenti e le disparate situazioni in cui con il minimo sforzo sollevava il fragile peso di Joy. Ce l'avrebbe fatta. Distese le braccia lasciandosi andare in un verso, un urlo basso e gutturale mentre lasciava che la sua aura fluisse sino alle estremità e si fondesse con il suo potere magico, generando due schivate telecinetiche che avrebbero allontanato entrambe le ragazze dalla traiettoria dei proiettili.
    Il dolore apparve lancinante al primo secondo, penetrando la sua schiena da parte a parte e costringendolo a socchiudere un occhio, digrignando i denti. Non c'era tempo, si sarebbe preoccupato dopo delle ferite. Le sue mani scattarono, aprendosi per accogliere tre pugnali da lancio ombra, due sulla mano destra ed uno sulla sinistra. Il suo corpo ruotò. Spesso, troppo spesso si era trovato accerchiato da nemici numerosi, e spesso, troppo spesso, in ambienti troppo aperti o troppo angusti perchè le sue catene potessero servire a qualcosa. Spesso, troppo spesso, si era trovato a ringraziare la severità degli addestramenti di Ra'm, la brutalità del freddo tibetano che portava la mano a tremare e il fiore a ondeggiare, mentre scagliava le stelle a distanza perchè ne saltasse solo la corona di petali. Eppure, dopo molte prove, il fiore trovava la morte nella precisione di un singolo colpo.
    Il braccio destro scattò, preciso e rapido, distendendosi verso la figura della creatura vicino a Joy, la più lontana da lui, lanciando il primo pugnale. Le gambe ruotarono e con loro il busto mentre il braccio sinistro si distendeva e prendeva la mira del suo aggressore, il più vicino, lanciando contro di lui il secondo pugnale. Il destro scattò ancora, stringendo il terzo pugnale e completando la rotazione, mentre scattava avanti verso la creatura di fianco a Orchidea, lanciando il suo terzo ed ultimo pugnale contro la sua figura. Una rotazione perfetta e precisa, tre colpi puliti.
    Letali, sperava.
    -----------------------------------------------------------------

    *La sottolineo per evidenziare che incassa il colpo, ma non costituisce un'azione.
    **Ho ipotizzato dall'esito che noi tre fossimo disposti a triangolo e le creature arrivassero esternamente a noi ( in modo che continuiate ad essere tutti fra loro tre), per questo motivo si volta per schivare le due ragazze.
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    gxydCX7
    Making your heart stop
    Just before to hit the floor




    Edited by -Chaos. - 16/2/2017, 09:54
  12. .
    Giuro solennemente di cambiare code al prossimo post


    Justin Greenwood [x]

    casata ed anno

    TT8yWLy
    There's no War that is not your War.

    Li aveva avuti sin da bambino.
    Dal più flebile e lontano dei ricordi permaneva la presenza di labili scintille sulle piccole dita di una mano paffuta e inconsapevole. Un potere forse troppo a lungo sottostimato, troppo a lungo sopito nella vita di un ragazzino che gioiva di disgrazie che non poteva comprendere. E tuttavia, negli anni a venire, diventato molto più che una semplice arma.
    C'era un motivo per cui lo chiamavano lo squarcio nella notte. C'era un motivo per cui la figura di Nightslash, così esageratamente decantata da Joy, si materializzava in maniera tanto improvvisa e violenta nell'immaginario dei criminali di New York. Non era la tuta. Non era la maschera. Era il fulmine che squarciava il velo profondo della notte e trovava il suo riparo nelle sue mani, lama potente che fendeva tanto l'aria quanto i corpi di coloro che si agitavano nei bassifondi, convinti che il melmoso acquitrino li avesse salvati dalla sua giustizia.
    Una forza che non aveva compreso. Non ancora. Non fino in fondo. Limitandosi ad utilizzarne l'immenso potere nella maniera più becera e gretta, utilizzando congegni e intelletto per arrivare laddove né lui né il suo maestro erano riusciti a portare la sua anima. Oh Ra'm lo aveva addestrato. Conosceva il fulmine, così come conosceva l'alchimia e l'arte della guerra e nessun uomo vi sarebbe mai stato pari, non quando la sua stessa natura lo manteneva immortale e affamato di conoscenza sempre più profonda, sempre più letale. Eppure nemmeno il potente alchimista era riuscito a spingersi in profondità, oltre i più reconditi frammenti per permettergli di comprendere quanto pura e violenta fosse la natura di poche labili scariche tra piccole dita di una mano paffuta.
    Forse, Mendeleev, avrebbe raggiunto quel grado di profondità che Ra'm non era riuscito nemmeno a sfiorare.
    Lo osservò, piegando la testa dal fondo della classe, fissando gli occhi sulla lunga cicatrice che ne deturpava il volto in maniera tanto evidente e brutale, solcando il suo occhio sinistro e circondando l'iride azzurro vivo. Così innaturale, così estraneo al resto del volto elegante... familiare persino. Si soffermò sui lineamenti gentili e raffinati, modellati in un'espressione paterna e calorosa che si scontrava così duramente con il complesso asettico della sua figura.
    Il chaos elementale. Aveva sentito dicerie su un simile luogo, frammenti di parole perse nei tomi sepolti dalla polvere, lì sulle montagne Nepalesi. Poche informazioni rispetto all'esperienza perfetta che si prospettava ai suoi occhi, quella di attraversare quella stessa dimensione per raschiarne le profondità più nascoste. Spostò gli occhi sul professore, mantenendo quel serio distacco che lo contraddistingueva e poggiando le solide basi di una concentrazione forte e duratura. La possibilità di acquisire informazioni su quel potere che lo accompagnava sin dall'infanzia e fortificarlo, in qualche modo, rappresentava un'occasione irrinunciabile per quel giovane inglese.
    Fu un lampo, un momento preciso, impercettibile e travolgente. Un leggero Deja vu, quando, accostandosi a Mendeleev, entrò in quella dimensione. Come ricordi di lontana familiarità accalcati nell'angolo più recluso della sua mente, una scena già avvenuta.
    Si immerse
    […]
    Aprì gli occhi, volgendoli intorno in quella dimensione. Fu come se la sua stessa essenza si fosse materializzata nell'ambiente circostante, permeandolo totalmente. La notte avvolgeva l'ambiente oscuro e stendeva la sua profondità per sbiadire i contorni di un orizzonte troppo evanescente e labile per essere reale. Fulmini cadevano dal cielo, lontani, colpendo il terreno con furia e con la stessa furia illuminando il suo sguardo. Ma in quel mondo di pura follia la folgore colpiva la terra come la terra stessa spaccava il cielo, e turbinavano mescolandosi in melodie prive di senso e confini. I suoi occhi intercettarono la figura lontana di una torre, ricordando le enigmatiche parole del professore nella sua testa.
    Si fermò, perdendosi nelle riflessioni, prima di notare la figura alta e snella di una ragazza volta anch'ella verso la torre. Alcuni, lenti, passi.
    «Guardi dalla parte sbagliata»
    Il suo tono fu duro, più di quanto lo volesse. Gli ultimi eventi e le ferite ancora aperte di una battaglia che sembrava lontana e dimenticata avevano forse involontariamente indurito il volto di un ragazzo che aveva ben vissuto, nell'umanità della gente, motivi di distacco e durezza. Abbassò gli occhi, scusandosi implicitamente.
    «Non c'è nessuna torre per noi»
    Parole apparentemente vuote, prive di significato. Eppure ogni pensiero rivolto al monito del professore sembrava suggerire quella tragica risoluzione. “Fin quando non comprenderete la profondità di ciò che vi circonda non farà che sbiadire sotto i vostri occhi”. Impercettibilmente l'idea di un miraggio si delineò nella sua mente come l'immagine di un ricordo lontano. La possibilità che la torre non fosse altro che una distrazione, e che fosse lì sotto i loro occhi, irraggiungibile per chiunque non avesse imparato a vedere, prendeva piede nella sua testa fino a diventare un'assoluta certezza. Un mondo non comune, diverso dal loro e sottoposto alle sue proprie regole, regole che avrebbero dovuto apprendere prima di puntare al curioso obiettivo.
    L'obiettivo del gioco è semplice, ora, bisogna impararne i fondamenti.
    Si voltò ancora verso la donna, ancora una volta, e ancora una volta si scusò per la piatta arroganza delle sue parole.
    «Ci servono informazioni, perlustriamo la zona»
    I suoi occhi saettarono, cercando nell'ambiente un'altura o un luogo dal quale poter esaminare il panorama circostante. Stimare la distanza fisica della torre, in un luogo sottoposto a leggi che si discostavano lungamente da quelle che era abituato a conoscere, rappresentava una perdita di tempo ed energie assolutamente inutile. Se avesse trovato l'altura, allora si sarebbe adoperato a raggiungerla, chiamando con sé la ragazza perchè lo seguisse. Una posizione comoda dal quale osservare l'ambiente circostante con occhi non rivolti alla semplice contemplazione, quanto più alla ricerca dei dettagli. A comprendere, per l'appunto, la profondità più nascosta di quel luogo.
    Cercò, una volta raggiunta la posizione ottimale, una stranezza. Un dettaglio non visto, un movimento che si discostava da quello dei suoi simili e che rappresentava un'unicità persino per quel luogo, una lieve manifestazione dissonante dal resto dell'ambiente, qualcosa che avrebbe potuto rivelarsi un essenziale indizio per la comprensione di quelle regole che tanto agognava comprendere.
    narrato - parlato - pensato
    codice role © Akicch; NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT



    Elemento principale: Fulmine
    Elementi affini: Aria, Acqua
    Skills: Psicocinesi I lezione
    Anno: Primo
    Scenario: Notturno 3
  13. .
    Reverse che guarda
    «Così, subito, guardia alta e colpisci! NON FARLO RESPIRARE SE TI BECCA CON UN PUGNO TI FA DIVENTARE INTELLIGENTE, E TU NON VUOI ESSERLO! Addosso! Non dargli spazio!»
    Si gira verso Emma che guarda l'incontro
    «E comunque la maschera che gli avevo proposto era meglio di quella roba da "Notte del giudizio"»
  14. .
    EWDtfBf
    S
    entì la lama della ragazza conficcarsi nella sua gola, sentì il sangue e l'ombra del freddo acciaio mozzare il suono di quella risata e congelarla eterna sul suo volto. La rabbia era esplosa, la furia che annebbiava ogni logico costrutto e paura, ogni timore e desiderio e turbinava inghiottendo l'essere nel suo vortice.
    Abbassò il capo lentamente, posando gli occhi sulla ragazza dalla parete dietro di lei. Oh, quanto era meravigliosa l'aura che emanava. Si accorse forse solo allora che il perfetto dualismo, che la giostra incomprensibile sulla quale ella si muoveva, battendosi con se stessa e col mondo per affermare forse la libertà di scelta che aveva, non era altro che la maschera di ipocrisia che la ricopriva. No, era qualcosa di più, il suo stesso animo era ipocrisia, la sua vita, la sua essenza era ipocrisia. Capì forse solo allora il punto di vista del cane, che ben sa essere quella la sua coda, ma la rincorre per quel gran divertimento che è tentare di prenderla.
    E forse ella in quel modo si divertiva, spingendo il suo animo ad estremi opposti solo per potersi contraddire, selezionando il bene e il male, la ragione di vita e il desiderio di morte, solo per poter guardare il suo doppio nello specchio e rinfacciare quanto poco si conoscesse. Una libertà incoerente e assoluta, sciolta dai vincoli imposti persino da se stessa, volubile e incontrollabile, persino estatica.
    Forse solo infine si rese conto di essere padrone dei suoi ricordi, dei suoi desideri, dei suoi pensieri, ma di non poterla comprendere in funzione di quella stessa libertà. Padrone solo del rispetto che poteva portargli.
    «Io non voglio le tue abilità»
    No, lui di abilità ne aveva tante. Il potere di chiudere il mondo intero nel palmo della sua mano e schiacciarlo come una formica, eliminandolo dalla faccia della terra. Il potere di costringere lei e chiunque altro all'obbedienza con il solo tocco della parola, di arrivare ovunque e trovarsi in ogni dove. Non la ricercava per le sue abilità.
    «Io non voglio la tua professionalità»
    Gli affari erano noiosi. Ordinare qualcosa a qualcuno, persino stringere un patto privo di emozioni e sentimento alcuno rasentava forse il più basso livello di intrattenimento. Due parole, due sguardi effimeri e labili che non rivelavano nulla dell'animo. Eppure lei ripeteva quella menzogna ipocrita che l'aveva portata in quel luogo, quella sera. Oh, gli affari potevano stringersi con chiunque, i patti proficui aspettavano l'uomo all'angolo della strada e ben diversa era la ricompensa che offrivano. Quel gioco in cui si era impelagata, quel gioco pericoloso e mortale, poggiava le sue radici in terreni ben più profondi, lontani dal mero diletto o dalla noia.
    «Nessun diletto, nessun affare... »
    Il suo tono di voce era diverso. Aveva perso quella nota ironica e provocatoria, aveva perso la sfumatura graffiante e quel mordente che tanto avevano reso irata la ragazza. La superò, mostrandosi vivo, attraversando il locale per avvicinarsi al bancone lercio, dall'altro capo della stanza.
    «Tu sei qui perchè è la tua natura, e faresti qualsiasi cosa per permetterti di esprimerla»
    La mano si allungò in avanti, verso il nulla, poi toccò. Come pareti di legno, i muri profondi si appiattirono in fogli sottili, e cadde la scenografia di quella finzione che si apprestava ad essere la mente di Chaos. Il primo ospite, il primo in assoluto a vedere cosa si stagliasse di fronte a loro, quale immensa costruzione avesse elaborato per imbastire il gioco più grande che la sua mente avesse contenuto. Si accorse solo allora di non provare emozioni, di non provare la gioia di chi alza un sipario sul più grande spettacolo, di chi toglie la tenda che copre il suo più grande quadro. Che l'avesse voluta vedere o meno, non gli importava. Che le fosse piaciuta o meno, non gli importava. Che la apprezzasse o lo trovasse folle, che la estasiasse o lasciasse indifferente, che la spaventasse o mantenesse il suo sguardo imperturbabile.
    Lei vedeva perchè meritava di vedere.
    «Mi avevi chiesto se avessi in mente un Piano»
    Gregory Kane

    Chaos

    [x] scheda - starring: Cameron Monaghan
    code role © Akicch; - NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT
  15. .
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    uperbo, tronfio e senza un briciolo di cervello. Come poteva pretendere il contrario dal signore degli eserciti, troppo sicuro di un potere a lungo esercitato, tanto sull'immaginario quanto vero e tangibile. Una tale manifestazione non poteva che dirsi... noiosa.
    Non vi era guizzo, non vi era luce, nessuna curiosità o divertimento nei suoi occhi, non vi era il brivido di una caccia complessa e dell'intrigo insolvibile, solo la mera rabbia per un'offesa immaginaria, solo la vendetta e la violenza rapida e ingiustificata. In un secondo, il re signore dei vampiri, il potente Vlad di Valacchia, distruttore dell'impero ottomano, non sembrò altro che un vecchio despota adagiato pigramente su un trono, pretendente onori e rispetto da sudditi che non aveva il merito di governare. In un secondo la giostra più ambita si trasformò nel noioso parchetto di periferia, e il re occupava il ruolo del vecchio che, affacciatosi alla finestra, inveiva contro i bambini perchè terminassero il loro gioco.
    Abbassò il capo, mostrando un'espressione di totale sconforto. Mai delusione fu più grande. Reagiva d'istinto, bramando la morte immediata dei suoi nemici, senza eleganza o rispetto, brutale e gretto come un barbaro della peggior specie. Quell'uomo era stato principe? Quell'uomo era il male? Si sorprese a pensare a quanto somigliasse più un cane sciolto, persino più di Chaos stesso, brutale e bavoso, indegno forse del ruolo che occupava per la totale mancanza di bellezza artistica nel suo operato. Indegno del ruolo di re, quand'egli meritava l'appellativo di mercenario, di soldato di ventura. Indegno del ruolo di re per la sufficienza e la mancanza del rispetto con cui trattava un potenziale alleato.
    O nemico mortale.
    Scosse brevemente il capo, poteva perdonarglielo dopotutto, era arrivato da poco in città e non aveva prestato attenzione alle voci che correvano sulla sua esistenza. Forse troppo sicuro del suo potere, non riusciva a comprenderlo per intero. Non riusciva a comprendere come con il solo sguardo potesse fargli credere di essere un suricato amico di un facocero. Troppo a lungo si era beato di una forza incontrastata, e adesso si trovava nella difficile condizione di accettare l'esistenza di qualcuno che potesse tenergli testa. Più fastidiosa era la sua mancanza di intuito. Un ragazzo conosceva il suo nome. Un ragazzo conosceva Persephone. Un ragazzo era riuscito a trovarlo. E lui continuava a liquidarlo come un semplice giovinetto di strada, magari imbattutosi per caso in lui.
    Si pensi che sorvolò persino sulla mancanza di coerenza di chi lo accusava di aver minacciato un suo figlio, quando egli stesso per primo aveva minacciato Chaos di una morte atroce.
    Non rispose subito, posò lo sguardo su Octavia e sui suoi movimenti, percependo con una punta di irritante fastidio la banalità dei suoi pensieri.
    «Octavia..»
    Non Loimos, non la pestilenza che pretendeva di essere. In pochi secondi era tornata ad essere la puttanella di basso borgo che scopriva le cosce per allettare colui che all'apparenza sembrava il miglior offerente. Una punta di gelosia, forse? No, puro e semplice possesso. Aspettò che si girasse, rivolgendole il più largo e sincero dei sorrisi.
    «Sta zitta.»
    Il suo tono fu disteso, leggero, affabile. In due sole parole, quello che la ragazza vide fu probabilmente l'effetto di cento e più morti ripetute nel suo animo. Una sottile sfumatura di perentoria serietà che lasciava intendere come, successivamente, avrebbero a lungo e in toni “garbati” discusso della fedeltà della ragazza. Una sottile sfumatura che avrebbe ammutolito dio in persona, se avesse disceso le scale celesti per anche solo pensare di tradire la proprietà di Chaos. Le strizzò impercettibilmente un occhio, prima di riportare il suo sguardo sul noioso signore dei vampiri.
    Sorrise ancora, giostrando gli occhi perchè ne percepisse il guizzo di cui lui era privo. Oh lo aveva visto, aveva visto nella sua mente il bilico sul quale si reggeva il rapporto con Persephone, il timore intrinseco che albergava nel cuore di Vlad. Quasi impercettibilmente potè sentire illuminarsi il rossore che portava sigillato al collo. Oh, persino il rozzo e grezzo Vlad riusciva a intravedere il pericolo distruttivo che i tre lord potevano arrecare al suo quieto vivere, persino il potente Vlad Tepes si rendeva conto della sua nullità nei confronti della magia. Un terrore intrinseco, sovrastato dalla sicurezza del sangue di dio che scorreva nelle sue vene, e che gli avrebbe consentito di sopprimere la minaccia nera del Bronx.
    «No, in realtà...»
    Ma cosa succedeva a quella sicurezza quando la si faceva vacillare nelle sue convinzioni? Cosa succedeva quando si toccava il giusto tasto del dubbio e si spingeva l'uomo a considerare una possibile e rovinosa sconfitta, quando si spingeva il timore al limite tale da cedere persino alle parole di un folle? Un bluff, un semplice espediente di gioco del giovane sottostimato, così inesperto da trovare il modo di toccare i punti più intimi dell'animo di un vampiro millenario. Un bluff elementare, quasi bambinesco, eppure forte della superbia di Vlad. Così perso nell'immagine di se stesso, non avrebbe minimamente considerato la possibilità che un giovare ragazzo fosse entrato facilmente nei suoi pensieri, osservandone i più oscuri segreti e ribaltandoli contro di lui.
    «Sai, pensavo ti interessasse qualche informazione su... come le hanno chiamate... gemme di Tharizdun? Mmmmh forse... sai, non stai molto simpatico a Seph – né lei sta così simpatica a me -, e se stesse entrando in possesso di una di queste gemme beh... suppongo sarebbe un problema. In realtà pensavo di farti un favore, i maghi del circolo sono noiosi, dominio assoluto dei loro istinti egoistici. Tu hai una fama ben più grande. Darti qualche informazione in anticipo avrebbe potuto aiutarti a sfruttare il vantaggio, movimentando un po' le cose.
    Sì, ovviamente, come hai detto puoi trovare un modo da solo per carpire le informazioni che desideri, a meno che non sia già troppo tardi. Ad ogni modo ehi, sei tu il capo, quindi ok, me ne vado me ne vado..»

    Schioccò le dita, richiamando la donna al suo fianco e voltandosi, facendo per andarsene. Oh sapeva, sapeva quanto anche solo la possibilità della presenza di una gemma di sangue potesse scuotere le profondità dell'animo del Vampiro. Sapeva come anche solo un barlume di informazione rappresentasse un prelibato piatto per l'uomo, così gustoso da non permettere neanche alla sua follia e inadeguatezza di lasciarlo sfuggire.
    Così mosse avanti i suoi passi, lontano dal magazzino, conscio del richiamo che a breve sarebbe arrivato a trattenerlo.

    Gregory Kane

    Chaos

    [x] scheda - starring: Cameron Monaghan
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110 replies since 25/1/2016
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