-
.
Anche Rev è in blodsmell per il sangue di Emma, Sally ascolta la canzone ahahaha -
.
-
.
Bonus del personaggio nel relativo pannello.
La canzone è figa. -
."There is no War that is not Your War"scheda
Narrato - «Parlato» - Pensato
■ Human ■
■ Magician ■
■ Special Force Academy ■
-
.
Combo "There is no War that is not Your War"scheda
Narrato - «Parlato» - Pensato
■ Human ■
■ Magician ■
■ Special Force Academy ■
-
."There is no War that is not Your War"scheda
Narrato - «Parlato» - Pensato
■ Human ■
■ Magician ■
■ Special Force Academy ■
-
.
Ah ah l'ho capita adesso questa! -
."There is no War that is not Your War"scheda
Narrato - «Parlato» - Pensato
■ Human ■
■ Magician ■
■ Special Force Academy ■
-
.
«Guarda Mbare non ti dico che hai la mamma puttana ma sembrerebbe ridondande» -
.
*ruba la bottiglia di assenzio ad Ardan*
«Da qua che porcabbuttana sto co** bip bip porco biiiiiip bip infame inculato biiiiiip crocefisso che madbiiiiiip» -
."There is no War that is not Your War"Il fulmine cadde abbastanza vicino da sbalzarlo indietro di diversi metri. Come un'esplosione di migliaia di luci, l'ambiente intorno a lui si distorse cadendo in pezzi, e il nulla del deserto si confuse con il nulla della notte.
Cadde, infine.
Sentì le scintille di elettricità scorrere sulla sua belle, il calore bruciante eppure così rinvigorente che dalle estremità raggiunse il culmine della sua fronte, incidendo col fuoco il marchio di un potere troppo a lungo sopito dentro di lui. La voce aveva parlato ancora, lo aveva schernito ancora, eppure, ancora, si era prestato a dare anche solo un frammento del suo potere al ragazzo.
Si alzò a fatica, sconvolto ancora in parte dalle scariche elettriche che viaggiavano per il suo corpo folgorato, cercando di rimettere a fuoco un paesaggio che riacquistava lentamente i suoi toni spenti e luminosi a tratti. L'inferno di fulmini spandeva ancora la sua furia intorno ai ragazzi, eppure non era l'unico pericolo contro il quale si trovavano a combattere.
Il serpente era ancora vivo. Lo aveva notato, aveva notato come gli shuriken si fossero conficcati sulla creatura venendo comunque pervasi da scosse elettriche. Un fenomeno dalla stranezza disarmante, che come un rasoio di Ockham eliminava ulteriori ipotesi circa la possibilità di una natura univoca e lasciava aperta solo quella di una condizione duplice. Un entità a metà tra la forma materiare e l'eterea manifestazione elementale. Che fosse o meno capace di cambiare a comando la sua natura, questo poteva risultare scontato, eppure nel momento più imprevisto si era dimostrato come un essere a cavallo tra i due piani di fisicità ed energia.
Considerazione e nota ulteriore: non era ancora morto.
Vide le fauci del serpente scattare contro di lui, avvicinandosi pericolosamente e forse per la lunga distanza non riuscire a chiudersi sui suoi polpacci. Non ebbe tempo di reagire che la creatura fu più volte immobilizzata e resa innocua dalla magia di chi aveva a lungo e ingiustamente sottostimato. Alzò lo sguardo, fissando gli occhi luminosi su Orchidea e spostandoli poi su Joy, spostando lo sguardo tra i due volti mentre il suo viso si scioglieva in un'espressione di remissiva allegria, conscio forse dell'aiuto indispensabile che la ragazza gli aveva portato. Non potè fare a meno, almeno per un secondo, di ricordare quanto le sue precedenti azioni poco giustificassero il semplice gesto altruistico che con tanta naturalezza la ragazza aveva esibito. Piccoli gesti di “eroismo” che rendevano pallida la maschera nera della notte.
Abbassò il capo, chiudendo la porta a quei pensieri.
Non vi era tempo per abbandonarsi in elucubrazioni su quale fosse o meno l'atto di eroismo più grande, non in quel luogo, non quando gli era stata data una missione da compiere.
La creatura era a cavallo tra la dimensione materiale e quella elementale, ma lo stesso elemento sollevava dubbi sull'effettiva utilità di un attacco. Poteva combattere con le armi, eppure si trovava in netto svantaggio se considerava che il suo potere si basava sulla stessa natura di cui probabilmente si facevano portatori i suoi nemici. Osservò le sue mani, aprendole di fronte a sé. Eppure la voce gli aveva parlato, da soldato a soldato.
Dischiuse le labbra, cercando di controllare la sua mente e sgombrarla così da raggiungere il fulcro di quella voce lontana. Sapeva che il suo rinnovato potere dipendeva dall'intercessione di una voce nel buio, eppure non conosceva i limiti di quella stessa voce, di quello stesso potere... non lui almeno.
«Se io li intercetto nella loro forma fisica...»
Un flebile sussurro, sufficiente perchè solo chi di dovere lo sentisse e solo lui capisse la profondità di quelle parole
«...tu, puoi colpirli?»
La terra sarebbe stata più utile, e così l'aria e persino le piante viventi, contro uno spirito di pura elettricità. Eppure non riusciva a distaccarsi da un potere sfruttato così a lungo e diventato parte della sua stessa essenza, parte della sua stessa vita. Non ebbe tempo di curarsi a lungo di quei pensieri. Vide la sconosciuta avviarsi verso la feritoia nella roccia, avventata e incosciente, e prevedibilmente scoperta all'attacco di una creatura che aveano a malapena intravisto prima. Si voltò in tempo per vedere i volatili spinati muoversi ondeggiando verso di loro.
Il tempo si fermò.
Erano troppo lontani tra loro. Troppo per tentare una difesa unica e coordinata dall'attacco spinato delle creature. Il colpo era veloce, ma abbastanza distante perchè tutti e tre potessero difendersi lucidamente. Il dilemma così evidente si fece strada negli occhi del ragazzo, mentre dall'alto osservava la situazione ruotare vorticosamente: o difendeva loro, o difendeva sé stesso. La scelta era ovvia. Poggiò gli occhi su Joy, a rallentatore, rimembrando il dono e il talento che aveva nella pranoterapia, e su quello fece affidamento tante volte come in quel momento.
Girò lo sguardo.
Volse le spalle alla creatura, tendendo i muscoli e contraendoli perchè il danno fosse minimo, facendo affidamento sulla sua grossa stazza per incassare* l'attacco di spine alle spalle, mentre stendeva le braccia in direzione delle due ragazze. Gli acuminati proiettili erano un bersaglio veloce, piccolo ed in movimento, decisamente troppo complicato da raggiungere con la magia, persino per lui. Ben diversa era la questione per le ragazze. La forza telecinetica seguiva il principio di un applicazione vettoriale di intensità proporzionale alla propria forza fisica, e più tardi avrebbe ricordato con un sorriso i molteplici momenti e le disparate situazioni in cui con il minimo sforzo sollevava il fragile peso di Joy. Ce l'avrebbe fatta. Distese le braccia lasciandosi andare in un verso, un urlo basso e gutturale mentre lasciava che la sua aura fluisse sino alle estremità e si fondesse con il suo potere magico, generando due schivate telecinetiche che avrebbero allontanato entrambe le ragazze dalla traiettoria dei proiettili.
Il dolore apparve lancinante al primo secondo, penetrando la sua schiena da parte a parte e costringendolo a socchiudere un occhio, digrignando i denti. Non c'era tempo, si sarebbe preoccupato dopo delle ferite. Le sue mani scattarono, aprendosi per accogliere tre pugnali da lancio ombra, due sulla mano destra ed uno sulla sinistra. Il suo corpo ruotò. Spesso, troppo spesso si era trovato accerchiato da nemici numerosi, e spesso, troppo spesso, in ambienti troppo aperti o troppo angusti perchè le sue catene potessero servire a qualcosa. Spesso, troppo spesso, si era trovato a ringraziare la severità degli addestramenti di Ra'm, la brutalità del freddo tibetano che portava la mano a tremare e il fiore a ondeggiare, mentre scagliava le stelle a distanza perchè ne saltasse solo la corona di petali. Eppure, dopo molte prove, il fiore trovava la morte nella precisione di un singolo colpo.
Il braccio destro scattò, preciso e rapido, distendendosi verso la figura della creatura vicino a Joy, la più lontana da lui, lanciando il primo pugnale. Le gambe ruotarono e con loro il busto mentre il braccio sinistro si distendeva e prendeva la mira del suo aggressore, il più vicino, lanciando contro di lui il secondo pugnale. Il destro scattò ancora, stringendo il terzo pugnale e completando la rotazione, mentre scattava avanti verso la creatura di fianco a Orchidea, lanciando il suo terzo ed ultimo pugnale contro la sua figura. Una rotazione perfetta e precisa, tre colpi puliti.
Letali, sperava.
-----------------------------------------------------------------
*La sottolineo per evidenziare che incassa il colpo, ma non costituisce un'azione.
**Ho ipotizzato dall'esito che noi tre fossimo disposti a triangolo e le creature arrivassero esternamente a noi ( in modo che continuiate ad essere tutti fra loro tre), per questo motivo si volta per schivare le due ragazze.scheda
Narrato - «Parlato» - Pensato■ Human ■■ Magician ■■ Special Force Academy ■
Edited by -Chaos. - 16/2/2017, 09:54 -
.
Giuro solennemente di cambiare code al prossimo post Justin Greenwood [x]casata ed annoThere's no War that is not your War.
Li aveva avuti sin da bambino.
Dal più flebile e lontano dei ricordi permaneva la presenza di labili scintille sulle piccole dita di una mano paffuta e inconsapevole. Un potere forse troppo a lungo sottostimato, troppo a lungo sopito nella vita di un ragazzino che gioiva di disgrazie che non poteva comprendere. E tuttavia, negli anni a venire, diventato molto più che una semplice arma.
C'era un motivo per cui lo chiamavano lo squarcio nella notte. C'era un motivo per cui la figura di Nightslash, così esageratamente decantata da Joy, si materializzava in maniera tanto improvvisa e violenta nell'immaginario dei criminali di New York. Non era la tuta. Non era la maschera. Era il fulmine che squarciava il velo profondo della notte e trovava il suo riparo nelle sue mani, lama potente che fendeva tanto l'aria quanto i corpi di coloro che si agitavano nei bassifondi, convinti che il melmoso acquitrino li avesse salvati dalla sua giustizia.
Una forza che non aveva compreso. Non ancora. Non fino in fondo. Limitandosi ad utilizzarne l'immenso potere nella maniera più becera e gretta, utilizzando congegni e intelletto per arrivare laddove né lui né il suo maestro erano riusciti a portare la sua anima. Oh Ra'm lo aveva addestrato. Conosceva il fulmine, così come conosceva l'alchimia e l'arte della guerra e nessun uomo vi sarebbe mai stato pari, non quando la sua stessa natura lo manteneva immortale e affamato di conoscenza sempre più profonda, sempre più letale. Eppure nemmeno il potente alchimista era riuscito a spingersi in profondità, oltre i più reconditi frammenti per permettergli di comprendere quanto pura e violenta fosse la natura di poche labili scariche tra piccole dita di una mano paffuta.
Forse, Mendeleev, avrebbe raggiunto quel grado di profondità che Ra'm non era riuscito nemmeno a sfiorare.
Lo osservò, piegando la testa dal fondo della classe, fissando gli occhi sulla lunga cicatrice che ne deturpava il volto in maniera tanto evidente e brutale, solcando il suo occhio sinistro e circondando l'iride azzurro vivo. Così innaturale, così estraneo al resto del volto elegante... familiare persino. Si soffermò sui lineamenti gentili e raffinati, modellati in un'espressione paterna e calorosa che si scontrava così duramente con il complesso asettico della sua figura.
Il chaos elementale. Aveva sentito dicerie su un simile luogo, frammenti di parole perse nei tomi sepolti dalla polvere, lì sulle montagne Nepalesi. Poche informazioni rispetto all'esperienza perfetta che si prospettava ai suoi occhi, quella di attraversare quella stessa dimensione per raschiarne le profondità più nascoste. Spostò gli occhi sul professore, mantenendo quel serio distacco che lo contraddistingueva e poggiando le solide basi di una concentrazione forte e duratura. La possibilità di acquisire informazioni su quel potere che lo accompagnava sin dall'infanzia e fortificarlo, in qualche modo, rappresentava un'occasione irrinunciabile per quel giovane inglese.
Fu un lampo, un momento preciso, impercettibile e travolgente. Un leggero Deja vu, quando, accostandosi a Mendeleev, entrò in quella dimensione. Come ricordi di lontana familiarità accalcati nell'angolo più recluso della sua mente, una scena già avvenuta.
Si immerse
[…]
Aprì gli occhi, volgendoli intorno in quella dimensione. Fu come se la sua stessa essenza si fosse materializzata nell'ambiente circostante, permeandolo totalmente. La notte avvolgeva l'ambiente oscuro e stendeva la sua profondità per sbiadire i contorni di un orizzonte troppo evanescente e labile per essere reale. Fulmini cadevano dal cielo, lontani, colpendo il terreno con furia e con la stessa furia illuminando il suo sguardo. Ma in quel mondo di pura follia la folgore colpiva la terra come la terra stessa spaccava il cielo, e turbinavano mescolandosi in melodie prive di senso e confini. I suoi occhi intercettarono la figura lontana di una torre, ricordando le enigmatiche parole del professore nella sua testa.
Si fermò, perdendosi nelle riflessioni, prima di notare la figura alta e snella di una ragazza volta anch'ella verso la torre. Alcuni, lenti, passi.
«Guardi dalla parte sbagliata»
Il suo tono fu duro, più di quanto lo volesse. Gli ultimi eventi e le ferite ancora aperte di una battaglia che sembrava lontana e dimenticata avevano forse involontariamente indurito il volto di un ragazzo che aveva ben vissuto, nell'umanità della gente, motivi di distacco e durezza. Abbassò gli occhi, scusandosi implicitamente.
«Non c'è nessuna torre per noi»
Parole apparentemente vuote, prive di significato. Eppure ogni pensiero rivolto al monito del professore sembrava suggerire quella tragica risoluzione. “Fin quando non comprenderete la profondità di ciò che vi circonda non farà che sbiadire sotto i vostri occhi”. Impercettibilmente l'idea di un miraggio si delineò nella sua mente come l'immagine di un ricordo lontano. La possibilità che la torre non fosse altro che una distrazione, e che fosse lì sotto i loro occhi, irraggiungibile per chiunque non avesse imparato a vedere, prendeva piede nella sua testa fino a diventare un'assoluta certezza. Un mondo non comune, diverso dal loro e sottoposto alle sue proprie regole, regole che avrebbero dovuto apprendere prima di puntare al curioso obiettivo.
L'obiettivo del gioco è semplice, ora, bisogna impararne i fondamenti.
Si voltò ancora verso la donna, ancora una volta, e ancora una volta si scusò per la piatta arroganza delle sue parole.
«Ci servono informazioni, perlustriamo la zona»
I suoi occhi saettarono, cercando nell'ambiente un'altura o un luogo dal quale poter esaminare il panorama circostante. Stimare la distanza fisica della torre, in un luogo sottoposto a leggi che si discostavano lungamente da quelle che era abituato a conoscere, rappresentava una perdita di tempo ed energie assolutamente inutile. Se avesse trovato l'altura, allora si sarebbe adoperato a raggiungerla, chiamando con sé la ragazza perchè lo seguisse. Una posizione comoda dal quale osservare l'ambiente circostante con occhi non rivolti alla semplice contemplazione, quanto più alla ricerca dei dettagli. A comprendere, per l'appunto, la profondità più nascosta di quel luogo.
Cercò, una volta raggiunta la posizione ottimale, una stranezza. Un dettaglio non visto, un movimento che si discostava da quello dei suoi simili e che rappresentava un'unicità persino per quel luogo, una lieve manifestazione dissonante dal resto dell'ambiente, qualcosa che avrebbe potuto rivelarsi un essenziale indizio per la comprensione di quelle regole che tanto agognava comprendere.narrato - parlato - pensato
Elemento principale: Fulmine
Elementi affini: Aria, Acqua
Skills: Psicocinesi I lezione
Anno: Primo
Scenario: Notturno 3 -
.
Reverse che guarda
«Così, subito, guardia alta e colpisci! NON FARLO RESPIRARE SE TI BECCA CON UN PUGNO TI FA DIVENTARE INTELLIGENTE, E TU NON VUOI ESSERLO! Addosso! Non dargli spazio!»
Si gira verso Emma che guarda l'incontro
«E comunque la maschera che gli avevo proposto era meglio di quella roba da "Notte del giudizio"» -
.Sentì la lama della ragazza conficcarsi nella sua gola, sentì il sangue e l'ombra del freddo acciaio mozzare il suono di quella risata e congelarla eterna sul suo volto. La rabbia era esplosa, la furia che annebbiava ogni logico costrutto e paura, ogni timore e desiderio e turbinava inghiottendo l'essere nel suo vortice.
Abbassò il capo lentamente, posando gli occhi sulla ragazza dalla parete dietro di lei. Oh, quanto era meravigliosa l'aura che emanava. Si accorse forse solo allora che il perfetto dualismo, che la giostra incomprensibile sulla quale ella si muoveva, battendosi con se stessa e col mondo per affermare forse la libertà di scelta che aveva, non era altro che la maschera di ipocrisia che la ricopriva. No, era qualcosa di più, il suo stesso animo era ipocrisia, la sua vita, la sua essenza era ipocrisia. Capì forse solo allora il punto di vista del cane, che ben sa essere quella la sua coda, ma la rincorre per quel gran divertimento che è tentare di prenderla.
E forse ella in quel modo si divertiva, spingendo il suo animo ad estremi opposti solo per potersi contraddire, selezionando il bene e il male, la ragione di vita e il desiderio di morte, solo per poter guardare il suo doppio nello specchio e rinfacciare quanto poco si conoscesse. Una libertà incoerente e assoluta, sciolta dai vincoli imposti persino da se stessa, volubile e incontrollabile, persino estatica.
Forse solo infine si rese conto di essere padrone dei suoi ricordi, dei suoi desideri, dei suoi pensieri, ma di non poterla comprendere in funzione di quella stessa libertà. Padrone solo del rispetto che poteva portargli.
«Io non voglio le tue abilità»
No, lui di abilità ne aveva tante. Il potere di chiudere il mondo intero nel palmo della sua mano e schiacciarlo come una formica, eliminandolo dalla faccia della terra. Il potere di costringere lei e chiunque altro all'obbedienza con il solo tocco della parola, di arrivare ovunque e trovarsi in ogni dove. Non la ricercava per le sue abilità.
«Io non voglio la tua professionalità»
Gli affari erano noiosi. Ordinare qualcosa a qualcuno, persino stringere un patto privo di emozioni e sentimento alcuno rasentava forse il più basso livello di intrattenimento. Due parole, due sguardi effimeri e labili che non rivelavano nulla dell'animo. Eppure lei ripeteva quella menzogna ipocrita che l'aveva portata in quel luogo, quella sera. Oh, gli affari potevano stringersi con chiunque, i patti proficui aspettavano l'uomo all'angolo della strada e ben diversa era la ricompensa che offrivano. Quel gioco in cui si era impelagata, quel gioco pericoloso e mortale, poggiava le sue radici in terreni ben più profondi, lontani dal mero diletto o dalla noia.
«Nessun diletto, nessun affare... »
Il suo tono di voce era diverso. Aveva perso quella nota ironica e provocatoria, aveva perso la sfumatura graffiante e quel mordente che tanto avevano reso irata la ragazza. La superò, mostrandosi vivo, attraversando il locale per avvicinarsi al bancone lercio, dall'altro capo della stanza.
«Tu sei qui perchè è la tua natura, e faresti qualsiasi cosa per permetterti di esprimerla»
La mano si allungò in avanti, verso il nulla, poi toccò. Come pareti di legno, i muri profondi si appiattirono in fogli sottili, e cadde la scenografia di quella finzione che si apprestava ad essere la mente di Chaos. Il primo ospite, il primo in assoluto a vedere cosa si stagliasse di fronte a loro, quale immensa costruzione avesse elaborato per imbastire il gioco più grande che la sua mente avesse contenuto. Si accorse solo allora di non provare emozioni, di non provare la gioia di chi alza un sipario sul più grande spettacolo, di chi toglie la tenda che copre il suo più grande quadro. Che l'avesse voluta vedere o meno, non gli importava. Che le fosse piaciuta o meno, non gli importava. Che la apprezzasse o lo trovasse folle, che la estasiasse o lasciasse indifferente, che la spaventasse o mantenesse il suo sguardo imperturbabile.
Lei vedeva perchè meritava di vedere.
«Mi avevi chiesto se avessi in mente un Piano» -
.Superbo, tronfio e senza un briciolo di cervello. Come poteva pretendere il contrario dal signore degli eserciti, troppo sicuro di un potere a lungo esercitato, tanto sull'immaginario quanto vero e tangibile. Una tale manifestazione non poteva che dirsi... noiosa.
Non vi era guizzo, non vi era luce, nessuna curiosità o divertimento nei suoi occhi, non vi era il brivido di una caccia complessa e dell'intrigo insolvibile, solo la mera rabbia per un'offesa immaginaria, solo la vendetta e la violenza rapida e ingiustificata. In un secondo, il re signore dei vampiri, il potente Vlad di Valacchia, distruttore dell'impero ottomano, non sembrò altro che un vecchio despota adagiato pigramente su un trono, pretendente onori e rispetto da sudditi che non aveva il merito di governare. In un secondo la giostra più ambita si trasformò nel noioso parchetto di periferia, e il re occupava il ruolo del vecchio che, affacciatosi alla finestra, inveiva contro i bambini perchè terminassero il loro gioco.
Abbassò il capo, mostrando un'espressione di totale sconforto. Mai delusione fu più grande. Reagiva d'istinto, bramando la morte immediata dei suoi nemici, senza eleganza o rispetto, brutale e gretto come un barbaro della peggior specie. Quell'uomo era stato principe? Quell'uomo era il male? Si sorprese a pensare a quanto somigliasse più un cane sciolto, persino più di Chaos stesso, brutale e bavoso, indegno forse del ruolo che occupava per la totale mancanza di bellezza artistica nel suo operato. Indegno del ruolo di re, quand'egli meritava l'appellativo di mercenario, di soldato di ventura. Indegno del ruolo di re per la sufficienza e la mancanza del rispetto con cui trattava un potenziale alleato.
O nemico mortale.
Scosse brevemente il capo, poteva perdonarglielo dopotutto, era arrivato da poco in città e non aveva prestato attenzione alle voci che correvano sulla sua esistenza. Forse troppo sicuro del suo potere, non riusciva a comprenderlo per intero. Non riusciva a comprendere come con il solo sguardo potesse fargli credere di essere un suricato amico di un facocero. Troppo a lungo si era beato di una forza incontrastata, e adesso si trovava nella difficile condizione di accettare l'esistenza di qualcuno che potesse tenergli testa. Più fastidiosa era la sua mancanza di intuito. Un ragazzo conosceva il suo nome. Un ragazzo conosceva Persephone. Un ragazzo era riuscito a trovarlo. E lui continuava a liquidarlo come un semplice giovinetto di strada, magari imbattutosi per caso in lui.
Si pensi che sorvolò persino sulla mancanza di coerenza di chi lo accusava di aver minacciato un suo figlio, quando egli stesso per primo aveva minacciato Chaos di una morte atroce.
Non rispose subito, posò lo sguardo su Octavia e sui suoi movimenti, percependo con una punta di irritante fastidio la banalità dei suoi pensieri.
«Octavia..»
Non Loimos, non la pestilenza che pretendeva di essere. In pochi secondi era tornata ad essere la puttanella di basso borgo che scopriva le cosce per allettare colui che all'apparenza sembrava il miglior offerente. Una punta di gelosia, forse? No, puro e semplice possesso. Aspettò che si girasse, rivolgendole il più largo e sincero dei sorrisi.
«Sta zitta.»
Il suo tono fu disteso, leggero, affabile. In due sole parole, quello che la ragazza vide fu probabilmente l'effetto di cento e più morti ripetute nel suo animo. Una sottile sfumatura di perentoria serietà che lasciava intendere come, successivamente, avrebbero a lungo e in toni “garbati” discusso della fedeltà della ragazza. Una sottile sfumatura che avrebbe ammutolito dio in persona, se avesse disceso le scale celesti per anche solo pensare di tradire la proprietà di Chaos. Le strizzò impercettibilmente un occhio, prima di riportare il suo sguardo sul noioso signore dei vampiri.
Sorrise ancora, giostrando gli occhi perchè ne percepisse il guizzo di cui lui era privo. Oh lo aveva visto, aveva visto nella sua mente il bilico sul quale si reggeva il rapporto con Persephone, il timore intrinseco che albergava nel cuore di Vlad. Quasi impercettibilmente potè sentire illuminarsi il rossore che portava sigillato al collo. Oh, persino il rozzo e grezzo Vlad riusciva a intravedere il pericolo distruttivo che i tre lord potevano arrecare al suo quieto vivere, persino il potente Vlad Tepes si rendeva conto della sua nullità nei confronti della magia. Un terrore intrinseco, sovrastato dalla sicurezza del sangue di dio che scorreva nelle sue vene, e che gli avrebbe consentito di sopprimere la minaccia nera del Bronx.
«No, in realtà...»
Ma cosa succedeva a quella sicurezza quando la si faceva vacillare nelle sue convinzioni? Cosa succedeva quando si toccava il giusto tasto del dubbio e si spingeva l'uomo a considerare una possibile e rovinosa sconfitta, quando si spingeva il timore al limite tale da cedere persino alle parole di un folle? Un bluff, un semplice espediente di gioco del giovane sottostimato, così inesperto da trovare il modo di toccare i punti più intimi dell'animo di un vampiro millenario. Un bluff elementare, quasi bambinesco, eppure forte della superbia di Vlad. Così perso nell'immagine di se stesso, non avrebbe minimamente considerato la possibilità che un giovare ragazzo fosse entrato facilmente nei suoi pensieri, osservandone i più oscuri segreti e ribaltandoli contro di lui.
«Sai, pensavo ti interessasse qualche informazione su... come le hanno chiamate... gemme di Tharizdun? Mmmmh forse... sai, non stai molto simpatico a Seph – né lei sta così simpatica a me -, e se stesse entrando in possesso di una di queste gemme beh... suppongo sarebbe un problema. In realtà pensavo di farti un favore, i maghi del circolo sono noiosi, dominio assoluto dei loro istinti egoistici. Tu hai una fama ben più grande. Darti qualche informazione in anticipo avrebbe potuto aiutarti a sfruttare il vantaggio, movimentando un po' le cose.
Sì, ovviamente, come hai detto puoi trovare un modo da solo per carpire le informazioni che desideri, a meno che non sia già troppo tardi. Ad ogni modo ehi, sei tu il capo, quindi ok, me ne vado me ne vado..»
Schioccò le dita, richiamando la donna al suo fianco e voltandosi, facendo per andarsene. Oh sapeva, sapeva quanto anche solo la possibilità della presenza di una gemma di sangue potesse scuotere le profondità dell'animo del Vampiro. Sapeva come anche solo un barlume di informazione rappresentasse un prelibato piatto per l'uomo, così gustoso da non permettere neanche alla sua follia e inadeguatezza di lasciarlo sfuggire.
Così mosse avanti i suoi passi, lontano dal magazzino, conscio del richiamo che a breve sarebbe arrivato a trattenerlo.