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    E
    ra esaltante. Quasi tremava, reggendo tra le mani quel biglietto. Le sue labbra si incurvarono in un tiepido sorriso, che scoprì poi i denti e la lingua, mentre il sapore di quelle parole aleggiava nella sua mente come una nebbia inebriante. Che stile. Che sfacciata dimostrazione di stile era quella che reggeva tra le mani. Quale grande gesto teatrale, seppur finissimo, aveva il piacere di vedere.
    Non si era neanche scomodata lei stessa, mandando avanti adepti coatti a trasmettere il suo messaggio. Si leccò le labbra, inserendo il biglietto nel taschino della giacca, costringendosi a mantenere una calma composta non conforme a lui, voltandosi verso il malcapitato uomo imbrigliato nella tela di un ragno tessitore ben più ingegnoso delle mosche che catturava.
    «Niente mancia per te»
    Un gesto secco della mano, l'uomo rimase immobile. Si voltò, prendendo di nuovo in mano il biglietto, avanzando di qualche passo e fermandosi, poi riprendendo, girando in tondo sotto le luci traballanti dei lampioni. La mente, la mente della ragazza era... era un parco giochi. L'aveva esplorata a lungo, perdendosi in quei giochi contraddittori e feroci che con furia si combattevano tra loro, lasciando lontana dalla lotta la pallida maschera da ragazza per bene che si forzava ad indossare. Giubilo. Era un paradosso di insensatezza che nemmeno lui avrebbe sognato di essere, che nemmeno lui avrebbe sognato di possedere. Oh lo aveva cercato, sì, lo sapeva, lo sapeva, lui.. lui era nella sua mente, eppure non aveva visto il modo. Perchè? Perchè non lo aveva visto? Era stato troppo occupato. Troppo.. distratto. In quella mente rivoltata il lato oscuro della luna dominava sulla faccia luminosa della terra, eppure si combatteva, e ruotava e girava in tondo come un cane che cerca una coda da mordere cui non arriverà mai, perchè è lui stesso colui che segue. No, no stava sbagliando, lei non lottava. Lei aveva abbracciato la doppia faccia della medaglia, seguiva il gioco del tennista, muovendosi e dilettandosi nell'alternanza di bene e male, mai tendendo a nessuno dei due. Rimaneva sul filo della rete e girava i campi a piacimento, ogni volta che voleva. Giocava una sua partita, una partita riservata a sé stessa e al suo compiacimento e grande era la gioia nel vedere tanto elegante egoismo in una sola persona.
    Lui l'aveva invitata per un magnifico film.
    Lei per una partita al suo gioco preferito.
    E giocavano secondo le stesse regole.
    «Come sto?»
    «S-sta... sta bene... signore?»
    «Mmmh... non un granché come ultime parole, scriveremo un “riposa in pace”»
    Lo sentì accasciarsi a terra, senza un rumore, senza un sussulto. Non aveva intenzione di rimandare ancora quell'incontro. No. Quella partita andava giocata, un'identità andava costruita e il perenne dissidio portato ad estremizzarsi al punto da risultare un inutile dibattimento, tanto sarebbe stato più grande e imponente il risultato che si sarebbe manifestato.
    […]
    Entrò nel locale. Nessuna moina. Nessuna teatralità. Lei lo avrebbe meritato, indubbiamente, ma non ancora. Non quando si mostrava così acerba. Voleva sentirlo dalle sue labbra, aveva chiuso gli occhi che esploravano la sua mente. Non era divertente.
    Avanzò, fasciato nel suo completo rosso, allargando le braccia ed esponendo un sorriso dei più fieri e genuini. Rulli di tamburi invisibili lo accompagnavano nei suoi movimenti, e un suono di piatti lontano.
    «Eeeee mi hai trovato!»
    Luci, sipario, la scena si è accesa.
    Avanzò lentamente, accostandosi al tavolo. Un breve cenno al cameriere fu sufficiente perchè sparisse nel retro, alla ricerca di qualunque cosa la sua mente avesse voluto. Sorrise, allungando in avanti la mano e accarezzando il bordo del boccale di birra rossa.
    «Eh sì, birbantella, mi hai colpito devo proprio concedertelo! Estremamente teatrale»
    La sua voce sospinse avanti l'ironia di quelle parole. Si era in fondo adeguata a quella teatralità che lo contraddistingueva? O era forse proprio della sua persona esibirsi in tali gesti? Non voleva saperlo, non voleva togliersi il gusto di scoprire poco a poco le sue carte e la mano che avrebbero giocato. Prese il boccale di birra, soppesandolo e portandolo al naso, assaporando l'odore forte del malto. Sorrise ancora. Un movimento secco portò il boccale a danzare nell'aria, riflettendo come uno specchio le luci cristalline del locale per poi infrangersi al centro della sala. I cori di sorpresa e sgomento degli astanti si spensero immediatamente, accompagnati dall'arrivo del cameriere.
    «Di solito bevo Whisky, mi piace il sapore del malto, ma oggi andremo per la Vodka»
    Si sarebbe arrabbiata per quel boccale? Si sarebbe arrabbiata per la sua decisione autonoma, presa senza un adeguato consulto della sua volontà? No, sarebbe stata furiosa, e la cosa lo mandava in estasi. Il liquido denso e trasparente occupò lo spazio dei bicchierini. La fissava, la fissava costantemente, mantenendo gli occhi sbarrati su di lei e il sorriso estatico e folle sulla sua persona.
    «Bisogna pur cambiare ogni tanto. E oggi cambia tutto, no?»
    Gregory Kane

    Chaos

    [x] scheda - starring: Cameron Monaghan
    code role © Akicch; - NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT
  2. .
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    L
    o cercava. Ormai da giorni. Si divertiva a lasciarla fare, a lasciarla avvicinare a lui per poi svanire come una flebile nebbia dalle sue mani. Un divertimento estatico, mitigato solo dalla consapevolezza che nessuno potesse vederlo. Oh, la presenza di un pubblico era davvero importante nella vita di ogni showman, peccato che le circostanze richiedessero una sorta di inevitabile discrezione. Non voleva che tutto andasse in fumo, no, doveva muoversi con cautela per il momento, in attesa che le luci si alzassero sul sipario. Era già stato abbastanza incosciente con Callaway. Non che anche quello non fosse stato uno squisito passatempo, eppure avrebbe potuto causare diverse rogne ancor prima di cominciare la partita.
    Doveva ancora disporre i pezzi adeguati sulla scacchiera prima di andare in dama. Era il momento di aggiungere un prezioso cavallo, sebbene l'animale non fosse esattamente conforme a quello che gli si presentava contro.
    I bassifondi di New York odoravano di quella mistura ripugnante di olezzi, provenienti per lo più dai barili in fiamme al quale si accostavano i barboni. Quasi si potevano sentire i lamenti di coloro che agognavano quel calore, coperti dal rumore incessante della sopraelevata che sferragliava a qualche metro di altezza. I suoi occhi caddero sul viso smorto e vecchio di un uomo, illuminato dalla luce del fuoco, incurante del fumo che ingialliva la pelle del suo viso. L'angolo di mondo dimenticato da Dio, racchiuso dall'oscurità del ferro e immerso negli stagnanti acquitrini dei condotti di scolo. Costeggiando il fiume, illuminato dalle luci dei lampioni che si riflettevano confuse nell'acqua sporca, la via dei locali e delle bettole irrompeva in tutta la sua fatiscente magnificenza. Lontano dal moderno centro cittadino, le insegne vintage al neon illuminavano placidamente vecchie porte in legno sbiadito. Lì, sulle soglie, i classici avventori reggevano bottiglie di birra in sacchetti di carta, fumando placidamente una Lucky rubata al pacchetto del compare di turno ed esalando la loro anima nel rivolo di fumo azzurrino, oltre le luci della notte. Sarebbe bastato un occhio ai volti di quegli stessi avventori per capire quanto il posto non fosse adatto ad una ragazzetta di prima mano come lei, per quanto forte potesse credersi.
    Due note stonate in quel luogo.
    Lei, con la sua innocenza, lui, molti passi dietro di lei, nella sua eccentrica appariscenza.
    Quel posto... mi sembra carino
    Un pensiero, semplice e chiaro, viaggiò sospinto dalla forza psichica fino alla mente della ragazza. Un locale defilato, dall'entrata più angusta e sporca rispetto agli altri che si accavallano sulla via. La vide entrare, da lontano. Si fermò un secondo, sistemando il nodo della cravatta nera, prima di ricominciare a camminare. Due uomini, maldestramente vestiti, si fermarono ad osservarlo. Si voltò, sorridendo e facendo un leggero cenno del capo. Uno dei due colpì l'altro al braccio, forte, strattonandolo mentre i suoi occhi si sbarravano in un'espressione glaciale. Indietreggiarono. Corsero via.
    Rise sommessamente, entrando finalmente nel locale.
    L'atmosfera ristagnava di muffa e fumo, un odore familiare, seppur sgradevole. Non voleva perdere tempo in inutili presentazioni, non era il caso di fossilizzarsi nella ripetizione di un concetto ormai solidamente saldato nelle menti dei giovani maghi. Tutti sapevano chi era. Tutti sapevano cosa era in grado di fare. Forse lei, forse lei nuotava ancora nelle placide acque dell'ingenuità.
    «Un whisky per me, Butch, e per la signorina... cosa? Un'aranciata? Un'acqua tonica? Latte?»
    Nessun saluto, nessuna presentazione. Parole così familiari da far pensare di essere conoscenti da una vita, compagni di giochi persino. Precorrere i tempi era sempre stato un vizio di Chaos, dopotutto, e loro avrebbero giocato un sacco.
    Gregory Kane

    Chaos

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    S
    orrise, forse per la prima volta, genuinamente. Le parole di Randall erano sempre una manna per lui, quel connubio perfetto di egoismo e preservazione che tanto aveva imparato ad amare in quell'uomo, così facilmente prevedibile, così... manipolabile. Si ritrasse sulla sedia, aprendo la bocca in una finta ed esagerata espressione di sorpresa, portando una mano al petto mentre strabuzzava gli occhi in direzione dell'uomo.
    «Randall Memphis! Sei proprio un cattivaccio! Non vuoi che Seph sappia del tuo..coff coff... aiuto indiretto nell'uccidere il suo amato Ryan?»
    Rise, abbassando il capo e scuotendolo leggermente mentre portava le mani sul tavolo. Accarezzò per un secondo il bordo del bicchiere, sorridendo ancora di rimando all'uomo. Una pausa di infinito silenzio e palpabile tensione che li separava entrambi dalla risoluzione di quell'accordo. Oh era un gentiluomo, sapeva attendere, ma poteva vedere nei suoi occhi la trepidazione per quell'azione così semplice che avrebbe preservato il suo culo dalla sonica pedata di Persephone.
    Infine, aprì la mano.
    Un sottile filo argenteo sembrò uscire dalla sua tempia e da quella di Zoey, come flebili linee luminose, e addensarsi sul palmo della sua mano. Non aveva perso il suo sorriso, che si faceva via via più largo e demoniaco al cancellarsi della presenza dell'uomo del Maine dalla scena della metadimensione, salvando così chiappe d'oro dalla ire della sua amata. Richiuse il palmo, fermando i ricordi dall'evanescere del tutto nell'ambiente, concedendo a Randall il beneficio di possederli. Portò la sinistra ad accarezzare il bicchiere di whisky, avvicinandolo poi alle labbra e vuotandolo tutto in un sorso, ripetendo più volte l'operazione al fine di pulirlo per bene e sporcandosi ancora una volta il viso dei rigagnoli che fuoriuscivano dagli angoli incurvati.
    Infine, girò il palmo. I ricordi di adagiarono placidi sul fondo del bicchiere, tappato dalla mano di Chaos. Lo allungò verso Randall.
    «Reggi forte, mi raccomando»
    Si alzò, strattonando sgraziatamente il braccio di Zoey affinchè lo seguisse fuori dal locale. Oh, non ricordava più la presenza di Randall nella situazione, era un uomo di parola, eppure quella conversazione e la sua richiesta rimanevano vivide nella sua mente, una richiesta apparentemente insensata per chiunque non riuscisse a fare due più due. Sorrise, voltandosi ancora prima di avviarsi definitivamente fuori dal locale.
    «Randy... uno e morto, due siamo noi, uno sei tu...»
    esordì, contando con le dita via via che elencava le persone coinvolte in quella situazione. Ryan, il morto, loro due, privati di qualsiasi cosa coinvolgesse Randall in quella vicenda, e l'uomo, che per qualche ragione aveva deciso di tenere per sé quel segreto. Quattro, o tre, partecipanti in un quadro che vedeva una presenza estranea e non considerata.
    «Ma... non si gioca in cinque a scopone?»


    Gregory Kane

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  4. .
    Alexis
  5. .
    Ardan
    La risata si espande nella tua testa il doppio, il triplo più forte di come la sentivi prima. Quell'odio sembra nutrirla, quella furia la rende quasi incontrastabile, e come un treno abbatte la tua psiche.
    Lo vedi immobile, dietro Alexis, seduto su un'improbabile sedia a sdraio con un cocktail in mano, un margarita forse, con tanto di ombrellino.
    «Ma come siamo fantasiosi»
    Ride, ride e scherza come se nulla fosse.
    «Sbagli le valutazioni, mio caro. Diciamo che a te è successo quello che è successo a me... con tuo padre. Non è romantico? Siamo così amiconi che vivo dentro di te, lo trovo eccitante! Pensare di uccidermi, traumatizzarmi... beh.. era una bella idea, anche se, piccola parentesi, mio padre ha ucciso Oprah, e io ho ammazzato lui, ma sono piccolezze»
    Ride più forte, cercando di bere un sorso del suo cocktail ma rovesciandoselo inevitabilmente addosso. Si ferma, cercando di trattenere le lacrime mentre si volta verso di te. Entrambi sapete a cosa sta pensando, cosa frulla in quel frammento di mente che è rimasto attaccato alla tua, come un seme in attesa di crescere.
    Io so cosa succede ai figli di puttana come te. Ti piace? Ti piace soffrire insieme a me? In realtà ne sei ossessionato, ne sei così ossessionato da tenermi costantemente d'occhio, ne sei così ossessionato da abbassare le difese e perdere tempo, da esserci anche quando non ci sei, perché questa è l'unica cosa che ti soddisfa in questa tua nuova vita di merda
    «Oh piccolo Ardy, pensi ancora che tutto ruoti intorno a te? Sbagli ancora. Noi abbiamo un sacco di tempo da passare insieme ma..»
    Sorride, ancora una volta scompare, ancora una volta è ad un centimetro dal tuo viso.
    «...io sono ovunque»
    Ride, si volta, facendo per allontanarsi. Allontanarsi da te, come a voler suggerire davvero di andarsene fisicamente, solo per tornare nei meandri della tua mente. Solo per darti l'illusione di essere, per il momento, libero.
    «Ah e...»

    Ardan e Alexis
    La voce arriva alle orecchie di entrambi, la risata arriva alla mente di entrambi. Ardan la sente da un po', ma non può immaginare che la senta anche Alexis. Acuta e penetrante.
    «...sto venendo a prenderla»
    Da qualche parte, nel parco, un uomo ride, lisciandosi il completo rosso. Poi, scompare, inghiottito dal sole nero.
  6. .
    Agisco nelle vesti del fato, perché posso e sono faigo.

    Ardan
    Applausi e risate.
    Mentre ti volti per andartene, senti applausi e risate. Una risata grottesca, folle, che solo tu puoi sentire. Ti volti. Lo vedi avvicinarsi da dietro, lento e inesorabile, verso un'ignara Alexis.
    Povera, povera ragazza
    Accarezza i suoi cappelli, senza toccarli davvero, passando attraverso le fibre corvine.
    Hai intenzione di abbandonare anche lei? Ardy Boy?
    La vocina di un bambino, una patetica pantomima di triste innocenza. Si interrompe. Sorride ancora, folle.
    Sai, è un peccato. Avevo capito che tenessi a lei, volevo lasciarla... Per ultima. Ma, messa in questi termini, è inutile
    Scompare, non senti altro che il suo sussurro, nelle tue orecchie, risuona incessante nella tua testa.
    E tu sai cosa succede alla gente inutile, come tuo padre, vero Ardy?
  7. .
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    A
    veva cominciato ad ignorare le parole dell'uomo da molto prima che cominciasse davvero a rispondere alla sua domanda. Tutti quei ridicoli giri di parole, atti a conservare quel suo intrinseco aspetto di elegante distacco, volto come a ostentare un mal riposto senso di superiorità, o forse una maschera di ironia.
    Oh quell'ironia graffiante e tagliente, che cosa nascondeva? Che cosa nascondevi, Randall Memphis? Era forse un escamotage per direzionare la tua irritazione ed evitare di sfogarla nel tuo immenso potere? O era qualcosa di più semplice? Di più elementare? Qualcosa che non ci si sarebbe mai aspettato da una mente così articolata e complessa. Forse.. paura. Ma paura di cosa? Caro Randall, lui non ti avrebbe fatto del male, a lui servivi... eppure quell'ironia graffiante permaneva, ancora e ancora, e non avrebbe dato fastidio all'uomo fin quando non fosse arrivata al punto di interruzione.
    Mi chiedo cosa mai potresti desiderare da un semplice mago nero che già non hai, o che non potresti procurarti da solo

    Arrogante. Presuntuoso. Rifiutare da principio una richiesta, in quella maniera, senza aver sentito di cosa si trattava, esonerandosi da principio da un gioco potenzialmente divertente, era... inaccettabile. La delusione di alte stime che Chaos in prima persona aveva creato intorno alla figura dell'uomo. Il cameriere arrivò al tavolo con il vassoio, prendendo il bicchiere di delicato Lagavulin invecchiato per oltre 30 anni e porgendolo all'assassino.
    «Oh: this is not funny»
    L'ultima nota del pianoforte rintoccò, espandendo il suo soave suono nella sala mentre il chiacchiericcio si spegneva improvvisamente. Il cameriere rimase immobile, la bocca semiaperta, pronto ad annunciare il servizio all'uomo, persino Zoey era ferma. Per tutta la sala, volti congelati di persone adornavano i tavolini, chi immersi in conversazioni divertenti, chi intenti a gustare una deliziosa e succosa bistecca, eppure immobili, e non un singolo alito scompose quel silenzio. Infine, allungò la mano per prendere il bicchiere da quella del cameriere, portandoselo alla bocca per berne un lungo sorso, mentre tutta la sala, eccetto lui e Randall, rimaneva congelata in quella potentissima ipnosi.
    «And I know Funny»
    Lì, in quell'inquietante scenario, Chaos mostrava il suo sorriso agli occhi dell'uomo. Quel sorriso così vivido e felice, ma velato di quella sfumatura d'odio che solo un paio di esponenti della famiglia Morley avevano avuto l'onore di vedere, e che ora penetrava da parte a parte lo sguardo di Randall. Il sorriso che era preludio di quella distorta e macabra "serietà" di Chaos.
    «Zoey non è degna, non ancora, e voglio che diventi più forte. E potrei insegnarle io, potrei persino instillare nella sua mente tutta la conoscenza che ho ma vedi... non sarebbe divertente. Perché avere un altro burattino? Di quelli, posso averne a migliaia... no, rendiamolo più interessante! Addestrala, voglio che...»
    Sfiorò i capelli biondi della ragazza, lisciandone la fibra setosa e portandosi al volto, ispirando in maniera forte e sentita il loro inebriante profumo, prima di riportare lo sguardo su Randall.
    «Voglio che sviluppi il suo potenziale»
    Rimise il bicchiere in mano al cameriere, per poi rilassarsi in una posizione più comoda. In un secondo, musica e chiacchiericcio ripresero, mentre il medesimo cameriere porgeva il bicchiere sul tavolo e si apprestava a servire la donna. L'atmosfera calda del locale si diffuse in maniera naturale nell'ambiente, come un delicato profumo di fiori, spezzati dal freddo che aleggiava tra gli sguardi di Chaos e Randall. Si sporse in avanti, piegando il capo e coprendo parzialmente il suo volto nell'ombra disegnata dalla luce dei lampadari. I suoi occhi emisero bagliori, come braci ardenti, che illuminavano il folle sorriso.
    «Ti va di aiutarmi, Randy bello?... Posso sempre chiedere direttamente a Seph»


    Gregory Kane

    Chaos

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  8. .
    Ok ho fatto una mezza minchiata, piuttosto che fare quota ho fatto modifica e cancellato il post precedente. Per chiunque volesse leggere la role, o la volesse come prova in futuro, in questo post Chaos diceva semplicemente di avere un favore da chiedere a Randall.

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    S
    orrise, forse per la prima volta, genuinamente. Le parole di Randall erano sempre una manna per lui, quel connubio perfetto di egoismo e preservazione che tanto aveva imparato ad amare in quell'uomo, così facilmente prevedibile, così... manipolabile. Si ritrasse sulla sedia, aprendo la bocca in una finta ed esagerata espressione di sorpresa, portando una mano al petto mentre strabuzzava gli occhi in direzione dell'uomo.
    «Randall Memphis! Sei proprio un cattivaccio! Non vuoi che Seph sappia del tuo..coff coff... aiuto indiretto nell'uccidere il suo amato Ryan?»
    Rise, abbassando il capo e scuotendolo leggermente mentre portava le mani sul tavolo. Accarezzò per un secondo il bordo del bicchiere, sorridendo ancora di rimando all'uomo. Una pausa di infinito silenzio e palpabile tensione che li separava entrambi dalla risoluzione di quell'accordo. Oh era un gentiluomo, sapeva attendere, ma poteva vedere nei suoi occhi la trepidazione per quell'azione così semplice che avrebbe preservato il suo culo dalla sonica pedata di Persephone.
    Infine, aprì la mano.
    Un sottile filo argenteo sembrò uscire dalla sua tempia e da quella di Zoey, come flebili linee luminose, e addensarsi sul palmo della sua mano. Non aveva perso il suo sorriso, che si faceva via via più largo e demoniaco al cancellarsi della presenza dell'uomo del Maine dalla scena della metadimensione, salvando così chiappe d'oro dalla ire della sua amata. Richiuse il palmo, fermando i ricordi dall'evanescere del tutto nell'ambiente, concedendo a Randall il beneficio di possederli. Portò la sinistra ad accarezzare il bicchiere di whisky, avvicinandolo poi alle labbra e vuotandolo tutto in un sorso, ripetendo più volte l'operazione al fine di pulirlo per bene e sporcandosi ancora una volta il viso dei rigagnoli che fuoriuscivano dagli angoli incurvati.
    Infine, girò il palmo. I ricordi di adagiarono placidi sul fondo del bicchiere, tappato dalla mano di Chaos. Lo allungò verso Randall.
    «Reggi forte, mi raccomando»
    Si alzò, strattonando sgraziatamente il braccio di Zoey affinchè lo seguisse fuori dal locale. Oh, non ricordava più la presenza di Randall nella situazione, era un uomo di parola, eppure quella conversazione e la sua richiesta rimanevano vivide nella sua mente, una richiesta apparentemente insensata per chiunque non riuscisse a fare due più due. Sorrise, voltandosi ancora prima di avviarsi definitivamente fuori dal locale.
    «Randy... uno e morto, due siamo noi, uno sei tu...»
    esordì, contando con le dita via via che elencava le persone coinvolte in quella situazione. Ryan, il morto, loro due, privati di qualsiasi cosa coinvolgesse Randall in quella vicenda, e l'uomo, che per qualche ragione aveva deciso di tenere per sé quel segreto. Quattro, o tre, partecipanti in un quadro che vedeva una presenza estranea e non considerata.
    «Ma... non si gioca in cinque a scopone?»


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    Edited by The Akuma - 19/1/2017, 17:39
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    L
    a vide avanzare verso di lui, alzandosi da terra e sputando via un grumo di sangue. Istintivamente, sorrise.
    «Mi hai colpito in faccia. Due volte. A questo punto mi sa che è il mio turno, cicci puccino»
    Quella voce, quella voce stupenda, dalla sfumatura così acuta, dalla cadenza così musicalmente cantilenante, così diversa dalla voce tipicamente seria della ragazza. Non fece neanche resistenza, quando il dolore arrivò forte al basso ventre, si sentì quasi inebriato da quella sensazione, come se un immenso calore risalisse dal suo intestino fin nella gola, solleticandola. Fu costretto a piegarsi in avanti per il dolore, senza fiato, cercando di ritrovare il respiro mentre allungava una mano. L'incantatore si era avvicinato ad Ardan, il suo piccolo e tenero burattino, pronto a fare tutto quello che lui avesse voluto.
    Ritrovò il respiro, scoppiando in una fragorosa risata, riempiendo l'aria di quei folli versi.
    «Uhuhahahah, lei, ahahahah, lei è la mia ragazza! Ahahahah Così..sì... così»
    Oh la riconosceva, riconosceva quella follia che si specchiava negli occhi di lei, così estranea e al tempo stesso genuina, libera espressione di se stesso. Qualcosa doveva essere andato storto, tutti quegli incantesimi, tutti insieme poi! Sicuramente la fortuita combinazione di eventi aveva portato qualcosa di molto più sinistro nell'animo di quella splendida creatura che, come una regina, avanzava in tutta la sua folle mania: se stesso.
    Si alzò, scrocchiando il collo, mentre vedeva Zoey avvicinarsi ad Ardan. Quella voce, così sottile, così acuta, suonava come musica in quella sinistra ninna nanna. Sorrise, scoprendo i denti, mentre vedeva quell'ombra di furia aleggiare negli occhi, ormai del tutto spenti, del ragazzo. Alzò un dito, muovendolo a destra e sinistra.
    «Ah-ha-ah! Io non lo farei cucciolotto, lei mi serve
    Aveva sentito quella furia muoversi attraverso le sue braccia, aveva sentito quell'impulso, bloccandolo sul nascere con la sua magia. Ormai, la mente di quel ragazzo, che un tempo considerava amico, nella sua limitata e statica visione di una vita di regole, classi, e gruppi sociali, non aveva più nessun segreto per lui. Si avvicinò, bloccandolo. Talentuoso... ma debole, incapace di opporsi, un nemico non più all'altezza del mostro che era diventato.
    «Cosa dici, Ardy? Secondo te hai fatto tutto sufficientemente in poltiglia? Ti fa male? Averlo fatto intendo ahahahah.»
    Si avvicinò alla figura del ragazzo, costretto, immobile, a guardare la scintilla di follia che si dissipava attraverso quello sguardo, quel riso
    «Sì... quell'odio. Oh so bene cosa vuol dire, cosa... provi. Tu, hai vissuto nella bambagia per tutta la vita, c-come potevi... p-p-pretendere di capire me. Vedi, sono una serie di piccole cose, che ci segnano. Piccole. Piccine. Una serie di eventi insignificanti che separano gli altri da me. E...»
    Si alzò, osservando il volto, le lacrime di quello che un tempo poteva essere considerato un ragazzo comune, un essere umano come tutti gli altri, e che adesso abbracciava la sua discesa in un baratro da cui non sarebbe più uscito. Allargò le braccia, piegando il capo e sorridendo.
    «Benvenuto nella tua serie di sfortunati eventi, Lemony Snicket!»
    Si abbandonò ad una risatina, volgendo poi lo sguardo al suo nuovo interlocutore, di gran lunga più interessante, rispetto agli altri. Oh lui, nascondeva qualcosa, o qualcuno, era da tenere d'occhio. Da un certo punto di vista persino quei suoi modi, quell'insito menefreghismo e noncuranza verso ciò che lo circondava, quasi gli piaceva, se non fosse stato tradito da quella sfumatura di disgusto e da quella punta impercettibile, eppure così chiara, di paura.
    Parlò un po', non aveva notato le sue parole prima, ma queste ultime arrivarono chiare alla sua mente, mentre l'uomo si voltava, facendo per andarsene.
    «Un uomo senza un obiettivo è una nave alla deriva. Non dimenticarlo, Hound.»
    Il suo volto, il viso di un quello che un tempo era Greg, ebbe un cambiamento. Il suo viso, il suo sorriso perenne, mutò in un'espressione quasi sgomenta, un ombra della rabbia che aveva caratterizzato Red per tutta la vita.
    «Oh, this is not funny...»
    Fu un lampo, come un'espressione dell'aura, ma più delicata, più mirata, percettibile, nella sua furia, solo da una mente più esperta, più allentata. Un alito di energia furiosa appena udibile dall'incantatore, un alito della sua potenza, atto semplicemente a fermare il suo cammino. Aspettò che si voltasse, ancora una volta, prima di sorridere ancora una volta e picchiettare il dito lentamente sulla sua tempia.
    «E' tutto qui. Io posso rubarti tutto, la tua conoscenza, i tuoi poteri. Ray ne ha avuto un assaggio piccolino ma quell'approccio lo trovo...noioso. Tu, sei un mago potente! Ma vivi secondo delle regole eh eh eh!»
    Mosse qualche passo in avanti, mentre ricominciava a ridere, mentre le spalle tremavano ad ogni sussulto del suo petto. Cadenzava il ritmo delle parole come un enfatico attore teatrale dei primi del cinquecento.
    «Io... non ho regole! Non mi importa quali siano i limiti, quelle cose mi irritano. Nel mio mondo senza regole.. io posso fare qualunque cosa»
    Alzò la mano destra chiudendola in pugno un paio di volte, vicino alla sua faccia, mentre dirigeva uno smagliante sorriso verso l'incantatore. Per un secondo, la sfumatura sul suo volto cambiò, ritornando a dipingersi di quel sadismo che tanto il padre, quanto il figlio, avevano visto prima di essere travolti dall'irrefrenabile follia degli eventi.
    «Baci baci... a presto»
    «Ora che papino è morto? Che facciamo, mio amato? A che gioco giochiamo?»
    Zoey si era di nuovo avvicinata a lui, non rispose nemmeno. Cinse la sua vita con un braccio, schiacciandola contro di se e poggiando le sue labbra su quelle di lei, in un bacio lento, eppure così forte, un turbine di passione folle che adesso li legava. Si staccò da lei, sorridendo e lasciandola andare. Cominciò a dipingere il sole nero, in aria, aveva rubato tutti i poteri inerenti alla magia nera dalla mente, per lungo tempo in balia della sua furia, del caro vecchio Ryan.
    «Ora, mia cara, salutiamo dei vecchi amici...»
    Si voltò verso di lei, sorridendo, prima di mollare un mal rovescio verso la ragazza con tutta la forza che aveva in corpo, schiacciandola a terra.
    «Ma prova a rubarmi di nuovo la scena, come poco fa, e ti ammazzo...»


    Gregory Kane

    Chaos

    [x] scheda - starring: Cameron Monaghan
    code role © Akicch; - NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT
  10. .
    CITAZIONE
    Flashback Unlocked - Major Arcana: The Fool

    .
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    The Fool Just One Bad Day


    «Stai bene, Jim?»
    L'uomo annuì, seduto sul retro dell'ambulanza. Le luci delle sirene della polizia illuminavano il suo pallido viso, mentre rimaneva immobile a fissare il vuoto. Il suo collega, in piedi, scrocchiò le spalle, voltando lo sguardo verso la casa dietro di loro.
    «Dio, guarda che fottuto casino»
    Intorno all'abitazione, circondata dal nastro giallo, si erano posizionate almeno cinque o sei volanti della polizia, generando un via vai di agenti quasi fastidioso. Uomini, completamente in bianco, avvolti nei loro impermeabili di plastica e con il volto coperto dalle loro mascherine, analizzavano attentamente le macchie sull'uscio, come se avessero potuto ricavare veramente qualcosa lì, quando l'interno della sala da pranzo poteva essere considerata la scenografia di un film horror in piena regola.
    «La scientifica dice che tutti quei pezzi appartenevano a un solo tizio, mi chiedo quale fottuto pazzo scatenato potrebbe mai fare una cosa del genere»
    «Il diavolo, Cal»
    Le prime parole pronunciate dall'uomo risuonarono come un sussurro, mentre gli occhi vagavano vuoti verso l'ingresso, verso quel fiotto di sangue che ancora occupava la sua memoria, quelle immagini grottesche che lo avevano portato a tremare, con la pistola in mano. Quegli occhi. Quella risata. La voce di Caleb lo riscosse.
    «Jim, lo prenderemo, l'importante è che tu stia bene»
    James annuì, mentre con un sospiro, l'uomo cominciava ad avviarsi verso la casa. Cercò di parlare, cercò di far uscire quelle parole che gli otturavano la gola, che ricacciava inconsapevolmente nel profondo della sua mente, per non rivivere quelle immagini.
    «Ci ballava... Cal... stava ballando»
    Caleb voltò lo sguardo. Abbassò gli occhi, annuendo lentamente e in maniera quasi impercettibile, prima di ritornare a muoversi verso la casa. Jim abbassò il suo sguardo, perdendolo sulle sue mani, ancora insanguinate. Quella voce, quella musica... lo sguardo gli si appannò.
    Con un movimento meccanico, infilò la mano nel taschino, estraendone un block note e una penna, muovendo successivamente la punta sulla superficie liscia della carta, tracciando con l'inchiostro quelle lettere inconsapevoli.
    Riaprì gli occhi.
    No...
    Stava... tremando, tremava mentre osservava quelle lettere tra le sue mani, mentre cercava di fuggire dalla comprensione di quel messaggio così spaventoso, eppure rimaneva immobile, come non più padrone del suo corpo, come costretto dalla paura a guardare con occhi sbarrati quelle tracce sghembe di inchiostro.
    I'LL KEEP YOU IN MY MIND
    Le dita si mossero ancora, fuori dal suo controllo.
    AH
    Pregava, pregava mentalmente che finisse, mentre vedeva nella sua mente il volto deformato di quella... creatura avvicinarsi a lui, deformato, grottesco.
    AH AH
    Cercò di ritrarsi, di smetterla, di chiudere gli occhi, scoprendo di essere costretto a guardare le sue dita tremanti correre sulla superficie del foglio. No, non era vero, non doveva essere vero, doveva scappare.
    AH AH AH AH AH AH AH
    No, no ti prego no, ti prego...
    Cominciò a ridere.

    ...



    «Un'università di magia?»
    L'uomo di fronte a Red annuì, lentamente, nascosto nel suo impermeabile nero, alla luce di quell'unico lampione di Dallas che sembrava funzionare. Il suo volto era parzialmente nascosto nell'ombra, controluce, coperto dal fedora nero, forse di feltro.
    «Una vera e propria università»
    «Mi prendi per il culo?
    «No, ero un professore lì»
    «E io sono Kim Kardashan, non vedi che bel culo che ho?»
    Sbuffò, portando di lato la testa ed estraendo un pacchetto di sigarette dalla tasca. I capelli rossi ondeggiarono lievi al vento. Portò una sigaretta alla bocca, avvicinandola a quelle labbra che non toccò mai, evaporata magicamente in uno sbuffo di fumo tra le sue dita. Voltò lo sguardo verso l'uomo di fronte a lui, a metà tra lo stupito e l'incazzato, odiava quelle teatrali dimostrazioni ad effetto.
    «Avevo solo le ultime due, bastardo»
    L'uomo abbozzò una risatina, mentre volgeva al rosso la schiena, sotto la luce del lampione.
    «Vediamo se hai davvero del potenziale. Cerca il mio nome»
    L'espressione che si disegnò sul volto di Red fu un misto di incredula delusione al suono di quelle parole banali, ma quello che crebbe nella sua gola, quella sensazione di adrenalina così duramente soffocata... quella era tutta un'altra cosa.
    «E quale sarebbe il tuo nome?»
    L'uomo si fermò, voltandosi. Poteva intravedere le sue labbra, arricciate in un sorriso, mentre lo guardava con la coda dell'occhio
    «Axel Austin»

    ...



    «Saprebbe rispondermi se le chiedessi cosa potrebbe accadere se le due parti si ricongiungessero? Potrebbe non essere poi così catastrofico come teme. Quando la luce e l'oscurità si completano, per mia esperienza, si può arrivare a due condizioni»
    L'uomo in bianco fermò il professore, prima che continuasse a parlare. Mosse ancora la penna tra le dita, abbassando lo sguardo, i suoi pensieri impercettibili vagarono attraverso i suoi occhi. Quando parlò, il suo tono metodico, macchinosamente realista e quasi inumano, si tinse di una sfumatura di velata malinconia.
    «Cosa accade quando una rabbia incontrollabile incontra una disperazione senza confini, quando la pura furia e la violenza incontrano la diffidenza, quando l'odio deve mescolarsi alla consapevolezza di essere, sempre, tradito dagli eventi?»
    Le parole aleggiarono piano, mentre l'orologio sugli schermi continuava, inesorabile, a tendere verso lo zero.
    «E' un mondo in cui non posso sopravvivere, in cui non c'è spazio per me.»
    Concluse, ritornando ad osservare con sguardo acuto e penetrante il professore.
    «Non posso più permettere intromissioni esterne nella sua mente, di nessun tipo. Il processo non deve essere ulteriormente accelerato, ho ancora delle mansioni da svolgere. Quando è entrato ho immagazzinato in memoria tutte le informazioni sulla sua istruzione magica, Gregory non avrà più bisogno di frequentare magia psichica».


    EWDtfBf
    F
    urono pochi attimi.
    Pochissimi, feroci, attimi, in cui gli eventi si susseguirono con tanta furiosa velocità da dare a stento agli occhi il tempo di carpirli. Aveva visto la creatura, era sprofondato nel baratro dei propri ricordi, poi, più nulla.
    Rimase immobile, mentre lo sguardo metteva di nuovo a fuoco Ryan, in piedi, illeso. All'inizio riuscì solo a spostare lo sguardo su Ardan, sconvolto, alle sue spalle, lei cadeva a terra. Non riuscì neanche a voltarsi.
    Piano, a scatti, cercò di girare il collo. Le labbra tremavano, aveva sentito il tonfo, e solo una persona era fuori dalla sua visuale, in quel momento. Cercò di scappare da quella consapevolezza, dalla visione che si formava pressante nella sua testa, l'immagine che sperava con tutto il cuore di non dover vedere con i suoi occhi.
    «Zoey...»
    La ragazza era a terra, riversa. Qualcosa aveva protetto Red. Qualcosa si era ritorto contro di lei, vittima accidentale di un incantesimo sbagliato. Qualcosa, dentro la sua mente, dentro il suo animo, si ruppe irrimediabilmente.
    Avanzò qualche passo, tremante, allungando le mani debolmente verso la sua figura, mentre gli occhi sbarrati mettevano a fuoco quel viso, bello e crudelmente spento.
    «No...»
    Si inginocchiò, accanto a lei, piegandosi, senza forze, avanzando carponi verso la sua figura, utilizzando le sue ultime forze per allungare le mani verso il viso della ragazza. Stava lì, inerte, come addormentata.
    «Svegliati»
    La voce risuonò tremante, mentre scuoteva la ragazza. Lacrime calde rigarono il suo viso mentre i suoi occhi si sbarravano ancor di più a quella vista. No, non Zoey, non Zoey tra tutte, non l'unica persona che poteva dire di averlo amato.

    00:00:00:00:01



    «SVEGLIATI CAZZO!»
    Si ritrovò ad urlare, si ritrovò ad urlare al suo cadavere inerme, mentre quel pensiero si faceva strada dal suo cuore, fin nella sua mente. Non l'avrebbe più rivista, era l'unica persona che lo avesse amato, dopo tempo, l'unica persona su cui poteva contare, l'unica che si fosse presa cura di lui, di quel che rappresentava. Lei lo aveva amato, così com'era, e adesso era andata, perduta, non sarebbe più tornata indietro e non l'avrebbe più rivista lo aveva lasciato solo era solo e non avrebbe più potuto abbracciarla gliel'avevano portata via non poteva accettarlo gliel'avevano strappata Zoey la sua Zoey gliel'avevano portata via e adesso erasoloenonl'avrebbepiùrivistamortamortaeramortasen'eraandatannl'avrbpirvstrmrtafinitmrtmrtmrtmrt

    «Ah.. ah..»

    00:00:00:00:00



    «Non mi è mai piaciuto come hai arredato qui... troppo ordine»
    L'uomo in bianco alzò lo sguardo sul suo interlocutore, mentre lo vedeva avanzare a passo lento attraverso la stanza, claudicante, osservando gli schermi. Bende e brani della camicia di forza cadevano molli dai suoi vestiti elegantemente stravaganti, ad ogni suo passo
    «Io sono ordine, dovresti saperlo»
    «Sì beh, SORPRESA, non mi piaci neanche tu in fondo. Lo sai io sono più per l'estro, sono... un artista, sì!»
    Prese a ridere convulsamente, mentre agitava le mani. Dalle intercapedini degli schermi, denso e lento come olio, del liquido scarlatto cominciò ad uscire, scendendo fin al pavimento fittizio mentre la buffa caricatura di un uomo muoveva le mani come dipingendo con un pennello invisibile.
    «E questo è il mio colore. L'ordine è... noioso, c'è una sola legge che può regolare il mondo, e sappiamo entrambi qual è..»
    «Fa quello per cui sei qui, facciamola finita»
    L'uomo si fermò, mentre lentamente, gli schermi cominciavano a esplodere, chiudendo la stanza in un'esplosione di scintille e sangue. Sorrise, grottescamente, tendendo le guance in maniera quasi maniacale, mentre si avvicinava all'uomo seduto.
    «Con estremo piacere»

    Alzò il viso, lentamente, mentre il suo volto si mascherava in un sorriso, volgendosi verso Ryan e piegando il capo. Fu.. improvviso. Aprì la bocca in un'espressione di estrema sorpresa, quasi infantilmente bambinesca, voltando lo sguardo da lui a Zoey, da Zoey a lui, come in un velocissimo Wimbledon, prima di schiacciare l'orecchio contro la bocca chiusa della ragazza.
    «Come dici? Il brutto cattivone ti ha fatto la bua? Ma la bua brutta o la bua tanto per dire? C'è una bella differenza!»
    Ritrasse il capo, fissando gli occhi su Zoey e scuotendola violentemente. Alzò le spallucce, allargando le mani e lasciando che ricadesse violentemente sul pavimento acquoso di quella dimensione ombra
    «Oh, sembra che non sia di tante parole eh? Mi dispiace Baby, non so se può funzionare tra noi, io mi considero un chiacchierone»
    Si rialzò, togliendosi dai vestiti quella polvere inesistente, prima di riportare i suoi occhi su Ryan, scavalcando impietosamente la figura della ragazza. C'era qualcosa di immensamente strano nel suo modo di incedere, come se fosse stato trattenuto da catene per un tempo così lungo da aver dimenticato le basi della locomozione, ondeggiava mestamente mentre girava intorno alla figura dell'uomo, osservandolo con il collo proteso in avanti e quel sorriso ormai perennemente stampato sul suo viso.
    «Ah Ray Ray... mi dispiace così tanto... tu sei un tipo moooooolto interessante, dico davvero ahahahah, eppure eppure, beh, l'hai ammazzata. Tuuuuutta colpa tua...»
    Disse, ammiccando in maniera inequivocabilmente plateale verso Randall. La sua voce aveva un tono tagliante, quasi rauco, eppure divertito: rideva sporadicamente ogni due o tre parole, come l'uomo che, raccontando una barzelletta, ne ricorda il finale e non riesce a trattenere il riso. Rideva, forse per lo stesso motivo, follemente divertito dal futuro di quella situazione, dalla fine di quella lotta. Si gettò quasi a peso morto su Ryan, abbracciandolo e picchiettando un paio di volte il pugno sul suo petto, come una coppia di amici da film
    «Oh potevamo essere amici, amici Ray... amici!!»
    Si piegò in ginocchio, appendendosi ai suoi vestiti mentre l'uomo cercava di ritrarsi, lasciandolo poi andare per rovesciare la mano sulla fronte, in una patetica e forzatissima imitazione dell'addolorata greca. Una farsa durata appena qualche secondo, mentre si rialzava e rivolgeva il suo proverbiale sorriso, un sorriso distorto, che trasformava il suo viso in una maschera di puro e sadico odio, con occhi che schizzavano veleno.
    «Oh... che.... peccato»
    Non ebbe neanche bisogno di muoversi, gli bastò alzare lo sguardo su quell'uomo, stupito dal suo comportamento. Gli bastò odiarlo con ogni fibra del suo corpo

    L'ambiente era totalmente nero. Non come la dimensione ombra. Era il vuoto. L'uomo, Ryan Morley, vi ricadde al centro, solo e disorientato. Dei passi si avvicinarono a lui.
    «Sì, hai ragione, dovrei migliorare l'arredamento, ma a questo ci penseremo fra un po'..»
    Quella voce, quella voce risuonava in tutto l'ambiente, come se lo permeasse, come se fosse l'ambiente stesso intorno a lui. Solo alle successive parole si manifestò davvero, in tutta la sua furiosa follia, alle spalle dell'uomo.
    «Ma veniamo a noi...»
    L'ambiente cambiò, Ryan si ritrovò disteso, su un lettino, mentre di fronte a lui quello, che un tempo era conosciuto come Gregory Kane, stava seduto su una sedia in eleganti e austeri abiti di un orribile marrone. Scorreva gli occhi, attraverso lenti neutre dalla classica montatura da non più di dieci dollari, sul suo taccuino, rigirando le pagine senza leggerle davvero.
    Pura, scenica, finzione.
    Intrecciò le mani, accavallando le gambe e sporgendosi verso il suo fittizio cliente.
    «Ho esaminato il suo fascicolo, signor Morley, e capisco il suo dolore e la sua perdita per non essere stato il preferito di papà. Questi adolescenti eh? Prima li cresci, li odi con tutto te stesso quando ti pisciano addosso mentre li culli, e poi ti rubano pure l'eredità, tzè!»
    Si esibì in un gesto stizzito della mano. Aveva cambiato la sua voce, dandole un tono profondo, e sviolinava parole con una velocità incredibile. Agitò convulsamente le sopracciglia in improbabili giochi espressivi mentre apriva ancora una volta il taccuino e cominciava a far scorrere una penna stilografica, senza scrivere davvero qualcosa di sensato. Voltò il libretto verso l'uomo: il disegnino della caricatura di Ryan sollevava nuvolette di polvere in un'espressione di rabbia cartoonesca.
    «Lei ha sicuramente un atteggiamento molto negativo verso la vita, e questo fa male, fa male a fegato polmoni cuore cervello prostata e vita sessuale. Io penso... penso... che dovrebbe SORRIDERE di più! E si consideri fortunato...»
    Prese una borsa dal fianco della sedia, una piccola cartelletta in pelle scura, parzialmente rovinata, aprendola e cominciando a tirare fuori un numero impressionante di oggetti, anche molto ingombranti. Tutta la scena si muoveva con una rapidità febbrile e innaturale, come un copione recitato da un attore che aveva fatto del nervosismo il suo punto di forza.
    «Ok ok, vediamo, mmmh... macchie di Rorschach no, strumenti per elettroshock, no forse dopo, interpretazione dei sogni di Freud, dio quel tipo era più schizzato di me, oh, la mia collezione in edizione limitata dei my little pony, ecco dove l'avevo messa! Oh, eccolo qui...»
    Infilò la mano nella borsa, in profondità, sforzando i muscoli e tendendo l'apertura della cartelletta come se volesse tirare fuori qualcosa di immensamente grande. Provò un paio di volte, digrignando i denti, si fermò ansimando mentre il sudore, copioso, imperlava la sua fronte.
    «Diiiio, è più pesante di quanto pensassi! Ancora una volta!»
    Mise entrambe le mani nella borsa, tirando con tutta la sua forza.
    L'oggetto, se così si poteva chiamare, si manifestò in un'esplosione di luci e musiche, applicandosi in tutto l'ambiente circostante. Un tripudio di colori, di odori, di risa festose, accolse l'immagine di quel luna park immensamente grottesco. Il ragazzo, di fronte a Ryan, allargò le braccia. Aveva cambiato i suoi abiti, trasformandoli in un completo eccessivamente vivace, rosso fuoco. Roteava un elegantissimo bastone da passeggio tra le mani.
    «Lei deve imparare a ridere di più, e fortunatamente»
    Si esibì in una piroetta, portando il suo viso ad un centimetro da quello di Ryan, ridipingendolo con quel sorriso orrifico e folle.
    «We have a looot of funny games to play together!»

    Riemerse.
    Dovevano essere passati appena pochi secondi, un battito di ciglia. Era bastato. Ryan rimase di fronte a lui, gli occhi vuoti, ancora probabilmente persi in quell'esperienza. Poteva quasi vederlo, vedere la sua mente morire irrimediabilmente, mentre il fiotto di bava cominciava ad uscire dagli angoli della bocca.
    Addio, Ryan Morley.
    Il suo corpo cadde, quasi a rallentatore, ai suoi piedi, soppresso dalla furia di quella mente totalmente folle che aveva scatenato. Cadde come senza peso, lento e leggero, con un piccolo tonfo. Cadde e spirò. L'uomo che aveva così grandemente ricercato la vendetta, mostrando una forza senza uguali, una violenza che niente e nessuno avrebbe potuto fermare, ritornava uomo nella sua morte, dimostrandosi quello che lui, così come gli altri, veramente era: carne e sangue.
    Piegò il capo, abbassando il suo sorriso in un broncio esagerato.
    «Che gran peccato, pensavo ci saremmo divertiti di più»
    Fu un lampo, un'energia psichica, appena accennata ma presente, quella che arrivò a lui. Alzò il capo, all'aria, come quel mastino infernale che aveva preteso di essere, attirato da un odore nuovo e penetrante. Voltò lo sguardo su un'altra figura, riversa a terra, una ragazza.
    «Oh, qualcuno qui è ancora vivo!»
    Mosse qualche passo, fermandosi e voltando lo sguardo verso Ardan. All'inizio sembro almeno tentare di contenerla, di fermarla, poi, lentamente, i suoi occhi si strinsero mentre scoppiava in una fragorosa risata. Zoey era ancora viva, e lui...
    «I-io..ahahahah, cioè io ho... AHAHAHAHAHA SCUSA! È TROPPO DIVERTENTE! AHAHAHAH, cioè io ho ammazzato il tuo papino...ahahah per nulla UAHAHAHAHAHAHHA»
    Quella risata, quella risata era pura follia, si disperdeva nell'aria come un gas venefico, entrava nelle ossa come freddo artico, rizzando i peli dei presenti nella sua follia. Ma qualcosa, qualcosa di più profondo, si annidava nelle profondità vocali del ragazzo: quella risata.... era contagiosa.
    «Oh beh, ahahahah, come si dice, morto un papà se ne fa un altro! O non era così? Aaaad ogni modo, tanto vale finire il lavoro»
    Piegò il suo corpo, avvicinandosi a quello che ormai non era altro che un cadavere, bloccandosi improvvisamente. Pochi videro quello sguardo. Pochissimi. E costoro rammentano quale sensazione terrificante quello sguardo portava con sé. Il...demonio, portò la coda dell'occhio su Ardan, sconvolto, immobile, sorridendo in maniera maniacale verso di lui.
    «Sono, proprio... maleducato! Manie di protagonismo, sapete, tendo a monopolizzare la scena. Ma perchè sono un tale stronzo? Perchè devo divertirmi soltanto io qui? Facciamo partecipare qualcun altro»
    Ancora una volta non ebbe bisogno di parlare, di muoversi. Nel momento in cui riportò eretta la sua colonna vertebrale seppe, seppe che Ardan era già sotto il controllo di un'ipnosipedia parziale troppo forte per essere contrastata, troppo per il povero ragazzo. Sorrise estatico, richiamandolo con un gesto meccanico della mano, due dita, elegante nella sua goffaggine.
    E lui venne.
    «Ardy caro, tesoro, piccolo Ardy: ti va di guadagnarti la paghetta? Bene bene, sapevo che avresti accettato, sei un così caro ragazzo. Dicono che per superare i problemi bisogni... emh... come si dice... sconfiggere i propri demoni? Sì sì, era così, beh allora è perfetto!»
    Allargò le braccia, chiudendo poi la bocca mentre rivolgeva il suo ordine al ragazzo, inerte, distorcendo le parole dolcemente, come parlando a un cane particolarmente tenero.
    «Quello che devi fare, adesso, è tagliare il tuo piccolo papino tenerino in pezzettini ancora più piccini picciò, e alla fine, mio caro, ti darò un bel bacino! Pensi di farcela?»
    Battè due volte le spalle del ragazzo, mentre si allontanava, a grandi passi, verso la figura di Zoey. La osservò, piegando un secondo la testa di lato, sorridendo dolcemente mentre la guardava, dimostrando quell'amore che ancora rimaneva, ostinato, incastonato al suo cuore.
    «Quanto a te»
    Il suo sorriso si allargò
    «SVEGLIA AMORE!»
    Caricò la gamba, sferrando con estrema brutalità un calcio al viso della ragazza.


    Gregory Kane

    Chaos

    [x] scheda - starring: Cameron Monaghan
    code role © Akicch; - NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT


    Edited by »Annah.Belle« - 28/11/2016, 17:46
  11. .
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    F
    u sbalzato di lato, rovinando a terra, lontano dal biondo. Non provò dolore, non provò timore, paura delle conseguenze della sua azione, mentre il suo corpo veniva alzato per il colletto, mentre sentiva il ringhio dell'uomo.
    I suoi occhi corsero su Ardan, gli occhi di Greg, ancora una volta, l'ultima, forse, corsero sull'unica persona che aveva mai chiamato “amico” in vita sua.
    Sorrise debolmente.
    «Ricordati che la tua vita in questo momento mi appartiene, e non solo la tua...»
    Ricadde a terra, tossendo per la mancanza di aria che quel sollevamento gli aveva portato. Non solo la sua. Comprese il significato di quelle parole troppo tardi, troppo tardi ricordò di chi lo aveva seguito per amore, di chi lo aveva accompagnato all'inferno, trascinata da quella catena di legami che aveva condannato la vita di così tante persone. Troppo tardi vide il corpo della ragazza comparire di fronte a lui. Troppo tardi si rese conto delle armi che Ryan Morley aveva, ancora, contro di lui.
    «Zoey...»
    La sua voce fu un sibilo, un sussurro perso nello sgomento, un preannuncio di disperazione.
    «Se non mi ubbidirai, tu e lei morirete...»
    «Zoey...»
    Le parole uscirono ancora flebili, appena accennate dalla bocca semi aperta, tremante, di Gregory Kane, mentre sentiva quelle di Ryan, come coltelli. Il corvo. Il corvo aveva preso l'unica persona che era riuscito ad amare dopo tanto, tanto tempo, l'unica persona cui era riuscito ad aprire il cuore dopo tanto, tantissimo tempo. Il corvo aveva preso l'unica cosa che potesse definire bella, nella sua vita, e stava minacciando di portargliela via.
    Uno scatto serpentino, un secondo, lo portarono a piegare il collo di lato, aprendo la bocca in un verso stridulo, mentre gli occhi si tingevano di una scintilla scarlatta e piegava la testa di lato.
    Figlio di puttana
    «IPNOSIPEDIA!»
    Qualcosa lo prese, prima che potesse opporsi al potere dell'uomo, qualcosa mosse le braccia di Red Label. Si alzò in piedi, spinto da quel controllo che tanto lo privava di una sua propria dignità, costringendolo a sottostare al volere di quella... creatura
    Digrignò i denti.
    «Fin quando Joachim non morirà, tu dovrai continuare ad attaccare Zoey»
    Non riuscì neanche ad aprire la bocca, non riuscì a fare altro che non avvicinarsi alla ragazza, osservare i suoi occhi e rivedersi in essi, vedere come quell'amore ossessivo le avrebbe impedito di difendersi, di contrattaccare, abbandonandola alla deriva dei suoi colpi.
    Cercò di trattenerlo, stringendo i denti, chiudendo gli occhi, utilizzando ogni minima briciola di forza che gli rimaneva in corpo, sentendo il braccio alzarsi e la spalla tirarsi indietro, sentendo la prima lacrima che gli rigava il viso mentre vedeva Zoey accettare quel destino infame.
    No
    Il primo pugno si abbattè con violenza sul viso della ragazza.

    00:00:00:00:09



    No
    Non poteva essere vero, non poteva essere costretto a tutto questo. Lui, Red Label, ridotto ad un burattino, costretto a colpire l'unica persona che davvero amava. Non poteva essere vero, non lì, non in quel momento.
    Il secondo pugno, un sinistro, colpi forte lo stomaco di lei, costringendola a piegarsi in due, davanti a lui.

    00:00:00:00:08



    Bastardo...
    Finchè Joachim non morirà... quelle parole continuavano a ronzargli nella mente mentre sentiva il dolore alle nocche, per la forza di pugni con cui tempestava la ragazza. Joachim, perchè, Joachim? Cosa c'entrava lui con Joachim, perchè era da lui che dipendeva la sofferenza di Zoey? Perchè lui era il metro con il quale venivano misurate le sue azioni, le sue volontà?
    Perchè stava continuando a colpire Zoey?
    Perchè non stava facendo nulla?
    Perchè era ancora vivo, sebbene una ragazza innocente stesse soffrendo a casa sua?
    Perchè. Non stava. Facendo. Nulla.
    Il terzo pugno si abbattè sul lobo temporale della ragazza, costringendola a terra.
    Basta

    00:00:00:00:07



    Joachim Morley, la causa della sofferenza di Zoey, la causa del coltello nel suo petto che lacerava un po' di più la carne ogni volta che era costretto a colpire la ragazza. Ardan Morley, l'unico ragazzo che considerava amico, che rimaneva inerme, inerte, a guardarlo mentre uccideva con le sue stesse mani la donna che amava, anche dopo aver salvato la sua anima. Ryan Morley, il corvo, colui che aveva architettato tutto per spirito di vendetta contro un ragazzino che avrebbe potuto uccidere subito, appena lo avesse trovato, colui che muoveva i fili immaginari del suo corpo e lo costringeva a infliggere ed infliggersi quel dolore.
    Joachim Morley
    Ardan Morley
    Ryan Morley
    Morley
    Morley.
    Il quarto colpo, un calcio, andò a colpire il viso della ragazza, a terra, mentre le calde lacrime di rabbia e dolore rigavano il viso del rosso.

    00:00:00:00:06



    Il suo corpo ebbe uno scatto, i suoi pensieri lo ebbero, mentre fermava l'ennesimo calcio. Una spinta, più forte di qualsiasi controllo psichico, mentre, con la coda dell'occhio, vedeva Joachim a terra, ancora inerte, non degnarlo nemmeno di uno sguardo.
    Stava pensando a salvarsi.
    Lui stava uccidendo la persona più importante della sua vita, e Joachim pensava a salvare se stesso.
    Era odio.
    Lo sentiva scorrere nelle vene, mentre osservava Ardan affiancare suo padre, guardarlo, lui che lo aveva raccolto da terra e salvato da quel dolore, comprendendolo più in fondo di chiunque altro prima, avendolo aiutato finanche a salvare il padre.
    Io vi ammazzo
    La sua mano cominciò a tremare, mentre il potere magico si condensava su di essa.
    Io vi ammazzo
    Qualcosa, un'aura rossa, inquinata da una sfumatura nera, cominciò a prendere forma sul suo palmo. Un'emissione leggerissima, eppure così netta, della sua aura, come un alito di anima, cominciò a ruotare intorno al suo corpo.
    Io vi ammazzo
    Tremava, tremava mentre digrignava i denti, ormai totalmente divorato dall'odio che la consapevolezza di tutto quel che era successo gli aveva portato. Tremava mentre chiudeva gli occhi, mentre il suo volto si deformava in una grottesca maschera di pura furia. L'aura cominciò a uscire, furiosa, intorno a lui, dapprima lentamente, poi sempre più viva, più rossa di rabbia, di furia, violenta e devastante.
    Il suo palmo tremò ancora, condensando più energia su di esso, in quella piccola sfera che stava sembrando racchiudere tutta la collera di cui il ragazzo era capace.
    Morley..
    L'energisfera sembrò ingrandirsi, continuare ad addensarsi, compressa, carica di tutto il potere magico che il ragazzo possedeva. Voltò lentamente il capo, fissando gli occhi, debolmente, su Ryan, ancora sotto l'incantesimo che lo aveva costretto. Una formula semplice, immediata, ma fallace: attaccare Zoey finchè Joachim non sarebbe morto, ma non attaccare solamente Zoey. Il suo raziocinio, la sua umanità, andò alla deriva mentre schiudeva le labbra in quel verso grottesco.
    «Io vi ammazzo tutti»
    L'energisfera sembrò allargarsi nella sua mano di colpo, mentre ruotava il busto verso l'uomo che aveva incarnato tutto il suo odio, di fianco al ragazzo che lo aveva tradito e abbandonato, che sovrastava il terzo membro della famiglia, egoista e incapace, che avrebbe salvato a tutti i costi il suo caro amico ma avrebbe lasciato morire una sconosciuta per causa sua. Tutti. Allungò il braccio, spingendolo in avanti, sentendo la magia dirompente espandersi e scagliarsi contro Ryan, contro Ardan, contro Joachim, contro Noah.
    Tutti.
    Dovevano morire, tutti.


    Gregory Kane

    Hell Hound

    [x] scheda - starring: Cameron Monaghan
    code role © Akicch; - NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT
  12. .
    EWDtfBf
    S
    ì fermò. Le parole di quello, che chiamavano l'incantatore, scivolarono sulla sua pelle come se non fossero altro che un vento leggero, ma altre, diverse, una velata minaccia, attecchì sulla sua pelle come veleno.
    «Ti conviene non continuare Gregory... o la tua anima verrà divorata»
    Voltò ancora una volta lo sguardo, uno scatto serpentino lo costrinse a girare il collo, un tic forte, ma al tempo stesso velato.
    Sussurrò
    «Cosa fai, tu?»
    Stava cominciando a reggere male quella rabbia che stava crescendo in lui, quel turbinio di emozioni contrastanti che lo stavano conducendo alla follia. Vide muoversi Ardan, strabuzzando gli occhi. Perchè Ardan? Perchè non poteva svolgere lui il lavoro sporco, senza coinvolgere l'unico figlio ancora parzialmente innocente che aveva.
    «Tu... tu non sei...»
    le parole uscivano a fatica dalla sua bocca. Una famiglia di assassini? No. Non doveva finire in quella maniera, non quando il figlio poteva mantenere un briciolo della sua anima ancora intatta. No. Non doveva finire in quella maniera. Perchè quei pensieri? Non erano suoi, non potevano esserlo, non del Red che conosceva, non del Red che aveva imparato ad abbracciare in quanto se stesso.
    Vide Ardan avvicinarsi a Joachim, sovrastandolo..

    00:00:00:00:10



    «FAMMI USCIRE»
    L'uomo in bianco sospirò piano, seduto sulla sua poltrona di pelle. Rigirò gli occhiali tra le dita, ancora una volta, abbassando lo sguardo, evitando gli occhi del ragazzo di fronte a lui.
    «Sai che non posso»
    «STRONZATE!»
    Il colpo fu violento, il pugno del ragazzo colpì con violenza immane uno degli schermi. Andò in frantumi, ricomponendosi subito dopo, al voltarsi del ragazzo, senza un rumore, senza il minimo movimento dell'uomo in bianco, quasi come per magia. Sospiri, ancora tiepidi sospiri. Alzò gli occhi sul ragazzo, fissando il volto sconvolto di Gregory, mentre lo schermo portava indietro un altro minuto sul countdown.
    «Se ti facessi uscire adesso, potresti morire»
    «MORIREI COMUNQUE»
    La scrivania del controllore volò lontano, spinta dalla mano di Gregory. Si voltò, camminando nervosamente indietro e mettendosi una mano tra i capelli, tirandoli all'indietro e cercando di asciugare parte del sudore che imperlava la sua fronte.
    «Lo so io, e lo sai tu, cosa succederà quando quel fottuto orologio batterà lo zero ed io non voglio andarmene COME SE NULLA FOSSE!»
    «E cosa pensi di fare?»
    Greg si fermò, abbassando lo sguardo sul pavimento fittizio, frutto del potere della sua mente.
    «Qualcosa...»
    Il sussurro leggero fece distendere il controllore. Lo guardò, appoggiando la schiena alla poltrona di pelle. Gli occhi di Gregory erano un connubio di pietà e decisione, di implorante richiesta e bruciante passione.
    «Solo un'altra volta»
    La voce uscì sottile, leggera, quasi una preghiera...

    Le sue mani tremavano, mentre osservava Ardan vessare il ragazzo sotto di lui, distrutto, quasi morto, eppure torturato, ancora ancora e ancora. I suoi occhi osservarono i suoi capelli biondi, sudati, caduti sugli occhi imploranti. Voltò lo sguardo su Ardan, ancora una volta, vide il sudore scendere sulla sua pelle, vide il dolore della consapevolezza scorrere nelle sue vene, il principio di una fine che era costretto ad operare, per amore, per onore.
    «Tu non sei...»

    «Non lo so, ma sei l'unico di cui mi possa fidare, qui»
    Alzò gli occhi sul biondo, aveva la bottiglia in mano, il whisky ambrato riluceva alla luce dei lampioni. Avrebbe voluto picchiarlo per quelle parole da checca, ma si ritrovò a sorridere, sorridere tristemente, mentre la notte inghiottiva entrambi.
    «Anche tu...»
    Rise
    «Vedi? Una cosa in comune!»
    «Non che sia facile averne con te, schizzato del cazzo»
    «Ma vaffanculo»
    La bottiglia, lanciata da Red, mancò il bersaglio, e li lasciò entrambi a ridere, sdraiati sull'erba fresca dei prati del Brakebills. Sentì Ardan deglutire, sapeva che l'argomento spinoso stava venendo alla luce in tutta la sua scomoda potenza, risalendo la gola del ragazzo.
    <i>«Mi aiuterai?»

    Si alzò, scompigliandosi i capelli con una mano e passando le dita come un pettine, subito dopo. Sbuffò un secondo, cercando di parlare, mentre le parole gli morivano in gola e lasciava andare un gemito di sofferenza.
    «Sì, lo farò, ti aiuterò.»
    Una leggerissima pausa
    «Ma non per te, razza di checca, penso solamente che sarebbe divertente prendere a calci in culo un po' di gente per divertimento! T'immagini la scena?»
    «Non avevo dubbi, guarda...»
    Lo stava facendo per lui...

    «Tu non sei...»
    «Fammi uscire!»
    «Tu non... sei»
    «Sei l'unico di cui mi possa fidare»
    «Tu... non.... sei....»
    «Solo, un'ultima, volta»
    «TU NON SEI UN'ASSASSINO!»
    La sua voce uscì come una potente esplosione, riempiendo l'aria mentre i muscoli allenati scattavano in avanti per portarlo vicino ad Ardan. Come a rallentatore, vide gli occhi di Ryan voltarsi, esterrefatti, vide quelli di Ardan, sorpresi eppure quasi..grati, di quell'occasione che veniva data alla sua anima. Gregory, ancora una volta, forse l'ultima, scattava in avanti, buttandosi sul biondo per impedirgli di compiere il gesto peggiore della sua vita. Cos'era, dopotutto. Per una persona come lui, in cui la vita era fatta di sofferenza, di dolore puro e semplice, di morte e sangue, della consapevolezza di perdere, un secondo di più ad ogni passo in avanti, cos'era intervenire in quel modo? I suoi muscoli si tesero. Se anche fosse stata l'ultima cosa che avesse fatto, se anche fosse morto subito dopo, annegato dal potere di Ryan o della sua stessa mente... doveva impedire a quel ragazzo, a quell'unico ragazzo che aveva imparato ad accettare, a voler vicino, tra gli insulti, le prese per il culo, la rabbia e le botte. Per quell'unico ragazzo che aveva insegnato ad un uomo distrutto cosa volesse dire avere un amico, anche se strano, anche se fuori dal comune.
    Per quell'unico ragazzo, per cui avrebbe dato la vita, e per cui lacrime calde sgorgavano dai suoi occhi mentre si muoveva.
    E ad ogni passo, ad ogni colpo, mentre abbracciava il suo corpo per buttarlo a terra, mentre sentiva quella spinta dentro di lui, premere, uscire, avvicinarlo al baratro nero che lo avrebbe sommerso ed annientato, il suo pensiero si era fatto più limpido e chiaro.
    Tu, devi, salvarti



    Gregory Kane

    Hell Hound

    [x] scheda - starring: Cameron Monaghan
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  13. .
    CITAZIONE
    Memory Unlocked - Major Arcana: The Devil.

    .
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    memory unlocked The Devil

    Atlanta –8 Aprile 2015.

    Aveva il respiro corto, pressato com'era contro il muro mentre gli scoppi si susseguivano. Fece scattare gli occhi da una parte all'altra del vicolo, doveva trovare un modo di uscirne e di uscirne immediatamente.
    Si affacciò lentamente dall'angolo, un lampo di luce colpì il terreno, squarciando il velo d'asfalto e facendolo esplodere davanti ai suoi occhi. Saltò di lato, portando istintivamente le braccia sopra la testa per pararsi dai detriti.
    Merda
    Le esplosioni infuriavano dall'altra parte della strada. Alcune urla, coperte subito dal rumore che quei lampi di luce provocavano. Si affacciò ancora una volta... sapevano farlo anche loro. Si osservò le mani, tremanti, sporche della polvere e dei calcinacci che ormai ornavano la strada. Deglutì. Stava.. tremando. Riusciva in qualche modo a percepire il pericolo che quella sottospecie di scontro, fatto di densi lampi di luce, rappresentava. Stava tremando, osservando le sue stesse mani, incapace di reagire, incapace di scappare.
    Si avvicinò ancora all'angolo del muro, parzialmente distrutto dalla furia dei loro poteri. Il cuore batteva in gola come un martello pneumatico, il respiro si accorciava ad ogni passo.
    Riuscì ad avvicinarsi abbastanza. L'uomo, abbastanza giovane, stava lanciando ripetutamente i suoi strani colpi verso quello che sembrava un ragazzo. Doveva essere poco più grande di lui, ma rispondeva ai colpi con una tenacia impressionante.
    Digrignò i denti, doveva andarsene in qualche modo, doveva scappare da lì ad ogni costo. Osservò le sue mani, bastava fa scoppiare qualcosa, come diversivo, e riuscire a correre, correre a perdifiato lontano da lì. Contrasse i tendini delle mani, fin quasi a tremare.
    «Dai, andiamo»
    Un nuovo incantesimo fu parato dal ragazzo. Lo vide girarsi e … ruggire, un ruggito disumano e abominevole, mentre si scagliava verso l'uomo di fronte a sé e lo sbalzava indietro con una spallata.
    Sciolse le mani febbrilmente, ricominciando subito dopo a tenderle e corrucciare la fronte. Gocce di sudore discesero lungo la sua fronte mentre digrignava i denti, contraendo i muscoli fin quasi a tremare.
    «Andiamo...»
    L'uomo si rialzò, colpendo alle gambe il ragazzo, che inevitabilmente cadde a terra. Alzò quello che sembrava un pezzo di legno, lo agitò contro il ragazzo. Tutto si fermò. Rimase immobile, il battito del suo cuore che occludeva le orecchie e dominava la sua mente. Doveva scappare, doveva muoversi adesso mentre i due erano immobili.
    Non riusciva a muoversi.
    Battè il pugno sulle gambe, cercando di scattare in avanti in qualche modo. Non si muovevano. Colpì ancora, e ancora, quasi non avevano sensibilità che non fosse limitata ad un formicolio. Gocce di sudore scesero ancora lungo il viso mentre digrignava i denti.
    Ti prego
    Portò la mano alla bocca, mordendone il palmo fin quasi a farlo sanguinare. Il dolore sembrò svegliarlo di colpo. Scattò in avanti, muovendo qualche passo ed entrando in strada, cercando di scappare quanto più velocemente poteva da quella situazione. Furono attimi a rallentatore. Il suo respiro corto risuonava nella sua testa mentre l'urlo del ragazzo riempiva l'aria, mentre qualcosa attraversava la strada, rapida, inarrestabile, diretta verso di lui.
    Lo colpì alle spalle.
    Fu come se il suo corpo si frantumasse in minuscoli granelli di sabbia, separandosi dalla sua essenza in infinite sfaccettature, come visto attraverso frammenti infinitesimi di uno specchio grande quanto la realtà stessa. Le immagini si susseguirono veloci, confuse, il volto di un uomo, di un bambino, un'eredità, un casato, la rabbia, la furia, lui, suo padre, la sua famiglia, Oprah. Un turbine di visioni dai contorni confusi che, come un mulinello, lo trascinava nel fondo della sua psiche.
    Delle mani lo afferrarono per il collo, sentì l'aria uscire dai suoi polmoni, soffocare nella sua gola. Cercò di dimenarsi, cercò di liberarsi da quella presa e da quegli occhi folli che occupavano la sua mente, a un centimetro dal suo viso. Da quella risata che si faceva strada dentro di lui con una furia inimmaginabile.
    «Finalmente, vecchio amico..»
    Buio.




    EWDtfBf
    R
    iemerse da quella visione. Il respirare si era fatto più difficoltoso, ma quasi non lo diede a vedere, rimanendo immobile, statuario, di fronte a Morley.
    Era stato lui? Era stato lui a frammentarlo in quella maniera, a dargli quei poteri, quelle capacità ritenute straordinarie dai più: la magia? Era stato lui ad inquinarlo e al tempo stesso renderlo più potente? Per un secondo i pensieri si susseguirono nella sua testa ad una velocità impressionante, affogando la mente del ragazzo nell'incertezza e nel dubbio, lasciandolo alla deriva mentre si rendeva contro di aver passato gli ultimi anni della sua vita in una probabile menzogna.
    «Sta zitto...» (Sì, lo sto immaginando detto in anime style)
    La sua bocca si aprì in un sussurro mentre le dita si chiudevano in pugno, quasi tremando. Aveva lo sguardo basso, la fronte corrucciata, sentiva le sue parole lontane, distorte, perso nei suoi pensieri.
    «Sta zitto.»
    Lo ripetè con tono di voce più ferma. Quello sproloquio stava cominciando a metterlo seriamente alla prova, forzando la sua mente, la sua pazienza, e facendola sprofondare verso l'inevitabile.
    «CHIUDI QUELLA CAZZO DI BOCCA!»

    00:00:00:00:15



    Il suo tono era fermo, sorprendentemente, non traspariva furia nelle sue parole, nessuna rabbia, nessun risentimento verso di lui. Solo quel solito tono canzonatorio, seccato, annoiato dal ripetersi insistente di quella voce.
    «Cristo, la ami davvero la tua voce! Potrei volermi infilare una pistola in bocca a momenti. Il tuo potere bla bla, Joachim bla bla, il male bla bla, la vendetta bla bla BLA BLA BLA! Smettila di parlare e fa quello per cui siamo venuti»
    Scrollò le spalle. Red Label alzò il mento e lo sguardo su quell'uomo, di fronte a lui. Oh, era più che cosciente della sua potenza, era più che cosciente del fatto che, se si fosse arrabbiato, avrebbe potuto ucciderlo con un colpo solo... ma non gli importava. Quell'uomo, sconfitto da quella sottospecie di ameba che adesso implorava pietà, sanguinante, con il braccio mozzato dalla sua spada in un colpo preciso. Quell'uomo costretto al coma da un imbranato di qualche anno più grande non meritava la sua paura. Poteva essere potente quanto voleva, poteva ucciderlo anche solo con lo sguardo, ma aveva perso già da molto tempo la sua dignità, e Red, Red Label, non lo avrebbe degnato del suo timore.
    Voltò le spalle, girandosi, muovendo qualche passo.
    «Non ho alcun interesse a vendicarmi di quel tizio. Finisci in fretta. Ah e...»
    Si fermò, voltando appena il capo per guardarlo con la coda dell'occhio. I suoi occhi espressero limpidamente quello che il suo stesso animo aveva maturato in pochi secondi. Il suo nome era Red Label. Il SUO nome era Red Label, ed era l'unico proprietario e responsabile della sua esistenza. Oh, se ne sbatteva ampiamente il cazzo della “colpa” di Joachim, della presenza di Ryan nella sua mente, di quella scintilla lasciata dal suo potere. Ma... non poteva semplicemente tollerare che la ragione della sua esistenza fosse la presenza di un'altra persona nella sua mente. Il suo potere era reale, la sua vita lo era, nessuna fittizia presenza avrebbe distrutto quella sua convinzione.
    La voce, ferma, si tinse di una sfumatura grottesca, graffiata da una tonalità più rauca che cresceva nella sua gola.
    «Se dici, anche solo un'altra volta, che sono una tua creazione.... ti ammazzo, hai capito?»

    00:00:00:00:12





    Gregory Kane

    Hell Hound

    [x] scheda - starring: Cameron Monaghan
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    Edited by »Annah.Belle« - 25/11/2016, 12:57
  14. .

    Justin Greenwood [x]

    The Nightslash

    TT8yWLy
    There's no War that is not your War.

    Una sequenza di colpi ad altissima velocità si susseguì in quegli attimi. Aveva schivato il suo colpo, lo aveva contraccambiato debolmente. Lo aveva parato, preceduto, colpito, indietreggiato.
    Si erano ritrovati uno di fronte all'altro, illesi, ancora, totalmente pari.
    Si rimise eretto, lentamente, mentre le sue parole tornavano ad ammorbare l'aria. Sentiva il vapore condensarsi in nuvole di fuoco, uscendo dalle sue narici, mentre ritornava a stringere i pugni e tremare di fronte al suo riflesso.
    Non puoi vincere...
    Ancora una volta non rispose, lasciò che quelle parole scorressero sulla sua pelle, non riuscendo ad impedire che penetrassero nelle sue orecchie, intaccando la sua mente e la sua anima, insinuandosi come un virus per tirare fuori da lui quella furia inimmaginabile che gli avrebbe tolto il senno, la ragione stessa.
    Se l'avessi avvelenata
    Gettò uno sguardo a Joy, osservandone in un secondo i minimi dettagli. Il colorito della pelle, la sua secchezza, il colore delle vene che si intravedevano sulla superficie perlata del suo viso. Ogni minimo elemento che potesse rivelare la più piccola presenza di un veleno nel suo organismo.
    Spostò gli occhi sul suo riflesso, ancora muto, ancora chiuso in quell'espressione di cieca rabbia. Alzò la mano, chiudendola in un pugno mentre evocava il suo pugnale ombra, un movimento calmo, meccanico, ponderato, quasi come se tutta quella rabbia che scorreva violenta nelle sue vene si fosse condensata nell'annullamento totale di ogni emozione. Strinse il pugnale per la lama, il contatto caldo del sangue partì dal palmo, per poi diffondersi alle dita e scendere fin sul terreno. Voleva che soffrisse, sentiva il suo potere fondersi con la sua furia, scorrergli in corpo con violenza, mentre richiamava da quel piano lontano la sua arma, le sue catene
    Se l'evocazione fosse riuscita, avrebbe visto comparire le stesse catene, lucide e nere, sulle braccia del suo riflesso, corroborato com'era dal potere nero che lo specchio gli aveva donato, il potere della copia. Condividere tutto, ma... non essere realmente padrone di nulla.
    Abbassò lo sguardo, non aveva la minima importanza. Probabilmente, copiando le sue catene, le sue caratteristiche, avrebbe avuto la possibilità di copiare e contrastare ogni suo incantesimo, forte di quelle abilità che aveva semplicemente rubato. Ma non aveva importanza. Probabilmente sapeva utilizzare gli incantesimi bene quanto lui, conosceva tutte le sue tecniche di combattimento, aveva la sua forza e la sua velocità. Ma non aveva importanza.
    Lui non aveva vissuto. Lui non aveva dovuto.. guadagnarsele, non aveva dovuto imparare, giorno dopo giorno, cosa fosse il dolore, il sudore che imperlava la fronte e scendeva lungo il viso mentre la consapevolezza di poter fallire, di potercela non fare, si faceva strada dentro di lui. Non sapeva cosa fosse quella sensazione di disperazione che attagliava il cuore, spingendolo a lottare con tutte le sue forze contro gli eventi, contro il destino stesso, per diventare più forte e riuscire a proteggere le persone che amava, a proteggerla.

    Failure



    «Dove sono?»
    L'uomo balbettò qualcosa, sputando il sangue che lui stesso aveva fatto uscire dal suo naso, a terra. Era terrorizzato, glielo poteva leggere negli occhi, terrorizzato dalla vista di quella maschera nera che, per il momento, aveva solo sentito nominare. Lottava con tutto se stesso contro l'istinto naturale a cedere, sopravvivere, per mantenere viva quella sprezzante dignità.
    «Fottiti»
    Un nuovo pugno, i denti saltarono sul pavimento, accompagnati dal sangue
    «DOVE SONO?»
    L'uomo si girò a fatica. I suoi occhi erano posati sulla maschera, sbarrati. Li volse un poco, intercettando con lo sguardo una porta, alla sua sinistra. Nightslash lo lasciò andare, sbattendolo di nuovo contro il terreno sul quale era riverso, alzandosi e dirigendosi velocemente verso la porta. L'aprì.
    L'intera famiglia era nella stanza, una delle più ricche esponenti dell'aristocrazia Newyorkese, portata lì per nessun altro motivo che non fosse quello di essersi rifiutata di scendere a patti con la mafia. Il padre era sopra la moglie, prono, mentre quest'ultima guardava il soffitto senza vederlo davvero, gli occhi sbarrati, spenti, senza vita. Persino il bambino non era stato risparmiato, ancora sulla sedia, con la testa che pendeva di lato, la bocca semiaperta, il rivolo di sangue che scendeva ancora placido dal foro al centro della sua fronte. Era un bambino di soli dieci anni, e l'avevano ucciso con un colpo a bruciapelo.
    «Erano.. già morti... q-quando li abbiamo portati qui»
    L'uomo parlava a fatica, cercando di girarsi sul pavimento di legno del magazzino, cedendo poi di nuovo e scoppiando in una dolorosa risata. Le lacrime si stavano facendo strada sul suo volto insanguinato.
    «Sapevano saresti venuto, dovevamo... solo... catturarti... Hai fatto incazzare le persone sbagliate, ci serviva un'esca»
    Un'esca. Era questo che erano? Era per questo che i loro corpi giacevano così, in una pozza di sangue... per catturarlo? Abbassò il capo, stringendo nei pugni il freddo metallo delle catene, poi chiuse lentamente la porta. Cominciò a camminare, lento, verso l'uomo a terra che cercava disperatamente di ritrarsi. Feccia. Le sue catene ondeggiavano tra le mani.
    «Tu, non sai... contro chi ti stai mettendo contro, i-io.. posso dirti... dove trovarli. No... io... i-io, posso darti i nomi, io, no.. NO... NOAAARRG»


    Fissò il suo riflesso, per quello che sembrò un secondo infinito.
    Feccia.
    Il suo braccio destro si mosse in avanti, in un veloce movimento arcuato, mentre la mano si apriva e lasciava andare il pugnale alla base della catena, lanciandolo dritto contro il volto della sua copia. Non aspettò neanche di vedere l'effettivo impatto, il movimento arcuato del braccio proseguì lungo il suo corpo, torcendo il busto mentre sollevava la gamba sinistra e la ruotava intorno al suo corpo, sfruttando la tensione dei suoi muscoli per sollevarsi ed eseguire una ruota in aria, sferzando l'aria con la gamba destra e calciando con tutta la forza che aveva il volto del suo riflesso.

    narrato - parlato - pensato
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  15. .

    Justin Greenwood [x]

    The Nightslash

    TT8yWLy
    There's no War that is not your War.

    Sollevò gli occhi.
    Era lì, immobile, legata al soffitto e penzolante, pallida svenuta. Per un po' vacillò nella sua fermezza, abbracciando l'emozione che la vista di lei, sana e salva, seppur svenuta, aveva portato al suo corpo. Chiuse gli occhi, per un tempo che sembrò infinito, mentre le parole metalliche del suo oppositore, del suo riflesso, si facevano strada dentro di lui.
    ...Io sono come te...
    L'aria, sorprendentemente, passava attraverso le narici come una tossina velenosa, inondando i suoi polmoni di fiamme, portandolo a bruciare dall'interno.
    ... La verità è che è una puttana..
    Il torpore si dipanava dal centro del suo petto fino alle dita, spingendole a tremare ogni secondo più violentemente, costringendolo a serrare i pugni e le mascelle mentre ancora si sforzava di respirare, alzando e abbassando il petto.
    ...non lo ha nemmeno mai guardato...
    Il cuore batteva nel petto con una lentezza esasperante, chiudendo i timpani del ragazzo con i suoi colpi, potenti come boati. Le parole metalliche del suo riflesso, del suo opposto, sfumarono attraverso quelle esplosioni che il petto gli portava, mentre i muscoli si tendevano e la faccia stessa si deformava grottescamente.
    ...So cosa provi.
    Abbassò il capo, con una lentezza esasperante, staccandolo da Joy e riportandolo sul suo oppositore, estremamente diverso da come lo aveva visto quando era entrato in quella dimensione. Quella non era rabbia, quello era il principio di un leggero fastidio, in confronto a questo. Aveva deformato il suo viso in una maschera di pura furia, gli occhi ridotti a una fessura sotto le sopracciglia aggrottate, le labbra serrate per impedire ai denti di digrignarsi in maniera animalesca. Se lui era davvero se stesso, se lui davvero comprendeva cosa si celasse nel profondo del suo animo, allora aveva una chiara idea di quanta rabbia stesse gettando il suo cuore, di quanto velenoso fuoco avesse fatto eruttare come una colata lavica.
    Furono attimi a rallentatore.
    Nessuna analisi, nessuno studio, niente della rinomata prudenza che era solito mostrare era rimasto nelle sue ossa. Era furia. Muta. Implacabile. Scattò in avanti, tendendo i suoi muscoli fino allo spasmo per raggiungere una velocità mai sfruttata fino ad allora, le braccia piegate e protese di fronte al corpo, in posizione di guardia, pronte a parare qualsiasi cosa avrebbe voluto scagliare contro di lui. Il braccio sinistro scattò in avanti, portando con se la spalla e ruotando parzialmente il corpo mentre il destro scendeva inesorabile vicino al fianco. Aveva i muscoli tesi, i nervi pronti a tirare i suoi muscoli, a comandare la spalla sinistra, affinché parasse con un movimento arcuato del braccio il diretto destro che sicuramente l'uomo allo specchio avrebbe scagliato contro di lui, il dorsale destro pronto a distendersi, il petto a contrarsi, per scagliare contro il suo volto un diretto, potente, inesorabile, carico di tutta la furia che quell'uomo aveva scatenato in lui.
    Lui.
    L'uomo in frac.
    Chiunque avesse architettato questa cosa.
    Dovevano pagarla.

    La parata è solo ipotetica, nel caso Reverse, per l'appunto, cercasse di contrastare la carica con un pugno


    narrato - parlato - pensato
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110 replies since 25/1/2016
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