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.Justin Greenwood [x]casata ed annoThere's no War that is not your War.
Uscì dal labirinto.
Quel pugno infinito conteneva tutta la sua rabbia, tutta la sua forza, tutto se stesso e quelle settimane passate oltre quello specchio. Aveva covato la sua furia, aveva covato quell'ira abominevole che cresceva ogni secondo in più dentro di lui. Era stato lì da chissà quanto tempo, immobile, sconfitto dalla sua stessa, incosciente, superstizione.
Joy, dov'era Joy? Cosa era successo in quel tempo? L'aveva lasciata da sola, l'aveva lasciata in balia di quel folle, dell'uomo in frac o qualunque fosse il suo nome. L'aveva abbandonata per fare chiarezza in quel circo, quando l'unica a cui avrebbe dovuto pensare, l'unica che veramente avrebbe dovuto contare qualcosa, in quel momento, era lei.
Strinse i pugni, fissando lo sguardo sull'uomo di fronte a lui.
Gli specchi non riflettevano la sua immagine, non riflettevano nulla in quella stanza, sebbene la contornassero. In quel mondo che sembrava fatto di nulla, il suo riflesso, di cui era stato privato, attendeva di fronte a lui.
Strinse i denti, serrando le labbra. Ancora specchi, ancora trucchi. Aveva visto il suo riflesso uscire dalla porta, poteva essere l'ennesima illusione generata in quel mondo grottesco. Non era tornato nella realtà, non era tornato nella sua scuola, non aveva speranze di trovare Joy in quel mondo: doveva uscire, e uscire subito.
«Dov'è?»
Parlò per primo. La sua voce era un sibilo, un sussurro, quasi un ringhio di rabbia trattenuta. L'energia magica sembrò condensarsi in minuscole scariche intorno alle sue braccia, pura elettricità, mentre lampi bluastri sembravano balenare negli occhi.
«Dimmi... lei... dov'è.»narrato - parlato - pensato -
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CLUB DEL FILM
Dopo le precedenti due iniziative, d'accordo con Eng, ho deciso di aprire questo club, nato dalla voglia di scambiarci e condividere la passione dei cinefili come me.
Lo so già, Robb ci andrà a nozze.
Come facciamo? Ogni settimana ci daremo un tema, a volte un genere di film, a volte un regista, poi decideremo come affrontarlo.
Metteremo, volta per volta, delle proposte di film inerenti al tema della settimana, per proporre agli utenti la loro visione. Ovviamente potrete aggiungere le vostre, se ne avete, o votare una di quelle già scritte. Sarebbe anche molto carino, abbiamo pensato, scegliere un giorno e un'ora per vederlo tutti insieme, anche commentandolo in diretta su wha o su skype, o dovunque vogliate, perciò mettete anche il giorno in cui siete più disponibili per vederlo tutti insieme.
Perciò, che dire, cominciamo.PRIMO TEMA DELLA SETTIMANA: I FRATELLI COEN
Joel ed Ethan Coen. Registi di genere, contemporaneamente autori, hanno, sin dal loro esordio nel lontano 1984, entusiasmato la critica con film sempre originali e di ottima fattura. Ad oggi, considerati alcuni degli autori più famosi del cinema moderno, contano un eccezionale Premio Dan David, divenendo gli unici registi a poter vantare tale riconoscimento.
La loro produzione è senz'altro vasta e mutevole, contando un buon numero di film dall'argomento più che mutevole. Di questi, diamo quattro proposte per cominciare l'elenco.
- Fargo (1996)
- Il grande Lebowski (1998)
- Non è un paese per vecchi (2007)
- Ave, Cesare! (2016)
Ho deciso di cominciare con dei registi non scontati, quali potessero essere Allen o Tarantino, perché lo scopo del Club non è parlare di registi o film conosciuti e straconosciuti, rientrati ormai nei must della cultura cinematografica dei cinefili e non, ma anche e soprattutto per parlare e conoscere autori che sono più defilati nel panorama della cultura di massa (o di Tumblr, a seconda delle interpretazioni).
Perciò che dire, rispondete in tanti e cerchiamo un giorno per vedere e commentare questi, a parer mio, capolavori! -
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E ancora cerco di capire per quale stracazzo di motivo il fato non mi posta, comunque
Il post ha un bonus di 40, complimenti!
Il cecchino non ha notato la tua presenza, fortunatamente sei abbastanza piccola e silenziosa per non essere seguita dal mirino laser del suo fucile. La tua canna si poggia lentamente sul bordo, prendi la mira, è un tiro molto, molto difficile, miri alla sua nuca e spari. Il proiettile elettrostordente lo prende in pieno (CD:50, Punteggio:51). Il corpo cade lentamente a terra, sbattendo sulla ringhiera, facendo un minimo rumore, che le guardie non odono (CD:40).
Sali sul cornicione, prendendo la rincorsa per buttarti dall'altra parte. Il salto riesce, tuttavia (CD:50, Punteggio: 43), con il piede urti la ringhiera. Questo suono metallico, abbastanza forte, porta le guardie a girarsi verso la torretta. Non possono vederti se rimani abbassata, ma non vedono neanche la figura del cecchino oltre la ringhiera. Una delle guardie alla porta avvicina il viso alla ricetrasmittente.
Jeff?
Hai poco tempo.
Ti avvicini al corpo, spogliandolo e mettendoti i tuoi vestiti. Studi la situazione (CD:50, Punteggio:53), lì per lì non hai nulla con cui imbavagliarlo, ma dentro lo stanzino, posizionato sulla torretta, potrebbe esserci qualcosa di utile. (Non so se mi sono spiegato bene, ma la struttura che ti copriva era proprio quella sorta di stanzino che c'è su alcune torrette di sorveglianza delle carceri, ho passato un'ora a cercare un'immagine adatta, ma non l'ho trovata).
Hai problemi ben più grossi al momento, la ricetrasmittente sta aumentando la frequenza dei segnali.
Jeff, ci sei? Jeff?
Dopo averlo legato (CD:40), strappi un capello al povero Jeff, mettendolo nella pozione polisucco, facendo per berla.
Fanculo Jeff! Mando su Riley a controllare
Dalla tua postazione, puoi vedere una delle guardie che costeggiano il perimetro fermarsi, avvicinare l'orecchio alla ricetrasmittente, e voltarsi per raggiungere la tua posizione. La pozione polisucco sta ancora facendo il suo effetto, hai bisogno di altri secondi per assestarsi del tutto, e Riley, la guardia che controllava il perimetro, arriverà in pochi minuti da te. Sarà meglio che tu ti faccia trovare pronta -
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Boh, non mi fa postare con l'account del fato
Il tuo post ha un bonus di 35
L'analisi degli oggetti rivela una quantità di informazioni interessanti, permettendoti di raggiungere una confidenza con le armi a tua disposizione che ti permette di usarle quasi perfettamente (CD:40, Punteggio:40). Il fato potrebbe spiegare queste specifiche, ma faremo come se tu le sappia usare senza scrivere 6 pagine di informazioni totalmente inutili .
Il movimento è abbastanza silenzioso (Punteggio: 42), riesci a scivolare attraverso il tetto, portandoti vicino al bordo del tetto, da cui puoi sporgerti per osservare la situazione. La guardia ha lo stesso corpetto protettivo e la stessa divisa delle guardie poste all'ingresso. Ha un fucile da cecchino con puntatore laser, potrebbe essere un problema se riuscisse a vederti. La distanza tra la torre e il bordo del tetto è di circa 3 metri, ma la costruzione della torre potrebbe nasconderti durante il salto. La ringhiera sembra normalmente costituita, in ferro, a grata, come quella delle scale antincendio. -
.Era lì fermo da qualche ora, osservando il suo bicchiere di Whisky, e non solo per dire: Johnny Walker Red Label, il SUO whisky. Scosse piano il capo, prima di berne un altro lungo sorso e fare cenno al barista di portargliene un altro, forse, questa volta, avrebbe preso l'intera bottiglia.
Le cose si stavano facendo strane, decisamente strane, in quel periodo. Come se l'aria stessa gli suggerisse che qualcosa non stava andando nella giusta direzione, che qualcosa si stesse muovendo tra le ombre, alle sue spalle, e tesseva fili intrecciati di una trama che non riusciva a comprendere. Checchè se ne credesse, Red aveva trovato la risposta a quelle preoccupazioni diverso tempo prima, e ce l'aveva di fronte agli occhi, dietro la parete specchiata, racchiusa in bottiglie impolverate in quella bettola di merda.
Sì, poteva osservare con la coda dell'occhio il barbuto motociclista distendersi come un sacco di patate sul tavolo, rovesciando il bicchiere. Poteva avvertire l'olezzo di tabacco scadente spargersi per il locale e ammorbare le sue narici. Poteva persino sentire il naso dei quattro tizi in giacca e cravatta, nel tavolo all'angolo, riempirsi di cocaina. Non c'era da stupirsi che quel posto gli piacesse così tanto.
Dovette ammetterlo, le sue percezioni si erano amplificate notevolmente, quasi in maniera naturale, racchiudendolo in quella maledetta gabbia di suoni e odori da cui tanto disperatamente cercava di uscire. L'alcol, l'alcol era la risposta.
«Barista, portamene un'altra bott..»
BIRRA BIRRA BIRRA
Goddam fucking Christ. Le sue orecchie rimbombarono all'avvento del ragazzo nel locale, sguaiato e inappropriato per quella serata. Fin troppo allegro per i suoi gusti, era vero, ma non abbastanza dal distogliere la sua attenzione e il suo interesse da una figura così peculiare.
«Cristo, stai facendo un casino. Siediti, la offro io la cazzo di birra se ti chiudi la bocca»
Diede un colpetto sul tavolo, facendo un cenno a Jack perchè portasse una bottiglia a lui e una dannata birra a quel tifone ambulante. Non c'era neanche bisogno di indicare il suo conto, il 6y, quel bar lo aveva visto tante di quelle volte ubriaco da aprire un libretto di conto appositamente per lui, oltre un ordine specifico allo stock di alcol.
Edited by The Akuma - 5/10/2016, 19:49 -
.Narrato - Parlato - PensatoNightslash - Scheda"There is no War that is not your War."
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.Narrato - Parlato - PensatoNightslash - Scheda"There is no War that is not your War."
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.Justin Greenwood [x]casata ed annoThere's no War that is not your War.
Rimase immobile, fermo, senza fiato. L'aria si era come arrestata intorno a lui, condensandosi sulla sua gola e impedendogli anche il minimo respiro, costringendolo a boccheggiare di fronte alla ragazza. Era così facile distruggere un uomo? A cosa servivano anni di addestramento, catene, armi, quando bastava una parola ad annientare quel palazzo di cristallo, unico baluardo dell'anima e dell'essere. Come poteva una sola parola spezzare ogni catena, liberando quelle emozioni che tanto aveva cercando di rinchiudere e seppellire nelle profondità del suo essere? Come poteva una sola parola farlo travolgere da un fiume in piena di pura e inebriante follia, quella sensazione che gli esseri umani si ostinavano a definire felicità.
Rimase immobile.
La mano quasi tremava, sulla guancia di Joy. Avrebbe voluto toglierla, non riuscendo però a rinunciare a quel calore così confortante che emanava la pelle della ragazza. Un calore che, nella sua accezione quasi adolescenziale di quella relazione, aveva bramato e sognato tanto tempo, costringendosi a rimanere racchiuso nella fredda notte. Si vide quasi tendersi in avanti, afferrare con le mani quelle parole che volavano via, trasportati dal vento infame. Si vide corrergli dietro, mai così veloce come in quel momento.
Rimase immobile.
Perché? Perché gli aveva chiesto di baciarla, perché dopo così tanti anni solo adesso. Allargò le braccia lentamente, riuscendo infine a scostarsi dalla pelle della ragazza, solo per cingerle le spalle e, in un secondo, stringerla a se. Era così piccola, lì tra le sue braccia. Mentre la stringeva poteva sentirla così piccola e fragile da non sembrarle vera, come se anche un soffio di vento potesse finalmente rompere quella maschera di sicurezza e forza che tanto aveva ammirato e odiato per tutta la vita. Sentì il suo cuore pulsare nel petto, a stretto contatto con il viso della ragazza, sentì quello di lei pulsare contro il suo corpo, quasi all'unisono. Ripensandoci, in futuro, avrebbe detto che nessun'altro tipo di contatto lo aveva mai fatto stare tanto bene quanto era riuscito a ucciderlo nello stesso momento, fracassando ogni sua immatura convinzione su quanto le emozioni potessero essere un semplice ostacolo alla vita.
«E' tutto ok..»
Sentiva le sue lacrime, imperiture, scendere sul suo corpo, lungo il suo petto, sentiva quel dolore fondersi con il suo, quella rabbia mescolarsi e combattersi fino ad uccidersi a vicenda, lasciando spazio alla sola emozione che entrambi avrebbero voluto provare. Le prese il viso tra le mani, alzandolo e fissando gli occhi sui suoi, perdendosi in quella profondità
«Andrà tutto bene...»
Poggiò le labbra sulle sue.
Fu come morire.
Non seppe dire da quanto tempo aspettasse quel bacio, o come lo avesse immaginato. Non seppe dire quanto forte gli esplodesse il cuore nel petto in quel momento, quanto inebriante fosse il calore delle sue labbra o quanto potessero essere morbide. Ricordò l'oblio. Ricordò come cadde in quel turbine di emozioni in cui nulla aveva più senso se non quel momento stesso. Ricordò come il mondo sembrasse fracassarsi intorno a loro, in piccoli pezzi, lasciando loro due nel bianco scenario del nulla. Ricordò, per un secondo, di svegliarsi la mattina, a otto, nove anni, e quella sensazione di spontaneità che accompagnava quel risveglio. Un ricordo uroboro che annullava quella vita di sofferenza e la annegava nella pura e semplice felicità.
Riemerse, forse cento anni più tardi, da quel bacio, assaporando ancora il profumo della sua pelle nelle narici, guardandola negli occhi.
«...te lo prometto»narrato - parlato - pensato
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.Justin Greenwood [x]casata ed annoThere's no War that is not your War.
Stava...piangendo
Aveva quasi potuto avvertire il cuore della ragazza accelerare il suo battito, momento dopo momento, ritaglio dopo ritaglio fin quando non si era inginocchiata a raccogliere quei pezzi di giornale stracciati, ultime testimonianze di quello che aveva fatto nell'ultimo anno. In quel momento stesso aveva saputo, aveva sentito di aver esagerato, di aver ceduto alla collera verso l'unica persona che conoscesse con la quale non riusciva a trattenere le sue emozioni, non riusciva a mettere la maschera.
Era stato stupido, folle a pensare di poter riuscire a pararsi da lei con una stupida maschera nera. Adesso, lì, sentendo il calore di quelle lacrime sulla schiena e il suono sommesso dei singhiozzi, si sentiva più spoglio e nudo che mai. Nessuna maschera nera, nessuna tuta poteva proteggerlo da quella tristezza infinita che stava attanagliando il suo cuore: non aveva mai visto Joy piangere. Per dirla tutta, non pensava nemmeno che potesse essere realmente possibile per lei piangere, possibile che quel suo carattere forte venisse intaccato in quella maniera così spontanea. L'aveva sempre, soltanto, idealizzata, in un vorticoso gioco delle parti in cui lui poteva solo proteggerla fisicamente, soccombendo alla necessità della sua forza ogni qual volta la vita lo buttasse giù.
Aveva rovinato tutto, aveva rovinato l'unica cosa che lo spingesse a lottare con tutte le sue forze, quel rapporto con Joy che era l'unico baluardo di luce e felicità nella sua vita, l'unica cosa che potesse salvarlo dal baratro in cui sprofondava ogni notte. Gli occhi indugiarono sull'ultimo ritaglio di giornale, rimasto davanti a lui: l'assassino di suo padre. Quei pezzi, quei ritagli erano l'unica cosa che gli permetteva di andare avanti e credere di stare facendo la cosa giusta, ma cosa ne valeva se l'unica cosa che voleva proteggere davvero era al tempo stesso l'unica che aveva ferito?
No
Si voltò lentamente, lasciando che la testa della ragazza si appoggiasse sul suo petto nudo, accogliendo i suoi singhiozzi, le sue lacrime, che scorrevano copiose sulla pelle. Guardandola, chinando il capo, la sentiva così piccola e indifesa, così diversa dalla solita e fiera Joy. Umana.
No
Esitò un secondo, la mano era scattata in avanti, pronta per accarezzare la testa della ragazza, per cercare di rassicurarla. La lasciò ricadere lungo il fianco, abbandonando quel proposito. Si vergognava, di sé, di quello che aveva appena fatto, distruggendo l'unica cosa che non meritava tutto questo.
No
Capiva quel pianto. Quel dolore. Quella sensazione di abbandono che coglieva l'essere umano quando si rendeva conto di essersi salvato per miracolo dal baratro della disperazione, rendendosi conto di quanto fragile una convinzione potesse essere e di come potesse ridurre al nulla la concezione stessa di volontà. Capiva quella morsa che attanagliava il cuore quando ogni ragionamento e giustificazione svaniva, per lasciare il posto alla semplice realizzazione di un umanità fin troppo poco desiderata per tutta la vita. Capiva e sapeva quanto era facile cedere al male e quanto poteva sporcare la propria anima, irrimediabilmente.
Non disse nulla, all'inizio, si limitò ad abbassare il capo, fissando un punto dello spazio indefinito.
«So cosa vuol dire»
il tono di voce era basso, era tornato ad essere il tono normale di Justin, solo velato di una profonda nota di tristezza, infinita sinfonia di malinconia.
«So cosa vuol dire affacciarsi sul dirupo, sperando disperatamente che qualcuno ti afferri prima di buttarti giù solo per provare il brivido di quella caduta. Conosco l'odio che si prova al rendersi conto di quel desiderio, di quella brama di sangue, e quanto questo possa ugualmente uccidere...»
Poggiò la mano sul suo capo, assaporando il suo calore al tatto per un infinito momento, rimproverandosi per quella scintilla di felicità che gli portava sentirla così vicina. Passò la mano sul suo viso, accarezzandole le guance e percorrendo con le dita il percorso delle sue lacrime, asciugandole. Per quanto il suo tocco fosse dolce, lieve, lo sguardo rimaneva duro e serio, fisso sulla ragazza, lo sguardo della consapevolezza dell'unica realtà che aveva cercato di negarsi da tutta la vita.
«Sono stato sul ciglio di quel dirupo troppe volte, e sono caduto altrettante volte. Ho lottato, con tutte le mie forze, e ho perso. Ra'm è stata la prima persona che sono riuscito a davvero a risparmiare, e non di certo per merito mio..»
fissò gli occhi sui suoi, perdendosi in quella profondità
«E' stato per merito tuo: non solo hai avuto la forza per controllare te stessa, sei riuscita persino a frenare me, senza far nulla. Non ti ho coinvolto in questa storia, non vuol dire che non ti abbia tenuto vicino.... non posso semplicemente smettere di pensarti o amarti, nessuna maschera può nascondere questo»
Avrebbe voluto stringerla, abbracciarla, baciarla, farle capire che tutto sarebbe andato bene, in un modo o nell'altro. Rimase immobile, fermo, vigliacco ancora una volta.narrato - parlato - pensato -
.Justin Greenwood [x]casata ed annoThere's no War that is not your War.
«E' sicuro di voler andare, Sir?»
«Devo, sono via da troppo tempo perché un assenza del genere non venga notata»
«Sono sicuro che potrebbe trovare un'ottima scusa per quello»
Justin abbassò lo sguardo, aprendo l'armadio e prendendo una camicia bianca da indossare. Ormai i bendaggi si riducevano a qualche semplice garza e qualche cerotto, estesi quasi fino alla mano sinistra. Alcuni, sparsi, coprivano il corpo e il viso, lasciando scoperte altre cicatrici lungo tutta la superficie della sua pelle.
«Sto bene, Perry»
Si limitò ad aggiungere, cercando di mantenere il tono quanto più possibile rassicurante nei confronti del suo maggiordomo. Doveva ammetterlo, per quanto mantenuto nella sua compostezza tipicamente inglese mostrava uno sguardo parecchio preoccupato per le cicatrici che solcavano il suo corpo. Alzò un sopracciglio, chiedendo con lo sguardo l'approvazione del maggiordomo, arrivata successivamente con un secondo di esitazione. Sorrise brevemente, abbandonando la stanza.
La scuola era esattamente come la ricordava, nemmeno una virgola fuori posto rispetto a come aveva lasciato il vecchio edificio, nemmeno una voce, un sussurro, un bisbiglio. La faccenda Vertigo doveva essere stata dimenticata completamente, e in fondo era meglio così. Aveva monitorato gli spostamenti dei suoi compagni di lotta, assicurandosi che non ci fossero state ripercussioni sulla loro vita normale a causa degli avvenimenti del mese precedente, che avevano segnato irrimediabilmente le loro vite.
Era tutto normale, in una maniera quasi inquietante, ma non poteva permettersi di adagiarsi su quella utopistica convinzione: la morte di uno dei più grandi signori del crimine e della droga non passava inosservata. E laggiù, nelle fogne da cui proveniva, anche un sassolino minuscolo intorbidiva le acque, e quelle acque si sarebbero mosse, lo sapeva.
Cercò di scrollarsi, almeno per il momento, quel pensiero, lasciando per un secondo che la luce mattutina illuminasse il suo volto, mentre proseguiva per i corridoi. Il vestiario era insolitamente curato, rispetto alla sua persona: una camicia bianca, gemelli argentati, i pantaloni grigio scuro che davano un tocco di classe ed eleganza così distante dalla sua figura taciturna e gioviale allo stesso tempo, ma necessari. Si era esposto, durante il combattimento con la bestia aveva esposto le sue catene e la sua elettricità, portando agli occhi dei presenti una facile correlazione con l'uomo che stava dietro la maschera, semmai avessero avuto l'accortezza di notarla. Non poteva in alcun modo lasciare che lo accostassero a lui, sarebbe servito uno stratagemma, una soluzione: e una c'era, semplice, ma geniale. Dopotutto, anche se riciclata, era un'idea che poteva funzionare.
Entrò nella classe, trovandola gremita di persone, intente a parlare, non riconobbe nessuno tra loro, eccetto forse il barista di quella bettola dietro il quale era avvenuto il primo scontro e Noah, il neo soldato d'inverno, accuratamente in disparte, accuratamente nascosto, nella sua accuratamente normale ribellione giovanile.
Diede un occhiata ai presenti, alzando il capo con aria noncurante e dirigendosi elegantemente verso uno dei divanetti, facendo un cenno al professore prima di sedersi scompostamente, le gambe allargate in maniera comoda ma elegante, il braccio lasciato con disinvoltura sul bracciolo, annoiato.
Magia elementale sarebbe stata un ottima copertura per il controllo elettrico.narrato - parlato - pensato -
.Justin Greenwood [x]casata ed annoThere's no War that is not your War.
Comincia così... quella rabbia, il senso di impotenza, che rende gli uomini buoni...crudeli.
Stava lentamente cedendo. Non sapeva bene per cosa. I suoi occhi correvano tra le sue mani e gli occhi di Joy, intercettando a tratti lo sguardo duro della ragazzo. Quello sguardo aveva imparato a conoscerlo fin troppo bene, ogni volta che lo rimproverava. Si era sempre arrogata il diritto di farlo crescere, di riprenderlo ogni qual volta, secondo lei, faceva una stupidata, senza sapere, senza pensare. Che diritto aveva di parlargli in quel modo, lei che non aveva mai affrontato faccia a faccia quei problemi, che non si era mai immersa nel fango della criminalità e assaggiato quel sapore di terra e merda così disgustoso, ma anche così invitante.
Da quanto tempo siamo amici
Non poteva saperlo, non poteva neanche pensare di essere mai stato suo amico nel vero senso della parola, perso com'era in quel mulinello di sentimenti contrastanti e della sua volontà di mantenerli fuori dalla loro relazione. Non poteva affermare che Joy fosse sua amica, non dalla sua parte almeno, c'era sempre stato di più, molto di più, qualcosa che aveva sempre soffocato.
Sorvolerò sul fatto che metti a repentaglio la tua vita per non so quale missione di pace. Sorvolerò sul fatto che ci hai lasciato lì in quel magazzino per svignartela, sul fatto che rischiavamo sul serio di essere arrestati, sul fatto di essermi trovata nella situazione di dover mentire a degli agenti del MAFI per te, perché posso capire. Però, non sorvolerò su tutte le cose che non mi hai raccontato e su tutte le palle che invece mi hai raccontato, perché davvero non credo di poter sopportare un’altra parola, non dopo che ti ho detto mille volte quello che penso delle persone che mentono. Ti comporti come se non dovessi una spiegazione a nessuno, come se non ci fossero delle regole da rispettare in questo gioco pericoloso che fai, delle conseguenze, un conto da pagare. Hai mai pensato che potresti morire? Ci hai mai pensato, Justin? Voglio sapere perché lo fai
Cominciò così. Strinse i pugni, il senso di rabbia attanagliò le sue viscere, corrodendogli il cuore e il cervello, scorrendo nelle vene come veleno. Storse il collo, resistendo al dolore, constatando come l'adrenalina stesse annullano le falci che penetravano il suo corpo in ogni punto. Il perché, lei stava chiedendo il perché. Per la prima volta si stava interessando a capire cosa frullasse nella mente del ragazzo, senza liquidare il tutto con le sue infallibili deduzioni, racchiudendo in quello schema prestabilito tutte le persone intorno a lei senza pensare neanche una volta che qualcuno, persino lui, potesse avere qualcosa di più dentro. Arrogante, nella sua convinzione di poter capire le persone a un semplice sguardo.
«Da un anno e mezzo ormai..»
No, non era la risposta all'ultima domanda. Ma Joy, Joy avrebbe capito il senso di quelle parole. Avrebbe capito che qualcosa stava cambiando. Il tono di voce del ragazzo si era fatto più duro, più serio, un tono strano ma ugualmente familiare, un tono che, attraverso una maschera nera, sarebbe servito a instillare il terrore nei criminali di New York. Si alzò dal letto, il dolore sembrava non sfiorarlo più. Il fisico statuario, alto, era quasi totalmente coperto di bende, rivelando le reali condizioni di salute del ragazzo. Si avvicinò al cassettone, aprendolo e tirando fuori una valigetta larga, levigata, di un legno chiaro e ricco di venature. La aprì con uno scatto. Un plico di fogli di giornale finì sulle sue mani mentre si avvicinava a Joy, senza vederla davvero, con lo sguardo serio e duro, oscurato dalla penombra dovuta ai raggi del sole.
Un bendaggio si staccò dal corpo del ragazzo, rivelando una lunga cicatrice mal ricucita dalla sua imprecisione. Un foglio cadde ai piedi della ragazza, un articolo di giornale, con tanto di foto cliché ad accompagnare l'articolo, una prima pagina: "Arrestato stupratore seriale, bambina di 5 anni grave, ma fuori pericolo". Un altro bendaggio cadde sul pavimento, scoprendo una cicatrice da bruciatura sulla spalla destra, ancora in fase di guarigione, "Incendio spento sulla quindicesima strada, in salvo le 10 persone bloccate, piromane arrestato..." . Una cicatrice sul petto: un lungo taglio e diverse ammaccature, "Catturata la "J-Gang", avevano collezionato 5 rapine e una lunga serie di omicidi".
Altre bende, altre ferite, altri titoli trovarono il loro posto sul pavimento dalla moquette curata ed elegante, mentre il ragazzo si avvicinava. Il gesso si sganciò, lasciando andare il suo braccio sinistro, ancora molle, ancora nero e distrutto, la pelle bruciata, ustionata, piena di ferite e di sangue rappreso. Un ennesimo foglio cadde a terra: "Incubo Rosso".
Persa nell'osservare quei fogli, la ragazza non si sarebbe sicuramente accorta di avere non più Justin, ma una nera maschera invisibile a troneggiare su di lei. Il corpo martoriato, distrutto, solcato da mille cicatrici, eppure eretto, fiero, come una sorta di baluardo indistruttibile, stava davanti a lei. La luce oscurava il viso del ragazzo, rendendo visibile solo le rughe sulla sua fronte, causate dall'espressione di seria e calma furia dipinta sul suo volto.
Un ultimo foglio, un ritaglio, fu messo tra le mani della ragazza.
"Arrestato Jonathan Chill, boss della droga[...]Nei suoi trascorsi, Chill aveva dimostrato di possedere un giro di tutto rispetto e di saperlo mantenere segreto [...] uccidendo alcuni dei suoi corrieri e clienti in carcere affinché non parlassero [...] le vittime Kevin Hart, Vincent Price [...] Marcus Greenwood..."
«Volevi un perché»narrato - parlato - pensato
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.L'ultimo cristallo, infine, si incrinò come tutti gli altri, traballando leggermente, portandolo persino a temere che avrebbe resistito al colpo, per poi esplodere in mezzo alla luce. Quella stessa luce coinvolse l'arena intorno a loro, portandolo ad abbassare il capo per osservare l'erba, sotto i suoi piedi, illuminarsi.
Come uno spettacolo di fuochi d'artificio.
L'arena, in un colpo, esplose, smaterializzandosi di fronte ai loro occhi. Sentì uno strappo all'ombelico, la sensazione di essere risucchiato in un tubo strettissimo, soffocante, la morsa sul petto che schiacciava ogni respiro, riemerse.
Era all'interno dell'aula, di nuovo adornato dei suoi vestiti, al suo posto: era finita, e molto probabilmente avevano vinto. Callaway, come al suo solito, dovette sciorinare la sua classica ode all'aiuto e al gioco di squadra. Banale, alla fine, per quanto avesse almeno abbandonato l'idea di ucciderlo in maniera lenta e dolorosa, non poteva non ammettere che risultasse quanto più noioso e scontato, oltre che molto “tumblr” nel suo dispensare amore e fratellanza. Vista la natura del discorso, Red decise di rispondere con un sonoro sbadiglio, stiracchiandosi la schiena.
«Sì, ok Danny, bella merda»
Si alzò dal tavolo, afferrando il suo sacchetto di velluto nero ed estraendo il cristallo, era nero, lucido, come il pelo della pantera che aveva ucciso... ma non da solo. Per quanto odiasse ammetterlo, la squadra se l'era cavata alla grande, e i suoi compagni si erano comportati egregiamente quanto a difesa e attacco, consentendogli di avanzare indisturbato. Gettò un occhio verso i ragazzi, sparsi per l'aula nell'esatto modo in cui erano disposti, all'inizio dei giochi. Poi scosse la testa, ridendo di se stesso e dei suoi pensieri, influenzati sicuramente dalla presenza di Greg nella sua testa.
Rimise placidamente il cristallo nel pacchetto di velluto, mettendoselo in tasca, prima di voltarsi e dirigersi verso la porta, agitando placidamente la mano, lentamente. Le parole del professore lo fecero esitare per un secondo.
Sento come un cambio di energie ultimamente, qualcosa di strano, niente di allarmante, state tranquilli, un turbamento come potrebbe essere un temporale, in genere non è nulla di cui preoccuparsi, ma mi raccomando, cercate di essere cauti nei prossimi tempi. Ci vediamo alla prossima lezione
Non potè non provare un brivido lungo la schiena al sentore di quelle parole: per quanto considerasse Daniel un coglione, aveva avvertito la potenza della sua aura, e riconosceva le sue doti di mago. Forse la sua eccessiva preoccupazione poteva essere ipocondriaca in queste situazioni, ma la scintilla negli occhi del suo professore sembrava quasi suggerire che non ci fosse nulla di più vero che le sue parole. Scrocchiò il collo, una seconda volta, la sensazione di ansia, ormai perenne, che faceva da sfondo ai suoi pensieri in quel periodo, si acuì forse ulteriormente: che fosse vero? Che stessero percependo entrambi quelle vibrazioni, un presagio di distruzione forse? No, non poteva essere, e soprattutto, perché tanto lui quanto Callaway avrebbero dovuto avere le stesse sensazioni: non aveva alcun senso.
Diede di nuovo la schiena al prof, aprendo la porta e uscendo dall'aula, lentamente e senza dire una parola.
Non ha alcun senso
Non può avere senso
Oh no, non ce l'ha, non ce l'ha! -
.Justin Greenwood [x]casata ed annoThere's no War that is not your War.
Per un secondo gli venne quasi da ridere affettuosamente, paradossalmente rispetto alla situazione. Non potè fare a meno di pensare, dal letto da cui la guardava, quanto potesse essere bella così arrabbiata, così furiosa e al tempo stesso così preoccupata.
Dovette socchiudere gli occhi, cercando di non imprecare sonoramente quando una luce fastidiosa entrò attraverso le tende spalancate, riempiendo la stanza e disturbando il quieto riposo in cui amava stare in quella situazione. Dannata lei e le sue manie, quando ci si metteva era davvero rompiscatole, in quel connubio di capriccio infantile e furia sadica omicida che stava esibendo per lui. Tentò di ribattere un secondo, le parole gli morirono in gola non appena incrociò i suoi occhi. Se lo meritava, si meritava quella rabbia, se la meritava per averle mentito, per non essersi fidato di lei come avrebbe dovuto, per non essersi aperto.
Lo meritava.
Cercò di rimettersi dritto, il braccio sinistro, totalmente ingessato, limitava i movimenti, trapassando il suo corpo con fitte di dolore lancinante, come spade conficcate nelle carni. Fissò i suoi occhi su di lei, aprendo la bocca. Una domanda chiara, “Da quanto tempo”, così semplice, così diretta, tipica della ragazza che gli stava di fronte, non poteva mentire ancora, non ci sarebbe riuscito, lei meritava la verità.
«I-io...»
Le parole, ancora una volta, gli morirono in gola. La meritava? Per quale assurdo motivo la meritava? Per averlo abbandonato più volte per andar dietro alle sue tresche da adolescente solo perchè lui era troppo problematico per una ragazza pratica come lei? Per averla amata in quella maniera, ogni giorno, protetta e aver vegliato su di lei per ricevere in cambio il suo sdegno e il suo risentimento, solo perchè una ragazza con quel carattere forte non aveva bisogno di quel genere di attenzioni? Per quello lo meritava??
Fissò i suoi occhi, le mascelle, fino a un minuto prima contratte, si rilassarono accompagnando quello sguardo fermamente assente che si posava sul viso di lei.
«Io non so di cosa stai parlando»
Quanto dolore accompagnò quelle parole. Per un secondo, per un infinito secondo la sua mente corse a quelle immagini ancora così vivide nella sua memoria, impronte indelebili di un passato che non riusciva a scrollarsi di dosso. Cosa poteva capirne lei, lei che aveva sempre avuto il gusto di indagare la cultura criminale solo dall'esterno, con l'occhio critico di chi si sente superiore in ogni ambito, di quello che aveva passato. Cosa poteva capirne lei, incosciente e libera, intrepida e spavalda, di cosa volesse dire stare a un passo dal baratro, incapace di tornare indietro, e avere comunque la forza di fare qualcosa di buono, di non cedere a quel richiamo così dolce di pura violenza? Cosa poteva saperne di quella volontà, di quella forza che non aveva mai provato, ma solo inspirato in un uomo che adesso sembrava odiare, solo per averla voluta proteggere, cosa poteva mai saperne?.
Ti odieranno...
Le parole risuonarono nella sua testa, dure come pietra, brucianti come veleno.
«Ti odieranno per questo»
Lo sguardo di Irene era serio, duro. Lo osservava seduta sulla scrivania, fasciarsi le ferite sul divanetto del suo studio. Aveva sporcato ovunque di sangue: quella versione rudimentale della tuta non era neanche lontanamente sufficiente a proteggerlo da ferite di tipo magico o fisico, non era ancora abbastanza bravo. Alzò gli occhi sulla donna, abbozzando una risatina.
«Mi odieranno perchè li porterò alla disperazione»
«Non parlo di loro»
La figura si alzò, portandosi di fronte alla finestra, oscurando con la sua ombra la lingua di luce che si allungava lungo la stanza.
«Parlo di quelli come me, ti odieranno come io ti odio, Cristo ti prenderei a pugni io stessa»
Lo sguardo di Justin si fece interrogativo, portandolo ad alzarsi. La maschera, nera, di gomma e stoffa, era poggiata sul tavolino. La prese in mano, avvicinandola e mostrandola alla donna di fronte a lui
«Nessuno vi farà del male, nessuno mi ricondurrà a voi»
Irene gli lanciò un'occhiata tanto truce che penso di ricevere un mal rovescio dalla donna, dritto in faccia, un colpo che avrebbe fatto molto meno male delle successive parole.
«A che diavolo ti serve una maschera eh? Per proteggerci? Da cosa proteggi me, tuo nonno? Da cosa ci stai proteggendo se sappiamo che ogni notte potresti non tornare a casa per essere uno stupido idealista del cazzo?... Da cosa ci proteggi se ci odiamo ogni secondo solo perché sappiamo che stai facendo la cosa giusta, nonostante tutto»
Era così che si sentiva Joy? Era preoccupazione? O forse semplicemente rabbia per non essere stata coinvolta nella verità. Anche lei sarebbe rimasta sveglia la notte, sperando di vederlo tornare? No, si stava illudendo, stava credendo davvero che una ragazza con il carattere di Joy, così forte e indipendente, potesse ricambiare la sua preoccupazione, il modo in cui teneva a lei.
«Mi sono ustionato, cattiva medicina, le solite cose»narrato - parlato - pensato -
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Scusate il ritardo Riemerse. L'aria gli riempì rapidamente i polmoni mentre inspirava con avidità, come un uomo costretto a rimanere sommerso per secoli interi, incapace di morire ed essere libero da quella sensazione opprimente.
Il fischio nelle orecchie era forte, lo costrinse a portarsi le mani alle tempie e ad eliminarlo, mentre la vista sfocata cercava di dare un senso all'ambiente circostante. Si tastò febbrilmente il corpo, la camicia di forza era sparita, o forse anche quella era una mera illusione. Il dolore, il dolore alla testa lo avrebbe ucciso, ne era certo, un'ombra inghiottiva l'ambiente circostante, espandendosi di fronte a lui, troneggiando sul suo volto.
Un colpo secco e deciso.
«Svegliati, sei patetico»
Lo schiaffo aveva aumentato il fischio nelle orecchie, ma aveva rimesso parzialmente in funzione la vista, portandolo a delineare i dettagli dell'asfalto sotto di lui. Alzò il capo leggermente, il suo viso gli rimandava un'espressione densa di freddo disgusto, con una velata sfumatura di.. compassione, forse?
Si alzò piano, ringraziando mentalmente Red per averlo svegliato in quel modo, riportandolo alla realtà, e guardandosi intorno. Erano davvero fuori da quell'incubo, da quell'esperienza che stava per trasformarsi in una reale catastrofe sulla terra, per ritrovarsi a... New Orleans? Più precisamente al New Orleans East Hospital. Girò gli occhi sulla terza figura lì intorno, un ragazzo che non era riuscito a riconoscere da principio, ma che ricambiava il suo sguardo con accesa curiosità: Jake.
«Siamo ancora nella tua testa?»
La voce del ragazzo sembrava essere distante anni luce. Il corpo, traballante, non sembrava riuscire a stabilire un contatto con il terreno e il mondo intorno a lui. Ricordò immediatamente: la perdita di uno dei cinque sensi, quello più importante, il tatto nel caso del ragazzo.
«No, non direi... siamo ancora vivi»
Ridacchiò brevemente da solo per quella macabra, ma così vera, constatazione. Un urlo in lontananza attirò la loro attenzione.
La porta sbattè con violenza quando fecero irruzione nella stanza di ospedale, accompagnati dalle urla strazianti della donna, che fendevano l'aria come miliardi di spilli nelle orecchie. Il trambusto era impressionante. Volse lo sguardo su Jake, accanto a lui, intercettando il suo sguardo parzialmente sconvolto, come imbambolato a guardare la scena. Non capiva...
«Oh, che tenerezza!»
Solito tono canzonatorio di Red. Gli occhi del giovane, e probabilmente tutta la sua attenzione, erano fissi sull'uomo inginocchiato di fianco al lettino, sudato, tremante, gli occhi sbarrati posati su quella che probabilmente doveva essere sua moglie. Le urla della donna fendettero ancora una volta l'aria, mentre l'uomo la incitava ancora a proseguire. I capelli sudati e sporchi di lei ricadevano sul suo viso, mentre cercava di respirare a fatica tra le urla di dolore di quello che doveva essere un parto difficile, mentre spingeva con tutte le sue forze per dare alla luce il suo bambino.
«Che carino, sta nascendo!»
Guidato dal tono ironico di Red riuscì a mettere insieme i pezzi di quello strano puzzle, passando gli occhi dal ragazzo alla donna in preda alle doglie. Stava vedendo se stesso nascere. Quello che doveva essere il padre di Jake lanciò uno sguardo preoccupato oltre il profilo della donna, attirato dal ritmico bip della macchina che si faceva sempre più pressante e veloce.
«Spinga! Spinga!»
«Dottore non reggerà molto..»
«Perderà il bambino! 50 cc di lidocaina e chiami Perry dalla rianimazione, ORA!»
La voce del medico era ferma, decisa, quasi impassibile, tradita solo a tratti da quella vena di terrore e apprensione per le condizioni della sua paziente, che andavano via via a peggiorare. Urla, le urla della donna rimbombavano nella loro testa come granate esplose, i contorni della scena andavano via via a confondersi, mischiandosi come una tavolozza di macabri colori. Un ultimo, straziante, urlo, dei vagiti, un pianto, la corsa dei medici.
«Scusa se interrompo il tuo toccante momento di riflessione, Boy George, ma il meglio mi sa che deve ancora arrivare»
Il ragazzo non aveva il senso del tatto, ma anche in quella maniera contrastare una presa di Red era quantomeno complicato. Lo costrinse a voltarsi, puntando lo sguardo dietro le spalle di Greg. L'espressione che si disegnò sul suo viso spinse anche il ragazzo a voltarsi, inorridendolo. Sudata, con i capelli ancora sporchi e il camice ospedaliero veniva avanti, le macchie di sangue che scendevano attraverso le sue cosce, bagnando il pavimento del corridoio con il suo incedere lento ma deciso.
«Stupida, sono stata... stupida»
Istintivamente, Greg si pose al fianco del ragazzo, poggiandogli una mano sulla spalla, incurante dello sguardo di Red che buttò successivamente gli occhi al cielo
«Non è reale, non farti prendere dal panico»
«Oh sapevo che, beh, sarei morta, e non sai quanto ci abbia pensato su. Ma sono stata una stupida...»
«Non è reale»
Il ragazzo, di fronte a lui, stava reagendo con una calma quasi paradossale, portando ancora più in alto la paura di Greg di un crollo, la quiete prima della tempesta. L'ammirazione per quel ragazzo, e per il modo in cui affrontava la situazione, non potevano bastare a distoglierlo dalla convinzione che qualcosa sarebbe andato storto
«Ho pensato che mi avresti resa fiera, orgogliosa... e invece guardati...»
sputò per terra, ai suoi piedi, portando Red a fare un balzo all'indietro denso di disgusto
«Gesù che è, epatite in pillole?»
«Non sei altro che un caso perso, un fallito, un ragazzino che non crescerà mai e non conoscerà mai nient'altro che sofferenza, perchè è quel che si merita»
Ok, le cose si stavano mettendo male. Greg sapeva bene cosa succedeva quando la proiezione mentale di un genitore che hai sempre amato ti dava addosso in quella maniera, ci aveva pensato gentilmente Callaway a spiegarglielo, e non ci teneva che il ragazzo facesse la stessa esperienza. Cercò di mettersi davanti a lui
«Ok amico, è tutto, dannatamente, finto, non lasciarti vincere dalla tua testa»
«Oh cristo smettila, mi stai mettendo in imbarazzo, perchè non glielo smanetti un po' anche? Dio non vedi che è inutile?»
La voce di Red lo portò ad alzare gli occhi verso quelli del ragazzo, accogliendo così l'espressione tipica con il sopracciglio inarcato e il mezzo sorriso. Non era stato scosso neanche di un millimetro
«Tutto qui? Davvero? Cioè niente di meglio?»
Era calmo, ponderato, mentre avanzava verso sua madre. I contorni dell'ambiente cominciavano a sfocarsi, illuminandosi pian piano
«Nessuno, nessuno può manipolare la mia mente, quindi ti consiglio di non ritentare. Ah ma, grazie mille, davvero, almeno mi hai fatto salutare mamma!»
Era ammirato dalla forza di quel ragazzo, ancora di più quando, con sconcerto, lo vide scattare leggermente in avanti e abbracciare quel suo orrifico io di fronte a lui, le pareti si riempivano di luce bianca, cominciava ad inghiottirli... La sua voce, però, rivelò l'ironia dietro la scena con un tono piatto e deciso
«Non ti azzardare più a prendere le sue sembianze»
La luce tremò leggermente, prima di arrestare la sua espansione, un lento applauso si fece largo in lontananza
«Oh, perchè tu saresti quello forte vero? Ah. Ah. Ah»
Il sangue gelò nelle vene di Greg, che fece un passo indietro. Non anche lì, come poteva essere anche lì, come poteva averli seguiti. Si girò verso Red, persino gli occhi del ragazzo, così fieri, si erano riempiti di terrore
«L'uomo che non deve chiedere... mai. Sicuro di tutto, sicuro che mamma non direbbe mai queste brutte e cattive parole al suo ometto»
Una figura avanzava nell'oscurità, il passo lento ma deciso, leggermente claudicante. Una risata si faceva largo nel corridoio mentre l'ombra nera allungava i suoi tentacoli per ghermire l'io del ragazzo. Greg fece un passo in avanti verso Jake
«No..»
«E come lo sai? Glielo hai mai chiesto? Dopo aver perso tutto pensi che si sia sentita felice di avere... ahah.. TE, come risultato? Ah, ah, ah, AH, AH, AH! Così arrogante, non trovi? Perchè non glielo chiedi ancora...»
Le fattezze della madre di Jake cambiarono, modellandosi in una donna bella e ben curata, il gusto particolarmente anni settanta, sicura manifestazione di un ricordo del ragazzo, che aveva visto in foto la madre. Una mano ossuta uscì dall'oscurità, afferrando il collo della donna
«Chiedile se è fiera di te...»
Una lama risplendette. Fu prima che potesse dire qualcosa, tanto Greg quanto Red scattarono in avanti, spingendo Jake nella nera voragine accanto a lui, urlando, cercando di allontanarlo.
«E guardala morire..»
Nemmeno la caduta nella nera oscurità riuscì a impedire al fiotto di sangue di raggiungerli.
Riemersero. Nessuna delle due candele era ancora accesa, entrambe stavano spente, rilasciando un piccolo filo di fumo azzurrino nell'aria. Sudato, alzò lo sguardo verso Jake, alzando il sopracciglio come il ragazzo era solito fare, un sorriso sornione dipinto sul viso.
«Scusa, forse dovevo avvisarti prima»
Cadde a terra, privo di sensi.