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    cornelius bates

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    Osserva il giovane biondo al suo fianco del quale carezza la schiena come se fosse il suo cucciolo. Le mani scivolano qua e la, dalle spalle alla schiena, ad un po’ più sotto dove non può arrivare per questione di fisica ed altezze, e nonostante questo si guarda intorno, alla ricerca dello sguardo di qualcun altro dai capelli biondi, in arrivo all’orizzonte. Il Pendragon fa odore di esseri umani e Vodka alla fragola, che gli pizzica il naso come l’odore d’acqua di colonia di Riley che si avvicina rapido come il suo corpo statuario stretto nei vestiti un po’ meno eleganti di quelli che indossava all’Imperial.
    «Riley», esordisce un attimo dopo, alzando le spalle come se fosse costernato: «come potrei trattenermi» aggiunse un attimo dopo, lasciando scivolare piano la mano sul volto del giovane ragazzo come se con quelle dita affusolate potesse nascondere l’oscurità della pelle del suo volto, con gli occhi che vagavano a destra ed a manca alla ricerca di persone e di segnali e che, poco dopo, tornavano a guardare il viso di Cornelius. Sembrano non scollarsi l’uno dall’altro: fanno lo stesso odore, hanno gli stessi tempi di movimento, di respiro, non è difficile individuare che abbiano avuto più momenti di comunione dei corpi e, perché no, dell’anima.
    Eppure, è impossibile per Cornelius contenere quell’escandescenza che lo caratterizza e proprio per questo motivo carezza il suo volto come a voler cancellare la pelle rotta nei suoi capillari più esterni per colpa di gesti più irruenti che d’amore. Il ragazzo nota in lontananza Lucian, di sfuggita, che si allontana fra un lato e l’altro del Pendragon circondato da signorine che il ragazzo guarda con la coda dell’occhio, a testa bassa.
    «Volevo offrire qualche tuo servigio femminile al mio... amico» mormorò, stringendogli la nuca con una mano prima di far schioccare la lingua: «saluta, Maurice…»
    Il ragazzo alzò lo sguardo azzurro in direzione di Colroy, con lo sguardo irrimediabilmente smaliziato che sapeva piacere tanto a Cornelius, sperando in qualche modo di ribadire il proprio ruolo anche nel nuovo interlocutore del suo padrone.
    «Ha bisogno di un po’ di riposo, il ragazzo. E magari, nel frattempo, possiamo parlare.»

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    cornelius bates

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    Un tonfo sordo contro la parete.
    Un sospiro ansimante.
    Il sudore che unisce due corpi.
    I vestiti, quei pochi che rimangono, che si sfregano l'un l'altro.
    Le braccia che stringono per fare male.
    Dolore.
    Piacere.
    Violento risentimento accentuato dalla mancanza di un ricordo, di un'esperienza mai avuta, di un destino segnato dalla morte.
    Quando giunge a compimento sbatte la mano contro la parete in un gemito affaticato, mentre chi sottosta al suo potere sembra raggomitolarsi in una posa di dolore e fatica.
    Dolore fisico di uno, spirituale dell'altro.
    Fece un passo indietro per ricomporsi, passarsi una mano sui riccioli rossicci, carezzarsi il viso come a volersi mettere in ordine la barba. Lo guardò issandosi i pantaloni come se fossero un fardello, chiudendoli sul corpo nudo prima di stringere la cintura ai fianchi stretti. Non disse nulla, osservandolo ingrigirsi di piacere. Inclinò la testa, facendo di nuovo un passo avanti per poggiare una mano sul viso arrossato e con un accenno di livore del giovane.
    I suoi capelli biondi.
    La sua barbetta incolta.
    Gli passò una mano fra i lisci capelli, un po' umidi di sudore in una carezza quasi umana, scostandoli da un lato con fare distratto come a volerli mettere in ordine: "vestiti. Ti ho trovato un lavoro." Lo sguardo del giovane si illumina, gli occhi pallidi ritornano languidi com'erano prima d'impattare malamente contro la parete vittima di dolorose spinte che ancora gli facevano tremare le gambe. Mormorò piano qualcosa di indefinito, senza aiutarlo ad alzarsi, pensando a quanto la sua vita sarebbe tornata noiosa una volta che quel giovane non sarebbe stato più alla propria mercé.
    C'era una preda più interessante da catturare.
    Al Pendragon la gente sembra fargli più schifo di quei disadattati che vede girare per il Felix. Quelli che sbavano alle bariste come se la loro saliva potesse in qualche modo renderli attraenti non erano tanto diversi da quegli uomini. L'unica differenza era l'involucro di giacca e cravatta che, quella volta, non indossava nemmeno lui. Una giacca di pelle, una maglia bianca con al di sotto le sue solite collane (due targhette da militare ed un dente di tigre). I capelli questa volta non impomatati, lasciati ribelli nei suoi riccioli e ancorati alla testa con i suoi soliti occhiali bordati di tartaruga. "Riley Colroy. Avevamo un appuntamento." mormorò al buttafuori, quasi intenerito dal fatto che non riconoscesse le tre cicatrici sul suo volto che facevano sempre parlare di sé ovunque andasse. "dite che lo cerca Cornelius Bates."

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    Edited by ( : - 17/3/2020, 13:45
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    cornelius bates

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    Quello che colse nei movimenti di Riley fu l'esatto risultato di tutta una serie di piccole, minuscole mosse eseguite ad arte. Gli occhi si puntarono in direzione dell'uomo che, quasi risentito, placidamente offeso, aveva dato vita a quello scambio di sguardi che gli aveva fatto fremere il ventre ed il petto. E' un uomo piacevole, a pre scindere da tutte le fantasticherie che entrambi avrebbero potuto fare l'un dell'altro. La sua mano si allontana, il suo corpo intero si allontana, il suo profumo scivola via come attratto da un'altra direzione. Sorrise, senza dire null'altro, notando come la sua preda avesse abboccato senza alcun problema e lo ammettesse: come sperava avrebbe ammesso a sé stesso che sì, la risposta del suo interesse non era tanto il ragazzino, ma chi l'aveva posseduto fino a pochi minuti prima del loro incontro. Ansante, sorrise piano come a riprendere fiato da quella conversazione accaldata.
    Il patto era comunque fatto, l'obiettivo era comunque raggiunto. Ma non sarebbe stato qualcosa di così semplice da ottenere: era piacevole, quel gioco di scambi, di tentativi inattesi, di anelato desiderio di possessione che, no, probabilmente non avrebbe ottenuto ma che desiderava fargli sperare.
    "Il piacere è tutto mio" Si allontana, con una sagace rispostina, lasciando sulle labbra di Cornelius quel principio di desiderio di rispondere a tono che cede nel silenzio, nell'istante in cui Riley decide di allontanarsi di sua spontanea volontà. Passò una mano fra i capelli rossastri, muovendosi adesso i riccioli in un sospiro pesante mentre lo vedeva allontanarsi. Non disse nulla, attese che il barista recuperasse le banconote per finire il proprio drink.

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    Edited by hime. - 30/12/2019, 15:42
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    cornelius bates

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    Il problema di tutta quella situazione era che, effettivamente, Cornelius aveva un debole per i biondi. Se volessimo essere veramente precisi, ad avere un problema per i biondi era Sebastian, dall'alto del suo fittizio nome che, per amore, gli ricordava in ogni momento della sua vita l'unico biondino dalla barbetta incolta che non aveva potuto mai avere e che, addirittura, aveva visto morire fra le sue braccia.
    Quella morte gli era costata cara, la carriera nell'esercito e tutto quello che aveva intorno. Probabilmente, se il suo modo di essere era divenuto così corrotto, lo doveva soltanto a quel biondino con la barba incolta che non aveva mai potuto avere. Da quel momento, ogni qualvolta si rendeva conto di provare attrazione puramente sessuale nei confronti di un altro uomo, era perché, probabilmente, aveva i capelli biondi. Nonostante questo, però, non era poi così schizzinoso: che avesse i capelli blu, verdi, biondi o rossi faceva poca differenza in un mondo dove nulla gli dava emozione come quel momento fatto di chiacchiere e null'altro.
    "Ma sai, sono un tipo abitudinario" mormorò scoccando la lingua asciutta contro il palato, come a volergli mostrare l'effettivo bisogno di riemprla con qualsivoglia alcolico avessero a disposizione "ho preso il mio ritmo, scopare nel mio ufficio è molto più scomodo e divertente che in un Night Club dove potrei incontrare persone alle quali desidererei sparare a vista" sorrise, cercando in qualche modo di declinare con galanteria l'offerta "e poi dare fastidio ad Ezra con certi rumori molesti è molto divertente."
    Ridacchiò, non sapeva come riuscisse ad avere a che fare veramente con Ezra e la sua lieve omofobia. Sarà che il mostro sacro che aleggiava alle proprie spalle, il nome che lo precedeva, le parole, i sussurri, facevano tutto e permettevano all'allibratore di farsi i cazzi suoi in modo tale che Cornelius potesse farsi i propri. "La tua cocaina è buona, ed il ragazzo è un ottimo disperato, non ti sto proponendo mica qualcosa di scadente" ebbe il tempo di battere il dorso della mano contro la foto, abbandonata sul tavolo, che percepì l'avvicinarsi di Riley nell'oltrepassare la sua linea di comfort. Cornelius attese in silenzio di sentire la sua proposta, godendosi con l'espressione più disgustosa dell'universo quel tocco come se fosse esattamente quello che sperava di ottenere. Con l'altra mano corse rapido a toccare il suo braccio la cui mano sperava già di brindare all'occasione del secolo. Lo interruppe come a voler dire "non così in fretta", un desiderio di procedere in quella trattativa che più d'ogni altra cosa lo faceva fremere di emozione. Un'emozione che non provava da quando Theresa era andata via: "Se il tuo desiderio è che venga a trovarti, dovresti essere più esplicito e sincero" mormorò, rimanendo con quella presa ferrea intorno al suo braccio, mordendosi le labbra con falso risentimento.
    "Quindi, Riley? E' il biondino che vuoi o chi se lo scopa?"

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    cornelius bates

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    Adora quello sguardo più di ogni altra ricchezza di quel luogo. Lo sente scivolare sul proprio corpo come una lingua lenta, calda ed umida e sorride, findendo incuranza e disinteresse mentre con le dita che si mantengono ferme procedette nel mostrare attentamente i volti di donne e uomini di non più di vent'anni. Le foto che aveva mostrato sembravano delle segnaletiche della polizia, ed effettivamente gli sguardi assorti dei poveri ragazzi più intenzionati a svendere il proprio corpo che il proprio cervello, non sembravano dimostrare qualcosa di più altolocato di un giovane che nulla è più in grado di fare nella sua vita. Non gli importava più di tanto, di come quel traffico parallelo potesse inficiare nei propri affari al Felix, ma dopotutto, non stava costringendo nessuno a fare assolutamente niente di non consensuale.
    Quello probabilmente sarebbe stato il ruolo dei clienti del Pendragon.
    Il fatto che i giovani fossero in sintonia con la loro clientela per un attimo gli diede il voltastomaco. Ricordava Victoria, quando l'aveva abbandonata ad un destino simile e ricordava perfettamente quanto quello strano senso di colpa gli faceva sfrigolare il ventre e percepire l'errore delle proprie azioni. Ma loro, loro non erano merce di contrabbando: "Loro sono bravi" sussurrò con malizia disgustosa, leccandosi famelico con la punta della lingua l'arcata del palato prima di umettare il labbro inferiore e morderlo coi denti, perfetti. Poggiò piano la mano sulla sua, carezzando le dita prima di sfilargli di mano una particolare foto di un giovane, biondo, dagli occhi chiari. Il viso ben modellato e le labbra sottili: "oh, lui sì che è bravo."
    Adesso la freccia era scoccata, le loro mani si erano toccate per un istante prima di posarsi pesanti sulla fotografia ritraente il giovane visto passare ogni tanto per la stanza privata di Cornelius: "quasi mi dispiace cedertelo per qualcosa che finirà in un poco tempo. Magari lui non considerarlo." Sorrise, nascondendosi di nuovo la fotografia dentro la tasca del vestito, senza riposizionare la giacca al suo posto, come a volerlo attendere all'interno della stessa. "Nessuno crea rogne. Non sono quelli che si scannano nel sottoscala. Questi sono speciali. Ognuno di loro."
    La sua mano quindi corse a raggruppare tutte le fotografie, chiudendo il ventaglio in un gesto solo per collocarle al centro, fra entrambi.
    "Scegline uno."

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    cornelius bates

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    Che fosse infastidito dalla sua flemma, Cornelius, lo sapeva perfettamente e ci marciava come un carro armato sulle macerie oscure di una città distrutta. Giocava, giocava in maniera indisponente, come a voler forgiare (se non a sua immagine e somiglianza, quasi) le persone che aveva intorno per far capire loro la bellezza della perdita di tempo. Notava come il modo di fare di Ezra fosse sempre elettrico, pronto ad esplodere. Utile in momenti in cui la violenza serviva, ma era costantemente un pericolo. Non tanto per Bates direttamente, quanto piuttosto in maniera indiretta.
    Non voleva dimostrarlo, come non aveva mai dimostrato a nessuno se non in qualche sprazzo di legami creati e sciolti qui e la nel corso della propria vita, ma dava importanza ad ogni persona avesse intorno. Ezra primo di tutti, stupidamente, era l'unico rimasto al suo posto da quando era entrato nella sua cerchia. Da li non vi era più uscito e voleva che rimanesse là.
    Forse per un perenne desiderio di stabilità o forse, perché, in lui vedeva qualcosa.
    Era questo quello che Ezra stesso non poteva capire, non poteva percepire. Lui vedeva qualcosa, vedeva oltre, vedeva ben oltre il piano che li separava, sapeva di dovere rimanere stabile, di mantenere stabile quell'equilibrio che li univa e che era convinto l'altro vedesse come distanza. Per questo era certo di irritarlo: sembrava che non gli importasse un cazzo, sembrava che non avesse alcun significato, che le dinamiche gli passassero oltre come un fantasma fa tra le pareti di una casa infestata.
    Lo nota camminare indietro, poggiarsi come se il terreno e le pareti bruciassero: "parlavo di puttane" mormorò, con un pizzico di disprezzo inglese che usciva soltanto quando voleva fingere palesemente d'essere un gradasso volgare "ma quella è roba noiosa, a lungo andare. Non c'è spazio per noi due, immaginarsi per altre primedonne" ridacchiò, forse per effettiva ironia o forse semplicemente per dargli fastidio. "anzi a proposito, mi dovrei decidere a sistemare questa stanza. Sta cadendo a pezzi." sussurrò, rigirandosi fra le dita la sigaretta prima di poggiarla alle labbra e tirar dentro i polmoni la fonte della sua tosse che in quel periodo sembrava peggiorare.
    "Questo tabacco è una merda" aggiunse stizzito una seconda volta, spegnendo la sigaretta all'interno della tazzina di caffè alla propria sinistra. "è una buona idea, mettere un giorno fisso di combattimenti fra donne. Magari teniamo dentro con certezza fissa tutti quei maiali" ridacchiò incurvando la schiena ed arricciando le sopracciglia. Quando accadeva, le cicatrici sul suo viso si muovevano come se fossero state colte da vita propria, a volte capitava anche che riprendessero a pizzicare come se fossero ancora nuove. "Pare che vi divertiate, sotto. Dovrei passarci più spesso."

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    Ti lancio il mio portfolio. Va aggiornato perché i pg attivi sono solo quattro: Cornelius, Orchidea, Maul e Victor, però se c'è qualcuno di loro che ti intriga sono a disposizione <3
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    cornelius bates

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    Nota come se fosse sottolineato da una luce al neon il fastidio che Ezra prova nello stare in quella posizione. Immobile, in piedi, come se stesse costantemente in cerca di tempo da non perdere ed impiegare in qualcosa di più utile. Eppure, rimanere a parlare lì per Cornelius era sempre stato un passaggio particolarmente utile: conoscere le persone che aveva intorno lo aiutava ad incontrarne i gusti, a percepirne l'essenzialità. Ezra era sempre stato un mistero che aveva apprezzato, fin dal primo momento in cui da stupido coccio di pietra vulcanica aveva scelto di prenderlo a lavorare con lui. Adesso era pura onice lucente, solo che non se ne rendeva conto.
    Con una punta di fastidiosa servilità, Ezra portò in avanti l'accendino e questo portò Bates ad allungare il collo nella sua direzione, tendendo la sigaretta fra le labbra per vederla accendersi in un baluginio seguito da un rivolo di fumo. Notava come quell'oggetto fosse usurato dal tempo, dall'uso costante: ancor peggio di lui, Ezra fumava per nervosa abitudine, gesti, movimenti, segnali. Con la sinistra colse la sigaretta nell'incavo fra indice e medio, sbuffando verso il soffitto una nuvoletta di fumo mentre osservava con la parte inferiore degli occhi il movimento identico compiersi. "Bene, spero sia sufficiente." Il suo annuire sembrava infastidirlo: ha sempre l'idea che fosse egli stesso a separarlo dal conoscersi. Come se volesse costantemente generare una barriera, come il piano che separa la stanza di Cornelius dal sottoscala di Ezra. Inferno e Paradiso nello stesso buco di culo puzzolente. "Quando ero giovane io le donne si conquistavano a suon di pugni. Non facevano loro il lavoro sporco" sorride, scuotendo la testa. Alla sogna dei quarant'anni, o forse un po' meno, era comunque consapevole del fatto che la sua vita passata fosse stata estremamente differente da quella di molti. Aveva sempre avuto una certa riverenza nei confronti delle donne, forse per compensare le meschine stronzate che aveva sentito dire in guerra dai propri compagni: "Pensi che dovremmo sfruttare questa cosa?" alzò lo sguardo, puntando gli occhi verdi in direzione dell'uomo, come a voler vedere se il suo interlocutore fosse in grado di sostenere il suo sguardo "intendo, avere qualche donna in più, qui in giro?"

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    cornelius bates

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    Come amo ripetere forse fin troppo spesso: la tigre non è alto che un grosso gatto. Un gatto che, maestoso, gioca con la sua preda con la stessa innocenza di un cucciolo, rigirandosi fra le dita il malcapitato senza pensare alle conseguenze. In quel momento accetta la sigaretta che gli aveva offerto, prendendola fra le dita prima di cacciare una mano nella tasca esterna della giacca per recuperare un accendino. Argento, ornato con lo stemma della BRITISH ARMY. Un ricordo di quel coglione di Eggers, ucciso da una pallottola vagante durante la missione più stupida dell'universo. "Però col letame non puoi acquistare un gioiello per una bella donna"Il suo pensiero scivolò con tristezza a Theresa, col suo volto giovane ed i suoi occhi pallidi, uno sprazzo di lucentezza in quel mare di merda in cui viveva e per il quale sentiva ancora forte rammarico. Chissà che fine aveva fatto, chissà a che punto si era spinto l'ostile animo della donna che aveva accudito per molto più tempo di quanto avesse memoria. A lei un bel gioiello l'avrebbe voluto regalare, ma questa è tutta un'altra storia. I suoi occhi si rigiravano ad osservare la gente fornendo la curva del suo collo ornata da riccioli di barba rossicia ben curati mentre osservava la gente che si apprestava a ricambiare con interesse gli sguardi di interlocutori e clienti. "Ho un'alta stima di me, ma il felix non lo definirei il mio fiore più bello" mormorò senza pensare troppo all'effettivo risultato di tutte le azioni che l'avevano portato lì, in quell'hotel pieno d'oro con una bustina di coca fra le mani.
    La aprì tenendo la sigaretta fra le labbra, scivolando con il polpastrello dell'indice sinistro a toccare l'impalpabile polvere per passarsela poco dopo sulle gengive, recuperando la sigaretta fra le mani "mi hanno detto che fare in questo modo è puramente cinematografico" sussurrò in un sospiro beato, roteando piano gli occhi all'indietro prima di chiuderli come sull'orlo di un piacere incontrastato "mi da l'idea di essere uno di quei cattivi dei film di James Bond, che sia vero o no" sussurrò scuotendo la testa prima di lasciare che quella scarica di sensazioni scivolasse lungo il suo intero corpo. Voltò lo sguardo verso di lui, al suo continuo incalzare, poggiando con distrazione il sacchettino ben chiuso nella tasca esterna della giacca, prima di riportare la sigaretta - sempre spenta - alle labbra.
    Era più un gesto rituale il suo, senza molto desideri e pensieri, senza l'effettivo bisogno di accenderla.
    Forse con più intensità di quella manciata di stupefacente polverina, quel tocco flebile della sua mano contro il proprio sembrò farlo sussultare. In tutta risposta si premurò di pescare il lembo di una giacca aprendola. Forse per mostrare il torace scolpito chiuso all'interno di una stretta camicia bianca aperta fin poco sotto le clavicole, forse per recuperare con l'altra mano - interrompendo quel contatto quasi magnetico delle loro mani - una busta con una serie di fotografie. Ragazzi e ragazze, di non più di vent'anni.
    "Molti disperati e pochi innocenti, come ti dicevo."

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    cornelius bates

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    Stretta tra le dita, possedeva con forza il campione della splendida merce dell'irlandese, i cui occhi continuavano a frugare nelle sue tasche, nei suoi anfratti più profondi, spogliandolo di sè e delle barriere che la sua natura mutevole gli aveva imposto. Eppure, con suo sommo rammarico, si rende conto di quanto poco fastidio sembra dargli l'odore di un wesen, con la sua pelle irta di scaglie e gli occhi che si fanno piccoli piccoli e gialli alla trasformazione. Chissà se sarebbe rimasto bello ed affascinante pure con l'intero corpo ricoperto di scaglie: non voleva darsi risposta perché temeva di poter provare disgusto.
    Come a volerlo sfidare, non poggia ancora le labbra sul bicchiere di sua proprietà: senza anelare più a quello del suo interlocutore, consapevole d'avergli dimostrato come ed in che modo una persona del suo calibro si protegge dalle insidie di veleni abbandonati all'interno di liquori. Sapeva non sarebbe stato il caso, anche perché l'interesse era ben altro ed andava ben oltre il placido desiderio di ucciderlo, ma era comunque un inglese: adorava fare scena. Il suo viso quindi si rasserena alla risposta alla propria domanda: splendidamente bene. Oh sì che lo era, e si meravigliava di come un uomo così infimo potesse risultare tanto brillante da sapersi giostrare ogni momento con la delicatezza e la grazia di un divo: "il Felix va alla grande. Un po' sporco, un po' vecchio, non ci decidiamo mai a farlo rinnovare e puzza tutto di muffa. Ma alla gente che ci viene piace così: immagina quegli sporchi tossici venire a sollazzarsi in un luogo come questo" ondeggiò la sinistra, mostrando tutto l'ambiente che li circondava "un posto inappropriato per gente non di un certo calibro, capisci?"
    Malizioso, sensuale, lasciava muovere piano le dita intorno al bordo del bicchiere come se potesse suonarlo, rigirandosi fra le dita la merce di scambio che aveva ricevuto in dono di saluto: "da lì proviene carne freca e disperata, più che innocente. Ma alla fine, a noi cosa importa" mormorò con un sorriso, avvicinandosi piano a lui senza però violare troppo la loro distanza di sicurezza. "Qui non si tratta di Felix, o di Jackals. Qui siamo tu, ed io. Capisci che intendo?"


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    cornelius bates

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    Come ogni volta si aspettava che la gente si soffermasse a guardare le tre orripilanti cicatrici che gli deturpavano il viso. Le persone, tutte, in maniera indistinta, carezzavano con uno sguardo ricolmo di timore i lembi frastagliati della pelle più pallida del suo viso, violandone le forme e le fattezze con violenza incontrollata ed incontrollabile. Lui, dal canto suo, ci aveva fatto l'abitudine e quasi l'apprezzava.
    Lo sguardo di Colroy, però, più viscido e letale scivolava lungo tutto il suo corpo come una lingua famelica, poteva sentire l'umido della eccessiva salivazione, desiderosa, lurida. Adorava avere a che fare con uomini così, che si credevano in grado di conquistare il mondo intero con un solo sguardo. Conosceva anche la sua puzza: wesen. Oh, se lo conosceva. Se l'avessero visto i russi, in quel momento, avrebbe fatto una figura di merda. Anni ed anni a contrabbandare wesen d'ogni specie ed adesso stava lì a bearsi delle sue occhiate languide. Oh, com'erano languide nessuno lo immaginava.
    O forse potevano immaginarlo tutti, dato che il suo sguardo era palese.
    Sorrise beato, avvicinandosi senza troppi indugi per stringere la sua mano con forza vigorosa: il primo passo per mostrarsi possente era stringere una mano con giusta enfasi. Fu lui stesso ad abbandonarla prima di andarsi a sedere al posto che gli aveva riservato, con il drink che gli aveva riservato. "Ti trovo in ottima forma" disse, con un che di circostanza, accorgendosi del fastidioso accento irlandese del suo interlocutore, così diverso dal proprio fin troppo inglese "e grazie del Bourbon" mormorò senza alcun indugio, prendendo il bicchiere per brindare puntando gli occhi verdi nei confronti dell'uomo: diretti, precisi, lo osservò lambire il bordo del bicchiere con le labbra come se lo stesse facendo con qualcos'altro ed in benaltre circostanze. "Ah, Blake. è uno splendido esemplare. Sua madre mi ha lasciato certi brutti ricordi in Kashmir" sussurrò, roteando la mano sinistra per indicargli le cicatrici che gli deturpavano il volto "il minimo che possa fare è insegnargli le buone maniere. Anzi che si è trattenuto, quelli come voi hanno un odore un po' nauseabondo per le mie creature"
    Lui non bevve: fece tinnare il bicchiere a quello di lui prima di poggiarlo sul tavolo attendendo che anche il suo fosse sulla superficie del bancone. "Al nostro incontro" sorrise spavaldo, portando una mano in direzione del bicchiere dell'uomo, prima di invertirlo con un gesto da prestigiatore con il proprio. Portò le labbra al bicchiere di Riley per bere un sorso di quel pregiato Bourbon, senza indugi e pensieri: "e a chi sta dentro l'abito che indosso" ridacchiò con quel pizzico di tenera autoreferenzialità, lasciando cadere una mano sulla stoffa pregiata della giacca prima di sorridere con lasciva tenerezza. "Come stai, Riley?" sussurrò, poco dopo, inclinando la testa felino.

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    cornelius bates

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    Dentro l'Imperial si sentiva a suo agio. Non come quello schifo di posto dove passava parte della sua vita, sempre sull'orlo del desiderio di distruggerlo e farlo ricostruire di nuovo. Non sapeva perché, ma quel luogo squallido aveva un non so che di autoritario nella sua mente, come se il riuscire a cacciare con violenza un proiettile sul vecchio proprietario non avesse aiutato a scacciare il fantasma che vi aleggiava all'interno.
    E poi, quelle cose non facevano parte della sua vita, non facevano parte di mafie, di persone, di gruppi.
    Era solo lui, la tigre.
    Ed i suoi affari.
    Amava sentirsi di nuovo parte di qualcosa di estremamente singolo e legato alla propria autoesaltazione, una masturbazione psicologica che aveva reso tutto infimo e incessantemente necessario per ottenerne un risultato di pregio. Adorava il potere che anche la sua sola figura poteva emanare, come la sua tigre. Blake aveva fatto uno splendido lavoro, percorrendo tutta la città per recapitare il suo messaggio. Dopo tanti anni, era contento di averle ucciso soltanto la madre e di averlo tenuto con sé.
    Entrò in quel luogo con l'abito più elegante che aveva, che formava e stringeva il suo corpo in una perfetta cornice, proprio come fa uno splendido abito cucito a mano dalle migliori boutique. I capelli, ricci, scarmigliati, rivolti ovunque sul volto e curati abbastanza da far credere che quella non fosse altro che una studiata acconciatura ed il volto, perennemente deformato dalle tre orripilanti cicatrici, aveva l'espressione rilassata di chi ha appena finito di bere un buon liquore.
    Ma il suo liquore doveva ancora essere assaggiato. Era lì che l'attendeva e Bates non si sarebbe fatto attendere oltre. Si leccò le labbra, famelico come una tigre con la sua preda, avvicinandosi a passo fiero nella sua direzione senza smettere di puntare gli occhi verdi nella sua figura:
    Poggiò la mano sul bancone, attirando la sua attenzione con un sorriso: "Buonasera"

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    Orchidea Calaris
    Blutbaden ♢ Orfana ♢ Studente ♢ 24

    Maui. Maui, come la marca di ciabatte. Sorrido piano, senza pensare più di tanto alle parole e al modo di fare di quell'uomo, così tanto oltre la vita normale, così difficile da prevedere nonostante mi piacesse fin troppo pensare che l'avrei avuto in pugno. In pugno non avevo nulla, nemmeno i soldi per pagare quella birra che speravo veramente mi pagasse lui. Poi però mi fa una domanda che mi spiazza. Mi spiazza perché non me l'aspettavo per nessuna ragione al mondo: mi guarda negli occhi e mi chiede se sto bene. Se sto bene, io? Dio mio, caro, ma che domande mi fai al nostro primo incontro.
    Una parte di me avrebbe così violentemente desiderato di riprendere la conversazione urlandogli in faccia che no, nulla andava bene, che no, non stavo bene per niente, la mia vita era uno schifo, triste ed inutile com'è sempre stata. L'altra parte di me era, piuttosto, propensa al desiderio di rispondere con malizia ed ironia, sghignazzando sul fatto che sarebbe andato tutto meglio se l'avessi avuto fra le gambe.
    Poi, però, qualcosa mi permise di rimanere zitta, per la prima ed unica e sacrosanta volta. Giungendo alla conclusione che quel tipo mi interessava ed era meglio tacere. "Comunque, sono venuta qui a bere della birra da sola, dovresti imaginare che non è che stia tanto bene"
    Non affrontavo mai bene la solitudine come quel momento. Gli occhi mi si riempivano di lacrime che cacciavo indietro al solo pensiero. Mi mancava l'idea di avere una famiglia, di far parte di qualcosa. Quell'uomo vedeva in me qualcosa che non ero così realmente in grado di riconoscere: una speranza che sapevo di non voler cogliere.
    Rimango in silenzio, senza pensare ulteriormente a ciò che mi sarebbe accaduto: "in realtà l'ho sempre avuto con me, non so molto" Mormoro in silenzio, senza cogliere nessun segnale dal suo tono di voce che, a posteriori, potevo definire più che speranzoso.
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    victor ledrec
    23 y.o
    xx.xx.xxxx
    Mi chiede perché covrebbe scappare via ed è la cosa più tenera che mi sia mai capitata. La guardo negli occhi con la consapevolezza di volerla abbracciare, scuotendo la testa per contenermi nel vano tentativo di sentirmi realmente vivo come non lo ero mai stato, ma le labbra non possono fare a meno di incurvarsi in un tenero sorriso. "La gente non vuole problemi" aggiunsi, poco dopo, in risposta alla sua non poi così retorica domanda "ed io sono fatto al 98% da problemi, la gente ha già i suoi per avere a che fare coi miei"
    Mi mordo le labbra, guardandola poggiare la sigaretta fra le sue senza pensare troppo a quanto imbarazzo potessi generare in lei e l'interesse che colgo nel suo sguardo nel momento in cui le dico la fonte principale dei miei problemi mi meraviglia: avevo visto tale interesse soltanto nella Romanoff, e per fortuna sia mia che sua, non la vedevo da abbastanza tempo da essermi disintossicato.
    "Mi sembra di non guarire mai"
    aggiunsi, poco dopo, in risposta alla sua domanda. I miei occhi adesso vagavano verdeggianti alla ricerca di qualcos'altro che non fosse il suo sguardo. Mi faceva paura quel confronto che mai avevo pensato di avere in circostanze come quella: "Mi fisso nelle cose, è la parte ossessiva del mio essere. Mi da fastidio lo sporco, il disordine, quando succede qualcosa che non va bene non riesco ad affrontarlo con razionalità. Mi fa paura, tanto, tutto."
    Non mi ero mai realmente aperto così con nessuno: Pauline viveva al di fuori della mia vita, con la certezza che da un momento all'altro fossi pronto a scappare per chissà quale spaventoso futuro, Pauline era sempre sull'attenti e non viveva la mia condizione con la serenità necessaria per superarla. Non potevo biasimarla, ma avrei tanto voluto farlo. "Avere una figlia non è una malattia" scossi la testa, scrollando le spalle mentre il bollitore completava il suo lavoro. Versai piano il latte in una bella tazza color avorio con delle decorazioni fiorate che porsi a lei con un sorriso. "attenta, è caldo caldo"
    Ascoltai poi le sue parole con sguardo ed espressione assorte, mi sembrava così strano pensare al fatto che poteva esserci qualcosa di male nell'avere una bambina nera, mi rendo conto solo in quel momento di come possa essere doloroso vivere nel mondo e con la sua pesantezza. "Come si chiama tua figlia?" sussurrai, poco dopo, concentrando lo sguardo sulle sue mani.
    hey ho sono una bellissima quote
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    cornelius bates

    ■ the tiger ■ pure34sheetmusic

    Come passa il tempo, lì.
    Cornelius se lo sentiva, sentiva il fricciorio della vita che cambiava, il turbinare di situazioni che raggiungevano l'apice nel più basso dei pozzi senza fondo: il Felix era un crogiolo di gente mischiata senza motivo e che, con altrettanto poco motivo si rigirava su sé stessa, concentrando con attenzione il pensiero di riuscire a gestire quel vuoto incolmabile che riempiva trangugiando birra scadente e fumando vecchi sigari. Ora che tutto era cambiato, adesso che la rotazione degli astri era completa tutto si rinnovava ad una superiorità infima, concentrandosi nel vile ricordo di una calma passata. Ne era passata tanta di acqua sotto i ponti di quella bettola, mentre osservava la carta da parati ripiegarsi su sé stessa e gli occhi pendere da un lato nell'osservare alla sua sinistra le carte macchiate di caffé. Mosse con la mano sinistra la tazza, rigirandosela - ormai vuota - fra le dita tinte dal tabacco scadente del suo fornitore.
    Quasi s'era pentito di aver sparato a quel povero ragazzo. O forse no. Era particolarmente fastidioso, anche se la sua roba era buona.
    Non ci pensò più di tanto, poggiando alle labbra il filtro mentre con le dita ripeteva quel gesto rituale che poteva apprezzare soltanto chi gliel'aveva visto fare tante volte. Le cicatrici sul volto gli facevano male, probabilmente stava cambiando il tempo o forse qualcos'altro.
    Il flusso dei suoi pensieri lasciava scivolare lo sguardo in direzione di Blake che nella sua possente grandezza felina osservava dall'alto di quell'armadio sgangherato con disinteresse il proprio umano, la sua coda si muoveva sinuosa come se fosse un serpente, mentre con lentezza un leggero tocchettare contro la porta gli fece ricordare di essere sulla terraferma, a New York, dentro il suo sudico ufficio al Felix.
    Ezra.
    Non disse nulla nel vederlo, portando le dita della mancina dandogli il dorso per invitarlo ad entrare; fra di esse giaceva la sigaretta ancora spenta e sospirò facendo cenno all'uomo con l'altra mano in richiesta di un accendino.
    "Poggia pure qui" rispose, poco dopo, poggiando la mano su un mare di scartoffie per indicargli il luogo dove lasciare il denaro "hai preso quello che ti spetta...?" aggiuse, in una frase dal tono ambiguo, indeciso se fosse una domanda o una semplice affermazione. "Che genere di disperati, questa volta?" domandò, con falso o forse non poi così falso, interesse mentre attendeva ancora che l'uomo gli porgesse un accendino.

    I was within and without, simultaneously enchanted and repelled by the inexhaustible variety of life.


    [spoiler_tag][/spoiler_tag]scusa per il ritardo :>
247 replies since 23/1/2008
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