Votes taken by TheFedIvan

  1. .
    victor ledrec
    23 y.o
    xx.xx.xxxx
    Sorrido, notando come il desiderio di non essere giudicati fosse la fonte primaria del nostro legame. Legame che, per me, non era altro che un'indissolubile grazia dal cielo di cui ancora non avevo ben compreso l'entità. Allungo una mano verso la finestrella, aprendola per permetterle di fumare in pace dentro quella stanzetta e pensai più volte a come poter procedere a rendermi non uno psicotico ma amichevole. Rifuggivano tutti da me, quindi non potevo fare altro che limitarmi a cogliere il bello delle situazioni imprevedibili. Sorrisi placidamente, ritrovandomi con dolce innocenza a non aspettarmi un'accoglienza di questo genere e mentre con rapidità procedevo nella gestione del latte nel bollitore.
    Mi ripetevo continuamente di stare calmo, che non avevo nulla di cui preoccuparmi, che stava andando tutto bene. Tutte quelle cose che fino a un giorno prima... no, anzi... qualche ora prima avevo snobbato - orgoglioso - davanti la dottoressa, adesso erano un mantra nella mia mente che non mi concedeva di tenere lo sguardo alto verso di lei.
    "Sicuramente quelli che stanno qui se non sono sotto medicinali non sono stabili" ridacchiai, cercando di ricordare se qualcuna delle medicine che prendevo facesse reazione con il latte caldo coi biscotti. Sospirai, ascoltando le sue parole senza avere, come al solito, il coraggio di guardarla negli occhi. Carezzo l'idea di raccontarle la mia vita per un solo istante, ritornando poi a cercare le tazze da riempire con il latte tiepido che si trovava all'interno dell'apparecchio. Mi mordicchiai quindi le labbra, cercando di mantenere la calma e sorrisi, sospirando: "Insomma, disturbo ossessivo compulsivo, ed altri paroloni scientifici che non sto qui a spiegarti perché altrimenti scappi via. Ma sono in cura, giuro. Più che altro perché se non mi mettevo in cura l'ospedale non poteva pagarmi gli studi. Sono intelligente, anche se non sembra" aggiungo, quindi, alla fine, porgendole la tazza di latte.

    hey ho sono una bellissima quote

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  2. .


    Orchidea Calaris
    Blutbaden ♢ Orfana ♢ Studente ♢ 24

    Gli piace la mia collana.
    No, non ci posso credere che gli piaccia per davvero soltanto la mia collana. Vedo come le sue mani scivolano verso il mio corpo senza toccarlo nemmeno con distrazione, sfiorando la mia pelle oltre i vestiti per un millesimo di secondo mentre issa quel ciondolo che per me non ha significato se non di essere una bella collana. "Se vuoi te la regalo" risi, lasciando scivolare senza intenzione di malizia i capelli fra le mani. Sospiro con fatica, sentendo come comunque qualcosa nel mio corpo faccia ancora male e percepisco il fastidio al fianco vittima di quell'ultimo incontro. Vuole brindare a chi mi ha regalato la collana e l'unico pensiero che mi viene in mente, in quel momento, è di sfilarmela di dosso e darla a lui. Non che lo desideri, ma quell'oggetto ha perso significato nel tempo ed io non ci ho nemmeno più fatto attenzione a che segreti portasse all'interno.
    "Ragazzina ci sarà tua sorella", schioccai le dita contro il palato, mentre con un gesto di puerile supremazia poggiai le labbra al bicchiere per scolare rapido l'intero contenuto in un sol sorso. Cosa volevo dimostrare trangugiando birra come un vichingo ubriaco lo sa soltanto l'Orchidea di quel momento che, con un gesto della mano, si occupava di far segno a riccioli d'oro di portare un altra birra per brindare. "Puoi chiamarmi Orchidea, Sì, come il fiore" lo precedetti, scuotendo la testa prima di poggiare entrambi i gomiti sul bancone per non guardarlo negli occhi. La cosa più stupida e, allo stesso tempo, innocente, era che non mi dava fastidio quel suo modo di fare un po' attempato che, a posteriori, posso dire essere stato il connubio perfetto con i suoi muscoli. "Tu, grande e grosso? Hai un nome?"
    Mugugnai qualcosa di indispettito, sfilandomi dal collo la collana in risposta a quel secondo riferimento all'oggetto del contendere. "Ce l'ho da sempre" sbuffai, lasciando scivolare il cimelio sul tavolo verso la sua direzione. "Sei un esperto di collane brutte? Se mi offri un paio di birre te la regalo davvero, eh."


  3. .
    Cornelius
    Bates

    Sniper
    Assassin

    Sheet
    Sul perché Cornelius fosse a quell'evento, c'era poco da domandarsi. Lavoro? Affari? Semplice svago?
    Una faccia come la sua non poteva passare inosservata, con quelle sue tre cicatrici sul volto e gli occhi verdi che si guardavano intorno attenti, pronti all'azione: era stato invitato e nessuno sembrava dare molto peso alla sua presenza. Nell'Upper Mannatthan a quanto pare i traffici loschi di Cornelius Bates erano ignoti e lui poteva lavorare con piacere.
    Quella che poteva notare era una vita mondana alla quale lui non era mai stato avvezzo: gente che si lasciava fotografare, che beveva con delicatezza parlando del più e del meno, dello spostamento di enormi somme di denaro al nuovo yacht per la vacanza alle Hawaii, gli sembrava così anormale. Divertente pensare che a lui sembrasse tutto anormale: lui, con la sua conversazione più normale l'aveva avuto qualche ora prima con Ezra nel ricattare il denaro degli incontri abusivi, oppure con David per la vendita in nero delle pozioni.
    Lui, nei contesti normali come quelli, si sentiva a disagio ed a suo agio allo stesso tempo: amava osservarsi intorno con lo sguardo di un animale in cerca della sua preda e, anche se la sua vera preda era al piano di sotto, ne aveva trovata una che soddisfava qualche altro requisito.
    I fotografi sembravano essere stati obbligati da non si sa quale maleficio a non fotografarlo, ovunque si trovasse chiunque possedesse una macchina fotografica sentiva il bisogno di allontanarsi e scattare da qualche altra parte: questo liberò la donzella che aveva individuato dalla succulenta dose di gossip di quelle canaglie che, nel vederlo avvicinarsi a lei, girarono i tacchi quasi intimoriti.
    «Anche io ho avuto un barista che non sapeva fare un Martini» disse, cercando di attirare l'attenzione della bella su di sé, indicando con un dito il bicchiere abbandonato sul tavolinetto.

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  4. .
    Chandra Xavier
    Auf Der Heyde
    30
    single
    teacher
    Al suo così sopravvalutata hai un brividino lungo la schiena. E' il lontano 2002, e quindi l'ASMR non è di moda come lo è adesso, ma sì, sì che lo stai provando. Sorridi, scuotendo il capo con l'innocenza di un ragazzino alla prima cotta, lasciando le labbra semiaperte e sospese nel vuoto prima di morderti le labbra e rircordarti che, forse, prendere a pugni piaceva un po' anche a te - con moderazione - e ti ritrovi ad osservarla assorta con il piglio di un branzino nel banco surgelati del supermercato.
    Dovresti essere professionale, dovresti contemplare l'idea che qualcosa poteva andare storto o che in realtà quella signorinella fosse una vera studentessa di Durmsdrang e non un'avventuriera dal bel visino, ma in realtà non lo fai. Non lo fai perché quel brivido di giovinezza che stai provando non lo sentivi da tempo ed il sorriso che giace inconsapevole sulle tue labbra non può che portarti ancora allegria. «Già, più spazio per noi» pigoli, osservando con effettivo rammarico come la situazione intorno a te sia peggio della desolazione più grande: la biblioteca è vuota.
    Mio dio, che buzzurri, mi ritrovo a dire io e vorresti sottolinearlo anche tu, se non fosse che qualcosa - me, meravigliosa voce narrante delle tue gesta - ti fa notare che l'idea di stare ferma a leggere non è il desiderio maggiore della ragaza che lì hai accompagnato.
    Scuoti la testa. «Dipende quali sono le tue priorità» scocchi la lingua sul palato, guardandola con un sorriso colmo di una malizia impacciata, mentre entrate insieme all'interno della meravigliosa e fredda biblioteca di Durmsdrang, la sua seconda casa «Direi però interessanti in generale, non rispetto alle botte. Mi hanno detto che ci sono dei simboli runici incisi sulle mura di questa biblioteca e che uniti insieme formano una specie di formula per un rituale» dici, vaneggiando senza troppe pretese, sapendo perfettamente come quel momento di pura emozione possa finire da un momento all'altro con l'interesse da parte di Gillian verso qualche bel muscoloso studente.
    Ma dopotutto, non ne capisci niente.
    «E' solo una leggenda, non ne capisco niente di queste robe.»
  5. .


    Orchidea Calaris
    Blutbaden ♢ Orfana ♢ Studente ♢ 24

    Quando il biondino mi porta la birra, il suo sguardo è il primo ad allontanarsi in direzione della figura intenzionata ad offrirmi da bere. Non capisco la sua espressione, non colgo l'attimo che mi fa comprendere con chi ho a che fare tramite lo specchio degli occhi altrui e quello che mi basta è capire se quel tizio ignoto al mio fianco sarà chi mi porterà a casa domattina oppure no. Eppure, nello sguardo del barista non noto alcun segnale utile e di girarmi a guardare quel tizio in quel momento non ne ho voglia.
    Poggio le labbra al bicchiere sorseggiando la schiuma della birra con un pizzico della stessa, prima di voltarmi senza troppi convenevoli in direzione dell'uomo al mio fianco.
    Alzo un sopracciglio e muovo piano le labbra, senza pensarci troppo e senza nemmeno fare la maliziosa.
    Mi ritrovo davanti un enerumeno - non che chiunque sopra il metro e settantacinque per me non lo fosse - che sembra più essere una strana visione onirica di una strana puntata di qualche telefilm medievale che una persona vera. Sembra distaccato dalla realtà, lo percepisco come un pesce fuor d'acqua in quell'ambiente che, piuttosto, a me sembrava essere più confacente.
    Eppure, quella sensazione che percepivo era chiara, forte, e volevo sentirla anche io. Di nuovo.
    Mi avvicinai facendo prima scivolare il bicchiere e poi spostando il mio corpo da uno sgabello all'altro, trovandomi adesso abbastanza vicina da poter sentire il suo odore. "A chi devo l'onore?" mormorai, alzando piano il bicchiere prima di bere con placida lentezza il suo contenuto.
    "Tu non bevi?"


    [/QUOTE]
  6. .
    victor ledrec
    23 y.o
    xx.xx.xxxx
    A lei piaceva fumare, a me piaceva fumare. Per quanto mi riguarda eravamo già sposati. Scossi la testa col desiderio di schioccare le dita e materializzare una fottuta sigaretta da porgerle inginocchiandomi come se fosse un anello a sugellare il nostro amore eterno, ma evitai di sfoggiare i miei trucchetti da prestigiatore almeno per quel momento.
    Dato che, tra l'altro, non è che fossi realmente molto in grado di gestire la situazione con raziocinio, l'idea di trovarmi solo con quella ragazza per poco più di venti secondi mi portava a desiderare ancora ed ancora di elencarle tutta la lista, che avevo accuratamente imparato a memoria, dei problemi che avevo per farla scappare alla velocità della luce prima che per lei fosse troppo tardi. Lo stesso raziocinio, forse, mi impedì di farlo - o forse qualche altra parte del corpo in disuso da troppo tempo. "Per le sigarette forse non posso aiutarti" perché, effettivamente, non le avevo e non potevo realmente materializzarle "però il latte ed il bollitore so dove sono e posso prepararli, se... se ti va"
    Ma certo che le va, cretino. Te l'ha chiesto lei.
    Per un secondo ascoltai le sue parole con effettiva distrazione, pensavo rapidamente a dove fossero collocate le cose che ci servivano: il bollitore nello stipetto a destra, il latte nell'anta del frigo. Insomma, tutte cose che non dovevano essere così difficili da ricordare, ma che in quel momento mi sembravano macigni insopportabili, ricordi confusi, memorie contorte. In quel momento, poi, tra l'altro, l'unico pensiero che mi venne alla mente fu il motivo per il quale quella ragazza era lì. Poi, bastarono quelle due parole genitore e single che mi portarono alla mente tutta una serie di ricordi legati al gruppo precedente al mio, nel quale ricordavo perfettamente signore di varia età e foto di bambini appese nella stanza. In un attimo, un brivido mi percorse la schiena.
    Bambini.
    Non che non mi piacessero, ma già mi facevano paura gli adulti, immaginarsi i bambini che non erano controllabili in alcun modo.
    "Ah, no tranquilla, ti capisco." potevo capirla? Forse era solo una frase di circostanza. "Abbiamo la stessa età e qualunque sia il motivo per cui sei qui non mi importa" mi fermai, pensandoci un po', riflettendo su quello che avevo detto seguendo il percorso cognitivo di approccio con la gente che stavo apprendendo durante gli incontri. "Cioè, non è che non mi importa, mi importa ma non mi fa differenza, ci siamo capiti, no?"
    Victor Ledrec che si imbarazza. Se mi avesse visto mio fratello mi avrebbe fatto una pernacchia e si sarebbe messo a ridere come una iena. Fatto sta che per alleviare quella conversazione fin troppo imbarazzante, col desiderio di cercare nei meandri della mia memoria un modo carino per chiederle se aveva un bambino vero e se era disposta a sposarmi senza sembrare un maniaco psicotico ed essere mandato al gruppo d'incontro del venerdì alle otto, quello che mi venne facilissimo fare fu spostare la conversazione su di me: "io sono un po' mentalmente instabile" scossi la testa "e molto ironico." aggiunsi poco dopo.
    Mi mossi senza pensarci troppo, concedendomi l'attimo di incertezza nel prenderle il polso per portarmela appresso verso il cucinino di quella stanza. Poco dopo, la stavo già stringendo forse troppo forte.


    hey ho sono una bellissima quote
  7. .


    Maul

    BERGMANN

    Swing your partner round and round
    End of the night, it's going down

    red hands - emphatic - 47

    voice - scheda


    narrato - parlato - pensato

    Aveva chiaramente notato come il modo di parlare della sua nuova compagna di bevute fosse irrimediabilmente, a poco a poco, reso sempre più sereno dall'andare avanti di quella conversazione. Sapeva, non certo a fatica, però riconoscere quelli che erano dei segnali di tristezza, di profonda amarezza che rispecchiava un sentimento provato per fin troppo tempo e che, in quel momento, era certo di poter sovrastare in funzione di quell'incontro. Fortuito sì, ma anche fortunato.
    Helen, perché così si chiamava la bella, era di una dolcezza disarmante e l'americano non poté non sentire il desiderio di stringerle la mano, di sentire quella sensazione passargli attraverso la pelle come se le sue particelle potessero unirsi alle proprie. Era fondamentalmente solo, lui e la sua corruzione e la sua ossidiana che conteneva tutto il dolore del mondo, unito al caos e alla disgrazia di un legame indissolubile. Che fosse quello con James Manson o con Tharizdun è un dettaglio che ancora nemmeno lui sapeva definire.
    Era artigliato ad una condizione di lontananza e vicinanza dal mondo stesso, confermata meravigliosamente dalle semplici parole di lei che si schiusero in un semplice "Non è male qui, però..."
    Dopotutto, era quasi la stessa sensazione che provava nei confronti della propria condizione. Non voleva darlo a vedere ed era sicuro che sarebbe stato superfluo qualsiasi riferimento sul tema. Però a lei mancava l'Alaska.
    Lui in Alaska non era mai stato ed in un attimo desiderava prenderla per mano e raggiungerla, quell'Alaska che tanto le mancava: fare una follia semplice, come liberare il suo animo romantico, la sua dolcezza smaliziata.
    Le sorrise, scuotendo la testa: "L'Alaska" ripeté poco dopo, come a sottolineare il suo interesse per il concetto. Come a sottolineare il suo interesse per lei. "Immagino sia un bel posto, per aver dato vita ad una come te" sorrise, incapac di contenere quella sua vena da dongiovanni, che si spense in un sorriso deformato dalle labbra che si poggiavano sulla sua bibita, bevendone un sorso. "Non ci sono mai stato... E tu, perché te ne sei andata?"

    code © thefedivan

  8. .
    CODICE
    <tr><td>Orchidea Calaris</td>
    <td>Bomba Sexy</td>
    <td>70$</td></tr>


    Non mi deludere
  9. .


    Maul

    BERGMANN

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    End of the night, it's going down

    red hands - emphatic - 47

    voice - scheda


    narrato - parlato - pensato

    "Me lo sentivo, che eri una tipa da vino." sorride mestamente, Maul, accorgendosi di come ogni movimento di quella donna urlasse innocenza. Erano lì, entrambi con lo sguardo perso l'uno nell'altra, consapevoli di essere in grado di riuscire a colmare le loro mancanze solo ed esclusivamente rimanendo ancora a parlare con fare aleatorio, distaccato, generico. Eppure, o almeno così l'americano volle credere, Maul ci sperava.
    L'espressione della donna accoglie la strana tendenza di Maul a governare tutto come un direttore d'orchestra. Che fosse rimasto in piedi era più che ovvio, che avesse perso più volte lo sguardo nella panchina libera al suo lato, anche. Con un sorriso delicato, si limitò ad inclinare la testa prima di raggiungere a grandi falcate il fianco della donna, libero e costituito da una larga panchina metallica, prima di raggiungere con gli occhi il gabbiottino con due giovani che vendevano ai viandanti le loro bevande. "Mi siedo solo se mi dai il tempo di prendere da bere. Non è galante far bere da sola una signorina." aggiunse e senza nulla aspettare proseguì a passi rapidi in direzione del piccolo bar, Pagata la birra in contanti ritornò indietro conscio che la ragazza non si fosse allontanata. Non lo era, era rimasta lì, perché avrebbe dovuto farlo. Oltretutto era certo che nel momento in cui inviti qualcuno a sedersi accanto a te non hai intenzione di fuggire a gambe levate.
    Con un candido sorriso, l'americano cacciò una mano in direzione della donna, per presentarsi, mentre si sedeva. "Maul, piacere. Dammi del tu.". perentorio, diretto, come sapeva ben fare. Alle donne, probabilmente, piacevano gli uomini così diretti e precisi. O almeno, fino a quel momento era sicuro che poteva avere più possibilità, mostrandosi perentorio e deciso.

    code © thefedivan

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    victor ledrec
    23 y.o
    xx.xx.xxxx
    La guardo e colgo nella sua espressione - oltre che un volto estremamente carino, cosa che fino ad ora mi era sembrata veramente difficile da notare in qualsiasi essere umano del gentil sesso, che ad avere a che fare con la Romanoff non definiresti nemmeno gentile - un senso di ricerca. Mi soffermo a guardare degli occhi stanchi che sembrano cercare qualcosa, forse un volto noto, forse un messaggio affisso al muro, nulla che potesse avere niente a che fare con me, che non l'avevo mai notata se non in quel momento.
    Non mi soffermo sulle battute sulla malattia mentale, cosa che mi caratterizza da tempo, dato che fra Asperger, Disturbo Ossessivo Compulsivo ed altri grossi paroloni di cui tutti hanno paura non so più come definirmi e forse, forse, non voglio. Non voglio, per la prima volta, erigere un muro fra me ed il mio interlocutore ponendo i mattoni costituiti dalle malattie come divisore.
    Santo cielo, inizio a parlare per metafore edilizie come la dottoressa. Sto diventando grave, forse dovrei iniziare ad impegnarmi a guarire, se rischio di frequentarla ancora un po' sono guai. Mi lamento di non guarire e allo stesso tempo vorrei farlo. Ma esattamente, cosa ho nel cervello?
    Effettivamente, effettivamente, effettivamente, se lo sapessi non starei qui.
    "Sono qui da troppo" aggiungo con una risatina veramente imbarazzata ed imbarazzante, volgendo lo sguardo e gli occhi addolciti verso la torta che vedo posarsi attentamente sul tavolo.
    E' asimmetrica rispetto ai piatti e ai bicchieri.
    Tendo a guardare la ragazza per non accorgermene, per forzarmi a far sopravvalere la normalità alle mie ossessioni. "Io faccio schifo al the, invece" aggiungo, prima di voltarmi di scatto, come un automa incapace di gestirmi, con le dita che tremano sposto i bicchieri, le posate, i piatti. Tutto simmetrico, tutto sistemato. Rigiro più volte le posate, prima da un lato, poi dall'altro. Prima da un lato, poi dall'altro.
    Poi la torta. Era sé stessa asimmetrica, ma la ruotai in modo tale che l'asimmetria fosse meno visibile "Adesso va meglio" aggiunsi, voltandomi verso di lei, come in colpa per il mio agire. "per questo non prendo il the, ma solo latte caldo."
    hey ho sono una bellissima quote
  11. .


    Orchidea Calaris
    Blutbaden ♢ Orfana ♢ Studente ♢ 24

    Con l'entusiasmo di quel fermacarte coi brillantini visto accanto al gattino con la mano che dondola alla cassa del ristorante cinese, pago il mio riso col pollo e curry con i pochi spiccioli che mi sono decisa di portarmi appresso per evitare di spenderli tutti in sigarette e bibite di dubbio gusto. La mia vita è noiosa. Perdo qualche ora a prendermi a botte in palestra all'università. Poi qualche altra ora a farlo al Felix Felicis e negli ultimi incontri ho perso miserabilmente. Come se qualcosa mi impedisse di dare il meglio o forse perché, in fondo, non ero un gran che a fare a cazzotti.
    Quel giorno e nemmeno il giorno dopo c'erano e ci sarebbero state lezioni. Segno del fatto che forse delle robe elettorali si interessava più l'università stessa che tutto il resto e soprattutto che a me non interessava. Non ero Americana, non ero nemmeno lontanamente considerabile nemmeno utile per le votazioni, dato che, viste le mie condizioni, non ero nemmeno considerata legale, quindi l'idea di imbarcarmi inutilmente in situazioni che mi avrebbero messa soltanto in pericolo era estremamente impensabile. Come impensabile poteva essere quell'unico ricordo di un passato che avevo scelto di dimenticare e che stringevo fra le dita mentre con attenzione infilavo il maglione atto a coprire il mio corpo reso bluastro da lividi e quel ciondolo che sentivo di proteggere più del mio corpo stesso mentre decidevo quale fosse la direzione corretta per risalire ad una notte occasionale con un tizio occasionale nel tentativo di liberarmi da ogni pensiero. Il locale che scelsi quella sera era un posto dove non ero solita andare ma che aveva una bella atmosfera da non lasciarsi alle spalle. Ornato di semplice legno, di qualche asse metallica per dare quell'effetto simil post-apocalittico, un come il mio entusiasmo nei confronti della mia vita, ma il barista era tanto simpatico. Con quei suoi occhioni blu ed i riccioli dorati, adoravo poggiarmi al bancone con un sorriso falsamente sognante per ordinare "Una birra bionda come i tuoi boccoli"
    Banale, forse grottesco, eppure mi divertiva. E non potevo assolutamente farci nulla, dato che i miei occhi poggiavano sempre ed irrimediabilmente stanchi su quel suo visino, mentre il corpo avvolto da dei leggins ed un maglione forse fin troppo largo si stendeva stravaccato fra l'alto sgabello di legno - troppo alto per me, come al solito - ed il bancone.
  12. .
    victor ledrec
    23 y.o
    xx.xx.xxxx
    Sul come ed il perché mi sia riuscito a far convincere da Jordana Romanoff ad iscrivermi a questi gruppi di sostegno è meglio stendere un velo pietoso. A quanto pare era palese per ogni donna con cui avevo avuto a che fare nella mia intera vita che sono una persona facile da convincere, cosa che non si direbbe dati i miei evidenti problemi di ogni natura. Non è facile rendersi conto di essere sull'orlo del baratro quando non ci sei dentro, e sapere che quegli incontri forse, in qualche modo, mi avrebbero fatto ricordare chi sono, da dove vengo e quali sono le mie priorità forse mi dava quel briciolo di interesse in più per andarci.
    Ma che cazzo dico, ci andavo semplicemente perché avevo bisogno di un certificato per rimanere a dormire in quelle case per giovani disagiati. Non partecipando a nessun gruppo di sostegno o azione umanitaria o volontariato o qualsiasi cosa facciano le persone per lavare il loro senso di colpa nel masturbarsi sulle vecchiette su youporn, non avrei avuto nemmeno una casa dove stare.
    Anche se comunque quel luogo mi faceva schifo, e quando ti addormenti sperando di non svegliarti e ti svegli felice di non essere stato derubato delle quattro stronzate che ti rimangono speri sempre che dal cielo ti piova la manna e magari qualche bigliettone da 500,
    Lasciavo ticchettare la penna sul bordo del tavolino mentre Camille si prodigava nel raccontare come ed in che modo quella settimana era riuscita a camminare con i calzini spaiati senza scoppiare a piangere, sentendo il desiderio di morire proprio in quell'istante, con gli occhi persi nel vuoto oltre l'assistente sociale fin troppo entusiasta di sentirci parlare delle nostre malattie mentali. Condivisione, anche con sé stessi.
    Dovendo scrivere il corso dei miei pensieri sul quaderno con ben stampato sulla copertina il simboletto dell'associazione mi rendevo conto di quanto fosse facile sviare le domande facendo finta di scrivere qualcosa sul quaderno.
    Riflettevo, però, che avrei dovuto trovarmi un posto in cui vivere la mia singolarità - perché no, non la chiamavano malattia, ma singolarità, come se fosse un pregio - in pace senza che nessuno mi chiedesse di condividere come ed in che modo ho affrontato il mio desiderio di prendere a botte il fornaio che non aveva messo dieci olive nel mio pane con le olive, ma soltanto nove.
    Poi, effettivamente, quella cosa della serata dal reparto di psichiatria mi faceva venire il nervoso. Perché dovevamo partecipare ad una festa? Non era abbastanza faticoso anche soltanto esistere? Fuori dalla routine, però, sembra destarsi una figura che non mi aspettavo di incontrare. Aveva una torta in mano, ed io sapevo perfettamente dove andavano collocate le torte, dato che Joy, l'assistente sociale con gli occhi azzurri, non smetteva di ripeterci dove mettere le cose per quella festa e che avremmo dovuto fare in modo di aiutarla senza doverla inseguire.
    Faccio un passo avanti nella sua direzione: "la torta va su quel tavolo."
    Faccio ridere per quanto sono attempato.
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    [/QUOTE]
  13. .


    Maul

    BERGMANN

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    voice - scheda


    narrato - parlato - pensato

    Betty ha un bello sguardo, un sorriso caldo ed ammaliante, una dolce e delicata carezza in uno sguardo perso nell'amarezza di un giorno fin troppo doloroso. La sua mano scivola sulla propria come un velo di organza, sentendo come la delicatezza della sua mano cozzasse contro la propria - seppur curata - stretta mascolina. La guarda con attenzione, scrutandone ogni dettaglio ed ogni sfaccettatura, muovendo le dita impercettibilmente come a voler sentire le pieghe della pelle sotto le proprie dita. Si aspetta che la donna gli dia del lei, abituata a trattare con uomini d'alto rango, ma nonappena ritorna si mantiene cordiale, mostrandole un sorriso addolcito dal suo sguardo falsamente servizievole. "Dammi del tu" sorride, mentre vede come sono belli i bagliori di rosso che carezzano la sua mano. Le avvicina la propria, cogliendo il calice dalle sue dita. Sente il freddo del vetro, del cuore, dell'anima. La sua anima oscurata dal lutto, la sua anima oscurata dalla corruzione. Per i dolori di cuore si beve il vino, stessa gradazione di una birra, ma delicato come il dolore che attanaglia il cuore. Vuole convincersi di essere guardato da quella donna con leggiadra emozione solo perché è lui, non perché è un cliente, vuole confondere la propria mente con l'odore dell'alcool etilico che evapora pian piano da quel vino, il migliore che hanno. "Anche tu sei il loro miglior vino?" si lascia distrarre da quella coscia scoperta, da quella pelle delicata, da quel corpo che vorrebbe brandire lasciandosi all'animalesco desiderio di possedere, ma poi è come se rinsavisse, sentendo il bisogno di guadagnarselo a dovere un meritato piacere. "Potremmo brindare al nostro incontro, un'ottima idea" coglie il suo sguardo e non lo abbandona, lo mantiene diretto, lo mantiene letale. "Cosa fai di solito per imprimerti nella mente di qualcuno?"

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  14. .

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    Victor Ledrec - 26 - OCD -
    Pieces
    Mi lecco le labbra. Più volte, più e più volte, ancora ed ancora, forse fa male, forse brucia, forse pizzica.
    Poi mi ricordo che ho un labbro spaccato.
    Poi mi ricordo il momento in cui qualcuno mi ha spaccato il labbro. Ritorno a leccarmi le labbra. I miei occhi guardano qualcosa di lontano ed assorto oltre la donna. Bella, senza ombra di dubbio, ma non si può paragonare a nulla di facilmente riconoscibile nella mia mente. E' tutto confuso, come so far bene io, come so gestire bene io l'inferno della mia mente non lo sa gestire nessuno.
    Mi fa ridere, perché io non so gestirlo. Mi convinco di avere tutto sotto controllo, ma non ce l'ho neanche per il cazzo. Mi fa male la spalla. Mi concentro nel guardarla prima di inspirare ed espirare pesantemente: "Il mio medico di base è uno stronzo. Ed è in Francia." mi riferisco a quel finocchio di Lafayette, il medico della mia famiglia. Ma lei non può saperlo, anche se vorrei poterglielo far sapere con un solo sguardo. Mi confonde la mente, questa serie di sedute. So che non dovrei perderle, non dovrei[ lamentarmi di quello che ho, di tutto quello che non va se non faccio mai nulla per risolverlo, eppure. Sto lì a lamentarmi. Poco dopo sospiro con forza, lasciando che la pesantezza delle mie labbra mi lasci leggermente a bocca aperta. "Secondo te perché va una merda, dottoressa?" non so perché poco dopo cambio modo di approcciarmi a lei. La guardo, scuoto la testa, una volta è la dottoressa, una volta è Dana, una volta è Jordana.
    Jordana. Mi fa sempre ridere questo nome.
    Dopo essermi lasciato perdere in inutili pensieri, mi limito a guardarla. Cosa ho fatto negli ultimi giorni? Mi chiedo anche come ed in che modo sia finito lì dentro, e mi ricordo lo sguardo indagatore del dottor Merez mentre mi prescriveva l'antidolorifico per la schiena. "ho ricevuto 16 no a sedici colloqui durati tutti dal minuto e ventisette ai tre minuti e quarantacinque.
    Ad un certo punto mi mancheranno i soldi per potere continuare a stare qui a chiacchierare con lei, doc."

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  15. .


    Maul

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    voice - scheda


    narrato - parlato - pensato

    "Sì, grazie è la risposta giusta" sorrise, inclinando lo sguardo mentre vedeva come ed in che modo i suoi occhi si abbandonavano alla sequela di emozioni che non pensava si potessero provare in un solo momento. Era da tempo che non si immetteva in qualcosa di così complesso come un corteggiamento e benché fosse consapevole di non aver eccessiva padronanza della tecnica in questione, poteva rendersi conto in un momento che stava andando a gonfie vele. Gli ricordava il suo lavoro da profiler, abituato com'era a scrutare a forte distanza e soltanto attraverso delle carte l'essenza delle persone, adesso poteva rendersi conto facilmente di che significato avesse un solo e singolo sguardo mancato. Come quello di Leda, ma della quale non sapeva il nome.
    Non gli serviva. I nomi erano segni, lettere che si uniscono per identificarsi, ma di identificarsi davanti a quegli occhi con un nome non ha senso. E' già sé stesso, lì dentro. Non si era mai reso conto di quanto filosofico potesse essere un elucubrare nei confronti dello sguardo di una donna. Non si ritrovava così da quando si era dimenticato le sfumature degli occhi di Selene. Non sentiva i tremori di una voce da quando aveva dimenticato il suono della sua voce. Era un'immagine sbiadita che si confondeva con gli occhi adorabili di Matilde, con la sua voce squillante che si faceva cauta da parte, per accogliere le armoniose note di quella della donna che aveva davanti. Non sentiva di star tradendo la defunta moglie, non sentiva di star violando la memoria della defunta figlia, si stava solo godendo un attimo con dei begli occhi. "Uno dei massimi esperti" si ritrovò a sorridere, sperando di mostrare notare un bagliore - forse di imbarazzo, forse di semplice tenerezza - prima di riprendere fiato "per un'amore andato a male si bevono cose forti. La birra è per vivere con leggerezza tutto il resto."
    Ma quel "tutto il resto" gli era ancora oscuro, come poteva saperlo, notando come la ragazza si fosse semplicemente allontanata dalla domanda precedentemente posta. Lui non smise di guardarla, certo adesso che le mille sfumature dei propri occhi le riuscissero a comunicare molto più che qualche parolina messa al posto giusto e detta al momento giusto.

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