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    Interagisce con Ayumu, Jesse e Rose

    Dionne Ochoa
    half - mermaid | 1993 | sheet | voice

    La musica non era male, davvero. Forse era soltanto lei a sentirsi "stonata" in quel locale pieno di gente con cocktail in mano, abiti sfavillanti e voglia di socializzare al primo posto. Magari non era neanche troppo introspettiva come cosa: magari anche agli occhi di tutti quegli sconosciuti Dionne appariva evidentemente come un pesce fuor d'acqua. Ah ah.. già... la solita battuta del cavolo. Ma forse, seriamente, era davvero così, se le avessero rivolto uno sguardo un po' meno casuale probabilmente si sarebbero accorti della sua inadeguatezza a quel luogo. Non poteva farci niente, più trascorreva i minuti attaccata al sapore amaro della vodka e più si rendeva conto di non avere poi tutto quello spirito di adattamento con il quale si era fatta forza la prima volta che aveva lasciato casa o anche solo le isole.
    Forse le serviva solo dell'altro tempo. Forse anche tutto il tempo del mondo non le sarebbe mai bastato invece.
    Alzò lo sguardo dal pavimento - con la scusa di tener il capo chino per osservare il fondo del bicchiere cominciare a trasparire oltre il liquido - solamente quando udì una voce abbastanza vicina da poterla interpretare come proprio rivolta a lei.
    Osservò per qualche istante il viso gentile ma allo stesso tempo tagliente, dai tratti orientali. Scosse le spalle sollevando appena un sopracciglio.
    "Cerco solo di non morire di sete" le rispose abbassando di nuovo gli occhi e girando la cannuccia nel bicchiere con le dita affusolate e scure. Le unghie naturali, non smaltate, il classico dettaglio mancanete che nella fretta si era lasciata indietro nella memoria per far spazio a quelle due gocce di profumo sui polsi. Se ne accorse solo allora.
    Oblio. Non aveva poi molto da obliare Dionne. In realtà non aveva proprio nulla: c'erano già abbastanza vuoti incolmabili nella sua vita.
    Tutto quello che le interessava al momento era buttare giù qualche cubetto di ghiaccio rimasto in fondo al bicchiere per ovviare al caldo che cominciava a lambire il locale sempre più saturo di gente.
    Non si era mai sentita vincolata dagli aspetti più "scomodi" della sua mezza natura, ma non aveva mai preso neanche in considerazione di infilarsi in una festa del genere. Insomma, non doveva essere la sola a soffrire così tanto la necessità di acqua. Chissà quanti altri umani avevano la sua stessa "mania".
    "Tu invece? Cose da dimenticare dell'anno passato?" le chiese tornando a guardarla e conquistandosi a sua volta il posto sullo sgabello vicino appena lasciato libero.
    Sempre solita dinamica. C'era troppa gente per poter prendere in considerazione effettivamente qualcuno di particolare. Bisognava avvicinarsi di una mano e alzare la voce per entrare dentro la bolla di una conversazione.
    Fu, a sua volta, anche questa la tattica di un ragazzo giunto pure lui lì al bancone presso di loro. La classica tecnica per attaccare bottone: evidente.
    Lo squadrò come riuscì, oltre le sue lunghe ciglia nere, stringendo più mollemente il bicchiere semivuoto tra le mani. Gli stessi occhi si fecero due fessure mentre catturavano i tratti del volto del nuovo arrivato.
    Una sillaba per ucciderlo?
    "Bu" disse al tipo semplicemente con sul viso la stessa perfetta ed imperturbabile maschera facciale. Pochi secondi e poi anche questa si sciolse in un mezzo sorriso silenzioso che le increspò le labbra scure in maniera più amichevole.
    "Sei tipo famosa? " chiese stavolta rivolgendosi proprio alla ragazza orientale al suo fianco.
    Era strano in quel caso che fosse in mezzo a loro, poveri mortali, bevendo vodka su uno sgabello duramente conquistato.
    Non fece a tempo ad avere una risposta, ma dall'atteggiamento della tipa piombata letteralmente ad abbracciarla sì..forse poteva essere pure famosa tanto dal ricevere le lodi e i deliri dei propri fan. Voltò lo sguardo in silenzio, abbassandolo per un momento per poi alzarlo verso il ragazzo e sollevare entrambe le sopracciglia in un'espressione mista di evidenza e dubbio insieme. Lo sguardo del "E quindi anche tu da solo, eh?"
    Un leggero sorriso di nuovo si disegnò sulle sue labbra quando anche questa nuova ragazza si rivolse pure a loro.
    Rose. Forse le presentazioni più rapide della storia. Spesso e volentieri passava giornate intere con gente di cui non sapeva neanche il nome per poi scoprire che "Andrew è quel tipo con occhiali e piercing al naso".
    "Sono Dionne" rispose stringendole la mano.
    "Ci sto" aggiunse poi voltandosi verso il bancone per vedere a che punto era la fila e prendere in considerazione l'idea di ordinare di nuovo qualcosa.
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    Interagisce con Marlena (no dai ti amo) Marloon, fa due cenni a caso a Roman e se ne va verso il palco



    Cassius Waldegrave mago nero voice role song
    S
    quadrò con gelida freddezza i presenti nel locale, o almeno quelli che incrociavano il suo sguardo nel farsi strada tra la gente. Era un cipiglio naturale, un silenzioso delirio di onnipotenza che lo faceva sentire comunque, anche in quella occasione, superiore rispetto a tanti altri in quelle quattro e più mura. Sarebbe finito all'Inferno se non si fosse prima divorato lui stesso dall'interno con il suo malato egocentrismo. Era come se avesse avuto perennemente un cane a mordergli la caviglia: era questo che sua sorella gli aveva ribadito per l'ennesima volta che l'aveva vista. Lui come al solito l'aveva mandata a farsi fottere e se ne era andato trascinandosi dietro il mastino furioso che gli masticava il polpaccio.
    Marloon gli aveva detto di quella festa e gli aveva ricordato, via messaggino (quando e come gli fosse saltato in testa di dargli il suo numero ancora non lo sapeva e non lo voleva ricordare) di sorridere un po' di più e di pensare a lui allo scoccare del nuovo anno. "Un fantastico anno insieme": ma perchè diavolo Marloon Yales era andato a cercarsi uno come lui? Ma perchè adesso era Cassius che si stava infilando tra la calca per cercare il suo inconfondibile profilo riccioluto: una delle poche cose che riusciva a tollerare dell'essere a New York?
    L'outfit "giacca scura e scarpa elegante" era rimasto chiuso nell'armadio, in fondo, senza nemmeno essere contemplato dalla vista. Jeans, anfibi e giacca di pelle nera era quanto di più si addiceva al suo animo e cuore di "finto dark", anche per quella serata. Non che gliene fregasse poi molto: anche con una rapida occhiata sotto quella luce soffusa ma pulsante poteva distinguere i più diversi generi di abiti e le facce della gente totalmente indifferente ad essi. Con molta probabilità non avrebbe incontrato nessuno dei suoi conoscenti, o di persone che avrebbero potuto rompergli le palle per lo strappo ignorante del jeans sul ginocchio: le sue sorelle non sarebbero mai entrate in un posto del genere. Cielo, sua madre poi l'avrebbe odiato e già solo questo bastava a Cassius per sbattere con più decisione la suola delle scarpe a terra con passi più decisi ed euforici. Probabilmente i suoi stavano passando la serata tutti ben vestiti, ad un tavolo perfettamente apparecchiato, specchiandosi solamente per brevi istanti nel cucchiaio d'argento per la zuppa senza rendersi conto di essere, cazzo, morti dentro. Se avessero saputo tutto, ma proprio tutto, di quello che Cassius faceva da quando era entrato nel Circolo non avrebbero esitato a fargli la solita inutile lavata di capo con annesse minacce (di quelle vere però). Non sarebbe stata una festa e una giacca nera di pelle a fargli scordare chi era: un Waldegrave.
    Uscì illeso dalla calca presso il bancone del bar con in mano due bicchieri trasparenti. Si guardò ancora attorno. Si avviò ed infine salì qualche gradino sulla scala che portava al soppalco mandando silenziosamente a quel paese tutti quelli che, da lassù, lo avrebbero squadrato con un certo timore o giudizio. Non li avrebbe minacciati con la sua presenza, non ancora almeno. Soltanto da lassù, facendo scorrere ancora gli occhi freddi, riconobbe, finalmente una silhouette più familiare.
    Tornato di nuovo giù, tra la gente, ebbe la certezza di averci visto giusto.
    "Toh, guarda come sono carino stasera" esordì cogliendo Marloon alle spalle e lasciandogli tra le mani uno dei due drink, strafregandosene senza alcuna remora dell'aver interrotto una possibile conversazione, come solo i veri amici sanno fare.
    Indicò a Marloon il palco e chiuse appena le dita il palmo in direzione dell'altro tipo in una sorta di saluto-scusa amichevole (tutto finto ovvio). Si sentì un signore: lasciò i due alle chiacchiere e si avvicinò al palco dove la gente cominciava a "farsi più calda" con le note del cantante a lui, sinceramente, sconosciuto.
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    numero 49
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    Interagisce col vuoto al bancone. Piazzatela dove vi piace ma basta che stia lì per ovviare al mio "oddiononcistocapendounamazzasialodealloscheminoooo" :')

    Dionne Ochoa
    half - mermaid | 1993 | sheet | voice

    Era il primo anno che passava quel giorno lontano da casa. O meglio, era la prima fine dell'anno che passava a New York. Era la prima volta che concludeva veramente qualcosa in quella città. Non che dipendesse da lei: il 31 dicembre in ogni caso sarebbe giunto nonostante lei e il suo sentirsi ancora come un sassolino nella grande scarpa grigia dell'America: estranea. Forse sarebbe stato quello il periodo più giusto per tornare ad Antigua, per far visita a sua nonna e a suo padre durante le feste, ma sapeva fin troppo bene che se avesse rivisto il mare e rimesso piede sulla stuoia davanti all'ingresso di casa sua non sarebbe più stata capace di tornare indietro. Era una cosa troppo viscerale e Dionne sapeva di doversi addomesticare da sola in quella grande città: se lo era imposta da sola pur contro la sua stessa volontà. Per fare cosa poi? Per prendere in mano la sua vita e dargli finalmente un senso in più? Tutto quello che era riuscita a fare era stato comprare un completo fin troppo anni '70 e fin troppo ridicolo. Era quel genere di outfit che si può mettere solo a feste come quelle, così almeno le avevano suggerito e il suo occhio marino era rimasto fin troppo incantato dalle paillettes nere e argentee che ricordavano i riflessi del sole sull'acqua. Un paragone che forse non tutti a quella festa sarebbero stati di cogliere, ma in fondo giocavano bene gli scacchi del suo abito con le luci colorate del locale.
    No, forse il problema non era quel vestito misto tra il demodè e il volutamente ridicolo.
    La musica al momento non era male. Girellò da sola per il bar senza riconoscere alcun volto familiare sospingendo lo sguardo dai volti dei presenti tutti agghindati fino al soppalco già popolato da gente forse più cool, così dicevano.
    Si avvicinò al bancone già affollato, avanzando a piccoli passi incerti sui già insopportabili tacchi alti, strinta nelle spalle il più possibile per evitare urti troppo forti da chi potenzialmente poteva già rovesciarle addosso un intero bicchiere di alcol.
    La sua solita borsona di tela con la bottiglietta d'acqua era rimasta a casa perchè con gli scacchi di paillettes bianche e nere cozzava decisamente. Al suo posto una piccola pochette appesa alla spalla per una sottile catena d'argento freddo che le mordeva nervosametne la spalla a ogni movimento ondulato ed incerto. Avrebbe ovviato alla sua costante "sete" procurandosi un primo drink. Non sarebbe stata come una sana boccata d'acqua ma almeno le avrebbe tenuto a bada le viscere per un po'.
    Di esperienza presso bar e locali ne aveva poca, decisamente poca.
    "Anche io come lui" disse al barista quando finalmente questi le rivolse la salvifica occhiata. Se c'era una cosa che si imparava in un solo istante presso il bancone di un bar era che aggrapparsi allo sguardo del ragazzo oltre il banco era una condizione necessaria se non si voleva passare le ore a farsi scavalcare. Bisognava cercare i suoi occhi ed inchiodarli ai propri senza troppa titubanza.
    Con la scarsa conoscenza che aveva Dionne di drink e fantastiche miscele la risposta più rapida e certa che seppe dare alla silenziosa e iterata domanda del barista fu solo quella. Le servì uno schifo: fortissimo. Se lo sarebbe fatto andare bene. Pensò quello mentre si rifugiava in un angolo sicuro, sempre presso il bancone, dove la calca di "assetati" gettava gli ultimi strascichi di più o meno disperati potenziali clienti. Sguardo basso e le labbra appena dischiuse per trattenere la cannuccia fluo e buttar giù amari sorsi di vodka.
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    numero 16



    il pesce brillo è una rara razza di pesce che si presenta alle feste ricoperta di paillettes e che si attacca furiosamente a tutti i drink che trova per compensare la mancanza di acqua in corpo e la costante idratazione. Il pesce brillo non spicca per intelligenza: soltanto a fine serata si rende conto che l'alcol non è come l'acqua.
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    BENVENUTA BENVENUTAAAAAAAAA
    e cioè niente sei già una figata umana. Punto. Io sono Jyn, Gine come te gusta inZomma!
    Welcome <3
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    Alexandria Paxton spezzaincantesimi voice role song
    F
    orse da tutta la vita aspettava un simile viaggio. No, forse non era nemmeno conscia di ciò: erano le viscere, lo stomaco, le vene ed i muscoli a gridarle di accettare quella offerta di Rohan Lagrange, di fare la valigia e partire per quella che si sarebbe rivelata forse una delle più consistenti opere prodotte dal Reliquiarium. Fu forse anche la prima volta in cui si sentì, per quanto concerneva sè stessa, veramente parte determinante in quel campo, in quelle vesti di Spezzaincantesimi. Il perchè Rohan avesse chiesto proprio a lei di accompagnarlo ancora in parte non lo afferrava, sapeva solo che da quel "Buongiorno Signor Lagrange" erano passati quelli che visceralmente avrebbe definito secoli. Ne aveva preso veramente atto quando in macchina aveva contemplato l'idea di finire addormentata a bocca aperta contro il finestrino accanto a quello che era a tutti gli effetti il suo capo. Un'opera mastodontica per una realtà se si vuole chiusa come quella del Reliquiarium, china, spesso e volentieri, a sciogliere gli incastri magici di reliquia su una scrivania.
    8EMH3ZT
    Ma Alexandria si sentiva pronta a partire, a fare quello che le veniva più naturale: camminare, mettersi in moto, fare una valigia leggera e riprendere il passo, tracciare da un capo all'altro i continenti senza mai pensare di fermarsi, avendo sempre l'obiettivo davanti, stampata lucida in mente la successiva tappa. Poteva andare avanti così anche per anni piuttosto che un mese: bastava solamente che l'immagine della meta successiva prendesse forma davanti agli occhi passo dopo passo. Quel viaggiare oltre a delle tappe fisiche comprendeva delle mete umane: donne e uomini come loro, con conoscenze forse ben superiori alle loro, dalle quali attingere, condividere, scambiare, trasmettere come in un impulso elettrico per mezzo globo. Un uomo, tra quei tutti, aveva inevitabilmente fatto capolino nella mente di Alexandria. Come poteva dimenticare le cartoline verdeggianti e lucide dello zio Henri? La loro prima destinazione fu il Cile.
    L'infinità di ore passate al volante del pickup noleggiato per raggiungere il Parco naturale di San Rafael passarono lente, accompagnate ogni tanto dal suono basso della radio e di musiche straniere e della voce ormai familiare del collega nell'abitacolo, dove finalmente anche gli ultimi formalismi che Alexandria teneva con Rohan cedettero alla scomodità del sedile dopo ore passateci sopra, finendo per esibirsi nella strana arte ginnica del distendere le gambe e trovare uno scampolo di angolo comodo in uno spazio tutto sommato molto ridotto.
    Ad attenderli presso il parco una guida che li avrebbe condotti fino almeno alla casa di Henri Paxton.
    zR9Agbu

    "Sono dieci anni che non vedo mio zio" aveva detto a Rohan percorrendo, con lo zaino in spalla, il sentiero tra gli alberi. Si fermò un attimo per sistemare lo spallino dello zaino lentamente scivolato giù dalla spalla, cogliendo l'occasione per sospirare e guardare Rohan con un espressione per la prima volta velata di un inevitabile ed innato timore. L'ultima volte che aveva visto quell'uomo era stato fuori dai cancelli del cimitero. Lo ricordava ancora in un'immagine indefinita, sfocata dalle lacrime di una ragazza ancora troppo giovane.
    "A telefono sembrava ...contento comunque" aggiunse rendendosi conto di quanto quel "contento" potesse essere riferito più al suo personalissimo attributo di zio più che al titolo di signor Henri Paxton, studioso di reliquie. Erano lì la sua professionalità, non per altro. Il fatto che Alex fosse sua nipote era stata solo una fortunata coincidenza.
    "Ha molto da mostrarci" concluse riprendendo il passo con vigorosa, quasi violenta, determinazione e oblio di nostalgiche memorie.
    Casa di Henri Paxton era una struttura in legno, non troppo grande, in parte sollevata da delle palafitte, cosa che permetteva di raggiungere l'ingresso solo attraverso un paio di rampe sempre lignee. Ebbe come un silenzioso fremito interiore quando riconobbe la figura, così simile a quella di suo padre,
    sotto il portico, contro il parapetto, con una sigaretta tra indice e medio. Fu un attimo e Henri vide tanto Nathan quanto Emma in quella silhouette femminile. Spense rapido la sigaretta e si precipitò con passo rapido giù dalle scale. Baciò sulle guance sollevate da un sorriso stanco la nipote e strinse la mano a Rohan con la decisione di un sessantenne ancora troppo giovane per sentirsi veramente tale, mista allo stesso tempo di una trepidazione quasi fanciullesca.
    "Entrate, riposatevi e poi discutiamo" li invitò ripercorrendo le scale, accompagnato stavolta dai due nuovi ospiti.
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    Edited by Jyn - 9/1/2019, 15:17
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    Alexandria Paxton spezzaincantesimi voice role song
    U
    na mano le corse al collo, alla sciarpa grigia pesante, per tenersi ancora più calda contro il pungente freddo del ghiacciaio e di un settembre arrivato in quei luoghi in maniera naturalmente decisa. Le ciocche brune raccolte e infilate dentro la stessa maglia e gli occhi stretti in due fessure, appena sopra le guance divenute per reazione al vento freddo più rosse, che rimbalzavano da una riva all'altra del lago catturando sopra la retina limpida il grigio verdastro della vegetazione e delle rocce dipinte di azzurro dal cielo terso e dallo sfondo bianco accecante del ghiacciaio. Tutto perfettamente cucito tra i picchi rocciosi che costeggiavano la distesa di acqua scura. Non aveva esitato più di tanto quando Rohan le aveva chiesto di partire con lui per quelle che sarebbero state tre settimane, se non un mese, di biglietti aerei, pick-up e ristoranti etnici. Non c'era niente a intimorirla: solo la prospettiva di poter togliere il velo ad uno degli innumerevoli arcani ancora presenti sulla faccia della terra di quella loro dimensione. Grandioso e scontato allo stesso tempo: sarebbe stato prendere coscienza di un'altra fetta di realtà, e allo stesso tempo ritrovare la chiave di una delle serrature oltre alla quale si aprivano conoscenze ben più grandi, mosse, dinamiche, mutevoli che sarebbero andate ben oltre una semplice nuova ed immobile fotografia del loro mondo. Ormai stava prendendo sempre più atto del fatto che suo padre avesse ragione, seppur in maniera testarda, nel sostenere la superiorità della magia e del mestiere di spezzaincantesimi rispetto alla semplice archeologia. Finiva sempre per indispettire e stuzzicare Emma con questa faccenda, declamando tale inconfutabile realtà con un sorriso sornione sulle labbra a cui rispondevano semplicemente gli occhi sfavillanti di una moglie tanto irritata quanto innamorata persa di suo marito. Anche se il più delle volte si trattavano di scherzi Nathan in fondo ci credeva a quello che sosteneva ed Alexandria a sua volta ci stava cascando in altrettanto modo. La storia rimaneva passata: da essa si può attingere per il futuro e per aprire nuove chiavi di lettura di una realtà già passata o in continua transizione. La magia rimane qualcosa di sempre nuovo e sempre uguale nei millenni, sempre vivo, sempre attuale, sempre attivo. Anche per questo quel giorno erano lì, per scoprire una delle più antiche e pure manifestazioni di quella magia che, nonostante i secoli, era rimasta ancora viva, senza demordere, trovando dimora sicura nei ghiacciai. Era lì quel giorno Alexandria, per posare i suoi occhi su una delle più incredibili scoperte del loro campo e per palesare definitivamente il tradimento mosso nei confronti di sua madre. Suo padre sarebbe stato fiero di lei, ma Emma l'avrebbe odiata dall'alto di un dubbio paradiso rammaricandosi nel vedere la figlia chinare il capo e lasciarsi alle spalle ciò per cui Emma Roy aveva speso e gettato la vita. Non poteva farce a meno di pensarci. Ci aveva dedicato lunghe ore a quei torbidi pensieri su uno dei voli, con sedile lato finestrino, che li aveva portati in Cile da suo zio Henri. Emma amava Nathan, ma era babbana e non poteva capire nè lui, nè quello che facevano i Paxton.
    Nel silenzio della Laguna di San Rafael nemmeno suo zio Henri era capace di mimetizzarsi. Da tempi immemori quella vista faceva parte della solita cartolina di Natale spedita direttamente dal Cile. Era tornato a casa solamente quando Emma era morta e dopo di allora Henri Paxton era tornato nella sua Patagonia, in quella casa su palafitte in mezzo alla foresta del parco naturale dove aveva continuato a studiare ciò per cui Alexandria e Rohan erano giunti fino a lì. Il volto di Henri quello stesso giorno, sulla piccola barca a motore, aveva l'espressione tesa di chi finalmente stava dando uno scopo e una dignità in più a quella che in molti avevano sempre definito "al limite della perdita di tempo", insieme a qualche ruga e ciocca bianca in più attaccata alla fronte.
    Tutto il cupo e nascosto pensare non le aveva impedito di fare la valigia e partire, lasciare New York: forse la cosa più naturale che fosse abituata a fare. Il muoversi costantemente la teneva impegnata, la distoglieva dai pensieri come un semplice lavoro alla scrivania non sarebbe stato capace di fare. Non era quello un viaggio poi che si poteva compiere da soli. Persino se fosse stata sorella di Rohan non gli avrebbe permesso di andarsene da solo, soprattutto alla luce di quello che dicevano i giornali e della faccenda del suo doppio ancora in circolazione. Si sentiva però onorata che avesse scelto per l'appunto proprio lei.
    Sul volto di Henri Paxton si dipinse un leggero sorriso spegnendo il motore della barca e lasciando di nuovo calare il mistico silenzio su quel ritaglio di lago.
    Alexandria lo abbracciò appena, sfiorando con la guancia quella ruvida di lui, e poi si apprestarono a scendere dall'imbarcazione per risalire il ghiacciaio.
    Sorrise di rimando a Rohan e al suo gesto incoraggiante. La curva del sorriso di lui si disegnò gentile sulle labbra sottili e su quel naturale ed innocente cipiglio che dominava in maniera perpetua sul suo volto. La mano probabilmente fredda riusciva a caricarsi del calore stesso del gesto in sè e delle sue intenzioni spandendo un confortante senso di approvazione diffuso dalla spalla sino a tirarle su gli angoli delle labbra.
    Risalirono sul ghiacciaio, aggrappando le suole degli stivali sul suolo ghiacciato, impervio e irregolare paradossalmente favorevole alla loro piatta scalata. Quello che si parò davanti a loro occhi valse, almeno per Alexandria, tutte le snervanti ore di scalo all'areoporto.
    "È incredibile, Rohan" le sfuggì dalle labbra dopo aver girato a lungo attorno alla grande pietra ormai impressasi nel suo sguardo più estasiato che critico. Tirò fuori dallo zaino la reflex e cominciò a scattare qualche fotografia, regolando con pazienza quasi maniacale l'obiettivo e facendo scivolare sopra di esso le dita infreddolite con una rimitca quasi musicale. Per un attimo inquadrò persino Rohan, chino con lo sguardo sottile, perforante, diretto proprio all'ernome pietra viva come se grazie solo ad esso fosse capace di squarciarla, di aprirle le viscere con un'innata grazia e gentilezza. L'indice non fece a tempo a far scattare il click che la sua attenzione dentro l'immagine della camera fu turbata da due figure estranee a quel bianco ghiacciato, e alla sagoma del Lagrange stessa.
    Se ne accorsero entrambi. No, non era compreso nessun altro nella ricerca di Henri. Certo, non solamente lui poteva essere a conoscenza dell'esistenza di quella reliquia: era abbastanza preziosa dal non essere lasciata in mano di un solo uomo, ma lo era così tanto da permettere che solo uno la "custodisse". Nessun altro oltre loro due, più suo zio ancora sulla imbarcazione, era informato quel giorno di quella spedizione.
    La loro era una professione inevitabilmente diplomatica, non si potevano certo mettere a prendersi a botte con i primi apparenti profanatori di reliquie giunti sul luogo, ma non poteva negare, almeno Alexandria, di provare un certo timore verso tutti i generi di soggetti "stranieri alla procedura". Già in passato aveva dovuto fare i conti con uno di questi e risolverla con un bel reperto egizio assestato bene tra capo e collo.
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  7. .
    Si era sempre trovata in difficoltà davanti a ragazzi più o meno giovani che piazzavano davanti o dentro i negozi per fare un po' di pubblicità ed invogliare il possibile cliente ad acquistare. Dovevano essere semplicemente lì per un "posso darle una mano?" al quale rispondere il più delle volte "sto dando un'occhiata, grazie" ma spesso e volentieri finivano per attaccarsi alla gamba del cliente senza mollarlo fino a che non si arrendeva ad andare alla cassa con il volume più inutile e più caro che quello stesso assistente alle vendite aveva finito per mettergli tra le mani promettendo sconti, promozioni e quanto altro. Appena Alexandria si voltò udendo di nuovo la voce della giovane ragazza per un gelido istante ebbe quel timore. In fondo stava facendo semplicemente il suo lavoro e Alex si sentiva altrettanto libera di uscirsene da quella libreria anche senza aver fatto alcun acquisto. Fece appena a tempo a rivolgerle un sorriso cordiale, forse un po' tirato, sollevando la guida turistica che aveva tra le mani. Le sembrò subito particolare quell'accenno di considerazione personale in una frase da copione piuttosto professionale.
    "Stavo dando un'occhiata e basta. In Portogallo sono già stata. Ci ho lasciato dei bei ricordi" rispose annuendo e stringendo le labbra in una sorta di smorfia.
    Si passò una mano tra i capelli incastrando per un attimo le dita tra le ciocche brune, finendo per far ricadere quella stessa mano dentro il trench dove subito si scontrò con il freddo metallo delle chiavi di casa.
    "E' un peccato comunque. Le consiglio di farlo, oltre che leggere le guide" aggiunse riponendo il grosso tomo nello scaffale. La ragazza, giovane, ma non così tanto lontana dalla sua età apparentemente, sembrava aver lasciato trapelare un che di malinconico nella sua affermazione. Appariva già strano che lo avesse fatto davanti ad una perfetta sconosciuta. Ad ogni modo il perchè non avesse mai viaggiato ad Alexandria non era dato di sapere e la sua risposta in ciò era risultata quanto mai generica e neutra, senza chissà quali timori di ferire la sensibilità di una ragazza conosciuta da meno di un minuto.
    «There's no place like home»
    SPEZZAINCANTESIMI & ARCHEOLOGA| 29 ANNI | [scheda]
    © ShadowCorner
  8. .
    Cassius non era mai stato un tipo da grossi festeggiamenti. Natale, Capodanno: niente cenone con tutta la famiglia, niente ansie per programmare la serata e il conto alla rovescia. Non era quel genere di famiglia la sua, e neanche lui era quel tipo di persona di conseguenza. Cosa ci facesse dunque in quel diavolo di locale a tema Halloween proprio a festeggiamenti natalizi appena esplosi proprio non lo sapeva. Neanche si si sarebbe mai infilato in un posto del genere se non fosse stato convinto dal tipo tutto riccioli che aveva appena spedito al bancone come sua vittima sacrificale per un cocktail con il quale bagnarsi la gola. Non che avesse chissà quale smania d'alcol poi: per Cassius Marloon Yales poteva morire provandoci in mezzo a quella calca di finti alcolisti da "no ma è solo per stasera". Il riuscire ad emergere e il vederlo improvvisamente comparire colpito da un fascio di luce bluastra era già un punto in più a suo favore. Si limitò a seguirlo con lo sguardo, con una gamba vistosamente accavallata sull'altra e le braccia conserte pronte a sciogliersi giusto per prendere dalle sue mani il bicchiere. Forse sarebbero state pronte anche per afferrare il compagno spintonato dal primo cretino pronto a fargli cadere da bere... no, Cassius avrebbe afferrato prima il bicchiere.
    I raggi psichedelici ora rossi, ora verdi, ora blu rimbalzavano nervosamente sul profilo, sulle guance, e sugli occhi spalancati e vispi del compagno seduto ora al suo fianco.
    «Che battuta del cazzo» gli urlò per sovrastare la musica in un risultato decisamente diverso da quello che avrebbe potuto ottenere soltanto mormorando quelle parole con uno sguardo più torbido. Sembravano dei cretini ad urlarsi in faccia.
    Afferrò la cannuccia fluo tra pollice ed indice filiforme e la lanciò via con un gesto secco e forse eccessivamente stizzito rispetto all'effettiva importanza che Cassius aveva dato a quel tubicino di plastica ignorante. Probabilmente con altrettanta ignoranza sarebbe finita insieme a tutte le altre schifezze lasciate a giro dai presenti zombie e morti viventi nel locale. Brindò appena con lui e portò il bicchiere alle labbra: già solo in quel primo sorso capì che non avrebbe più dovuto dar retta a Marloon e fidarsi dei suoi gusti.
    L'alcol gli bruciò immediatamente la gola ma non diede segno del gusto amaro che gli invase la bocca.
    Come si era imbattuto in Marloon ancora sinceramente nemmeno lo capiva. Era passato dal desiderio di pestarlo e di rovinargli quel sorrisino sbrilluccicante al passare la maggior parte delle sue serate con lui, il più delle volte sempre con il desiderio di aprirgli una finestra nera nella smagliante fila di denti bianchi.
    Non era un mago nero, non gli sembrava almeno e Cassius non aveva mai voluto entrare nel discorso: non sarebbe servito a niente, ormai erano rimasti appiccicati come due caramelle ciucciate nelle tasche dei pantaloni e liberarsi l'uno dell'altro finiva un'impresa quasi impossibile.
    Non pensava mai Cassius a Marloon ma, diamine, se lo ritrovava regolarmente tra i piedi, e probabilmente la cosa doveva essere reciproca per quel tipo dal nome misto nella pronuncia tra Marlin e Marlon, ma senza avere niente in comune nè con un pesce azzurro, nè con una famosa stella di Hollywood. Proprio perchè non possedeva niente in comune con queste due specie Cassius ancora si domandava come mai avesse conosciuto Marloon Yales. Sapeva solo che se quella sera era in quel locale ridicolo lo doveva solo a lui. E se aveva accettato era anche quello uno dei sintomi della malsana influenza di Marloon. Doveva essere come una sorta di virus, o un processo per osmosi con il quale influenzava il suo modo di atteggiarsi, vestire, persino parlare cedendo impercettibilmente a qualche cadenza linguistica più statunitense sacrificando la perfetta metrica londinese. Niente che il ragazzo riccioluto sarebbe stato in grado di notare a questo livello "linguistico", se così si può dire, ma di certo quella sera non si sarebbe fatto mancare di commentargli quegi stivaletti texani neri che - non si sa con quale logica - Cassius aveva "deciso" di indossare. Marloon li aveva notati, certo che li aveva notati, e il giubbotto di pelle fin troppo innocente non sarebbe riuscito a sviare la battutina a cazzo che presto a tardi sarebbe affiorata sul suo ghigno. Era solamente per effetto suo se ora Cassius se ne andava a giro nei locali più assurdi e con un abbigliamento discutibile. Erano solo quegli stivali, per il resto era impeccabile come suo solito, ma quei cavolo di stivali avevano rovinato tutto e se ne era accorto appena due metri dopo aver percorso i primi passi sul marciapiede in direzione del Beetle House. In un certo senso lo poteva giustificare a sè stesso sostenendo che Marloon Yales sarebbe stato capacissimo di nascondersi nel suo armadio e di aver scelto per lui quegli stivali, perchè no, non trovava accettabile che quel ragazzuccio cominciasse ad esercitare una qualsiasi tipo di influenza su di lui, anche nella scelta di vitali cazzate come quelle.
    Forse a differenza sua e della sua espressione costantemente increspata da una virgola di costante disappunto sentiva che con quel faccino riccioluto Marloon si sarebbe potuto benissimo mimetizzare in qualsiasi ambiente. Non aveva l'impacciataggine o l'espressione inebetita dei classici frequentatori di locali e bar squallidi. Marloon non doveva essere lì. Già solo con quel viso avrebbe potuto benissimo vivere altrove, diversamente invece di camuffarsi con la gente ubriaca e rincoglionita dalle lucine di Natale (ma non abbastanza per non farsi trombare il cervello dai flesh a forma di teschio sui muri). Era forse per questo che Marloon lo incuriosiva: era la nota stonata, quella che butta all'aria la melodia, che la torce, che ti fa stringere i denti e rovesciare gli occhi e sospirare "perchè diavolo sta lì?". E in una sequenza perfetta nessuno spicca.
    «Ad Halloween questi cosa fanno? Si mettono in alta uniforme e danno fuoco alle zucche con i vodka lemon?» gli berciò dritto nell'orecchio volendogli appena il profilo e aggrottando le sopracciglia come per conferire maggiore intensità al tono fin troppo alto della sua voce.
    «Everybody wants to rule the world»
    MAGO NERO | 1995 | [scheda]
    © ShadowCorner


    Edited by Jyn - 29/12/2018, 13:43
  9. .
    SCUOLE FREQUENTATE
    Istruzione privata | 1999/2011 - 12
    RAZZE E ABILITA
    Ibrido sirena | SI - 2018
    PROFESSIONE
    Giornalista di nicchia | New York - 2018/ora
    ORGANIZZAZIONI E SETTE
    // | // - //
    FEDINA PENALE
    // | // - //
    IMMIGRAZIONE
    Caraibica e Cubana | 1993 | Legale
    Americana | 2018 | Legale



    0apJZGS

    Dionne | 25 years | HALF-MERMAID
    Aspetto fisico
    Sua madre Uma era una musa scolpita dal sole nel sale attaccato agli scogli, suo padre Riel è un lupo : quello che è nato dalla loro inusuale e quantomai imprevista unione è una creatura a dir poco incantevole. I tratti, le proporzioni armoniose sono tutte dovute alla natura marina di sua madre, mentre i caratteri decisi, lo sguardo scuro, profondo, caldo e avvolgente sono quelli di suo padre.
    Dionne è alta 1,57 m per un peso di appena 47 kg scarsi. La sua pelle scura, e letteralmente baciata quotidianamente dal sole dei Caraibi, avvolge luminosa e bronzea un corpo esile ma ben proporzionato, forse scarso nell’abbondanza di forme ma, anche grazie a ciò, elegante, sinuoso, longilineo. Forse, secondo il parere di molti (del quale però Dionne non si è mai interessata veramente) è anche fin troppo magra: le costole che mostrano appena la loro impronta quando torce anche solo un minimo il busto a quanto pare viene reputato un carattere di eccessiva magrezza. Probabilmente lo è davvero ma fino a che si sente bene con il suo corpo Dionne persiste nel suo ormai consolidato stile di vita.
    Le mani sono paradossalmente la cosa che ha di più simile con suo padre. Non che siano possenti e grosse come le sue, ma hanno la stessa forma allungata e le nocche leggermente “nodose” che vengono maggiormente sottolineate dalla lunghezza elegantissima delle falangi stesse. Da bambina l’ha sempre divertita confrontare le manone grandi e forti del suo papà con quelle piccine delle sue perse letteralmente nei palmi chiari di quelle del padre. È abbastanza certa dunque di questa somiglianza.
    Per quanto riguarda il suo volto i suoi tratti sono tipici della etnia del suo genitore: occhi scuri, labbra carnose, sopracciglia marcate e nere. Inevitabilmente poi, grazie al suo sangue per metà ibrido, persino nel suo viso si riconosce qualcosa di evidentemente diverso da quello delle sue coetanee caraibiche. I suoi tratti hanno un che di squadrato ma al tempo stesso di morbido, di duro ma al contempo di dolcissimo. Se il colore marrone scuro dei suoi occhi è lo stesso di Riel, il taglio, incorniciato da folte ciglia nere, quasi felino è invece, quasi sicuramente, quello di sua madre, così come il profilo affilato, anche davanti ad un occhio esperto, risulta perfettamente mischiato con i geni umani paterni. Il tutto è incorniciato da dei capelli nerissimi, come nere sono anche le sue folte sopracciglia naturali e quasi selvagge che tuttavia si armonizzano perfettamente sul suo viso giovane. Ha sempre portato i capelli lunghi, come la natura delle sirene vuole (anche se di ciò non ne è a conoscenza) e suo padre l’ha sempre incentivata a portarla tanto lunghi. Li ha sempre tenuti però annodati in tante fittissime treccine che le risultano più comode anche da gestire e da portare piuttosto che lunghe ciocche libere. Tra i suoi segni particolari ci sono alcune cicatrici sotto le piante dei piedi a causa di tutte le volte che le è capitato di pestare un riccio di mare, e soprattutto i suoi ormai quasi innumerevoli piccoli tatuaggi sparsi per tutto il corpo. Il suo aspetto fisico rispecchia perfettamente la sua personalità. È semplice e quasi selvaggia e come tale anche il suo modo di vestire non è differente: jeans, magliette, felpe, gonne comode e poche fantasie o accessori.
    Dionne insomma è semplice e naturale, chiara e bellissima come uno specchio d’acqua limpido, come la sua natura di "metà sirena" vuole.
    N.B. In quanto ibrido di sirena i geni presi da sua madre e dalla sua natura sono parziali . Riesce a sopravvivere tranquillamente sott'acqua ma il contatto con essa non comporta alcuna trasformazione a livello fisico. Altra peculiarità è la voce melodica e dalle particolari doti risanatrici.
    (BONUS: Capacità di sopravvivenza sott'acqua & Canto risanatore
    MALUS: Bisogno costante di idratazione & Debolezza agli incanti elementali di terra)


    Inventario

    CATALIZZATORE - ciondolo.
    Yin - Agata
    Questa pietra ha un effetto rafforzativo pertanto si accoppia bene con individui comunicativi, pratici, e capaci di dare agli altri sicurezza. È un potente energizzante, stimola la vitalità e l’istinto di conservazione. E' adatta a maghi concreti, tenaci in ciò a cui credono e con le idee ben chiare. Rinforza e dà tono al corpo mentale, stabilizza le energie corporee per sfide lunghe e durature.

    Yang - Ambra
    Si lega a persone creative che spesso cadono nello sconforto a causa dell’incapacità di riconoscersi e riconoscere le proprie abilità, di conseguenza maghi che hanno una visione pessimistica della vita, sono insicuri e si scoraggiano facilmente. Se nell'ambra vi sono tracce di DNA particolarmente vecchio, il peso del passato sarà spesso il fulcro di questi vortici di sconforto che li colpiscono.
    Carattere
    A primo impatto Dionne appare una ragazza schiva, taciturna, anche fin troppo seriosa persino nel modo in cui fa a pezzi con le dita scure e filiformi una ciambella al tavolino di un bar. Questa è la primissima impressione che da' involontariamente di sè. Se non fosse per i suoi tratti fisici, forse anche poco comuni, passerebbe benissimo inosservata.
    Effettivamente Dionne non è mai stata una persona espansiva, è abituata a stare da sola e ciò non le è mai veramente pesato. Preferisce di gran lunga passare il Capodanno da sola piuttosto che starsene in un angolo a chiedersi quante ore mancano alla fine della festa, per dirne una. Forse anche per questo, chi la "conosce" solo superficialmente, si può dire, si sente in diritto di chiamarla schiva se non snob. In realtà Dionne certo non rifugge il contatto umano: trova solamente inutile e fastidioso quello senza senso, distribuito senza essere richiesto e senza essere soprattuto desiderato. Sotto questo punto di vista si apre un'aspetto della sua personalità che scende ben più nel profondo, che non si ferma all'apparente superficie delle cose, delle persone.
    Dionne ha una sensibilità che non traspare immediatamente, ma che si coglie solamente se si impara a conoscerla meglio, se si ha la pazienza di aspettarla e di vedere finalmente quell'aura luminosa della quale è sempre stata rivestita ma che resta invisibile ad una semplice occhiata. E' una persona tremendamente paziente e perciò richiede, forse egoisticamente anche, che gli altri si adeguino alla sua pazienza se vogliono comprendela e stare al suo passo. Non può pretendere certo di essere capita da tutti, ma poco le interessa di avere schiere di amici e compagnie allargate. Non ama fare distinzioni tra persone e, anche se ciò non sembra, è disposta ad accogliere e ad ascoltare tutti, ma allo stesso tempo non smania per farsi amici o compagni di vita e di avventure. E' un carattere strano il suo, che per essere compreso ha la necessità di essere scandagliato in profondità, superando la superficie che può apparire di pura indifferenza: cosa che non tutti riescono a fare.
    Le "difficoltà", più degli altri che sue, di relazionarsi con i suoi coetanei in particolare le ha riscontrate in un certo senso da quando è a New York, in una megalopoli terribilmente diversa dalla piccola Antigua: isola vera, genuina, casa.
    Dionne non ha mai smesso di amare la sua isola insieme a quella realtà così minuta ma così, forse proprio anche per questo, naturale, sincera, dove veramente lì risiede la vita vera quella fatta di essenzialità, priva di tutte quelle sovrastrutture che soltanto in grandi realtà come quella americana e fin troppo civilizzata si può trovare.
    In sunto insomma Dionne non sa adeguarsi a New York, non sa adeguarsi al mondo fuori da quelle piccole isole caraibiche, e nè vuole adeguarsi ed assuefarsi a queste realtà. E' forse il primo e fondamentale elemento questo dove sorge quello che è il vero vizio capitale di Dionne: la superbia. E lì si apre un vero capitolo che va dal semplice mal tollerare le persone che non le danno ragione, al fastidio nell'ammettere di avere torto, fino al mancato desiderio di adattarsi nel luogo, nella società e nel mondo nel quale ora vive.
    Non sa bene perchè ma, più che da suo padre che è un vero isolano, sente di aver preso tale tratto (sempre che si possa chiamare tale) dalla sconosciuta madre. Quando pensa alla razza dalla quale ha preso metà dei suoi geni o quasi non può che immaginarla intrisa di una certa fierezza innata e che in lei si è trasmessa in questo senso di superba difficoltà di adattamento, se così la vogliamo chiamare.
    Convive piuttosto pacificamente con la sua natura mista ed ibrida mitigata da una cernita di geni che le permette di vivere senza troppe difficoltà nel celare o contenere il suo vero essere ed il suo vero aspetto. Se da bambina, ancora avvolta dal luccicante e roseo velo delle favole, quasi la infastidiva l'idea di non poter essere una vera sirenetta essendo priva di coda, oggi gestisce le sue capacità innate con serenità e trovandole anzi decisamente comode. Nota nera nella sua vita rimane e rimarrà sempre il fatto di non aver mai conosciuto e di non sapere chi sia sua madre. E' incuriosita sempre più terribilmente dal mondo marino e dalla natura delle sirene anche se non le è mai capitato, forse paradossalmetne, di vederne una: conoscere sua madre sente potrebbe aprirle porte e possibilità inimmaginabili. Fino ad oggi si è sempre e solo potuta accontentare dei racconti mezzi nostalgici di suo padre.
    Scendendo appunto nelle profondità di Dionne si scopre una persona estremametne sensibile alla natura, alle persone nella loro vera essenza ( non davanti a due semplici occhioni lacrimosi per intenderci) nel loro vero spirito. Ecco, Dionne si potrebbe definire una persona in un certo senso spirituale, che sa scendere e sa cogliere l'essenza delle cose dimostrando in ciò una saggezza tutta sua. Che le tradizioni e il modo di vivere della sua cultura e della sua isola l'abbia formata in tale visione è quasi indubbio. E' cresciuta con poche, semplici ed importanti cose. Ed è grazie alle semplici cose che riesce a scorgere e comprendere quelle più complesse, cosa non da tutti al giorno d'oggi dove la vita la si vive con superficialità e mancanza di senso impressionante, almeno a suo parere.
    Se Dionne appare il più delle volte composta ed elegantemente austera basta che prenda un po' di confidenza in più con le persone, con le cose, con il luogo nel quale si trova per far uscire la parte più "animale" e creativa di lei. Ama sperimentare, fare, toccare, scoprire tutto, senza mai tirarsi indietro. Una volta aquisita una sua ratio e un suo controllo sulle cose allora diventa un po' come quegli animaletti selvatici che mettono appena il naso fuori dalla gabbia aperta con un certo timore e poi si lanciano sul parquet di casa nuova per infilare il naso in qualsiasi anfratto possibile. In questi casi si ha come la smania di verdela arrimpicata finalmente su qualche albero come un vero Mowgli, mentre invece ha sempre come una compostezza a volte fin troppo innaturale per un personaggio come lei.
    Dire che questa è tutta Dionne ci è impossibile: c'è un mondo troppo complesso da essere narrato per intero.
    Basti aggiungere che Dionne Ochoa non ha peli sulla lingua e non ha alcun timore di dire le cose come stanno, né ci va tanto leggera se deve andar giù veramente pesante con le parole.
    E’ un piccolo animaletto selvatico: spontaneo, diretto, audace e istintivo, ma solo se si ha la pazienza di aspettarla, di scoprirla, di lasciarsi avvolgere dal suo mondo racchiuso dentro i suoi occhi scuri.


    Curiosità
    I tatuaggi che possiede non hanno alcun significato apparente. Ha cominciato a farli a 23 anni e li ha fatti, e continua a farli, per una mera questione estetica.
    Soffre di claustrofobia da quando a cinque anni è rimasta chiusa nello sgabuzzino di casa aspettando più di due ore prima che il padre rientrasse a casa da lavoro.
    Ha una passione malsana per camaleonti e iguane.
    Ha lasciato ad Antigua con il padre e la nonna il suo ormai vecchio cane Hermano.
    INFO
    Nome: Dionne. Esso, nella variante femminile,deriva dal nome di Dioniso, dio greco del vino e dell'ebrezza. Originariamente venne identificato come dio arcaico della vegetazione, legato alla linfa vitale che scorre nelle piante. In seguito assunse le caratteristiche di dio dell'estasi e della liberazione dei sensi; venne quindi a rappresentare l'essenza del creato nel suo perenne e selvaggio fluire.
    Allo stesso tempo, al femminile, è legato al nome di Dione, moglie di Zeus e madre di Afrodite. In maniera generica Dionne ha come origine il significato "divino",essendo legato appunto ai nomi di queste due divinità.
    Cognome Ochoa. E' un cognome spagnolo di origine basca che risale, con le sue origini e la sua prima diffusione, all'epoca medievale. Nella lingua basca significa proprio "lupo" e come cognome è diffuso, sebbene in maniera ridotta, anche in ambienti caraibici e cubani. Di fatto sua nonna paterna era originaria proprio di Cuba.
    Data e luogo di nascita: 21 giugno 1993; isola di Antigua, nel Mar Caraibico.
    Segno zodiacale: Cancro ♋
    Razza: Ibrido sirena.
    Allineamento: Legale Buono.
    Orientamento sessuale: Eterosessuale.
    Occupazione: Attende -seppur controvoglia - di iscriversi alla Brakebills e per ora scrive qualche articolo per una rivista naturalistica di nicchia.


    LAYOUT SCHEDE BY HIME

    THERE'S NO PLACE LIKE HOME

    Riel Ochoa è nato a Cuba e neanche lui conobbe mai suo padre. Nonna Gisele aveva appena diciotto anni quando rimase incinta, e i primi tempi che Riel girava per l'isola con in braccio Dionne i conoscenti isolani facevano i complimenti ancora alla tutto sommato giovane Gisele per aver dato alla luce una sorellina per il venticinquenne figlio Riel, domandandosi tuttavia chi potesse essere il padre. Fu soprattutto grazie a lei che Riel riuscì a tirar su i primi anni di vita la bambina inaspettatamente avuta quella notte del solstizio d'estate del 1993.
    Riel decise di lasciare Cuba a ventitre anni, spinto dallo stesso desiderio che avrebbe spinto molti anni dopo la stessa figlia a lasciare Antigua: viaggiare, conoscere le isole, vedere il mare, tutto giustificato da un forte e necessario desiderio di emanciparsi, di andarsene da Cuba, di prendere in mano la propria vita e dimostrare a sua madre in primis di non essere più il bambino che tanto gelosamente stringeva alla propria gonna, con il terrore che anche lui potesse andarsene come l'uomo che di speranze vane l'aveva nutrita per diversi anni. Tutto questo ignorando il desiderio di Gisele di lasciare l'isola sì, ma per studiare la magia: l'unica cosa che sembrava accomunarla a lei, al contrario di quegli occhi scuri e taglienti tutti del suo odiatissimo padre. Da sola con il suo bambino: quale tradizione di maghi e di storie poteva avere alle spalle Gisele quando lei stessa aveva scoperto di avere tali doti solamente tre anni prima di dare alla luce il suo primo ed unico figlio? Non si sforzò neanche troppo di lottare: il suo desiderio rimase acerbo così come la sua forza di trattenerlo almeno a Cuba.
    Ad Antigua Riel conobbe Uma, e ad Antigua Riel si fermò. Uma non era come tutte le altre. No, non lo era davvero e il solo fatto che una sirena potesse dargli tale considerazione era qualcosa che andava ben oltre la sua più fervida immaginazione. Passò due anni sull'isola, trattenuto solamente dall'idea che un giorno o l'altro Uma sarebbe di nuovo ricomparsa a Fort Barrington come saltuariamente ed inaspettatamente, a distanza di mesi, faceva. Riel viveva su quell'appendice dell'isola solo per vederla tornare, per veder ricomparire il suo volto austero, bellissimo, scolpito dal sole nel sale e nello scoglio. L'ultima volta che rivide Uma fu quando, nella notte del solstizio d'estate diede alla luce la piccola creatura che portava nel grembo e la lasciò a Riel, nonostante fosse femmina, nonostante fosse figlia sua. E Riel si ritrovò padre, tutto all'improvviso: per mesi non si era fatta vedere dopo che finalmente si era concessa a lui, e adesso ricompariva per mettere al mondo la figlia di cui non sapeva neanche l'esistenza, con tutta l'idea di lasciarla a lui senza nemmeno troppe spiegazioni. Non gli diede neanche modo di ribattere, di rifiutarla, di chiedere spiegazioni: la lasciò tra le sue braccia che ancora gridava e senza battere ciglio se ne tornò da dove era venuta. Uma non aveva mai provato chissà quali sentimenti per Riel, e tantomeno per quella creatura a cui nonna Gisele stessa mise il nome di Dionne dopo che il figlio la supplicò di raggiungerlo ad Antigua.
    Da allora loro tre, Riel, nonna Gisele e Dionne hanno sempre vissuto nella loro piccola casa ad Antigua, vicino a Fort Barrington.
    L'infanzia di Dionne fu delle più serene, delle più spensierate forse. Crescere senza madre non fu facile, ma non tanto per la piccola isolana quanto per Riel, ignorante di come si rappresentasse ed entrasse nel ruolo del padre che lui stesso non aveva mai avuto. Gisele, con Dionne, divenne in un certo senso madre ancora, anche se questa volta mise da parte tutta l'inesperienza per dimostrarsi una donna decisa e convinta delle sue scelte anche nel crescere la piccola nipote. Riel fu un padre infantile, inesperto, goffo per i primi anni di vita di Dionne, ma la fortuna volle che la piccola crescesse in assoluta tranquillità, baciata dal sole e dal mare di Antigua. Fin da subito dimostrò quelle che erano le doti innate generate dal sangue materno: ore in acqua sotto il pelo della superficie, una voce da piccolo usignolo e una strana mania di non riuscire ad addormentarsi senza, no, non il semplice bicchiere, ma tutto il bottiglione di acqua sul comodino.
    Dionne amava la natura, amava Antigua, e l'isola sembrava ricambiare con altrettanto affetto il suo amore viscerale. Ma non bastava, non si fermava lì: Dionne voleva distribuire il suo amore fuori da lì, in tutte le altre isole, stelle nel mare caldo e azzurro dei Caraibi. Dopo l'infanzia e l'adolescenza passata sull'isola e lontana dalla magia, a ventitre anni prese la stessa scelta del padre e lasciò Antigua. Un'unica differenza dall'impresa del padre venticinque anni prima: tornare. Non perdere mai di vista da dove veniva, chi era, chi l'aspettava. Ha girato per due anni per tutte le isole, cominciando a crescere in autonomia, in indipendenza pur ricordando sempre che inevitabilmente "There's No Place Like Home".
    Tutt'ora questa frase le riecheggia melodicamente nella testa. Nessun posto è come Casa, e Dionne continua a credere in maniera fervida in ciò. Per due anni ha girato di isola in isola, spingendosi da Cuba fino a Cartagena, conoscendo ed immergendosi nelle multiformi e colorate realtà caraibiche: suo fedele compagno lungo tutti gli orizzonti al suo fianco, il mare.
    Soltanto tre mesi fa ha lasciato in maniera più "definitiva" Antigua per trasferirsi a New York. E detta così questa decisione appare una virgola decisamente stonata nell'arco di tutti i due venticinque anni di vita caraibica e strettamente isolana. Sono stati sua nonna Gisele (decisamente la più convita) e suo padre Riel a spronarla di andare negli Stati Uniti e mettere a frutto quello che per anni era stato ignorato o sopito nella loro famiglia: la magia. Dionne non aveva poi semplicemente le capacità magiche del padre e della nonna, e la parte ibrida dei suoi geni pareva motivo in più per spingerla a imparare, conoscere e sfruttare doti come le loro. Quella di Dionne è stata una lotta durata per diversi mesi prima di decidere di partire, sebbene assolutamente contrariata dalla scelta, ma messa davanti all'indiscutibile veridicità delle parole e dei consigli di sua nonna.
    Da due mesi è dunque a New York, dove si dovrebbe iscrivere, anche se ancora non ha concluso nulla, alla Brakebills e cercando di trovare un senso che vada oltre alla matassa grigia e nevrotica della Grande Mela.
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    Edited by Jyn - 30/9/2019, 22:32
  10. .
    sport: arti marziali

    In coppia con Dylan



    Prendere il ritmo con le lezioni, con gli impegni, con la nuova vita accademica alla Brakebills sta diventando tutto sommato piacevole. Per certi versi riporta Michelle con la memoria ad anni ed anni prima, alle lunghe giornate di Hogwarts. Somiglia quasi ad un dolce déjà vu dove però al posto di una ragazzina con la mantella e la sciarpa gialla legata bene al collo per scansare il freddo di Novembre, ce ne è una altrettanto infreddolita, ma con ancora il golf di lana nell'armadio, e con un'ansia subdola e fastidiosa a mangiucchiarle lo stomaco. Si sta abituando anche a quello ma, per quanto il Professor Lockwood cerchi di sdrammatizzare, quello di Psicocinesi quel giorno resta pur sempre un esame nvero. E' più forte di lei: non ce la fa a prenderlo con tranquillità assoluta, non quando soprattutto l'incombente evento viene ricordato ogni giorno da avvisi a giro per l'accademia.
    Fa saltellare le gambe sotto il tavolo nervosamente Michelle, ma sa pure lei che su quel banco ci starà molto poco. Ormai ha imparato dall'ultimo esame di Magia Runica: è difficile che il professore consegni testo e tracce e fissi la consegna al suonare della campanella.
    Può piacere oppure no il sottoporsi alla prova direttamente sul campo, ma di certo non lo si può reputare noioso.
    Passato il portale Michelle si trova a sbattere le palpebre con forza un paio di volte prima di cogliere nell'interezza con lo sguardo la grande piramide che le si para dinnanzi. Che sia reale o solamente finzione non ha importanza: da quando ha cominciato le lezioni alla Brakebills India ha capito che la cosa è assolutamente indifferente, o quasi. Ma non è questo che importa, non ai fini dell'esame.
    Passa qualche istante scrutando unicamente dall'esterno la struttura per farsi un'idea più o meno generale, per dare spazio all'immaginazione e alla formulazione delle prime ipotesi piuttosto che buttarsi a capofitto dentro. Si tratta sempre di fare un minimo di investigazione, di porre attenzione, di studiare l'ambiente, il luogo, cogliendo più dettagli possibili. No, altro che foglio, penna e consegna del tema a fine ora.
    Non sa di avere un compagno: se ne accorge solamente quando, avvicinandosi all'ingresso, sente il suono duro di pietra contro pietra e non vedere poi una figura muoversi all'interno della piramide. La possibilità che possa essere quello il primo ostacolo viene accantonata non appena riesce a scorgere il viso del ragazzo già visto in aula tra i tanti pochi minuti prima.
    Si guardano per qualche istante contemplando i propri tratti, e magari cercando di ricordare se si sono già visti prima di quella lezione. La risposta in ogni caso è no, e solo le parole di lui rompono con l'eco il silenzio della piramide forse con una punta di comprensibile difficoltà.
    D'altra parte nessuno dei due si aspettava di trovarsi affiancato un compagno di viaggio. Se il Professor Lockwood li ha voluti così allora un motivo ci deve essere, ergo la piramide da soli non la si può affrontare. Ciò non significa che Michelle, in quanto signorina, debba lasciar fare tutto a lui. No, assolutamente! Si tratta pur sempre di un esame e Hyram Lockwood da qualche parte - non si sa bene dove e come - osserva e valuta pure lei. Ciò non significa che non apprezzi la sua proposta di aiutarsi a vicenda. Ok darsi da fare, ma Michelle non è così malsanamente competitiva. Ripeto: se il Professor Lockwood li ha messi in coppia un motivo ci deve essere.
    «Sì, va bene» risponde annuendo convinta e lasciando scivolare sul volto un altrettanto mezzo sorriso cordiale.
    «Io sono Michelle» aggiunge, perchè a questo punto presentarsi le pare d'obbligo se devono fare anche solo un minimo di gioco di squadra. Gli "Ehi tu" alla lunga non erano poi così piacevoli, e creare anche solo un briciolo di sintonia sente possa essere favorevole per affrontare la prova dell'esame.
    L'obiettivo: le scale. Non vede altra via, o almeno le sembra l'unica da poter percorrere.
    La tecnica di Dylan le pare saggia per tastare il terreno e sbloccare possibili trappole: sarebbe tutto troppo facile se quel semplice percorso in linea retta verso la scalinata fosse completamente libero. In un certo senso quasi se lo sente che salterà su di tutto su quella via perfettamente lineare. Sarebbe quasi assurdo se non lo facesse, e in tal caso significherebbe solo che 1) o hanno da esplorare quel pian terreno, 2) o qualcosa di "peggio" li aspetta al piano superiore.
    Sempre dall'ingresso si affaccia meglio sulla grande sala osservando attentamente le pareti sulle quali delle aperture sembrano rivelare delle retrostanti stanze, e le quattro possenti colonne i cui rocchi sbozzati e polverosi sorreggono quello che deve essere un altrettanto pesante piano superiore, sempre che sia dato loro arrivarci.
    Osserva poi il compagno tentare di avviarsi verso la scalinata seguendo attentamente il percorso sicuro tracciato dal rotolare scandito di quel pezzo di macerie. Lo aspetterebbe poi percorrere da solo quella distanza che lo separa dalla scalinata, sul percorso tastato dalla pietra.
    Decide di fare lo stesso, seguendo la stessa via, ma tenta di utilizzare ed affidarsi ad un passo decisamente più svelto e volendo più leggero grazie ad una Accelerazione Telecinetica che le permetterebbe di percorrere lo stesso tragitto di Dylan velocemente e senza idealmente caricare le mattonelle sottostanti del peso di un passo completo. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio e la trappola è sempre in agguato. Proprio per questo non si trasporta con uno Spostamento direttamente sulle scale. Anche queste possono, per esempio, crollare loro sotto i piedi.
    Si sarebbe fermata proprio prima del gradino per ripetere la stessa operazione compiuta dal ragazzo per tastare le mattonelle.
    Applica uno Spostamento Telecinetico alla stessa maceria che è arrivata sino all'alzata del primo gradino, per farla risalire, gradino dopo gradino sino al pianerottolo per tastarli e, in altrettanto modo, assicurarsi della loro stabilità e sicurezza. Solo a quel punto avrebbe pensato, Michelle, di salire.
    «Come what may»
    I ANNO | 1996 | [scheda]
    © ShadowCorner



    Skills utilizzate
    - Accelerazione Telecinetica.
    - Spostamento Telecinetico.
    Bonus pg //
    Altre materie//
    Skills Sbloccate
    - Spostamento Telecinetico
    Requisiti: 18, I lezione I anno
    Tipologia: Vettore
    Descrizione: Permette di applicare un vettore Spostamento su un corpo inanimato, in grado di spostarlo in una direzione e con un’intensità scelte. Lo spostamento sarà regolato in base alle dimensioni del bersaglio con un massimo di 10 metri.
    Può essere utilizzato anche solo su una parte di un oggetto per scomporlo, su un oggetto addosso ad una persona per muoverne il corpo ma anche su un oggetto in movimento per effettuare una schivata.

    - Forza Telecinetica
    Requisiti: 20, I lezione I anno
    Tipologia: Vettore
    Descrizione: Permette di applicare un vettore Forza verso un corpo inanimato o un essere senziente per colpire in un punto desiderato. Si è così in grado di deformare oggetti o di effettuare un colpo a distanza durante un combattimento, ad un massimo di 5 metri.
    ]

    - Accelerazione o Decelerazione Telecinetica
    Requisiti: 22, I lezione I anno
    Tipologia: Vettore
    Descrizione: Permette di applicare un vettore Accelerazione (o il medesimo vettore con verso opposto) su un bersaglio in movimento, rendendo possibile aumentare/diminuire la sua velocità. Può essere applicato anche sul mago stesso per rendere più rapidi i propri movimenti o per frenare una caduta. Se il bersaglio è un essere senziente, egli può cercare di muoversi più rapidamente per contrastare l'effetto della decelerazione.

  11. .
    sport: corsa (annoiata)


    Era tardo pomeriggio quando cominciò l'ennesima lezione di Psicocinesi.
    Oltre la Negromanzia e la Magia Nera era forse la materia che più lo affascinava.
    Non c'era un motivo in particolare, ma lo trovava un campo più diretto, più pratico, più di impatto. Se fosse più utile di altre materie non lo sapeva ma cosa certa era che tutti i ragazzini biondi e carini desideravano muovere gli oggetti con la forza del pensiero.
    Medea Loveridge fu abbastanza sbrigativa: grazie al cielo. Finalmente le cose si facevano sul serio.
    Non che Cassius fosse un animaletto intollerante e agitato (o forse sì), ma tornare sui banchi, più o meno, era qualcosa che aveva odiato proprio fisicamente.
    Passò subito il portale aperto e si ritrovò presso l'ingresso di una cattedrale, o almeno di quello che ne rimaneva. Spogliata, divelta, gettata nello scompiglio e nella più caotica blasfemia. Non che la sua presenza lì contribuisse a ridare o almeno a riconoscere una santità di quel luogo: gente come lui non aveva proprio nulla di santo. In compenso il suo schifoso egocentrismo era uno sputo nella dissacrante visione di quel luogo martoriato.
    Doveva essere stato pure un gioiello architettonico non indifferente, ma ormai di esso non rimaneva che una pallida tetra ombra insieme ai piombi ancora integri delle grandi vetrate. La porta (o quello che ne rimane) è spalancata e dentro la visione è ancora più tremenda. Animo e sangue corrotto ma resta comunque sempre un dispiacere vedere luoghi in condizioni simili.
    Il lungo tappeto che porta direttamente fino all'altare è logoro, bruciato malamente in alcuni punti. Ma la cosa che più lascia sconcertati è l'altrettanto tappeto di ossa che si stende lungo tutta la navata.
    Il messaggio è abbastanza chiaro: quello è un campo minato.
    Non ci andavano quasi mai leggeri con loro i professori. Il Circolo aveva ben poco a che vedere con Hogwarts: lì niente punteggi, niente tavolate di compagni, niente sciarpe verdi colorate e scale mobili sulle quali spingere i Tassorosso distratti per poi svignarsela.
    Se Medea Loveridge voleva un oggetto in particolare forse quegli sventurati avevano avuto la stessa saggia idea di cercarlo. Di certo, se c'erano tanti resti questo fantomatico oggetto non doveva trovarsi in così bella mostra. Che fosse tutto finto, oppure tutto reale Cassius non poté non pensare di trovarsi adesso da solo probabilmente nella stessa condizione di quegli uomini che adesso se ne stavano riversi a terra a giocare a shanghai con i mignoli.
    Dall'ingresso, senza muoversi, lascia rimbalzare lo sguardo da un parete all'altra della cattedrale cercando il da farsi dapprima solo con lo sguardo.
    Non si sarebbe messo a percorrere la navata fischiettando in maniera incauta.
    Potrebbe usare il suo totem e quelle sue maledettissime doti da farfallina per spostarsi da un luogo ad un altro: si ma dove? Quello davvero potrebbe essere un covo di tranelli e mortali trabocchetti. E poi ha la certezza che Medea Loveridge lo sta osservando da chissà dove. È Psicocinesi no?
    Si affaccia sollevando lo sguardo verso il soffitto e lasciandolo lentamente scivolare fin sopra le colonne. Un pezzo di matroneo è già crollato e la colonna sottostante ha fatto lo stesso.
    È l'unico modo che ha per sapere se qualche trappola scatta (sempre che ve ne siano e già pare alquanto strano in una cattedrale, ma altrettanto strani sono tutti quei morti senza tomba), e per trovare un punto sicuro dove poggiare i piedi. Prendere il posto di mezzo busto mancante di una colonna crollata gli pare la cosa più sicura e certa da fare. Trappole e feritoie si progettano prima di tirar su definitivamente i muri, e se un sostegno lì è stato eretto allora lì era destinato sicuro a stare. Il come fosse poi stato buttato giù ..beh.. da qualche parte doveva cominciare ad escludere tutte le possibili minacce di quel luogo.
    Esercita una forza telecinetica verso la colonna che riesce ad entrare nel suo campo di azione per scongiurare ogni possibilità che possa rovinare ancora a terra con il suo peso. Solo assicuratosi della sua stabilità e sicurezza avrebbe invece sfruttato le doti del suo animale totem e per trasferirsi su quella colonna e osservare dall'alto la zona. Avrebbe forse allora notato il grosso "morso" tirato al tappeto proprio presso le ultime colonne della navata.
    «Everybody wants to rule the world»
    MAGO NERO | 1995 | [scheda]
    © ShadowCorner



    Skills utilizzate
    -Forza telecinetica
    -Dispersione corporea (Totem)
    Bonus pg
    Animale totem: Falena.
    Altre materie
    Skills Sbloccate
    -Spostamento telecinetico
    -Forza telecinetica
    -Accelerazione o Decelerazione telecinetica
  12. .
    A Cassius l'America fa schifo.
    New York fa schifo, e questo lo pensa da che ha messo piede in questa città. A soli cinque miseri anni neanche aveva avuto la possibilità di sviluppare un pensiero veramente critico a riguardo: i palazzi erano alti e grigi uguali. Adesso però che a ventitre anni si ritrova in un bar squallido e psichedelico come il Felix Felicis, Cassius si sente pienamente convinto della sua affermazione.
    Non è mai stato, e forse non sarà mai, un romantico sentimentale patriota inglese con la croce di Saint George al petto che saluta i ragazzini in alta uniforme durante le feste cittadine, ma Londra resta ineguagliabile, e soprattutto resta indubbiamente casa sua. Ciò è incontrovertibile.
    Gli americani somigliano più a una massa senza volto, senza caratteri, un indistinto e nervoso blob che nei vicoli del Bronx puzza di piscio.
    New York non ha faccia. Ne ha troppe, mischiate assieme che cercano di prendersi a cazzotti per farsi spazio senza un cazzo di senso e di ordine.
    E' anche questo ciò che non capisce della sua famiglia, il motivo che ha spinto gente come gli Waldegrave a mescolarsi con gente simile e in simili luoghi. L' America sputa solo soldi, ed era questo che interessava a suo nonno. No, non li sputano: li vomitano. L' America, gli americani ingurgitano tutto senza ritegno, senza garbo, senza chiedersi, e rivomitano soldi, soldi a palate per chi negli anni si è fatto furbo. E' la miniera degli stupidi, e la sua famiglia, suo nonno non aveva guardato in faccia a nessuno all'epoca.
    Le raccomandazioni di Kassandra non servono a niente: Cassius sa che anche a lei fa schifo stare lì.
    Allora tanto vale buttarsi nella feccia di un bar: è soltanto uno dei tanti e troppi lati di un dado storpio che parla male inglese.
    Nessuno bada a Cassius quando varca la soglia del Felix, al contrario di lui. Per quanto possa essere disturbato in generale dalla situazione non si fa sfuggire nemmeno un dettaglio.
    Si abbassa il cappuccio grigio della felpa e si siede a bancone facendo balzare lo sguardo dalle venature metalliche del banco scuro alla parete addobbata di liquori e di bottiglie più o meno variopinte.
    La lingua moscia del barista che gli chiede cosa vuole bere è una microscopica punta di quella che è una giornata già abbastanza orripilante. Cassius nemmeno sopporta l'accento americano.
    Prende del gin. Non è un gran bevitore, ma almeno il sapore prettamente di alcool gli annienta le papille gustative e lo tiene buono almeno per una mezzoretta prima di inveire mentalmente e non contro lo schifo dell'alcool d'Oltreoceano.
    A catturare la sua attenzione vi fu solo il suono duro e legnoso delle stecche contro le palle da biliardo in fondo alla sala. Vi posò per qualche istante lo sguardo, poi tornò a buttar giù piccoli sorsi di gin.
    «Everybody wants to rule the world»
    MAGO NERO | 1995 | [scheda]
    © ShadowCorner
  13. .
    Aveva passato troppo tempo con i No-Mag. Aveva lasciato che il velo della umana quotidianità scivolasse nuovamente sui suoi occhi, assopendo i suoi primordiali e genetici istinti; quel formicolio che produceva la magia brulicando nelle sue vene. Poteva passare tutte le settimane che voleva in tombe come quella a cercare di sviscerare i più antichi misteri di quella civiltà magica, ma forse lei per prima scendeva in quei siti con una mano sugli occhi, per scorgere tra le dita solamente una parte di quel tutto nascosto agli occhi di molti. Forse il lavoro di suo padre era, sotto questo aspetto, molto ma molto più onesto. Da lì riusciva a comprendere una parte di quel suo desiderio di veder la figlia continuare la sua opera e mettere a frutto tutti quegli anni alla Brakebills. Ahimè anche Nathan Paxton aveva tuttavia capito quale fosse il "limite" dei suoi figli: avevano vissuto troppo come semplici No-Mag. Persino lui per anni aveva creduto di non aver trasmesso nulla del suo gene ai suoi pargoli. Emma poi era una semplice babbana e aveva cresciuto Alexandria e Justin come tali. Non poteva averne nessuno la colpa: le cose erano andate nel loro semplice ordine naturale, e nel caso di Alexandria, Natura aveva voluto che il suo approccio alla magia fosse stato più tardivo, forse anche meno viscerale.
    Natura era una cosa, ma le scelte volontarie erano ben altre. Forse se avesse subito seguito il consiglio del padre avrebbe saputo riconoscere immediatamente l'aura dell'uomo che le stava quel giorno a fianco. Forse non sarebbe nemmeno stata lì proprio quello stesso giorno. Un bene o un male?
    Forse fu anche causa della sua "cecità" temporanea il non riuscire a comprendere nell'immediatezza le parole di David Kingsley. Rimasero piuttosto sospese nell'aria stantia e polverosa della tomba, lasciando ad Alexandria solamente l'imbarazzo di non saper come rispondere.
    La camera nella quale erano scesi sicuramente aveva molta più importanza dei loro commenti sul quanto le avrebbe fruttato quel lavoro nella sabbia calda dell' Egitto. L'eco chiaro della sua voce che narrava dei luoghi e degli abitanti di essi rimbalzava insieme a quelle storie sulle pareti, quasi come a conferma di quanto la sua "magnifica tesi" avesse poi un misero significato davanti al vero valore di quelle pareti apparentemente scarne.
    Le sue ultime parole persero via via la decisione e la martellante precisione con la quale erano state inizialmente pronunciate: troppo persa ad osservare l'indice del signor Kinglsey scivolare sulla parete davanti a lei. Dubbio, interesse, incompresione: cosa credeva di fare con quella mano su una parete antica di millenni?
    Si aggrappò con le mani alla cintura, spostando il peso sulla gamba opposta e umettandosi appena le labbra con una punta di nascente nervosismo.
    «Un popolo piuttosto vendicativo, gli egizi. Non tanto diversi dai romani e la loro damnatio memoriae, ma di certo erano assai più creativi nell'infliggere dolore.»
    «Signor Kingsley, tolga la mano dalla parete» gli disse priva della giovialità di qualche minuto prima.
    La sua sicurezza le metteva un nervosismo crescente addosso, e non si trattava solamente di quella povera parete solida ma delicatissima agli occhi di un archeologo come lei. No, non era solamente il violare una delle tante, seppur basilari, norme della conservazione dei reperti storici.
    Quell'uomo trasudava una invisibile determinazione che di minuto in minuto le toglieva tutta la tranquillità con la quale era entrata nella tomba.
    Forse era solo una sciocchezza: una punta di nervosismo che sarebbe scomparsa non appena avesse dato retta alle sue indicazioni.
    O forse no.
    La semplice tensione divenne gelo quando riconobbe la pietra incastonata nel suo oggetto comparso come da nulla da dentro le sue innocue vesti da dottore di Cambridge.
    Lo divenne davvero quando, nel primo impeto di viscerale reazione, ricordò di non avere più la sua al polso. La sua era nello scatolone, insieme a tutta la roba della Brakebills. Era così tanto tempo che non indossava il suo bracciale con la pietra, ma in quel momento fu come se il suo polso si fosse orribilmente alleggerito a causa di quella mancanza ora improvvisamente vitale.
    Serrò la mascella e rimase immobile a guardare il kunai sprofondare in quello che riconobbe perfettamente essere un cerchio alchemico: ne aveva visti così tanti negli anni in cui aveva studiato Alchimia.
    Solamente il suono secco della pietra alle loro spalle riuscì a liberarla da quello stato di paralisi, facendola scattare inutilmente in direzione della parete che adesso aveva come inesorabilmente chiuso l'entata e allo stesso tempo la loro unica uscita. Il buio calò nella tomba, e mai come in quel momento Alexandria desiderò non essere mai arrivata in quella Valle, in Egitto, in Africa stessa.
    Battè sulla parete stranamente fredda inutilmente. Neanche il professor Bennet sarebbe riuscito a sentirla, nè tantomeno avrebbe potuto effettivamente fare qualcosa di concreto: non sarebbe bastata una semplice ruspa o qualsivoglia macchina per "scardinare" una parete posta da magia stessa.
    Stare al buio con quell'uomo poi era la cosa che più la spaventava al momento. Senza pensarci ulteriormente afferrò la pila dalla sua cintura e la accese puntandola con silenziosa violenza su David Kingsley chino a terra sul suo cerchio e con la mano macchiata di sangue. L'odore di ferro parve saturare l'aria: quanto ne stava versando?
    La visione e l'odore le diedero alla testa, ma si fece a sua volta violenza costringendosi a rimanere attenta e a temprare i suoi nervi scossi.
    La luce del cerchio alchemico si riflesse in un bagliore carminio per tutta la sala, lasciando conseguentemente spazio al suono altrettanto duro e freddo della pietra: al posto della parete un'apertura nuova. Rimase per qualche istante a fissare la porta nerissima senza nemmeno avere il coraggio di puntarvi contro la torcia. Il respiri profondi e sempre più scanditi furono l'unico suono che echeggiò nella tomba, come se dopo millenni anche essa fosse tornata a vivere, come se il suo ospitante fosse tornato nuovamente dal mondo dei morti. L'ipotesi che potessero diventare loro i nuovi proprietari del funerario luogo non osò sfiorare Alexandria sul momento. Non avrebbe retto anche un attacco di panico.
    «Chi diavolo è lei? »
    Non riuscì a dirgli altro. Cosa avrebbe potuto aggiungere? Era ormai piuttosto evidente che il "signor Kingsley" non fosse dell'università di Cambridge.
    Non le interessavano nomi e cognomi, voleva solamente sapere quali fossero le sue intenzioni lì e soprattutto come uscire da quella situazione. Poteva trovarsi persino con un serial killer tra quelle quattro pareti scure e proprio per questo la sua esigenza di uscire di lì si faceva sempre più urgente.
    Ma come in un vero film di Indiana Jones l'unico modo per tornare alla luce del sole era andare avanti no? E in quell'assurda, quanto cinematografica situazione, la loro opportunità di andare avanti era data da quella porta e da quel cerchio disegnato a terra. Ah e dal suo sangue.
    Dare per avere. Ma certo...
    Non aveva tante altre scelte. Come uscendo dalle sue difese si avvicinò all'uomo e, pur rimanendo alla debita distanza di sicurezza, gli strappò dalle mani il kunai. Sempre con gli occhi fissi nei suoi e la torcia puntata contro il suo volto si chinò sul cerchio lentamente. Spostò la presa dell'unica fonte di luce sulla falangi per fare appena più spazio al kunai che si adagiò sul palmo della sua mano.
    Prese qualche respiro, si morse violentemente le labbra e premette contro la pelle chiara lasciandovi uscire un vivace rigagnolo di sangue.
    Ci impiegò diversi secondi prima che le gocce scarlatte si distaccassero dalla sua mano imbrattata per andare a macchiare a loro volta il cerchio alchemico.
    Qualche istante, qualche goccia e di nuovo il solito rumore di pietra sulla sabbia. Il corridoio di aprì oltre il varco nero mostrando loro l'unica ed obbligata via per proseguire nella speranza di uscire di lì.
    «Dopo di lei. Se permette»
    Non sarebbe stata lei a dargli le spalle, questo era poco ma sicuro.
    «There's no place like home»
    STUDENTESSA IN ARCHEOLOGIA | 25 ANNI | [scheda]
    © ShadowCorner
  14. .
    Non vede niente Michelle. Nella mente ha solo stampato il nero della palpebra e qualche lampo luminescente e pulsante che le si fissa sulla cornea in maniera ben più che fastidiosa. Ah ma non è quello ad essere il suo vero problema e a generarle una simile tensione.
    La cosa stava diventando ben più reale, ben più coinvolgente, che ben poco aveva a che fare con le quiete lezioni dei college.
    Nei mille pensieri, uno, in fondo al cervello, continua a fare capolino facendole domandare se davvero tutto ciò fosse necessario e soprattutto controllato dal professor Sigurðsson. In fondo era stata "avvertita" da quella strana donna quando il primo giorno le era stata consegnata la pietra del suo catalizzatore.
    Sicuramente questo genere di lezioni era molto più "coinvolgente" di quelle fatte a voce piatta da un semplice professore davanti alla lavagna: nessun rischio di addormentarsi sul banco. No, qui non era neanche vagamente possibile.
    India non riesce a vederlo, ma sente il ragazzino allontanarsi dalle sue mani che si sporgono avanti con le dita come uncini pronti ad aggrapparsi, ad afferrare disorientate in quell'improvviso stato di cecità.
    In casi simili si sarebbe sentita semplicemente impotente, ma in quel momento, spinta da chissà quale forza interiore e presa di iniziativa, sente di dover assolutamente reagire, fare qualcosa.
    Sente che il ragazzino si è allontanato, sente i suoi passi trascinati e brevi sull'erba mentre dalla sua gola stretta si leva un pianto stridulo, fastidioso, estremamente tipico dei bambini come lui.
    Continua a stento a capire le sue parole: in esse vi è un messaggio ben più profondo che tuttavia Michelle non riesce a capire. La carta dei tarocchi della Stella era estremamente personale, era unicamente sua. Quel ragazzino, quella Stella di rimando doveva parlare proprio a lei, ma al momento India non la comprende. E' troppo presa dal strofinarsi le mani sugli occhi per cercare di recuperare un po' di visibilità e di capire cosa altro aspettarsi.
    Mette più volte i piedi in fallo sul terreno muovendosi senza grazia mentre ancora il giovane parla.
    Comincia a vedere di nuovo qualcosa, ma ciò che scorge è quella macchia di luce allargarsi ed allargarsi fino ai suoi piedi.
    Il lago diventa un gigantesco cratere luminescente, e tutto il terreno cede ad esso, vi rotola come dentro vorticosamente insieme a tutte quelle stelle.
    Michelle si sente mancare il terreno sotto i piedi e finisce inevitabilmente anche lei in quell'imbuto di cielo aperto su chissà cosa.
    Ancora vede a stento ma avverte distintamente il senso della caduta e infine qualcosa che la frena, come uno strano attrito, che tuttavia non la fa tornare coi piedi per terra, ma la sostiene in quel lago, in quel cielo. Galleggia ma non vi è acqua. Vola ma non vi è un vero cielo. È un cuscino stellato freddo, sempre più freddo.
    Lo trova paradossale: delle stelle così grandi, così vivaci e feroci dovrebbero emanare un calore pari solo al loro risplendere; ed invece tutto è ghiaccio, tutto è gelo.
    La runa Fortitude ormai ha perso il suo effetto, ma non sente di averne più bisogno.
    Finché ha tatuata ancora Endurance sente di poter star sicura da un lato da improvvisi ed inaspettati attacchi di qualsiasi genere.
    Quello strano ragazzino non le sembra violento in fondo: il suo pianto stridulo tradiva forse anche la sua incapacità di far veramente del male.
    Non sa dove sia finito adesso e si ritrova sospesa in quel cielo stellato e pulsante. Forse per la prima volta da che ha preso la sua carta tra le mani sente di poter ritenere quell' "ambiente" quasi affascinante, ma la cosa dura poco quando comincia ad avvertire la gelida lingua che la lambisce oltre la maglia, proveniente da quelle stelle forse morte sebbene cariche di luce.
    Ha tutto dell'assurdo. Una sorta di dimensione onirica terribilmente vivace e concreta.
    Di nuovo cerca di non perdersi d'animo e di espandere di nuovo la sua percezione energetica: ha bisogno di capire in quale nuovo scenario si ritrova e come uscirne soprattutto.
    Ma fa freddo, sempre più freddo, e così casta Thermis per aumentare la sua temperatura e lasciare che il calore l'avvolga e la preservi da quel gelo incalzante.
    Non sa neanche in che posizione si trova, se è sotto, se è sopra. Volta il capo e vede solo quei globi luminescenti.
    «Ehi!» prova a chiamare il ragazzino, sempre più convinta che non lo sia in senso strettamente letterale.
    Fa parte di quel mondo letteralmente sottosopra: solo lei è l'intrusa.
    «Ho trovato la stella. Ho trovato quale stella pescare» dice ancora.
    Non lo sa bene neanche lei cosa o chi le suggerisce quelle parole, ma sente essere l'unico modo per continuare a relazionarsi con quel fanciullo.

    «Come what may.»
    I ANNO |1996 | [scheda]
    © ShadowCorner


    Skills utilizzate nel post
    - Percezione energetica (I livello)
    Requisiti: Completamento I lezione I anno
    Raggio: I livello raggio di 5 metri (area circolare con al centro il mago di 10 metri)
    Durata: immediata
    Movimenti: Il mago si concentra sui flussi energetici circostanti, distinguendo chiaramente l'energia multiversale.
    Effetto: Sfrutta la capacità del mago di riconoscere l'energia del multiverso in sè stesso e nell'ambiente circostante. Permetterà una sorta di analisi di ciò che circonda il mago attraverso i flussi energetici che l'energia del multiverso attraversa, nonchè di individuare eventuali incantesimi runici incisi, o l'eventuale presenza di maghi runici, incantesimi runici in atto, variazioni energetiche superficiali.


    - Thermis
    Requisiti: //
    Raggio: //
    Durata: 2 turni
    Movimenti: L'incisione della runa avviene attraverso il tocco del mago sulla pelle. Concentrandosi attentamente sulla runa prescelta e sul suo effetto, il mago incanalerà attraverso le proprie mani l'energia del multiverso nella runa, che comparirà marchiata sul corpo del mago.
    Effetto: Thermis permette al mago di utilizzare l'energia del multiverso per aumentare o diminuire la propria temperatura corporea di 5°C, conservando all'interno del corpo od aumentando la dissipazione di energia sotto forma di calore.
    Bonus del PG/Bonus Razza
    //
    Oggetti/Elenco skills sbloccate:
    - Percezione energetica (I livello)
    - Disattivazione Shadowhunter (Skill Passiva)
    - Fortitude
    - Endurance
    - Thermis
  15. .
    Lo avverte: quel ragazzino è pregno di energia. In un certo senso non potrebbe essere diverso: se lui è lì in quel mondo, che neanche sa quanto è fittizio, tanto diverso non poteva essere quel fanciullo dalla pelle chiarissima. No, non è solo la pelle a risplendere, è tutto lui che sta diventando pian piano sempre più luminoso. È una sua impressione o è il riflesso delle luci delle stelle che altrettanto innaturalmente si riflettono sulla superficie nera del lago sempre più chiara?
    A guardarle non sembrano stelle: appaiono come grosse lucciole che danzano appena sotto il velo dell'acqua.
    Qualcosa sta cambiando, lo avverte. L'aver castato Fortitude la aiuta a scacciare quella strana angoscia che nasce dagli occhi del ragazzino e che direttamente la trafiggono, ma la sua risposta sembra non soddisfarla.
    Nonostante sia forse tutta una finzione costruita dal professore ancora seduto chissà dove dietro la sua cattedra, Michelle si sente terribilmente coinvolta. È trepidante, ha degli strani sentimenti addosso che non riesce a decifrare.
    Cosa vuole? Cosa si aspetta? La sua risposta andava bene? Perché la guardava ora così.
    Accidenti al nervosismo.
    Anche quell'ansia stava diventando quasi illusione in quello scenario di cui sempre più difficilmente riusciva a scorgere e definire chiaramente i limiti con la realtà.
    Michelle si limita solo a seguirlo con lo sguardo mentre si sporge a sfiorare l'acqua che ribolle di luce.
    Non sa bene rispondere alla sua domanda: a stento riesce a distinguerle le stelle riflesse sempre più luminescenti, tanto da costringerla a strizzare gli occhi.
    Non ha tempo di rispondergli.
    Si arrabbia, e più grida più esplode di luce, e India a stento lo comprende: è più impegnata a fronteggiare il bagliore sempre più forte che ha reso la notte giorno. Ciechi davanti alla verità.
    Prova a indietreggiare dalla Verità ma quella luce la abbaglia. In cosa l'ha cacciata il professore? È così anche per tutti i suoi compagni?
    Guardami. Guardare la Verità. Ma non ce la fa, non ce la fa. È importante?
    «Sì! Sì!» gli urla cercando di coprire il viso con le mani per ripararsi da quell'accecante e furioso splendore mentre lui la costringe a guardarlo.
    Non ce la fa, è resa per il momento cieca da quella luce sempre più forte che si irradia dal ragazzino. Il cuore le batte all'impazzata nel tempo.
    Non ci vede, non può neanche tentare di scappare: cadrebbe con ogni probabilità nel lago nel migliore dei casi, ma posa un dito sul braccio e a memoria, letteralmente alla cieca tenta di castare Endurance per resistere a quel bagliore che anche fisicamente la schiaccia.
    Non lo vede più, ma gli tende le mani, per tentare di spingerlo, di allontanarlo da sé come può, come riesce.
    «Come what may.»
    I ANNO |1996 | [scheda]
    © ShadowCorner


    Skills utilizzate nel post
    - Runa Shadowhunter: Endurance
    Requisiti: //
    Raggio: //
    Durata: 2 turni
    Movimenti: L'incisione della runa avviene attraverso il tocco del mago sulla pelle. Concentrandosi attentamente sulla runa prescelta e sul suo effetto, il mago incanalerà attraverso le proprie mani l'energia del multiverso nella runa, che comparirà marchiata sul corpo del mago.
    Effetto: Questa runa aumenta la resistenza fisica del mago, attingendo all'energia del multiverso come vera e propria riserva. Conferisce all'incantatore un bonus alla Resistenza Fisica di +3. Se utilizzata per più di tre turni consecutivi, tuttavia, può indebolire progressivamente il mago, a causa del sovraccarico.
    Bonus del PG/Bonus Razza
    //
    Oggetti/Elenco skills sbloccate:
    - Percezione energetica (I livello)

    - Disattivazione Shadowhunter (Skill Passiva)

    - Runa Shadowhunter: Fortitude

    - Runa Shadowhunter: Endurance

1075 replies since 29/7/2012
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