Catene e Ombre

Adual & Saeros (Lira, Soren) | Delios

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    Adual
    della luce di Cosmos
    l'erede di cosmos – la speranza della luce infinita – l'orfana
    evocatrice
    20.
    Nel sonno dicono si generino mostri, eppure io ho sempre dormito benissimo, lì nella mia stanza in cima alla torre, circondata dai miei cari. E no, ora so anche da dove vengono i mostri e che aspetto abbiamo. So che aspetto ha Lui. l'Oscuro di Delios, il nostro nemico naturale. Questi mostri, dunque, non sono frutto di nessuna mente contorta o illusione triste, esistono da sempre nei luoghi in cui la luce non arriva, non risplende e non si alimenta. Vivi a metà, come sono adesso anche io, non so dove in un lento risveglio che agita un corpo costretto. Perché le ultime immagini saranno per sempre le prime che avrò tra gli occhi quando li aprirò. Il silenzio in cui hanno accettato la fine, tutti. Un guerra durata un battito di ciglia. La fine della civiltà che è diventata uno strappo al petto, come se in fondo mi avessero aperto la cassa toracica per estrarne il cuore pulsante e, dopo, l'avessero richiusa come cavità vuota. Io ricorderò sempre la caduta di Cronos. Quando l'Ombra con il suo mantello ha coperto il cielo, credevamo di essere pronti, almeno loro avrebbero dovuto esserlo. Loro che hanno tenuto in mano la Luce per secoli, alimentandola dopo ogni generazione con una nuova fiamma. E lei, mia sorella, era la prossima in successione, dopo mia madre. Lei aveva studiato, era pronta, si era addestrata quando io non sono mai valsa a nulla. "Senza poteri" era la definizione del custode, e così sono rimasta nel vederli cadere, uno ad uno. E' stato rapido anche se la battaglia è durata ore. Quando loro sono morti il tempo si è fermato. Un rallentare di particelle del cosmo, l'affievolirsi della speranza. E' valso a nulla il mio grido, non ho saputo fare altro. Erano la mia famiglia, e come ho visto crollare mio padre, per primo, l'ho visto rapidamente seguire da mia sorella. Si è lanciata contro qualcuno che in fono non è stata in grado di prevedere in alcuna mossa. Lo stesso modo in cui si è piegata lei, è stato riservato a mia madre; la Regina, la Luce. Suppongo che adesso le cose debbano cambiare, e che quella stretta che ho sentito non sia altro che un dolore, uno di cui posso parlare solo perché ancora non lo credo reale. Ancora credo che aprirò gli occhi e sarà stato uno di quegli incubi che si generano così, dal nulla. Ma ho la gola secca, e quando davvero mi sforzo di stringere le palpebre per percepirmi, come mi hanno insegnato da bambina, sento solo che nella comodità sono.. legata. Ai polsi è stretto qualcosa che mi tiene ferma anche se sciolta in una stanchezza che non ho chiesto, mi è stata imposta ed è già un cuore, il mio, che batte più di quanto dovrebbe. Non posso farmi prendere dal panico, perché se sono ancora viva è stato fatto un errore, il mio valore è lo stesso di una serva, non devo restare in vita. Non io. Non posso fare niente per nessuno, non ho.. la Luce, non funziona così ed anche se fosse, beh, non lo è: perché non ho sentito nulla se non questo vuoto. Un respiro che perdo quando mi decido ad aprire gli occhi e tendere i polsi, tirare anche se fa più male. Io ho paura di sapere già dove sono, fin dove sono stata trascinata e... da chi.
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    Edited by nocturnæ - 16/5/2021, 10:46
     
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    Saeros
    dell'ombra di Delios
    L'Oscuro – Il presagio della notte eterna– il maledetto
    evocatore
    xxx anni
    Oltre le nubi che s'affrettano a ricoprire un cielo già stanco, non vi è nulla. E questo Saeros lo sa ancor prima di rivolgere lo sguardo oltre le finestre sporche della magione, alla quale s'aggrappa con braccia stanche già da tempo immemore. Son passati anni se non secoli dalla prima volta che s'è rintanato lì, tirando su a fatica ogni passo, mentre le risa di lei, che un tempo sarebbero sembrate di gioia e giubilo, lo hanno sbeffeggiato. Son passati secoli, in effetti, dall'ultima volta che è stato chiamato con un nome diverso da quello che oggi sa solo presagire un futuro nefasto o anche solo rimarcare un presente forgiato tra silenzi e fughe. Secoli, dall'ultima volta che è riuscito a sentirsi così solo. Allora continua a picchiettare le dita lungo la scia che sa lasciare la grandine quando il freddo finisce per ghiacciare la pioggia impedendole di scivolare elegante lungo la superficie buia del patio. L'accompagna e più vi concentra lo sguardo affranto, più si rende conto di quanto oltre il proprio naso non riesca più a vedere nulla. Come un cieco che è stato in grado di abituarsi all'oscurità che lo circonda inevitabile. Sa solo riconosce tra di essa l'ululare delle bestie che s'affannano oltre i cancelli d'ottone. In attesa di carne, in attesa di una redenzione che non sa esistere davvero. Perché Io non riconosce pietà che sappia farsi viva dietro piccole gesta. Ormai, s'è annichilita anche lei, così come è successo a lui, che si volta piano ed avanza con una lentezza catartica, fastidiosa. Un po' come se fosse bloccato nel tempo e al col tempo né avesse più di tutti gli altri. La sua pelle, in effetti, nemmeno invecchia più: I suoi occhi sono ancora belli, seppur pregni di quella rabbia che a forza di bruciare s'è fatta cenere e veleno. Perché non esiste più alcun motivo per inumidirli: Né col pianto, né per il riso. S'allontana quindi dalla finestra contraendo il viso in un'espressione disgustata e di dolore, che ha la forma di una lama conficcata dritta in petto e poi rivolta su se stessa affinché dello squarcio rimanga solo un brutto buco informe, slabbrato.
    Non parla più, Saeros, perché pur sentendo la voce di Io nella propria testa fatica a scegliere le parole con le quali risponderle. Cerca di reprimerla, di scacciarla via con ogni forza che ha, ma poi l'unica cosa che gli resta è lasciarsi andare a quelle denunzie che sanno prenderlo alla gola e da sempre, dall'inizio di tutto, lo soffocano.
    Così si lascia scivolare nelle cucine in cui nessuno lavora più da anni. Arrabatta le prime cose che trova, mescolando in un piatto una poltiglia vomitevole seppur solo per l'aspetto. Ci lascia scivolare dentro un cucchiaio, poi se la porta su, per le stanze che ha adibito per lei nel silenzio che sa interrompersi solo al ticchettio dei sui tacchi.
    Non la saluta nemmeno quando spalanca la porta che la sperata da lei. A stento riesce a guardarla negli occhi. Si limita perciò a mantenere il medesimo passo cadenzato e a farsi vicino quanto basta per sederle al fianco e con un braccio, avvicinarle il cucchiaio pieno di zuppa di ceci. ''Mangia.'' Glielo impone, mentre con lo sguardo si limita a risalirle le dita e poi le catene che le stringono i polsi.
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    Adual
    della luce di Cosmos
    l'erede di cosmos – la speranza della luce infinita – l'orfana
    evocatrice
    20.
    Anche aver aperto gli occhi, però, non mi aiuta. Non scaccia le immagini che ho, e la penombra in cui abito adesso non è che il triste mausoleo della mia breve esistenza. Spero finisca, spero che vi ponga fine. E lo farà, insomma io non valgo nulla quindi ci vorrà poco perché lo capisca, perché si renda conto che... ha vinto. So che non è questo che dovrei dire, non è ciò che mia madre vorrebbe sentire. "Sei sempre stata tanto forte Adual", beh, sarebbe facile se non fossero morti tutti. Facile credere che nonostante la Luce non mi abbia mai sfiorata, avrei avuto un ruolo, uno scopo per Cosmos, per la vita nel mondo che conosco. "La Dea ha un percorso anche per te, devi solo crederci". Già. Solo. Che bella parola quando sono "solo" l'unica reale rimasta. Ultima di una stirpe che Lui a sterminato, che è riuscito a strappare via da un trono che ora è bagnato dal sangue della mia famiglia. Quindi no, non c'è motivo alcuno di provare qualcosa che sia anche semplice gratitudine per essere stata lasciata in vita. E' già una tortura così, grazie. Posso muovere i polsi quanto voglio, ma le catene tintinnano e basta, stridono contro strattoni che non fanno altro che arrossarmi i polsi. Nemmeno questo ho, nessuna forza che non sia alimentata da una rabbia. Cieca, agitata, aggroviglia l'intestino e risale lo stomaco fino a piantarmisi in gola quando mi impongo di non essere tanto debole da far scorrere lacrime lungo le guance. Finirà presto, mi dico. Lo capirà, ucciderà anche me e tornerò dalla mia famiglia, così.. così Cosmos e Delios saranno una cosa solo sotto l'oscurità del... NO. Non posso permetterlo, non posso-..
    Cosa devo fare, Madre?
    Tutto, poi, tace allo spalancarsi della porta. La mia attenzione va lì, di scatto perché la conferma di ogni pensiero si scagli netta contro ogni mia lamentela. Mi agito di più, mi muovo come se non sapessi già che non mi sposterò di un millimetro. Trattengo il disgusto che mi provoca mentre la paura contorce le labbra in una smorfia tesa e dilata le pupille che siano ancora più nere di così.
    La sua immagina è solo un tormento continuo, un flash ripetuto di come tutto sia andato a morire, di come si sia avventato su... ogni cosa a cui io abbia mai tenuto.
    Per questo spero non si aspetti un'accoglienza prostrata o fiori al suo passaggio, quando io vorrei solo averla la forza di fargli almeno la metà di quello che ha fatto a chi amavo. «Muori» lo ringhio a denti stretti. Respiro a fatica, ma non so non sfidarlo con uno sguardo che gli faccia capire almeno in parte che proprio non si può aspettare questo da me.
    La voce gratta in gola, diventa un sussurro rapito dal terrore che combatto faticosamente.
    E' difficile odiarlo con ogni fibra di me, e ed al contempo temere il suo avvicinarsi al punto da spostarmi il più possibile perché neppure mi sfiori.
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