Nodatus

Quincy/Ravius | Hogwarts, Sala Comune Serpeverde | 9 gennaio 1997

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    Aveva iniziato a rimettere in ordine i pezzi della scacchiera con la solita diligenza, raccogliendone uno ad uno per metterli nei cassetti ai bordi. Era una cosa che lo rilassava, all’epoca, un piccolo rituale che usava attuare sempre prima di mettersi a letto, quello di una partita in solitaria in cui avrebbe dovuto eseguire mosse e contro mosse che tenevano lo spazio della sua mente occupato. Ancora di più, gli piaceva rimettere metodicamente a posto i pezzi, seguendo l’ordine preciso che li aveva visti cadere uno dopo l’altro. In uno degli angoli della stanza, Timotheus stava tirando fuori la Polvere Ruttosa che aveva comprato nell’ultima visita ad Hogsmeade, il tipico concetto di divertimento che lo rappresentava. Aveva ripetuto per tutto il pomeriggio di come avrebbe voluto propinarla a Rohan o Sextus, o magari entrambi, e aveva energicamente cercato di coinvolgere lui e Quincy nel misfatto. Era a stento riuscito a convincerlo che la cena non sarebbe stato il luogo più appropriato per la cosa, e aveva anche detto molto chiaramente che avrebbe preferito non essere affatto coinvolto. Doveva aver deciso che l’assenza dei due, quella sera, era un ottimo momento per trovare il modo perfetto di attuare un qualche tipo di piano in merito, che molto più probabilmente sarebbe finito con effetti collaterali che invece avrebbero coinvolto loro tre. Scosse appena la testa, continuando invece a riordinare i pezzi uno alla volta, abbastanza deciso a volersi tenere il più lontano possibile da quelle diavolerie, trovando come sempre in questo la scusa perfetta per evitare quello che avrebbe volentieri continuato ad ignorare per il resto dell’anno scolastico, o di tutta la sua vita. La questione di Raelyndra e Quincy avrebbe potuto restare tranquillamente un punto su cui scherzare, ma era invece diventato qualcosa di molto diverso. Ripensandoci, forse Sextus si sarebbe proprio meritato la Polvere nel Succo di Zucca a cena. Finì di rimettere a posto l’ultimo pezzo, il Re Nero, prima di muovere la scacchiera via dal letto per andare a poggiarla sopra il baule che teneva ai suoi piedi, lanciando solo un’altra occhiata verso Avery, ancora indaffarato a cercare nei meandri del suo baule. «È veramente una cosa stupida» ancora a distanza, più vicino al suo letto che alla direzione di Timoheus e Quincy, non poteva fare a meno di esprimere il suo dissenso in quel particolare contesto. Non che fosse particolarmente contrario ad usare qualcosa come la Polvere Ruttosa, era un’altra la questione che aveva fatto sì che negli ultimi tempi, molte delle idee di Timotheus che volevano coinvolgerlo trovassero un secco no come risposta. Avesse cercato di approfondire la questione, avrebbe trovato una risposta fin troppo logica, e forse era proprio il motivo per cui non ci aveva neanche provato. Non avrebbe neanche detto che fosse infastidito dal fatto che Quincy, al contrario, non avesse nessun tipo di problema; non era per gelosia, era solo la sottile consapevolezza che se anche lui avesse avuto problemi, la scusa dei suoi “no” avrebbe trovato un terreno molto più solido su cui proliferare. Così, invece, era dolorosamente consapevole di sembrare semplicemente insofferente. Ignorò il verso di Timotheus che si alzò, infantile, per fargli il verso, e decise invece di raggiungere il suo comodino per andare a recuperare il libro che aveva lasciato lì la sera prima, tornando a sedersi sul letto. «È veramente una cosa geniale, non trovi, Quincy?» ignorò anche quell’uscita, anche se da sopra le pagine continuava a spiare i due. Era anche molto consapevole del fatto che Timotheus lo stesse prendendo in giro, e spesso quell’anno gli aveva detto che stava iniziando a diventare davvero insopportabile. Era ovvio che in quel momento, l’appoggio stesso di Quincy significasse che era Ravius ad essere nel torto, il che gli dava la certezza che quel punto esposto fosse la realtà. Soddisfatto, tirò finalmente fuori la Polvere dal baule, richiudendolo con l’altra mano mentre si alzava, scuotendo appena il contenuto in segno di vittoria. «Dobbiamo muoverci prima che tornino» del tutto rivolto a Quincy, l’unico che aveva deciso di dargli corda in quella situazione.
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    aveva pensato appena Thimoteus l'aveva detto: sarebbe stato incredibilmente umiliante. Una parte di lui aveva pensato di escludere la colazione, Sextus avrebbe iniziato a ruttare davanti a tutti, con il rischio durasse fino alle lezioni della prima ora. Uguale per Rohan, chiaramente.
    Non voleva umiliarli, ma se fosse stato fatto in dormitorio, solo fra loro... era molto diverso. Più il genere di cose che li univa.
    «Lascialo in pace, tiene il muso da quando Sextus ha insinuato potesse interessargli Kubra» fece un sorrisetto sornione guardando Ravius, anche se stava parlando con Timotheus.
    Non pensava davvero che potesse essere turbato dall'idea di Kubra, ma era meglio che pensare ci fosse in realtà un qualche pensiero non detto in riferimento al fidanzamento con la sua neonata sorella. Quincy preferiva non pensare a quello, e nemmeno che il suo migliore amico non fosse limpido sulla questione. Ma gli affari di famiglia erano una cosa complicata, lui di certo non poteva non saperlo.
    Tornò a pensare allo scherzo da fare a Sextus e Rohan, alzandosi dal letto dove stava seduto in modo scomposto per raggiungere le caraffe d'acqua presenti sui comodini di entrambi.
    «Alla salute» inneggiò verso Timotheus, tenendogli le due brocche davanti perché ci versasse la polvere appena trovata. Aveva ragione, sarebbero tornati di lì a una decina di minuti, quindi meglio sbrigarsi.
    Lo osservò mercanteggiare con le buste colorate riesumate dal baule, strapparne i bordi della prima, per occuparsi solo poi della seconda. Qualche secondo di silenzio che gli fece emergere di nuovo quel dubbio che si portava da un paio di giorni, che già quella sera aveva pensato di tirare fuori approfittando dell'assenza di suo fratello. Non ne avrebbe parlato davanti a lui. Aveva capito che Sextus aveva iniziato a guardare le loro compagne in modo già più adulto, non come lui, per cui quella situazione aveva buttato una bomba nella sua inconsapevolezza.
    Si chiedeva se fosse l'unico, a quel punto.
    «E a te? Nessuna che ti interessi con cui prenderti in giro?» cercò di fiancheggiare il discorso in modo più indiretto, tenendosi vago, come fosse ancora uno scherzo e non qualcosa su cui riflettere sul serio. «Non è carino nasconderlo agli amici, Aviary».
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    Istintivamente si era irrigidito, ancora seduto sul letto e con il libro in mano. Non avrebbe ammesso quanto avesse trovato quell’uscita di Quincy un colpo basso, anche se era ormai prepotentemente entrato nel mondo dei pensieri molto più consapevoli. Non era davvero cosciente di averne di altro tipo, ma adesso che quel discorso era violentemente entrato nelle loro vite, si era trovato involontariamente costretto a fare quasi i conti con qualcosa che aveva cercato di tenere a distanza dall’inizio di quell’anno scolastico, o quasi. Aveva lanciato da dietro le pagine uno sguardo ai due, l’irreale timore che uno o l’altro potessero rendersi conto di quanto si fosse teso per quella sottile battuta che aveva solo la pretesa di essere questo: una battuta. Sapeva in fondo che Quincy non intendeva far altro che punzecchiarlo, ma non poteva davvero fare a meno di avere quel lato che iniziava a diventare più paranoico sulla questione. Dall’altro canto, Timotheus aveva per un secondo guardato nella sua direzione, poi di nuovo Quincy, lo sguardo che lasciava intendere come fosse consapevole di essersi perso qualcosa che improvvisamente, doveva sembrargli importante. Divertente, se non altro, e su cui probabilmente avrebbe infilato anche lui entrambe le mani solo per tirarne fuori altri modi di mettere in imbarazzo i suoi compagni. Aveva finito di versare le polveri nelle caraffe, le labbra arricciate negli angoli in quel tipo di sorriso che aveva quando annusava la possibilità di giocare su qualcosa che avrebbe infastidito, mai troppo da essere davvero un problema, ma quel giusto che avrebbe permesso comunque l’equilibrio di una risata o due. Ravius non avrebbe comunque ammesso che la risposta a quella domanda gli interessava, al punto da sentire fortemente l’insistenza delle sue orecchie premute su quel discorso che pure disprezzava. Aveva del resto immaginato che Quincy non lo avrebbe lasciato andare così alla leggera, ma aveva anche sperato che il timore di un’altra parola o l’altra di Sextus lo avrebbero inibito. Non aveva calcolato l’assenza di uno dei Rowle nel suo schema, il ché, lo sapeva, era un difetto di ragionamento. «Mai rivelare le carte, Quincy» Timotheus sembrava soddisfatto di sé, difficile dire se fosse per la polvere che si scioglieva nell’acqua o per quell’argomento in cui, probabilmente lo sapeva, se solo avesse giocato bene le sue mosse avrebbe potuto gestire come quello che prendeva in giro, e non quello da essere preso in giro. Si voltò il tempo per infilare di nuovo le bustine vuote nel baule, per nascondere le prove di quanto appena accaduto. «E a me non interessa Kubra, Quincy lo dice solo perché Sextus lo ha colto in fallo» aveva pensato di rigirare la battuta di Quincy contro di lui, ma si era reso conto che sarebbe stato un passo falso, la sua intenzione dopotutto era quella di mollare ancora una volta quel discorso, ancora più del giorno precedente. «Ora sembri davvero uno che nasconde la cotta» roteò appena gli occhi con uno sbuffo, continuando a fingere di dedicarsi al suo libro di cui non stava leggendo, ad essere onesti, neanche una singola parola. Timotheus aveva invece lanciato a Quincy uno sguardo complice, in parte soddisfatto per la polvere, in parte soddisfatto per quella nuova modalità con cui tormentare gli altri. «Credo che Roahn abbia messo gli occhi su quella Corvonero del quarto anno, com’è che si chiama? K qualcosa, ce l’ho sulla punta della lingua. Magari fra un rutto e l’altro glielo ricordiamo» doveva sembrargli una cosa spassosa dalla sua espressione, a Ravius sembrava più o meno l’inizio di un incubo.
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    li occhi si bloccarono quasi, improvvisamente consapevoli di doversi fare guardinghi, sospettosi. Uno sguardo che non gli sfuggì, ma che in un primo momento non gli pareva avesse alcun significato. Non era quello ad averlo sorpreso.
    Fissò per un attimo Ravius di sottecchi.
    Troppo calmo. Il modo in cui aveva spiegato e non negato, nemmeno ignorato perché il discorso decadesse. Strano al punto da restargli incagliato fra i pensieri, come un dettaglio che stonava. Timotheus non doveva essersene accorto, Quincy credeva proprio l'opposto: non uno che cercasse di nascondere una cotta, ma rassicurare sulla sua assenza. Sottilmente diverso.
    Lasciò perdere approfittando del fatto di dover portare le caraffe ai loro posti, sui comodini di Sextus e di Rohan.
    Forse era il caso far cadere quel discorso, almeno una sua parte.
    «Kyleigh Pough? Non ha speranze» scherzò invece sulla cotta di Rohan, una parziale risposta al suo cruccio, nonché un terreno più sicuro. Tornò sul letto, senza guardare in un primo momento i suoi due compagni, poi lo fece, con fare quasi intimidatorio.
    «Guai a chi glielo dice» dubitava Rohan potesse rendersene conto da sé di non avere alcuna speranza, era il tipo che ci doveva sbattere contro le cose. A volte.
    Almeno aveva soddisfatto la sua curiosità, e guadagnato un motivo per poter prendere in giro uno di loro, era stata una conversazione breve ma proficua. Per il resto, sapeva solo che c'erano tasti da non toccare. Di quello, pensò mentre gli sfuggiva uno sguardo ramingo e breve verso Ravius, ne era sicuro.
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    Da parte sua, ancora ostinatamente incastonato nel libro, non aveva neanche la più lontana intenzione di menzionare alcunché, in merito, a Roahn. Avrebbe volentieri preferito invece che tutto quell’ammasso di pensieri che sembravano essersi risvegliati nei suoi compagni, tornasse a decadere del tutto, infilandosi nell’oblio più profondo. Timotheus, d’altro canto, aveva quella particolare indole che invece gli faceva prendere al volo certe cose, e come la maggior parte di loro, non lasciarla tanto in fretta, né facilmente. Si fiondò sul suo letto con un tonfo che avrebbe potuto comunicare a chiunque, anche senza guardarlo, che avesse preso posto sul materasso, probabilmente soddisfatto dallo scherzo, e dalle pianificazioni future per rendere la vita di Roahn un vero inferno. «Che non sa neanche che esiste? Io no» aveva alzato le mani con fare innocente, scrollando appena le spalle e con ancora quel sorriso- impertinente avrebbe detto Ravius- spalmato sulle labbra. «Semmai in quanto suoi fidati amici, i migliori direi, dovremmo proprio iniziare a consigliargli di farsi avanti» era chiaro come il concetto dell’umiliazione pubblica fosse di una particolare nota ironica per lui. Sembrava che entrambi, Quincy e Timotheus, condividessero in quel momento una consapevolezza che a lui sfuggiva. Forse perché non aveva neanche idea, con precisione, di chi fosse Kyleigh- forse la ragazza con i capelli corti? O forse quella era Portia. Si ritrovò a non gradire particolarmente la sensazione di esclusione da un qualsiasi tipo di ambito di discorso fra i due, ma anche in quello decise di ignorare quella sensazione, concentrandosi sulle parole ormai sfocate del libro. La parola Asfodelo era balzata in mezzo a tutte le righe d’inchiostro, e si ritrovò a elencare le pozioni in cui la pianta veniva utilizzata. Distillato della Morte Vivente, Pozione Rigeneratrice. «Visto che gli ha sicuramente lanciato uno sguardo proprio prima, a cena» l’Asfodelo era originario dell’Europa, se non ricordava male. Era citato in qualche modo in qualche mitologia, ma avrebbe dovuto ripetere meglio quella parte. «Non ci guasti la festa, vero?» istintivamente, aveva capito che si rivolgesse a lui, anche se si era particolarmente impegnato a tenere gli occhi bassi. Non sapeva neanche se si riferisse alla storia di Roahn, o a quella della polvere. Non importava, voleva rapidamente uscire da entrambe in quel preciso momento. «Non vi sto neanche ascoltando» aveva invece detto, girando la pagina giusto per fare scena, non avrebbe avuto senso se fosse rimasto incaponito così a lungo sulla stessa. Non era neanche del tutto una bugia, per quanto ascoltasse, si ritrovò pericolosamente consapevole di quanto quello, per lui, fosse un universo troppo distante, quasi del tutto intoccabile.
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