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Quincy/Ravius | Hogwarts, Sala Grande → Camera dei Segreti | 02/05/2023

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    Era un giorno indubbiamente pregno quello. Quasi nessuno, piani e piani più sopra, avrebbe potuto davvero comprendere a fondo il senso reale di quell’evento, quella giornata, quel ricordo frastagliato. Non potevano e di questo Ravius era certo, perché ne trattenevano solo un brandello fra le mani. Un frammento appena che era tutta la loro verità, e non parlava di altro che della loro storia, e quanto fosse stata complessa e pure combattuta. Non provava rammarico, né rabbia nella sua connotazione più pura. Era il disgusto il sentimento che alla fine era prevalso su tutti gli altri, imbrigliando ogni sua idea e pensiero sulla meschinità nata dal mero buonismo, ma quello spaccato in due fra bianco e nero. Avrebbe preferito che quel giorno, per loro, fosse solo il ricordo di uno smacco palese, di quella presa di posizione che aveva infine vinto, come accadeva spesso – o ancora meglio sempre – nella storia: fazioni che alternate guadagnavano piede sul mondo, fino ad estinguersi. La poeticità del giusto e sbagliato era la dialettica che guidava ogni principio di guerra, ma pur sempre una dialettica che dimenticava tanti suoi stessi principi lungo la strada. Lo smacco era persistente, la sofferenza pure e forse, segretamente, avrebbe addirittura sperato in in Ministero che lo rifiutasse a priori, come cellule bianche che combattono un’infezione; ma ciò non era accaduto e alla fine, tutti quei nomi che celebravano su quelle gelide piastre di pietra, non erano altro che sacrifici crollati per un pugno di nulla. Il marcio avrebbe continuato a crescere. Non avrebbero riportato indietro ciò che avevano perso, mai. Quel peso che Quincy si portava dentro sarebbe rimasto per sempre innominabile per lui. Non aveva, e non avrebbe probabilmente mai, finto di provare a capire. Il solo pensiero di qualsiasi minuscola, inutile, minuziosa cosa che potesse accadere a Raelyndra era per lui abbastanza per afflizioni che in fondo avevano guidato e plasmato la sua intera esistenza, dall’inizio alla fine; non avrebbe neanche mai provato ad immergersi nel pensiero della sua perdita. Neanche per Quincy, per poter forse dire di comprendere cos’è che doveva aver provato in quello stesso giorno tanti anni prima. Ma cos’era in fondo il tempo per loro? Qualcosa di talmente fittizio, incredibilmente vacuo quando ancora portavano sulla pelle, e forse più a fondo, i chiari segni di tutto ciò che avevano vissuto. Quella loro vita ristagnava di tutto ciò che era accaduto e seppur Ravius non avesse gli strumenti, né le intenzioni, di rendersene conto, non avrebbe neanche potuto scrollarsi davvero di dosso quella certezza ramificata a fondo nel suo stesso subconscio, nel DNA della sua stessa mente ed anima, fabbricata negli stessi antri che ora festeggiavano sconfitti. Non lo erano, ma spiegarlo ad un Potter, ad un Granger, non avrebbe risolto nulla. Per quello era importante, riprendere tutto ciò che gli avevano strappato. Come se questo potesse colmare tutto il resto, colmare assenze che erano state con lui dalla nascita, e quelle che invece aveva scoperto da ragazzo riemergendo proprio da lì. No, non avrebbe mai potuto comprendere Quincy, perché perdere Raelyndra era al di là di ogni suo possibile sforzo, e così era sempre stato. Anche nel silenzio, anche più distanziato ancora da lei giorno dopo giorno. Un tormento a cui non si sarebbe mai potuto accostare, neanche con l’immaginazione. Ma di certo, neanche avrebbe mai detto nulla di tutto ciò a voce – quel poco che la sua mente gli concedeva pure di comprendere nel suo intimo, oltre la coltre di ogni menzogna che recitava a sé stesso. Forse era per questo che la sua giova virulenta, in quel momento, aveva quel sapore acido che solo una rabbia nascosta può dare. Non aveva nessuno, di preciso, contro cui vendicarsi: madre era da tempo morta per mano sua, padre marciva lentamente così come era giusto e quella era una pena assai più dolce di un corpo metri e metri sotto terra. Non si fermò a guardare Quincy: non gli aveva mai fatto alcuna promessa. In fondo era quello uno dei pilastri della loro amicizia, avrebbe potuto tranquillamente dire che fra tutti, Quincy era quello che meglio lo conosceva. Era stata la mente, il braccio, le mani di ogni suo sfogo e ogni suo piano, e nessuno dei due aveva mai preteso spiegazioni dall’altro. Quel momento non era diverso. Non avrebbero parlato di cosa significava tutto quello che stava accadendo lì, fra le stesse spire che li avevano visti entrambi distrutti ed in modi diversi, snudati anche solo in parte da ciò di cui si erano rivestiti fino ad esserne quasi orgogliosi, o forse di più. Non poteva più tollerare offesa alcuna, non avrebbe concesso che ne fossero permesse altre. Per nessuno di loro. Era stato quello a spingerlo lì sotto, quell’anno dopo ogni tragedia, sarebbe stato quello a spingerlo di nuovo in cima da lì. Non lasceremo che decidano per noi, lo aveva detto anni ed anni prima, ragazzo e ancora inconsapevole di mille cose, ma per lui quella semplice frase, scontata forse, era diventata un docet incrollabile. «Andiamo a prenderci quello che ci spetta» duro in quel modo che solo Quincy, forse, avrebbe potuto intendere come tale; una sfumatura talmente lieve che era nascosta nella lieve pressione delle sue mascelle che gli gonfiavamo solo di poco il muscolo trattenuto lì.
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