[Magia Bianca] Recupero Magia Bianca I

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    1) Per le nuove reclute, ovvero coloro che hanno mancato il precedente recupero) i pg di Lamya, Angelica e Joelle:

    Breve introduzione:

    Daniel Callaway, il vostro prof di magia bianca, vi ha dato un ciondolo con un cristallo bianco su cui è castato un incantesimo di teletrasporto, quando lo indossate verrete trasportati in un labirinto di specchi creato da lui. Non appena farete il primo passo gli specchi rifletteranno il vostro panorama interiore (cioè il vostro subconscio) dandovi l'impressione di essere dentro voi stessi e che il labirinto sia scomparso. Ogni cosa al suo interno è un simbolo che vi rappresenta. Dovete descrivermi il panorama che in qualche modo deve essere legato a voi.

    Cosa fare una volta arrivati nel panorama interiore? Il vostro chi potrà prendere forma come il vostro animale guida, chiamato anche daimon, o totem, come preferite, e uscirà fuori dal cristallo bianco (un altro speciale incantesimo castato sul cristallo tranquilli). Avrà una forma che vi rappresenta e decidete voi player. La consistenza è quella evanescente e luminosa simile a quella del patronus ( in verità è molto simile al patronus ).

    Una volta comparso il vostro daimon questo fuggirà via, cosa dovrete fare? Daniel vi ha detto di seguirlo, vi condurrà fino ad un momento particolarmente traumatico della vostra vita. Può presentarsi in qualsiasi modo, come un ricordo, un fotogramma proiettato in un cinema, potreste addirittura riviverlo, oppure può arrivare qualcuno a ricordarvelo. Insomma decidete voi, siete liberi.

    A che serve il trauma? I traumi, cioè le nostre grandi sofferenze, creano dei "nodi" nella nostra energia interiore (ki\animus\ecc, chiamatelo come preferite), inibendo il suo flusso e indebolendo la vostra aura, che altro non è che il riflesso esterno del vostro ki interiore.

    Come potete sciogliere i nodi? Daniel crede profondamente nella forza della CONSAPEVOLEZZA e dell'ACCETTAZIONE, i nostri traumi ci rendono più forti se siamo in grado di accettarli e voltare pagina.

    Si, ok ma cosa dobbiamo fare?
    Dal momento che è un recupero lampo nel post mi descrivete voi che siete già nel labirinto di specchi, appare il vostro daimon e lo inseguite, mentre lo inseguite arrivate al trauma, non appena interagite con qualcuno, o fate azioni in realzione all'evento traumatico fermatevi che io vi scrivo cosa succede in risposta nel vostro subconscio.


    2) Dulcinea e Winter riprendete da dove vi eravate fermate, lo scopo adesso è curare qualcuno, ve lo dico perchè così magari ci veniamo incontro e concludiamo la cosa in pochi post. Per curare Daniel vi ha già spiegato nelle lezioni precedenti la teoria, cioè ponete le mani sulla\e ferita\e e cercate di concentrarvi sul vostro ki interiore, ma sopratutto sul vostro ALTRUISTICO desiderio di salvare l'altro donando parte della vostra energia, potete già fare dei tentativi nei vostri post, concentratevi sopratutto sulla parte emotiva e nel caso ci riuscite vi faccio sbloccare la skill.


    Dulcinea:

    Più sfoghi la rabbia che provi nei suoi confronti, tutti gli anni che hai trattenuto quelle parole, più senti la tua energia ribollire nelle tue vene, fino a riflettersi nell'aria che ti circonda.

    Skills sbloccate:

    Nome: Espressione e Soppressione dell’aura
    Requisiti: completamento della prima lezione
    Tipologia: Incantesimo che NON richiede tiro del dado
    Descrizione: capacità di rendere visibile l’aura anche nel mondo fisico e di sopprimerla fino a farla scomparire del tutto, così da non lasciare alcuna traccia percepibile da parte di altri maghi. L’espressione dell’aura ha un effetto intimidatorio e oppressivo nei confronti delle aure più deboli, oltre a potenziare tutti gli incantesimi di magia bianca (+1).
    Note:
    1) nel turno successivo bisogna usare un'azione per mantenere l'aura espansa\soppressa
    2) se si utilizza un incantesimo con l'aura soppressa, questa si riesprime automaticamente
    3) l'espressione dell'aura rende più facilmente soggetti all'assorbimento di energia da parte dell'aura di un mago nero
    Formula: sufficienti alcuni secondi di concentrazione, più il mago è esperto più gli sarà facile
    Movimento: none

    Colore Aura: Rosso

    Il rosso è il colore della vitalità dell'energia, del calore, della passione, dell’amore, del dinamismo di temperamento e di forza fisica. Quando si trova ad essere il colore predominante nell'aura, quasi sotto forma di nubi che inglobano il corpo intero, è segno di una personalità esuberante con frequenti cambiamenti d'umore e con sentimenti intensi e contrastanti.
    Un rosso acceso indica tendenze all'aggressività, invece un rosso cupo e denso, denota spinte distruttive e di egoismo. Un rosso tendente al vermiglio può essere indice di ansia o nervosismo. Se è accompagnato da strisce verdi, evidenzia il desiderio di contatti umani costruttivi e ferma volontà di realizzarsi. Il rosso chiaro, simile al rosa, segnala il bisogno di attrarre a sé e di piacere. Se il rosa è leggermente striato di rosso vermiglio indica una persona orgogliosa, Il rosso tendente all'arancio denota una forte passione sessuale.


    Tuo padre si alza dalla sedia sconvolto. Quel tipo di insolenza è qualcosa che non riesce a tollerare, men che meno se si tratta di sua figlia. I tuoi discorsi lo inorridiscono, eppure nel profondo dentro di lui sembra spezzarsi qualcosa. «Avevi bisogno di un padre» sussurra con un misto di rabbia e sorpresa. Continua a guardarti mentre il fuoco ai suoi piedi attecchisse inspiegabilmente sul pavimento, corre verso le pareti e incendia l’intonaco. Presto incendierà ogni cosa, ma tuo padre non si muove. Dovrai uscire se vuoi metterti in salvo.

    Winter:
    Quando cerchi gli occhi di tuo padre ti ritrovi a fissare un uomo sorridente, ma la cui espressione d’improvviso si fa stranita. «Cosa c’è, winnie?» domanda con un tono preoccupato, «è successo qualcosa?». Anche Daniel si volta a guardarti, tuo padre non può vedere la sua espressione, ma ha un sorriso meschino stampato sul volto. «Si, winnie, cosa c’è che non va?».
     
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    Winter Delilah Merriwether
    @Brighton
    13.12.2016
    11:00 am
    Losing your memory
    Wake up, it's time, little girl, wake up
    Non aveva mai immaginato che ci si potesse sentire così bene.
    Nonostante la paura, nonostante il respiro irregolare e la voce tremolante, le labbra di Winnie si incresparono per un millesimo di secondo in un piccolo sorriso soddisfatto.
    Ce l’aveva fatta.
    Anni di silenzio, passati a nascondersi dagli sguardi, a fuggire dalla sua stessa mente, ad insabbiare ciò che era successo sotto impercettibili smorfie di circostanza, tutto avrebbe potuto risolversi affrontando Daniel una volta per tutte.
    Era la strada più ardua, che l’avrebbe forse spinta a mettere in discussione molti capi saldi su cui aveva fondato la monotonia della sua routine, che sicuramente l’avrebbe costretta a mettersi in gioco, tuttavia era l’unica maniera per ottenere un risultato.
    Voleva liberarsi di lui, voleva stare bene – lo desiderava disperatamente, come non aveva mai sperato nulla in vita sua. Non si era mai resa conto di quanto ne avesse bisogno, troppo occupata a preoccuparsi per gli altri con talmente tanta foga ed impegno da lasciare indietro se stessa. Si sarebbe trovata, l’aveva deciso, a costo di tornare indietro e condurre quella ragazzina spaventata per mano.
    Coprirsi gli occhi e sussurrare preghiere per ottenere qualcosa non bastava più – era arrivato il momento per quella ragazzina di crescere.
    Ed era pronta – lo sentiva, in modo fisico, reale, come un calore che proveniva dal centro del suo petto e si diffondeva in tutto il suo corpo. I tremiti che prima la scuotevano cessarono del tutto, mentre manteneva saldamente lo sguardo su Daniel – per la prima volta, con una fierezza inaudita negli occhi cerulei, le labbra di nuovo strette in una linea sottile e rigida.
    Il sorriso tramutò in un cipiglio di sorpresa e di confusione quando l’aria attorno a lei si colorò di una luce improvvisa – era blu, un colore che le invase la mente, rapì per qualche secondo ogni suo senso. Le sembrava quasi di poterla toccare, la vedeva, e, soprattutto, la sentiva vibrare attorno a sé, ne soppesava l’esistenza, spaventata ed incuriosita allo stesso tempo.
    Allungò una mano nell’aria, cercando di raggiungere quella nube, quello strato che sembrava darle forza, le ottenebrava le membra, riempiendola di energia – le pareva di vedere più chiaramente, che la paura fosse d’improvviso scomparsa, il senso di soffocamento sparito in un battere di ciglia.
    E, alla fine, capì – era la sua aura. l’osservò, meravigliata, ancora per qualche attimo. Non l’aveva mai vista, né percepita – era una situazione completamente nuova, per lei, un traguardo che pensava irraggiungibile, ed invece eccolo: la circondava, le donava il respiro, la vita.
    Guardò Daniel, poi, come per indagare con gli occhi se potesse vederla anche lui. Era rimasta così sbalordita da aver dimenticato ogni altra cosa, perfino quanto il ragazzo che stava in piedi di fronte a lei fosse pericoloso.
    Una manciata di secondi fu sufficiente, però, per ricordarglielo. Quando Daniel la spinse contro il muro, fu incapace di opporre resistenza – era ancora piccola, gracile, facile da manovrare, e, soprattutto, ferire.
    Trattenne a malapena un gemito di dolore per la sua stretta – era forte, troppo forte, come quella notte. O ricordi la colpirono con violenza – era troppo simile, si trovava di nuovo intrappolata contro al muro, lui la sovrastava, non aveva via di scampo. Ancora una volta.
    Alle sue parole, aggrottò le sopracciglia, spalancando gli occhi, folgorata, «Non è vero!», sbottò improvvisamente, sbalordita e indignata.
    non riusciva a comprendere come potesse giustificare quello che aveva fatto, come potesse scaricare la colpa addosso a lei con una tale facilità. Winter se l’era data da sola per troppo tempo, ma poi aveva capito. Non era colpa sua. Non era mai stata colpa sua.
    Forte di quella consapevolezza, e dall’aura ancora brillante attorno a sé, cercò di reagire. Si divincolò con tutte le energie di cui era capace, «Lasciami andare!», gli gridò, e la voce uscì, per la prima volta riuscì veramente a urlare.
    Il suo capo ruotò di scatto quando sentì la voce di Peter tagliare la tensione e farsi strada verso le sue orecchie. Spalancò di nuovo gli occhi, grata della sua presenza – lo scatto che mosse verso Daniel la liberò finalmente dalla sua stretta, e Winter lasciò andare il respiro che stava trattenendo, si appoggiò per un attimo alla parete, controllando il polso dolorante.
    Il veloce ribaltamento della situazione, però, le strinse lo stomaco in una morsa – suo padre le aveva tolto Daniel di dosso, ma lui era più forte, più giovane, più scaltro. Non riuscì a contenere lo strillo spaventato che le scappò quando vide Peter a terra e, senza pensare, spinta dalla preoccupazione, si precipitò verso di lui, cercando di frapporsi fra lui e Daniel.
    Le sue parole le arrivarono dritte come un pugno nello stomaco, uno schiaffo violento in pieno volto. Strinse gli occhi, scosse la testa lentamente, «S-sei fuori di testa», sussurrò, «non hai già fatto abbastanza? Vattene, adesso», gli posò entrambe le mani sul petto, cercò di spingerlo indietro con tutta la forza di cui era capace.
    Poi si chinò su Peter. Il senso di colpa le scorreva nelle vene come fuoco, le impediva di pensare – non riusciva a fare a meno di spingere una parte di sé a convincersi che quella fosse colpa sua, che tutto fosse colpa sua. l’ultima cosa che voleva era che suo padre finisse in mezzo ai suoi problemi.
    Gli sfiorò lo zigomo che sanguinava, «Papà, io-», mormorò, «come stai?», gli domandò, il fiato corto, spaventato. Voleva aiutarlo, voleva guarirlo, ma non sapeva come.
    Voleva che Daniel sparisse dalla sua vita, che se ne andasse, ma non sapeva come cacciarlo.
    Si concentrò su suo padre, perciò, decise di esaminare un problema alla volta. La guancia che gli grondava di sangue, il taglio aperto di lato – lo sfiorò di nuovo, cercò di pensare, di concentrarsi, come se sperasse che si sistemasse da solo. «Papà, mi dispiace», sussurrò, fissandolo negli occhi.
    Il cuore le galoppava nel petto, contro la cassa toracica, cercava disperatamente una maniera per saltarle direttamente nello stomaco – aveva paura. Temeva di non riuscire ad aiutarlo, di non poter fare niente per lui, di essere inutile, di nuovo. La sensazione di bruciante sconfitta echeggiava nella sua memoria in maniera così vivida – sembrava così prossima, un’altra volta, l’ennesimo trofeo della vergogna da riporre sulla mensola. Ma non l’avrebbe permesso – non ancora. Non aveva il lusso di perdere tempo, di lasciare che i ricordi si impossessassero di lei e che la distraessero da quello che era il suo obiettivo principale – aiutare l’uomo che l’aveva messa al mondo, quello che l’aveva amata e protetta per primo, l’unico che l’avrebbe messa al primo posto, prima di tutti, forse anche davanti a Cassandra. Non poteva giurarlo – non ne era sicura al cento percento, non ci avrebbe messo la mano sul fuoco, tuttavia sapeva che Peter avrebbe fatto l’impossibile per lei, almeno tutto quello che fosse stato nelle sue capacità. Non poteva lasciarlo, non mentre Daniel era presente, non quando poteva fargli ancora del male. Ancora una volta, non aveva via di scampo – non c’era chiave che potesse aprire la porta alle sue spalle, che la portasse magicamente lontano da entrambi, nascosta dal dolore, dalla paura. Doveva affrontarla di petto, come una combattente, la spada sguainata dal fodero. E l’avrebbe fatto – ne era certa.
    Quella spada era nelle sue mani, nei polpastrelli delle dita che fremevano d’impazienza, di speranza – ce l’avrebbe fatta, Peter sarebbe stato bene.
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    Angelica Adenauer
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    Quanto aveva aspettato questo momento? Abbastanza da essere completamente sedotta dalla bellezza che la circondava, indubbiamente. Il ciondolo l'aveva trasportata nel paese delle meraviglie di Callaway, un mondo del quale era ansiosa di scoprire il funzionamento e l'anatomia. « Lo studente è il chirurgo. », disse tra sé e sé, provando un misto di calore e frustrazione nel sentire la propria voce. Del resto, quella frase l'aveva presa in prestito da suo padre, un uomo che non sapeva niente. Niente! Avvertì un leggero pizzicore sulle ascelle: stava sudando. Non doveva essere furiosa, Reinhard Adenauer era a marcire in quel dì di Francoforte mentre lei esplorava confini di potenza che lui non poteva nemmeno immaginare. Fece un grosso respiro e, volgendo lo sguardo in avanti, mosse il primo passo nel labirinto di Callway.

    Fu difficile esprimere con parole umane lo stupore per ciò che avvenne dopo. Gli specchi intorno a lei assunsero colori, e i colori formarono immagini come in un mosaico. Il bosco della Schwarzwald la accolse come la prima volta che mise piede in quella coltre lussureggiante. La bellezza della foresta nera non era quella ruggente e ferale della giungla, bensì quella placida e calma di un mare senza onde. Non capiva. La tedesca si era recata nella foresta per sperimentare con la magia in perfetto isolamento e comunione con la natura tre anni prima del suo arrivo a Brakebills, in che modo Callaway era riuscito a collegarla con un luogo che tanto la rappresentava? Le aveva letto nella mente o quegli specchi potevano riflettere la sua interiorità? Si chiese cosa sarebbe successo, quindi, se avesse provato a toccarli. La magia superava le convenzioni su cui si poggiavano scienze come la fisica o la chimica, questo perché un sortilegio non era solo solo concreto, ma arrivava fino agli abissi del subconscio. Dannazione, il solo pensiero la faceva elettrizzare dalle dita dei piedi alle punte dei capelli. « Dammi di più, piccolo. », sussurrò a un pezzo del mosaico di specchi, allungando le dita verso il vetro. Freddo al tatto, quel frammento di natura non era tanto diverso da un quadro. Così realistico, eppure così finto. Angelica sospirò, e le note di una canzone vennero da sole come un senso di deja-vu.

    Era in un largo spiazzale circondato da alberi altissimi che sembrava fatto apposta per ospitarla. L'erba non era troppo alta, e siccome il tramonto era prossimo, non c'erano troppi insetti. Non poteva vedere il sole, ma sdraiandosi e volgendo lo sguardo in alto, lo spettacolo era a dir poco suggestivo. Le tinte arancioni che assumeva il cielo avevano il sapore della malinconia, ma lei sapeva che sarebbe sorta una nuova alba. Vicino a un tronco era appoggiata l'attrezzatura da campeggio, più in là una tenda dalla cui fessura era possibile intravedere una pila di libri su esoterismo e religione. Le venne naturale chiedersi quanti anni della sua vita avrebbe continuato a sprecare dietro quelle ricerche inconcludenti se Brakebills non l'avesse chiamata. Tutti, ovviamente. Tutta la vita l'avrebbe dedicata a quel sogno fino a divenire la classica vecchia eremita blaterante dalla quale le madri mettevano in guardia i figli. Eppure, le sarebbe piaciuto tornare su quella montagna.

    In quel momento di meditazione, accadde qualcosa al cristallo. La pietra si illuminò, e la tedesca arretrò istintivamente, anche quella fu una mossa stupida, visto che il ciondolo era attaccato alla collana che portava. Dal cristallo uscì una splendida aquila che, con la stessa velocità con cui era fuggita dalla pietra, volò nella direzione opposta di Angelica. Doveva essere il daimon di cui aveva parlato Callaway, il suo spirito guida. Senza esitare ulteriormente, la tedesca si lanciò all'inseguimento della creatura, superando ben presto quella parte della foresta a lei tanto familiare. Percorse un paio di centinaia di metri in linea retta fino a trovarsi davanti un crocevia; la scelta era molto meno libera di quanto potesse sembrare, in fondo era un inseguimento. Animale guida e strega svoltarono a destra.

    « Ah, un'aquila. », era la sua voce. Reinhard. « Il simbolo della gloria dei romani. Dopo il crollo dell'impero romano, l'aquila entrò nell'araldica di molti stati che ambivano alla medesima grandezza del più grande degli imperi. Lo sapevi, no? », disgustosa. « No, come potresti saperlo. Tu non sai nulla. », era davvero lui. Il suo modo di parlare, il suo essere saccente e la sua cattiveria gratuita. Perché? « Mi dispiace, ma sono costretta a dirti che non ho più nulla da dimostrarti, Reinhard. », rispose, tranquilla. In quel momento non lo stava facendo né per Callaway, né per la magia. Lo stava facendo per disfarsi degli scheletri nel suo armadio, per rimuovere suo padre per sempre dalla sua vita.
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    L'affetto che provi per tuo padre ti permette di salvarlo. L'energia abbandona il tuo corpo e alimenta i tessuti della sua guancia che si risanano rapidamente sotto le tue dita.

    Sblocchi:

    Nome: Diagnosi dell’aura
    Requisiti: completamento della prima lezione
    Descrizione: Permette di ottenere informazioni su
    - Stato del ki di un mago
    - Dettagli riguardanti un'incantesimo castato su un oggetto
    - Il tipo di incantesimo che sta usando un mago, in questo caso si ottiene un bonus +1 sugli incantesimi lanciati per difendersi dall'attacco
    - Malattie magiche, come corruzione del sangue, licantropia, vampirismo, cannibalismo wendigo-derivante.
    Formula: è sufficiente concentrazione, chiudere gli occhi può aiutare in tal senso.

    Nome: Pranoterapia
    Requisiti: Completamento della prima lezione
    Descrizione: permette di donare la propria energia vitale a scopo curativo. E’ possibile curare qualsiasi tipo di ferita fisica. La forza dell’incantesimo è direttamente proporzionale al grado di altruismo del gesto e al coinvolgimento emotivo del mago. Ciò si traduce in Bonus:
    +1 sul tiro del dado, se il mago cura una persona a lui sconosciuta senza secondi fini
    +2 sul tiro del dado, se il mago cura una persona a lui emotivamente molto legato senza secondi fini
    Nota:
    1) Non è possibile curare malattie, o stati di avvelenamento
    2) L'utilizzo sul cancro causa un accrescimento dello stesso
    3) La pranoterapia ha effetto anche sui maghi neri
    Movimento: è sufficiente posizionare una, o entrambe, le mani a qualche centimetro dalla ferita o genericamente dalla pelle dell’individuo. I palmi si illumineranno dello stesso colore dell’aura.


    Ora puoi sentire che tuo padre sta bene, il colpo gli ha fatto battere la testa, ma non è nulla di grave, ha perso i sensi ma si sveglierà presto. Daniel d'altro canto è ancora davanti a te, imponente e minacciso, cerca di afferrarti per trascinarti verso la tua stanza da letto.
     
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    //Ebbene si aiuto Eng...sorpresa


    Angelica: Reinahard Adenauer non è cambiato nel corso degli anni, però l'aria smilza dello studioso sembra lasciare il posto ad una figura ancora più autoritaria di quanto tu possa ricordare. Ride beffardo a quanto hai detto e e ribatte alla tua affermazione con l'accondiscendenza di chi si rivolge ad una bambina, "Dimentichi che tu sei una MIA creatura, che sei ciò che sei per merito mio."
    Non scherza affatto, Reinahard ha sempre cercato di appropriarsi di ciò che tuo e continua a farlo. Si sposta leggermente verso un lato avvicinandosi alla tua amata foresta, luogo in cui custodisci i ricordi di quando hai cominciato a comprenderti. "Io ti ho creato, io ti ho plasmata e io potrei distruggerti, perché tutto ciò che fai diventa mio di diritto...e se non lo è, allora va distrutto aggiunge guardandoti negli occhi, la sincerità delle sue parole si manifesta in un semplice accendino, un attimo e una fiamma è accesa. Perché non mi mostri ciò che è Mio aggiunge, nelle sue parole una velata minaccia.

    Animale guida: Aquila

    CITAZIONE
    L'aquila è riconosciuta come la maggiore rappresentante della forza divina, il Grande Spirito. Tra i miti e le leggende degli indiani d'America è sempre stata il simbolo di una forte connotazione regale con il potere di sovrastare il mondo materiale e tutto ciò che lo abita. Poiché si libra nel cielo riesce ad avere la visione distaccata e spirituale degli accadimenti umani poiché non ne viene influenzata, questa è una delle caratteristiche dell'aquila ma può essere anche un rappresentante del lato negativo del carattere della persona che possiede il totem dell'aquila poiché risulterà troppo fredda e distaccata rispetto ciò che le accadrà intorno nella sua vita. Questo totem animale possiede però la prerogativa di poter vedere la trama dell'esistenza in senso lato e maggiormente espanso, comprendendo come si svolgeranno i fatti prima che questi si realizzino nella vita di tutti i giorni, l'aquila può vedere anche l'ombra che si nasconde negli avvenimenti.

    Bonus: Ti da +2 a tiri di riflesso e una visione del tuo animale guida nel tuo panorama interiore ti dirà di una situazione potenzialmente pericolosa. L'improvvisa apparizione del tuo animale guida potrà significare vittoria, perdita o rovina a seconda se l'animale ti è mostrato vivo, ferito o morto. [Azione gratuita, soggetta al master]

    Sembri avere predisposizione per il corso di Veggente di Magia Psichica. Se te lo stavi chiedendo v-v
     
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    Angelica Adenauer
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    Il tempo poteva essere un antidoto o un veleno, d'altronde era una medicina come tante altre. Addolciva i cuori degli innamorati e induriva i sentimenti reciprochi degli avversari, spesso con conseguenze imprevedibili. Se non altro, lo scivolare dei granelli di sabbia aveva reso Reinhard un uomo peggiore di quanto potesse mai essere stato. Pragmatico, manipolatore e pieno di sé, ma la verità era che quella non era che un'armatura di ottima fattura. Dietro lo yoroi la carne dei samurai non era più dura di quella dei contadini, solo più difficile da raggiungere. Non aveva paura; piuttosto, la sua presenza la rendeva inquieta. Si comportava come se sapesse tutto di lei per davvero, non come quando la umiliava durante l'adolescenza. Non era solo la sicurezza nella sua voce, era il linguaggio nel corpo che dopo anni passati insieme diventava impossibile da dimenticare. Voleva annientarla, ma se confidava nella sua inerzia e susseguente fuga avrebbe avuto una triste sorpresa: lei non era la sua ex-moglie. Lei era Angelica, superiore per sangue e incarnazione di tutto quello che c'era di buono in Reinhard. Lei era ciò che lui sarebbe dovuto essere, la sindrome di Stoccolma di una strega troppo giovane per poter reagire. Lo studente-chirurgo sorrise.

    « Perché tu mi appartieni, Reinhard. Siamo divisori dello stesso fattore, rami della medesima casata e sfumature di un unico colore. Sai qual è la differenza tra me e te? », domandò con un tono che lei stessa faticava a riconoscere. Era la voce di anni di risentimento, vergogna e paura. Prima che la magia la facesse rinascere insieme a una nuova consapevolezza, ovviamente. « Che io posso permettermi di morire, ma tu non puoi perdermi. Questi specchi riflettono il mio passato, ma io sono il tuo presente e futuro, Reinhard. Sono l'ultima degli staffettisti e con me la corsa si concluderà. », aggiunse, la voce ancora più alta. « Per quello che mi importa, puoi bruciare qualunque cosa. Se sei così vigliacco da prendertela con ciò che mi riguarda piuttosto che con me, sarò ben felice di essere l'unica spettatrice della tua misera pantomima. », mentì, mascherando la sua preoccupazione sotto un velo di indifferenza e provocazione. Il solo pensiero che Reinhard potesse guardare, commentare e violare la sua intimità la irritava, per essere generosi. Ma crollasse il cielo, non si sarebbe mai piegata ai suoi ricatti. « Oppure potremmo fare un gioco, che ne dici? Un gioco molto stimolante. Le regole sono semplici: lasceremo che sia l'aquila a scegliere chi, fra noi, abbia maggior merito. L'aquila dovrà appoggiarsi sulla spalla del vincitore, che potrà decidere la sorte del perdente. », lo sfidò, completamente sicura delle proprie capacità.

    Il Gioco di Angelica era iniziato.
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    Si guardò intorno, lo stupore ben evidente nei lineamenti del suo volto. Stava partecipando alla sua prima lezione in assoluto e non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo. Si era sempre immaginata gli insegnamenti come una schiera di banchi, un docente che parlava e tanti appunti da prendere. Invece, il professor Callaway aveva dato loro un ciondolo da indossare. Non appena Fee lo aveva fatto scorrere delicatamente intorno al collo si era sentita teletrasportare da qualche parte. Un luogo fatto interamente di specchi. Sembravano tanti corridoi più che una stanza grande, la creatura non riusciva a capirlo così bene. Comunque restare là immobile non l'avrebbe portata a nulla. Mosse i primi incerti passi. Subito, tutto sembrò mutare. Gli specchi sparirono come se non fossero mai stati là. Un rumore familiare l'avvolse prima ancora di percepire dove si trovasse. Seduta nella sedia di legno con incisa la scritta "Fee" dietro allo schienale, non poté non sentire il cinguettare degli uccellini. Una tiepida luce primaverile filtrava dalle finestre semi aperte, portando con sè un'aria fresca e gradevole. La ragazza sapeva perfettamente dove fosse. Impossibile non riconoscere casa sua dopo averci vissuto ventidue anni. Sorridendo con tenerezza osservò le ciotole poggiate sul tavolo del piccolo soggiorno. Nulla sembrava mutato. Oltre al cinguettio qualcosa si aggiunse a quel suono. Era acqua e Felicity non potè non alzarsi in piedi al solo sentirlo. Le ali, nascoste sottopelle, premevano di uscire come non mai. Quando si trovava a casa infatti, vivendo lontana dai NoMag, poteva tranquillamente lasciarle libere di muoversi. Uscì con passi brevi e rapidi dalla casina, lasciando la porta di legno aperta dietro di sè. Senza pensarci un attimo, andò a sedersi sul bordo del laghetto vicino casa. Si tolse le ballerine colorate che quel giorno aveva deciso di indossare, rimanendo scalza. Alzandosi i Jeans fino a metà polpaccio mise i piedi dentro l'acqua fresca. Sorridendo felice si sdraiò sull'erba soffice, lasciando comunque parte del corpo dentro il laghetto. L'idea di chiudere gli occhi e farsi un riposino le stava iniziando a passare per la mente, quando successe qualcosa di anomalo. Dal ciondolo che teneva al collo sembrò fluire qualcosa di luminoso, andandole dietro e sparendo momentaneamente dalla sua vista. « Ma cosa » mormorò alzando di poco il capo, quel tanto che bastava per riuscire ad osservare dietro di sè. Poco distante da lei un piccolo cerbiatto la stava fissando con quegli occhietti così dolci. Non era però un normale animale. La sua consistenza era luminosa e questo fece automaticamente aprire la bocca a Fee. « ...e tu chi sei? » chiese, non ottenendo però risposta. Anzi, il cerbiatto si voltò verso il bosco iniziando ad allontanarsi. « Ehi! Aspetta, per favore » la voce le uscì allarmata, mentre si alzava togliendo i piedi dall'acqua. Iniziò ad inseguirlo scalza, completamente dimenticatasi delle scarpe. Dapprima l'animale sembrò andare al troppo, ma non appena Fee tentò di raggiungerlo iniziò a correre. « No! » la ragazza aumentò il ritmo. Qualcosa le diceva che non doveva perderlo. Non poteva. Doveva capire perchè si trovasse lì e cosa stava succedendo. Si inoltrarono nel bosco, dando inizio ad uno strano inseguimento. Invece di raggiungerlo però Felicity sentiva come se si stesse allontanando. Cercando di evitare di perderlo, sentì premere di nuovo sottopelle le ali e quella volta le ascoltò. Indossando una cannottiera scollata sulla schiena riuscirono a liberarsi senza nessuna fatica. Con un piccolo balzo spiccò il volo. Una risata leggera le uscì dalle labbra, cosa che succedeva sempre ogni volta che si librava nell'aria. Con nuovo vigore tornò a seguirlo, l'aria che le sferzava le guance. Passarono solo qualche minuto prima che il cerbiatto decise di fermarsi all'improvviso. Talmente all'improvviso che Fee rischiò di finirgli addosso. Lo sorpassò a sinistra, scartandolo, fermandosi poco dopo. Poggiò piano le dita dei piedi sul manto di margherite. Voltò la chioma bionda verso l'animale, la fronte aggrottata. « Perché? » chiese, come se il cerbiatto potesse dargli una risposta solo guardandola. Si trovava in quella precisa radura... nel rifugio suo e dei suoi genitori. Non riuscì a pensare al perché quella creatura conoscesse un posto così prezioso a lei, distratta da un rumore. Al margine di quella piccola radura circolare stava un albero, un salice piangente per la precisione. Era sempre stato il suo preferito, per la forma così particolare in confronto agli altri. L'ampiezza del tronco era notevole e fin dal basso partiva un reticolo di rami, in cui Fee amava giocarci quando era piccola. Dietro le tante foglie, strette e allungate, la ragazza aveva sempre avuto l'impressione di potersi nascondere dal mondo. Ma adesso il suo sguardo non si muoveva da metà del tronco. Al centro infatti l'albero sembrava aver preso le sembianze del volto di una persona. « Ma... » riuscì solo a dire, in un mormorio confuso. In risposta un "ciao mia piccola daisy" Il cuore della ragazza smise di battere per un attimo. Quel volto era di suo padre. Del suo defunto padre.
    Felicity Daisy Johnson
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    Angelica: Non può permettere di vedersi sottrarre qualcosa. Attraverso gli occhi di Angelica, Reinhard vede ciò che dovrebbe essere suo di diritto, e invece gli è precluso. Un potere e una conoscenza che sembrano appartenere ad un livello superiore. Un lieve bagliore negli occhi dell'uomo fanno intendere quanto la follia di Reinhard sia aumentata negli anni, quanto la sua mania di controllo infine rischia di divorarlo e ora vorrebbe divorare anche te. Eppure qualcosa nelle tue parole sembra dargli una speranza, un bagliore tenue di aver ancora controllo su di te, non tutto è sfuggito al suo controllo. Sa che in fondo tieni a quella foresta, è una consapevolezza e la tua idea di voler giocare lo fa sorridere beffardo mentre tiene l'accendino tra le mani. "Un gioco, Angelica. Qualunque tua vittoria sarebbe comunque la mia, perché nulla ti appartiene." gioca pericolosamente con l'accendino accanto alle piante. Un semplice gesto e tutto prenderà fuoco, perché in fondo sa che tieni a quella foresta e potrebbe non aver creduto alle tue parole. L'Aquila si agita e spicca il volo e con un verso acuto si allontana.
    Reinard intanto prosegue Sappiamo entrambi che tieni a tutto ciò. Avvicina il braccio ad un cespuglio più secco degli altri e lo accende. Il fuoco prende piede e la foresta inizia a bruciare. Tuo padre ti guarda soddisfatto, in quel momento si sta appropriando del tuo ultimo scampolo di libertà.
     
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    Ecco come mi sono immaginata tuo padre xD

    Daisy: Il sorriso di tuo padre è così come lo ricordi, il suo volto si anima di una serenità e di una gioia non difficili da capire. Bambina mia ti sussurra non nascondendo l'amore che prova per te, sebbene ti sia apparso nella forma di un grande albero. Forse perché lui rappresenta la saggezza e le fondamenta della tua vita. Il tuo cerbiatto bruca sulle sue radici facendolo ridere divertito per il solletico. La risata di tuo padre ha sempre avuto quel suono così avvolgente, come un abbraccio tanto a lungo desiderato.
    Sei cresciuta piccola Daisy, sono felice di vederti.
    Sembra volerti dire tante cose e insieme potreste recuperare il tempo perduto, eppure nelle rughe del suo volto può scorgere una necessità diversa, come se volesse dirti altro ma non sa se farlo. Un improvviso colpo di tosse proveniente dalla casetta fa alzare la testa del cerbiatto, il quale ti si avvicina. Guardi il viso di tuo padre, nei suoi occhi vi è tutto l'amore e l'affetto che prova per te, vorrebbe ancora parlarti ma sa che il motivo per cui sei qui è un altro. C'è qualcuno che vorrebbe vederti confessa alla fine, lo sguardo si rivolge alla casa da cui sei uscita. Nella camera da letto dei tuoi genitori c'è tua madre, ammalata a letto, tossisce continuamente, ma sul suo volto vi è sempre un sorriso benevole che sembra illuminarsi di più nel momento in cui ti vede. Le forze per reggersi in piede le mancano, ma comunque compie lo sforzo di sistemarsi leggermente nel letto, la malattia l'ha provata e con delicatezza tende una mano verso di te invitandoti ad avvicinarsi.

    CITAZIONE
    Animale totem: Cervo (Cerbiatto)

    Il cervo in natura ci cattura per la sua bellezza e la maestosità, pieno di grazia e dai movimenti delicati. I Celti credevano anche che il cervo fosse associato con il regno delle fate e portasse truppe di fate quando il cervo tagliava per la foresta velocemente. Proprio come il cervo ha quella spinta interiore per cercare la terra più verde e migliore anche il mago che ha questo totem come animale guida, è spronato a cercare continuamente i suoi tesori nascosti, la bellezza delle cose nascoste e i propri talenti. Il cervo (in particolare la cerva, la femmina) ha la capacità di dare infinita generosità, il Cerbiatto rappresenta l’innocenza e l’amorevole arrendevolezza, aiuta a sviluppare la gentilezza e la calma.

    Bonus: + 2 agli incantesimi empatici e ai tiri di volontà.

    Il tuo pg sembra possedere una particolare connessione con la natura (ecoempatia) e riesce ad empatizzare con essa, se accetti l'ecoempatia questa skills è per te:

    Nome: Ecoempatia
    Tipologia: Incantesimo di percezione delle emozioni
    Descrizione: il mago ematico può percepire le condizioni dell'ambiente naturale circostante, o più specificatamente di una pianta. Sono inclusi tutti gli ecoambienti (foreste, deserti, tundre, lagune ecc). Il mago può così percepire se l'ecosistema è in agitazione, oppure è tranquillo. Il mago può sapere inoltre se è stato\è manipolato dalla magia.
    Formula: sufficienti alcuni minuti di concentrazione, più il mago è esperto ad empatizzare con l'ambiente, più gli sarà facile. Il tocco può aiutare in questi casi.
     
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    I love Puddin'
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    Scusate gli errori ma ho dovuto postare dal telefono

    ☯ dulcinea angelique verhoeven
    ■ student
    character sheet+libretto
    dress
    ■ single
    ■ 20 years
    Non le tremava la voce. Ne era certa. Eppure percepiva con solenne distinzione le corde della sua anima vibrare come un pianoforte sopraffatto dal fervore del proprio musicista. Il petto mal assecondava la continua irruzione di battiti che non davano tregua alla pelle. Quello non era un posto dove guarire, la Conception non lo era mai stata. E Marcel lo sapeva bene. L'ospedale era piuttosto un maldestro tentativo di prendere fra le mani l'indelicato esistere del dolore che non faceva che demolire l'architettura umana di un paradiso apparente. Guarire era una parola troppo piccola per quel posto. Fra l'acredine indisponente dei medicinali, Dulcinea aveva visto le persone lasciarsi scivolare addosso quello che erano sbiadire fino a rassomigliare alle nubi di un cielo che ha fretta di tornare a casa. Dimenticare le ore, i minuti e i secondi. Il presente moriva e loro divenivano memoria. Ombre simili a fiammelle sui muri. I corridoi una processione di occhi alla deriva come zattere randagie. Il mare non ha strade, e la Conception nemmeno. La ragazza trattenne un sussulto quando suo padre si alzò, improvvisamente scosso, improvvisamente meno distante. Dulcinea strinse i pugni , quasi la rabbia fosse l'unica fede che valesse la pena pregare; il viso in tensione e gli occhi in delirio. Sapeva che vi era una scintilla di patetica disperazione nell'accanirsi contro qualcuno che, altro non era, se non la cenere d'un affetto cremato ancor prima di poter vivere. Ma non poteva farne a meno. Al contempo sentiva che non fosse giusto. Sentiva di doversi abbattere contro qualcosa, a costo di dover gridare per ogni singola ferita, ogni singola scheggia d'istinto che aveva permesso potesse infettare le sue decisioni. Che fosse suo padre, se stessa o l'infimo respiro delle sue paure non aveva importanza. Percepiva le labbra sciogliersi sotto il calore di ciò che non aveva mai detto e un'energia nuova spiegare le ali dentro di lei. All'improvviso la brezza estiva si tinse di rosso e insanguinò il bagliore delle stelle appese sulle guance del cielo. Fuori, la notte ammutoliva. La ragazza guardò esterrefatta la nebbia vermiglia alleggiare intorno a lei fagocitare il canto di luce invocato dal fuoco appena più in basso. Si sentiva meravigliosamente male e al contempo terribilmente bene. Aveva la sensazione di specchiarsi dentro le geometrie imperfette del suo cuore, come se lei stessa fosse esplosa in una fiaba dal lieto fine sconosciuto, come se l'universo l'avesse soffiata sul mondo per affrescare l'aria. Non ricordava un accidente delle parole di Callway, ritiratesi in un letargo annoiato simili a minuscoli scoiattoli, eppure, non aveva bisogno di alcuna spiegazione per capire che quella fosse la sua aura. Fece un ulteriore passo in avanti, rischiando di pestare il libretto che ancora ardeva sulla moquette; le dita capricciose del fuoco le solleticarono le gambe, aggrappandosi con violenza al ruggito della nuova energia in tempesta dentro le vene. Avrebbe voluto vomitargli addosso tutto il veleno che per anni si era rannicchiato fra le viscere delle sue cicatrici. Forse Marcel non era cattivo, tutt'altro, Dulcinea era profondamente convinta che sotto quel camice bianco vi fosse un animo dalla natura essenzialmente umana. Però era un codardo. Non aveva nemmeno avuto la forza di odiarla nel momento in cui era nata. Avrebbe significato odiare una parte di sé, lasciare che la vergogna mietesse il raccolto di anni d'ineccepibile felicità. No, lui si era acquattato simile ad un sorcio di fogna fra le proprie remore, in attesa che il tempo e Dio zittissero il fragore di ciò che aveva fatto. Ma i peccati erano divenuti la sua orbita dalla quale non aveva avuto la forza di sottrarsi. E questo lei non glielo avrebbe mai perdonato.
    Il calore si appropriò della stanza eclissando ogni cosa. Dulcinea veloce si allontanò per afferrare la maniglia della porta mentre il fuoco ammantava lascivo le pareti come sirene abrasive, i bagliori s'intramarono con la pelle dorata e l'addensarsi del fumo le causò un lieve affanno. Strinse la maniglia prima di voltarsi verso suo padre, statuario, e per attimo le parve che gli occhi di lui fossero inaspettatamente uguali ai suoi. Sconvolti dall'imprecisione dei giorni che accadono e basta, tiepidi, simili all'acqua dimenticata in un secchiello in riva al mare. Una vampata sconosciuto sbocciò sulle gote della francese. Era arrabbiata, delusa, perché avrebbe voluto guardare Marcel e scorgere i palloncini comprati al parco urbano, l'odore della sua pelle stretta contro il naso le notti in cui aveva paura, la meravigliosa vertigine mentre la lanciava per poi riprenderla al volo. Invece vedeva solo il suo dottore.
    << Immagino che la seduta sia finita...la mia segretaria le lascerà la fattura >>
    Dulcinea liberò un sorriso amaro prima di piegarsi ed eseguire un inchino teatrale con un fugace agitarsi del braccio.
    << Non sei riuscito ad amarmi e nemmeno a curarmi. Io non ti devo nulla. Vorrei poter fare qualcosa davvero ma, beh io non sono un dottore...>>
    Aprì la porta e lanciò un'ultimo sguardo allo studio.
    << Salvati da solo!>>
    Si chiuse la porta alle spalle e iniziò a correre. Doveva uscire di lì al più presto.
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    Edited by ~Labyrinth~ - 21/3/2017, 00:40
     
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    Angelica Adenauer
    20 anni - neutrale malvagio - criminalistica e criminologia - scheda personaggio
    So I walked through to the haze, And a million dirty waves, Now I see you lying there, Like a lilo losing air, air
    L'aquila prese il volo, abbandonando padre e figlia di fronte a uno stallo. Si sentì incredibilmente stupida e ingenua per essersi affidata a una creatura che non conosceva come un daimon, e l'orgoglio la divorava dentro più di quanto avrebbe mai potuto fare lo sguardo di Reinhard. In fondo, era anche uno scontro contro se stessa. Una danza con i demoni che abitavano il suo subconscio; ecco, tra le altre conseguenze, a cosa poteva portare la magia. A braccetto con i demoni, a braccetto con se stessa. Se stessa: Angelica Adenauer. Lentamente iniziava a capire; i pensieri assumevano la forma di parole nello stesso lasso di tempo che serviva alle fiamme per avviluppare le piante. « Temo di aver sottovalutato le tue possibilità. », disse con una calma quasi innaturale, un passo in avanti. « Ma vedi, non ho intenzione di abbandonarti. Non c'è davvero bisogno di essere così sulla difensiva. », proseguì, sia con le parole che con il corpo, muovendo anche l'altra gamba. Tra sé e sé si trovò a elogiare Callaway per essere riuscito a scrivere un copione talmente bene da averla fatta calare perfettamente nella parte. Ma quando finisce la recita, gli attori si tolgono la maschera e tornano a casa. « Signorina Adenauer. »

    Gli attori si tolgono i costumi, le maschere e il trucco. Si rimettono i loro vestiti ordinari, salgono in macchina e tornano a fare quello che fanno in una vita che non dura un'ora e trenta minuti. La finta Adenauer doveva odiare la sua parte, ma era pagata per quello, quindi si rimboccava le maniche e tirava fuori il meglio di sé. Nessuno poteva sapere se piangeva dietro la maschera. « Mi sbaglio, forse? No, permettimi di peccare di superbia. Tu sei solo un altro specchio, cara. », asserì nel pieno delle proprie convinzioni. La persona che aveva davanti, ne era sicura, non era che un banale riflesso del suo passato, per questo lo trovava così poco cambiato. La foresta bruciava insieme alla tenda e ai mucchi di libri sulla falsa magia. « Sai, ora che ci penso avrei una domanda per te. », ormai la tedesca aveva ridotto la distanza che la separava dalla falsa se stessa a una manciata di centimetri. « Sei in grado di improvvisare? », i colori delle fiamme illuminavano lo sguardo di Angelica, gli occhi avidi di una scienziata: lo studente era il chirurgo.
    code © psiche
     
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    Una piccola lacrima, quasi invisibile al mondo esterno, percorse il viso di lei, indugiando un attimo sul mento prima di perdersi tra i ciuffi d'erba che le solleticavano i piedi scalzi. « Papà... » sussurrò, la mano avvicinandosi automaticamente al volto di Leonard, rappresentato in una strana versione di tronco d'albero. Abbassò gli occhi sorpresa al suono della risata del padre: il cerbiatto stava brucando l'erba sopra le sue radici. Fee non capì totalmente il perché ciò gli provocasse ilarità. Immaginò fosse per il piacevole fastidio nel percepirlo mangiare sui suoi "piedi", ma non poteva esserne certa e comunque in quel momento non le sembrava importante. Ciò che contava era sentire di nuovo quella risata. Dio, quanto le era mancata. Incerta, colmò la distanza già precedentemente accorciata tra il palmo della sua mano ed il tronco. Accarezzando la parte dell'albero che avrebbe dovuto rappresentare la sua guancia destra. Quando la chiamò Daisy gli occhi chiari le si riempirono di lacrime. Stava là con lacrime pronte a scendere ed un forte nodo in gola, ma nonostante ciò un sorriso solcava il suo volto. C'era qualcosa in quell'attimo che richiamava una strana sensazione. Si poteva percepire una serena nostalgia aleggiare in lei, mentre il sorriso continuava a persistere nel ricordare che solo suo padre la chiamava così. Le raccontava ogni volta che poteva che aveva insistito lui perchè lo ricevesse come secondo nome. Per lui le margherite erano davvero importanti.. tanto da volerci chiamare sua figlia. Sembrò non sentire il colpo di tosse provenire da casa, troppo concentrata sull'osservare suo padre. Era morto da quasi un anno, ma le sembrava passata un'eternità. « Mi manchi tanto sai » mormorò, continuando ad accarezzare quel volto così familiare e lontano al tempo stesso. Volse finalmente lo sguardo dall'albero quando il cerbiatto le si avvicinò. Spostò lo sguardo tra la creatura ed il tronco, non comprendendo appieno la situazione. Un brivido le corse lungo la spina dorsale non appena colse lo sguardo di Leonard. Ricordava perfettamente quel suo modo di guardarla. Così pieno di amore da farle sentire il cuore traboccante di gioia, come se nient'altro avesse importanza su quel pianeta. Non appena suo padre la informò che un'altra persona desiderava vederla, Fee capì. Era vissuta a contatto con pochissime persone fino al suo arrivo a New York e sapeva che poteva essere solo una persona. Il battito cardiaco subì un leggero aumento, dovuto all'emozione, mentre le mani corsero l'una verso l'altra, stringendole a tal punto da non sentire quasi più la circolazione del sangue scorrere. Notò lo scorrere dello sguardo di Leonard, fino a fermarsi in un punto dove poco distante Felicity sapeva esserci casa. « Va bene, vado. Tu però non sparire eh... » commentò, allungandosi per dare un bacio alla fronte del padre, anche se le sue labbra si posarono solo su duro legno « per favore » dopo un'ultima supplica di non sparire, rivolta al genitore, la bionda si voltò per ripercorrere la radura dove si era fermata poco prima. Solo dopo qualche passo però si fermo un attimo, voltandosi verso il cerbiatto. « Se ti va, mi farebbe piacere se mi accompagnassi » sorrise teneramente, certa che la creatura potesse comprenderla. Sperando che la seguisse percorse il breve tragitto nel bosco, decidendo di farlo camminando nonostante le ali fossero ancora libere di muoversi sulla sua schiena. Preferì camminare invece di volare, per perdere un attimo di tempo. Aveva un'immensa voglia di vedere sua madre, ma sentiva anche una stretta allo stomaco al pensiero di cosa invece poteva trovare una volta arrivata. Non appena giunse davanti alla porticina di legno si fermò un attimo, indugiando. Prese un profondo respiro, portando le braccia dietro al suo corpo e nascondendo le ali sottopelle. Se il cerbiatto fosse stato lì Fee gli avrebbe rivolto uno sguardo preoccupato, forse per tentare in qualche modo di essere rassicurata. Entrò, la tensione ben evidente sul suo intero fisico, teso e ansioso. Tensione che si dissolse non appena vide la donna, per far spazio però ad un totale senso di smarrimento. Ricordi di quando era molto piccola riaffiorarono nella sua mente. La mamma stava sempre a letto, aveva l'aria sofferente e lei non capiva perché. Batteva i piedini cercando spiegazioni dal padre, che però non arrivavano mai. Fee abbassò il capo, immersa nei suoi pensieri. Una lieve ruga di tristezza le solcava il volto, nascosto parzialmente dalla lunga chioma. Erano passati diciassette anni dalla morte di Talia, eppure per la ragazza era ancora una ferita non del tutto guarita. Rialzando lo sguardo, notò che la madre stava provando a tendere una mano verso di lei. « Arrivo mamma » per la seconda volta in poco tempo, sentì nuovamente gli occhi bagnarsi. Prese una piccola e deliziosa sedia di legno presente nella stanza e la portò ai margini del letto. Prima di sedersi però si allungò verso il genitore, dandole un tenero bacio sulla fronte e stringendo delicatamente la mano stanca fra le sue. « Da quanto tempo eh » Sorrise, lo sguardo appannato dalle lacrime che premevano di scivolare via libere.
    Felicity Daisy Johnson
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    Anche io me l'ero immaginato in quel modo in effetti ahahahahah
    Comunque certo che accetto l'ecoempatia *-*
     
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    Dulcinea

    Il labirinto risponde a ciò che desideri vedere. Non appena finisci di parlare con tuo padre, quello brucia tra le fiamme, ma dura giusto un attimo intenso di dolore, poi l'immagine del vecchio istituto psichiatrico scompaiono fondendosi in miscele di colore che riprendono lentamente forma in una giornata soleggiata in un parco di Parigi, un parco della tua infanzia. L'aria è frizzante, il vociare dei bambini e dei loro genitori è allegro e piacevole, lo sterrato delle stradine che fendono il giardino scricchiola che è un piacere quando arriva il carretto dello zucchero filato. ha attaccate al manico palloncini colorati che svolazzano al vento. Tuo padre è seduto da solo su una panchina, è vecchio ormai, vecchio come non l'hai mai visto. Guarda il carretto dei popcorn con aria malinconica. Ha ancora tra le mani il suo taccuino, ma sembra quasi essersene dimenticato.

    Il tuo grifone, ovviamente, ti è ancora accanto, sembra essere un animale guida piuttosto fedele.
     
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    //Chiedo venia per l'attesa, ero a seguire

    Angelica: Lo sai anche tu, quello è ciò che saresti diventata se fossi rimasta lì senza far nulla. Sarebbe stato il prezzo da pagare per non aver reclamato la tua libertà. Reinhard vuole plasmarti ancora una volta a sua immagine e somiglianza, vivere attraverso di te ciò che egli non è stato in grado. Come un parassita vive a scapito di una creatura, così Reinhard sembra quasi voler risucchiare la tua stessa vita, la tua essenza. Le fiamme lo rendo più simile ad un diavolo in terra. Le fiamme lambiscono i suoi vestiti e i tuoi, ma la cosa non sembra preoccuparlo. Avresti potuto seguire la tua guida...invece hai scelto la distruzione, ciò dimostra che mi assomigli molto più di quanto ti ostini a credere. afferma l'uomo, specchio delle tue paure più profonde. Un suono familiare distoglie la tua attenzione, il verso della tua aquila che torna volando da te. Ti gira intorno e in qualche modo sembra comunicarti di seguirla, è insistente, è certo che vuole allontanarti da quel luogo, perché ne avverte il pericolo. Si allontana di poco aspettandoti pronta a condurti lontano da lì e lontano da quel pericolo. Se decidi di seguirla, il tuo daimon ti mostrerà una strada per uscire dalla foresta in fiamme e ti condurrà in un'altra zona della foresta. Lì trovi una donna, la sua aria familiare ti ricorda subito di chi si tratta: è tua madre. E' spaesata e confusa a causa del fumo dell'incendio divampato è minacciata da alcune figure che ti sono anche loro molto familiari, sono gli stessi ragazzi che ti hanno attaccato nel vicolo anni prima.

    Daisy: La voce di tuo padre ti segue come una carezza. Non ha intenzione di allontanarsi, lui è sempre al tuo fianco. Il cerbiatto non se lo fa ripetere due volte e ti segue fedelmente inciampando a volte nelle sue stesse zampette, ma ti è accanto deciso accompagnandoti e la sua sola presenza ti rassicura. Entri nella stanza, l'emozioni che provi nel rivedere tua madre, i cui ricordi ti riportano bambina per un momento, ti avvolgono. Eppure non è un momento da macchiare con la tristezza e lo sai. Stringi la mano della donna tra le tue, la pelle ti appare così delicata che sembra quasi rompersi al minimo tocco, ma hai sempre posseduto una particolare forma di gentilezza. Forse è l'emozione di rivederla dopo così tanto tempo e di poterle parlare ancora, o semplicemente l'amore che nutri per lei che è così profondo da riversarsi in te e traspare in maniera così intesa da avvolgerti totalmente.
    Tua madre sospira leggermente al contatto con la tua mano, come se la tua sola presenza le desse sollievo da quella malattia. - Sei cresciuta mia piccola Daisy mormora con voce flebile, appare così stanca a causa della malattia, ma sembra che vedendoti abbia recuperato un po' di forza, c'è qualcosa che vorrebbe dirti da tanto, ma non ha mai avuto modo. E' andata via troppo presto per farlo. - Scusami mio tesoro se sono andata via, questa malattia ci ha separate troppo presto. Avrei voluto passare più tempo con te, avrei voluto vederti crescere. si scusa stringendo appena la presa sulla tua mano. L'emozione e l'affetto che provate l'una per l'altra si manifesta in un lieve bagliore che illumina le tue mani.

    Sblocchi:
    Nome: Espressione e Soppressione dell’aura
    Requisiti: completamento della prima lezione
    Nota: Incantesimo che NON richiede tiro del dado
    Descrizione: capacità di rendere visibile l’aura anche nel mondo fisico e di sopprimerla fino a farla scomparire del tutto, così da non lasciare alcuna traccia percepibile da parte di altri maghi. L’espressione dell’aura ha un effetto intimidatorio e oppressivo nei confronti delle aure più deboli, oltre a potenziare tutti gli incantesimi di magia bianca (+1).
    Note:
    1) nel turno successivo bisogna usare un'azione per mantenere l'aura espansa\soppressa
    2) se si utilizza un incantesimo con l'aura soppressa, questa si riesprime automaticamente
    3) l'espressione dell'aura rende più facilmente soggetti all'assorbimento di energia da parte dell'aura di un mago nero
    Formula: sufficienti alcuni secondi di concentrazione, più il mago è esperto più gli sarà facile


    Colore AURA: Verde

    CITAZIONE
    VERDE
    Il verde è il colore della crescita, del rinnovamento. Una persona con molto verde è dotata di una forte energia risanante e nutriente. Un verde vivo è il colore che si nota in quei soggetti che hanno intrapreso un ben preciso cammino interiore, molto generosi e pronti ad aiutare gli altri. Globalmente un bel verde mela è segno del donarsi agli altri. Se frammisto di zone azzurro cielo indica il bisogno e la ricerca dell'autenticità e della bellezza. Occorre particolare attenzione alla presenza di verde elettrico lungo le braccia o all'estremità delle dita, perché è indice di una naturale predisposizione alla cura mediante l'imposizione delle mani. Se questo colore presenta delle macchie di azzurro vivo, è segno di coraggio, che può arrivare anche al sacrificio; se d'un rosso medio denota una personalità equilibrata, costruttiva e responsabile, ma quanto sfocia nel rosso acceso può accompagnarsi ad un temperamento spesso impulsivo.
     
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    Stava cercando di assaporare ogni singolo istante, ogni frammento che il tempo le stava inaspettatamente regalando al fianco di quella donna che amava così tanto. Il viso le si inclinò leggermente verso il lato sinistro, per riuscire a vedere sua madre in ogni più piccola sfaccettatura, cercando di imprimersi nella mente più dettagli possibili, in modo da non farseli sfuggire più via. Quel piccolo volto che nel passato era stato così bello e pieno di vita, non riusciva a nascondere del tutto la sofferenza la quale la perseguitava ogni singolo momento, senza lasciarle mai un attimo di sollievo. Il destino poteva essere strano e crudele a volte e questo Fee lo aveva imparato fin da piccola, ma suo padre, con una visione della vita buona e giusta, cercava sempre di trasmetterle un insegnamento a lui importante: ogni singolo essere vivente, anche il più piccolo, nasce per uno scopo ben più grande di quello che immagina e, anche se siamo costretti a delle prove di dolore e sofferenza, tutto appare più chiaro quando capiamo che la morte non è altro che una delle tante tappe dell'esistenza ancora così misteriosa all'uomo. Con questo pensiero, nel corso della sua ancor breve vita, la ragazza tentò di andare avanti e trovare sempre lati positivi nell'amare la vita che le era stata donata per, immaginava, volere di qualcuno. I tenui raggi del sole filtravano dai vetri delle finestre, semi nascoste da piccole tende di un rosso cremisi, andando a depositarsi sulla chioma di Felicity, facendole apparire le bionde ciocche ancora più chiare di quelle che erano in realtà ed iniziando un gioco di ombre e luce dall'effetto ipnotico. Lo stanco volto della fata animava dentro Fee un dolore antico, composto da promesse mai mantenute e tempo andato. Non era un'emozione che avrebbe potuto sopraffarla, piuttosto una placida rassegnazione del corso degli eventi passati che però continuavano a far male. Chissà cosa avrebbe pensato di lei, vedendola in quel momento, così grande e diversa da quando aveva cinque anni. Così donna e bambina al tempo stesso. « Non devi scusarti mamma, non è colpa tua.. » non capì se lei fosse riuscita a sentirla, la voce bassa e tremula non sembrò uscirle chiaramente dalle labbra tremanti, nonostante cercasse di tenerle immobili il più possibile. Tutto il suo minuto corpo a dire il vero stava tremando, non di certo per un freddo che non persisteva, quanto più per le parole dette dalla madre, che le si erano fatte strada dentro di lei come lame taglienti. Si sentì in colpa per aver creato nel corso degli anni e nei recessi più profondi del suo Io pensieri egoistici, piccoli frammenti di immagini oscure e cattive, che la ragazza portava con sè nascondendoli a chiunque, perfino a se stessa, illudendosi così di non averli mai creati. « Anche io avrei voluto passare più tempo con te » le dita delle mani accarezzarono con quanta più delicatezza possibile il dorso della mano della fata, ricambiando piano la stretta che lei tentò di trasmettere a Fee. Osservare sua madre le faceva male, potendo percepire il dolore che si propagava per tutta la figura di Talia. A volte aveva come l'impressione che quella sensazione era talmente forte da sperare che la malattia stesse scivolando via dalla madre per passare a lei.. purtroppo però, nonostante avrebbe fatto di tutto per alleviare le sue sofferenze, non era mai accaduto. Le iridi chiare passarono dal volto della madre alle loro mani intrecciate. Da esse sembrava che minuscole scintille formassero un tenue bagliore. « Ma cosa sta succedendo? » la domanda si perse nel vuoto, non avendo un vero e proprio destinatario, lasciando una Fee confusa ad allentare di poco la stretta con sua madre e ad osservare la luce appena apparsa.
    Felicity Daisy Johnson
    Empatica ○ 22 Anni ○ Mezza fata della terra ○ Scheda

    wanna more? ➙ Hime©

     
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