[Magia Bianca] Lezione Magia Bianca II - seconda lezione primo anno

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    Lezione come sempre alle 10. Giornata soleggiata, ma fresca, siete in aula, i cristalli bianchi che conoscete già vi aspettano sui banchi.

    «Durante lo scorso semestre ho cercato di insegnarvi il valore dell’accettazione. Ho cercato di insegnarvi ad essere forti delle vostre debolezze. Da oggi proverò ad insegnarvi ad essere deboli di fronte la forza della vostra violenza. Da oggi proverò ad insegnarvi la pietà. La pietà verso il prossimo, ma soprattutto la pietà verso voi stessi. Durante uno scontro è facile cadere preda della violenza, è facile cedere al desiderio di far soffrire l’altro come ha fatto soffrire voi. Ma come vi comportate se di fronte a voi c’è chi combatte per disperazione? chi ha inciso sulla propria pelle il dolore che si porta dentro? Oggi vi chiedo di fronteggiare voi stessi, o una pallida rappresentazione che secondo me simboleggia in parte chi eravate prima di iniziare il corso e in parte chi siete ancora oggi. I vostri doppioni avranno sul proprio corpo il simbolo delle cicatrici invisibili che portate dentro di voi. Tornerete nel labirinto di specchi e nel vostro panorama interiore scoprirete cos’è cambiato dalla prima volta, troverete nuove luci e vecchie ombre, ma niente sarà come lo avete lasciato. Oggi vi chiedo di avere pietà del vostro riflesso, ma mi duole dirvi che lui non avrà alcuna esitazione a tentare di uccidervi. Ovviamente ciò non accadrà, ma i suoi colpi se andranno a segno vi assicuro che vi faranno soffrire terribilmente. Ricordate, il vostro riflesso vi conosce profondamente, conosce le vostre debolezze e le vostre paure, non tenterà di colpirvi solo fisicamente, ma anche emotivamente. Chi non se la dovesse sentire può tirarsi indietro. I maghi bianchi sono dei guerrieri, ma i guerrieri non si forgiano solo nella luce, anzi è proprio nella sofferenza che la trovano. Il vostro scopo una volta nel labirinto è fermare il riflesso, farlo desistere dal combattervi»


    - Potete iniziare il post direttamente nel labirinto, o da prima, scegliete liberamente, non inciderà sul voto
    - Arrivati nel labirinto come sempre apparirà dal cristallo il vostro animale guida, è sempre lo stesso, sempre una presenza evanescente e luminosa come un patronus
    - Descrivete l'ambiente com'è cambiato e trovatevi davanti senza troppe cerimonie il vostro riflesso, descrivetelo esattamente come lo avete immaginato leggendo le parole di Daniel. Deve portare su di sè tutti i simboli delle vostre sofferenze, devono essere lampanti e immediati per i vostri pg.
    - Fermate il post nel momento in cui il vostro riflesso vi attacca, o voi lo attaccate, o se gli parlate, così che possa esitare
    - Lo scopo? è fermare il riflesso, fargli smettere di lottare
    - Potete usare tutti gli incantesimi che vorrete
    - Il vostro riflesso conosce tutti gli incantesimi che conoscete anche voi

    Per qualsiasi domanda sono qui! Come al solito non ci sono scadenze, il numero di post dipende da voi, se vi muovete con intelligenza mi vanno bene anche due post.

    Le skill che avete per il momento sono:
    Nome: Forza d'animo
    Requisiti: 18 seconda lezione magia bianca
    Descrizione: l'energia del ki infonde più forza nell'animo del mago (+4 ai tiri volontà). Una luce intesa viene emanata dal corpo del mago quando incantesimi di volontà vengono esercitati su di lui.
    Formula: vis animae

    Nome: Confusione luminosa
    Requisiti: 20 seconda lezione magia bianca
    Descrizione: una luce intensa viene concentrata in un'area circolare di 50 metri, entro la quale il senso della vista è compromesso al punto da rendere impossibile vedere nitidamente i bersagli (-4 ai tiri per colpire di tutti coloro presenti nell'area, compreso il mago bianco che ha castato l'incantesimo). Buoni occhiali da sole, o una buona capacità di percepire l'aura permettono di ovviare facilmente al problema.
    Formula: intensa lux

    Nome: Palmo di luce
    Requisiti: 22 seconda lezione magia bianca
    Descrizione: Viene concentrata una scarica di luce che acceca gli avversari (numero di azioni durante le quali il mago avversario ha perso la vista pari al tiro del d4)
    Formula: collustro
    Movimento: pronunciare la formula a palmo sollevato verso il bersaglio
     
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    Spero che dal testo si capisca bene la descrizione del riflesso di Lara <3 Ha i capelli e l'occhio sinistro di Samantha O'Connor, con cui ha eseguito il rituale del Parabatai (per amor di cronaca la role è ancora in esecuzione) oltre alla cicatrice del morso e i tratti selvaggi di un licantropo a caccia.


    Chierica Applicata - 22 anni - Lycan
    Le lezioni di Magia Bianca le davano sempre quella tipica ansia da prestazione che aveva prima di ogni partita. Callaway trovava sempre modi nuovi di metterli alla prova e la giovane scozzese non poteva che continuare a chiedersi cosa dovesse aggiustare in lei. Da quando era arrivata qualche mese prima al Brakebills, praticamente ogni cosa era cambiata. Una parte di oscurità era entrata in lei e non poteva che domandarsi quanto quella parte fosse diventata preponderante. All'avvicinarsi di ogni luna piena sentiva la Lara giovale ed allegra farsi sempre più piccola, sostituita sempre più dalla Lara scontrosa, fino ad arrivare alla Lara assetata di sangue e vite. Sam ovviamente sapeva. Come sarebbe potuto essere altrimenti, visto il legame che avevano creato? Dalla settimana di vacanza al Lake Tahoe, si erano incise a vicenda il Parabatai, segno della loro eterna unione e connessione. Alla sua trasformazione, seppur in minor misura, l'amica aveva sofferto con lei. Non era mancata nemmeno la vicenda opposta, quando durante l'incontro al Wolf Wood con il branco, la sua Runa aveva preso a sanguinare, orribile segno che l'aveva fatta quasi scappare a cercare la Jensen. Non sapeva tuttora cosa fosse accaduto, tuttavia il ricordo rimaneva vivido come se fosse appena passato. L'amica non ne accennava mai e sembrava anzi non aver ricordo dell'accaduto, come se avesse rimosso tutto il dolore che aveva provato, da qualsiasi fonte fosse scaturito.
    Era proprio con la Jensen che si stava dirigendo a lezione; appena sveglie, avevano fatto rapidamente colazione insieme, per poi passeggiare nel Bosco, con una splendida mattinata ad accompagnarle, per dirigersi in Aula. Come sempre le aspettava il loro professore, sempre disposto a dare una mano; sul tavolo, un ciondolo con un cristallo che Lara riconobbe a prima vista: era lo stesso cristallo che avevano usato lezioni prima, per trovare la loro guida e svolgere una lezione che mirasse a ritrovare se stessi e accettarsi.
    La lezione di oggi non sarebbe stata una passeggiata, dato ciò che veniva richiesto. Senza esitare troppo, Lara lanciò uno sguardo carico di tensione e apprensione verso la O'Connor, prima di infilarsi il ciondolo al collo e venir trasportata in quella dimensioni di specchi che le avrebbe mostrato il suo panorama interiore. Dapprima tutto buio, per un attimo temette che non sarebbe apparso nulla se non pura oscurità. Piano piano poi però si delineò un paesaggio, con linee sempre più definite mano a mano che osservava. Sembrava che il panorama venisse dipinto con una mano esperta da un artista, tratti dapprima incerti che si facevano via via più sicuri dal momento che il disegno rimaneva impresso e ben in mente al pittore. Davanti a lei si mostrò un luogo che bene conosceva, luogo in cui aveva sancito il patto con Sam, il Lake Tahoe, totalmente ricoperto di neve. Non si trovava distante dall'acqua, ne poteva sentire il suono tranquillo e placido. Una brezza fredda la fece rabbrividire leggermente, mentre si spostava per cercare di capire di più, mentre osservava ciò che la circondava. Fatti pochi passi, il cristallo bianco si illuminò e da esso scaturì un maestoso Airone, il suo animale guida, che con una grazia fuori dal comune iniziò a planare sopra la sua testa. Sapeva che l'avrebbe accompagnata ovunque, era la sua guida interiore. Memore delle parole di Callaway, non vedendo nessuno nei paraggi, scandì facendo uscire dalle proprie labbra un buffetto di fumo Portami dal mio riflesso.
    Temeva ciò che avrebbe visto, ma era sicura di voler proseguire nella sfida. Sfidare se stessi era la cosa più difficile che il loro insegnante poteva chiedere.
    Mentre proseguiva, camminando affondando i piedi nella neve, senza perdere di vista l'Airone, in lontananza poté udire chiaramente degli ululati. In risposta poco dopo ne arrivarono altri. Fortunatamente non era notte, la luce filtrava timida dai rami imbiancati, perciò Lara non si preoccupò nell'immediato dei suoi simili.
    Ad un certo punto la sua guida iniziò a volare in cerchio su un punto e Lara capì di essere arrivata. Mentre lei si trovava in una posizione elevata, in cima ad una collinetta, il suo riflesso le dava le spalle poco più sotto. La prima cosa che potè notare fu il colore dei capelli, che dal suo castano naturale, le appariva rosso; dello stesso rosso dell'amica. Nello spostarsi, ruppe un ramoscello e il rumore fece scattare l'immagine interiore della scozzese, che si girò rapidamente verso la fonte del rumore. Aveva un qualcosa di selvaggio nei movimenti e la cosa l'avrebbe messa in allarme se non si fosse fatta distrarre da un particolare: l'occhio sinistro, invece che grigio, era ceruleo. La sua immagine interiore non aveva solo i capelli di Sam, ma anche il suo occhio sinistro; la Jensen era mancina. Un velo di lacrime rese opaca la vista dell'ex Cacciatrice. Il luogo e quei particolari rendevano il suo legame con la O'Connor così reale che ne fu commossa. Questo sicuramente era un profondo cambiamento rispetto all'ambiente della lezione precedente. Tuttavia il momento di affetto passò rapidamente. I suoi sensi affinati la misero in guardia e osservò quella figura con più attenzione. Se il colore degli occhi rivelava la presenza di Sam, lo sguardo non lasciava dubbi: era quello di un licantropo. Feroce, pieno di rabbia e senza pietà. Il suo viso aveva tratti selvaggi, come se il raziocinio avesse lasciato posto alla parte di puro istinto, primitivo e puramente egoista. I vestiti erano sporchi e sgualciti e lasciavano totalmente scoperta la cicatrice del morso lasciato da Noah, quel morso che aveva dato il via alla trasformazione in mostro. Istintivamente si portò la mano sul collo e sulla spalla, a toccare la propria ferita. A differenza della sua, quella del riflesso sembrava essere appena stata fatta, ancora sanguinante, ancora vivida. Lara fu sommersa dal ricordo del dolore, un dolore così profondo da essersi impresso a fuoco nella memoria, un dolore che si ripeteva infinito durante la trasformazione ogni mese.
    Barcollò all'indietro, sopraffatta da tutto ciò, senza rendersi conto che la figura che tanto l'aveva traumatizzata non era più ferma a fissarla con rabbia, ma si era scagliata a tutta velocità contro di lei, pronta ad attaccarla.

    Lara Lilnoir [ sheet ] 킏 Alcuni legami superano vincono su tutto
    [ code by psiche ]

    Edit, avevo lasciato il nome di Dàin nel code sorry
     
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    Informazioni di servizio: a fine gennaio, Sam ha incontrato Chaos. Durante il colloquio, ha raggiunto una nuova consapevolezza di sé, ha definito nuovi obiettivi, ma proprio quando era convinta di aver raggiunto la massima ascensione, egli l'ha torturata brutalmente, per poi cancellarle i ricordi. Anche la lince è rimasta ferita dallo scontro.
    Per evitare di perdere il senno a causa dell'intenso dolore che avrebbe provato, Sam è riuscita a salvare parte della sua anima nella runa Parabatai prima che Chaos la distruggesse, ed al momento non è consapevole di quanto accaduto nella sua mente e della sua evoluzione. L'altro lato di sé si fa sentire di tanto in tanto, come uno strano impulso apparentemente incoerente con se stessa.

    Spero che la descrizione del riflesso si capisca: inizialmente appare come un'ologramma, in un secondo momento acquista corporeità.
    Parte del Chaos Theatre è simile a questa, ma è molto più grande e sontuoso, stile Opera House.

    La mia unica azione è diagnosticare l'aura del riflesso.



    Samantha Jensen O’Connor
    23 Y.O.| I year | ΨΒZ | Neutral Good | Parabatai | Chaos seed | voice | ϟ
    I

    l sole e la frescura primaverile avevano accompagnato Sam e Lara dalle case sospese della sede della loro confraternita all’edificio principale del Brakebills.
    Era da un mesetto abbondante che un’insolita sensazione di calma aveva cominciato a farsi strada in lei, che per settimane non aveva fatto altro che isolarsi, rimuginare e svegliarsi ogni notte, preda di incubi infernali. Improvvisamente, una mattina di inizio febbraio aveva aperto gli occhi alle prime luci del mattino, la mente limpida, riposata ed incredula per quel primo, benedetto ciclo di sonno completo da diverse decine di giorni a quella parte. Non capiva cosa potesse essere successo, ma aveva evitato di porsi domande superflue, rimanendo semplicemente sdraiata nel suo letto con l’espressione distesa finché, una mezz’oretta più tardi, la Lilnoir non era comparsa sull’uscio della sua camera, il viso splendente di sorpresa e sollievo. Dopotutto, a causa sua anche la ex-Cacciatrice non aveva trascorso notti particolarmente rilassanti. Le si era praticamente lanciata tra le braccia, e solo in quel momento la O’Connor si era resa conto di quanto tempo fosse trascorso dall’ultima volta che aveva sentito la sua parabatai tanto vicina. Forse proprio quando, a fine novembre, avevano stretto il loro indissolubile giuramento.
    Presero posto l’una accanto all’altra - Sam sulla destra, cosicché la runa potesse svettare fieramente sul suo braccio, malcelata sotto la maglia blu scuro che le avvolgeva aderente il torso. Quando però vide i cristalli che li attendevano mansueti sulla cattedra di Calloway, il volto di Sam si indurì, vigile come una sentinella. Ricordava fin troppo bene ciò che era accaduto la prima volta che quelle gemme luminose l’avevano introdotta nello scenario del suo subconscio e le scrutò con diffidenza, mentre l’insegnante introduceva lo scopo della lezione. Spiegava con voce limpida, cristallina, i suoi occhi traboccavano di umiltà e tolleranza, e la ragazza ebbe quasi l’impressione di essere in presenza dell’incarnazione stessa del bene. Il suo tono, la sua postura, gli sguardi che lanciava a ciascuno di loro trasudavano forza e resilienza, testimoniando il percorso che aveva intrapreso per diventare chi era, ed incitando gli alunni a seguire il suo stesso sentiero. Parlava di pietà, e non c’era inidizio alcuno che indicasse che quell’uomo non avesse interiorizzato quel concetto, che non l’avesse usato come pilastro per costruirvi se stesso.
    Pietà. Apprendere a provarne verso il prossimo non le pareva così complesso, nemmeno in una lotta per la sopravvivenza, se si fosse trattato della propria. Nel caso fossero coinvolti anche i suoi cari, allora non avrebbe potuto concedersi il lusso di tentennare. Una parte di lei le sussurrò che, tuttavia, un suo eventuale sacrificio avrebbe potuto mettere in pericolo anche chi desiderava proteggere, e che pertanto avrebbe dovuto porre anche se stessa al di sopra dei suoi avversari.
    Ma no, no. Ripensando a tutti coloro che aveva incontrato, non importava quanta antipatia potesse provare nei loro confronti, se manifestavano di aver sofferto non riusciva a non avvertire un tuffo al cuore. Persino per il demone scarlatto aveva provato compassione quando egli aveva confessato che la sua “fiducia” era stata tradita, ad un certo punto. Lei era già perfettamente in grado di commuoversi per le difficoltà altrui. Forse peccava di superbia, ma d’altronde non era l’umiltà che avrebbero dovuto riscoprire, quel giorno.
    Piuttosto, non riusciva a comprendere perché mai avrebbe dovuto compatire se stessa. Di cosa si trattava, autocommiserazione? Per quanto riguardava, lo considerava uno degli atteggiamenti più nocivi che un essere umano avrebbe mai potuto assumere. Al contrario, era necessario essere implacabili con se stessi, avere il fegato di riconoscere la presenza di un problema, di ricercare la soluzione, non di struggersi per la propria situazione. L’ultima volta che aveva intrapreso quel viaggio nella sua intimità aveva provato di essere consapevole di sé, ma la consapevolezza non prevedeva automaticamente l’accettazione passiva, sarebbe stato incredibilmente stupido e controproducente. Come avrebbe potuto crescere, evolversi, altrimenti? Semmai, provava pietà per la sé del passato, priva del coraggio di accogliere entrambi i suoi lati, luminoso ed oscuro.
    Alla descrizione del panorama dell’anima che avrebbero visitato a breve però, Sam storse momentaneamente il naso.
    Come sarebbe ‘secondo me’?” Cosa ne poteva sapere lui di cosa ognuno di loro aveva dentro? Di com’erano prima di iniziare il corso e di come stavano maturando? La sua diffidenza nei confronti dei cristalli crebbe ulteriormente, specie data la falla che in dicembre aveva permesso a Chaos di entrare. A quel pensiero, sentì il petto pesante, e quel brandello di lui sogghignare tra le pieghe della sua aura. Calloway parlava di sofferenze terribili, sia fisiche che emotive, che era in esse che i veri guerrieri trovavano la propria luce. Certo, non erano le stesse del professore, ma anche lei aveva sperimentato un periodo tremendo, e se il demone si era infiltrato nella sua psiche, rendendole invivibili le ore diurne, durante la notte il suo corpo veniva martoriato e massacrato, e le fitte erano talmente intense da gridare con la stessa intensità anche al di fuori della dimensione onirica. Non bastava questo?
    In ogni caso, per quanto reticente, non si sarebbe tirata indietro, mai. Dovevano far desistere il loro doppio dal combatterli? Bene. Ne avrebbe approfittato per annientare i timori residui, qualsiasi essi fossero, ed estirpare anche quell’ultima parte di sé che avrebbe potuto ostacolarla nel suo cammino.

    Avanzò oltre l’invisibile barriera composta dai pannelli riflettenti, mentre il cristallo appeso al suo collo emanava un’intensa luce che la abbagliò per qualche istante, lasciando al suo posto l’elegante felino bianco che albergava dentro di sé. La lince la stava guidando attraverso un sentiero montano, incuneato tra fronde innevate dall’aria familiare, anche troppo. Cosa ci faceva ancora lì? Aveva già visitato quel luogo, durante la sua prima esplorazione, e Calloway aveva esplicitato che il paesaggio sarebbe dovuto essere diverso. Lei era diversa, si sentiva diversa.
    «Conducimi da lei» la spronò, mantenendo la calma ed avanzando finché non fu accanto alla bestia candida, accarezzandole il pelo tra le orecchie tese. Quando riportò la mano a sé però, alcuni ciuffi color neve le rimasero sul palmo e Sam, preoccupata, monitorò clinicamente la figura del daimon. C’era qualcosa che non andava. Sembrava debole, ferita, meno cangiante del solito. La strega corrugò le ciglia, preoccupata, un velo di pelle d’oca sulle braccia per il freddo del bosco. Ma non poteva pensarci, in quel momento.
    Il loro cammino le parve durare un’eternità, e proprio quando cominciò a temere di star girando in tondo, che la sua bussola animale avesse smarrito il suo nord, i tronchi iniziarono a diradarsi, il panorama a scurirsi, finché ogni traccia di natura non scomparve alle sue spalle, per lasciare posto alle macerie di un sontuoso teatro. Il palco, di legno lucidisso, era sfondato in diversi punti, le balconate scheggiate ed ammucchiate tra le poltroncine foderate di velluto rosso, divelse. Strumenti e leggii erano accatastati ovunque, le casse armoniche sghangherate. I candelabri erano spenti, le quinte crollate, ed oltre l’edificio in rovina si intravedevano gli scorci notturni di quello che le pareva l’East End.
    La O’Connor era totalmente confusa. Che cosa significava, quel posto? Non era mai stata a teatro in vita sua, da quale angolo del suo trascorso spuntava quel luogo? Provò a soffermarsi sui dettagli, sulle sensazioni, tentando di nuotare e tenersi a galla nel denso fango della memoria, ma niente. Tutto ciò che le sovvenne furono degli squarci, delle lacerazioni, ed avvertì la sua aura ed il suo subconscio pulsare, mentre flash dei suoi incubi capitolavano invisibili di fronte alle sue pupille.
    No, no, così non andava, stava perdendo la concentrazione. Strinse più forte il pelo della lince per infondersi determinazione ed inspirò profondamente. Aveva uno scopo, trovare il suo riflesso.
    «Lei è qui, non è vero?»
    La lince emise un verso gutturale, ed aggirò un’alta catasta di detriti poco distante, arrestandosi infine di fronte a quello che pareva un fantasma. Sam si portò istintivamente davanti al daimon, come a fargli da scudo (avrebbe senz’altro chiesto a Calloway cosa gli fosse accaduto) e si accostò alla figura eterea. La sua pelle pareva compatta e traslucida al contempo, i suoi abiti sembravano scomparire a seconda dell’angolazione della luce per permetterle di scrutare ognuna delle infinite ferite di cui era ricoperto il suo corpo. A quella vista la ragazza inorridì, senza riuscire a trattenersi dal portare le braccia davanti a sé per accertarsi che quelle cicatrici non alloggiassero davvero sulla sua pelle. Più osservava, più il corpo del riflesso diventava curiosamente trasparente, consentendole di analizzarla a livello persino scheletrico.
    Cosa le era successo? Cosa le era successo perché si riducesse in quello stato? Era come se un macigno le fosse cresciuto nelle viscere, schiacciandole la cassa toracica ed impedendole di respirare correttamente. Ogni osso dell'altra sé era frastagliato dalle crepe, al punto da domandarsi come fosse possibile che non si fosse già sbriciolato. Il suo intero apparato circolatorio, i suoi tendini, erano recisi in più punti, l’epidermite era solcata dalle impronte perlacee ed incandescenti di fruste e tagli, i palmi attraversati da spesse fasce grigiastre, come ustioni, il suo cuore era spaccato, diviso in due integre metà, ma sanguinante come il logo dei Green Day. I suoi emisferi cerebrali parevano quasi sgonfi nella scatola cranica, in corrispondenza della quale, sulla fronte, campeggiavano le impronte biancastre di un pollice e un indice vicini. Gli angoli delle sue labbra erano sporchi di sangue, la gola rotta, il collo solcato da cicatrici a mezza luna ed impronte di arrossate di zanne canine.
    Lara!” pensò all’istante, ricercando febbrilmente una traccia di lei, della sua àncora, della sua anima, in quell’essere straziato. La runa era ancora lì, presente, dello stesso colore nero intenso di quella reale, e quando finalmente riuscì ad immergere gli occhi in quelli dell’altra Samantha, notò che quello destro non le apparteneva, non fisicamente. Era quello grigio-verde della sua parabatai; l’unica traccia di colore, insieme al simbolo sul braccio ed al solco dei lupi sul collo. L’unica parte a sembrare viva.
    Tutta l’aggressività con cui si era lanciata nel labirinto era quiesciente, sostituita da un fastidioso pizzicore alle cornee che si rifiutò di trasformare in lacrime. Come poteva anche solo stare in piedi?
    “Smettila, focalizzati”
    Calloway aveva detto che quell’immagine incarnava il loro essere, passato e presente, e tentò di definire ambedue gli aspetti. Giunse alla conclusione che poco era variat, ma sostanzialmente. Non era più la ragazza tormentata che ripudiava i lati più oscuri di sé, ma anzi, aveva deciso di riconoscerli, di sfruttarli per poter fare di più. Possedeva ancora un forte altruismo e la disposizione a fare qualsiasi cosa pur di proteggere chi amava; il corpo in fin di vita di Lara, sulla sua spiaggia interiore, tutt’ora, di tanto in tanto, le disturbava il sonno.
    Voleva toccare quella creatura, confortarla. Ma quando fece un altro passo in avanti, l’aspetto apparentemente etereo del suo doppio riacquistò corporeità, e l’iride sinistra, la propria, baluginò di rosso mentre le labbra si arricciavano in un sorrisetto crudele. La lince ringhiò, il pelo rizzo, la coda irrequieta, e la vera Sam si portò indietro di mezzo passo, in allerta, diagnosticando l’aura del suo doppio per tentare di scoprire cosa l’avesse ridotto in quello stato.
    «Cosa ci fai ancora qui?» esordì, tentando l’approccio diplomatico, ma tenendosi pronta per scagliarle ogni incantesimo che conosceva al primo passo falso. «Credevo che io e te avessimo già chiarito tutto»

    role code by »ANNAH.BELLE« don't copy
     
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    AYUMU KUROSAKI ♢ MEDIUM › SHEETVOICE
    Magia Bianca. Callaway.
    Quelle parole le erano ronzate in testa per tutta la sera precedente, come un chiodo fisso difficile da estirpare. La sua esperienza, infatti, le aveva mostra quanto potessero essere devastanti quelle sedute camuffate da lezioni. Doveva ammettere che buona parte del miglioramento avvenuto in quei mesi era stato grazie al supporto di quell'uomo così provato dagli eventi. Gli aveva urlato contro, riversando su di lui quel mare di sofferenza che non era stata capace di contenere con le sue sole forze, eppure lui le era rimasto accanto nonostante tutto. Alla fin fine, per quanto quel blocco magico l'avesse fatta soffrire, era stato il punto di svolta e risalita per lei. Ciò che Chaos aveva piantato difficilmente avrebbe smesso di germogliare, troppo profondo era stato il loro contatto, ma ormai aveva qualcosa per cui combattere, o meglio qualcuno, e non aveva intenzione di arrendersi così facilmente.
    La voce profonda e calda di Daniel stroncò di netto quel carosello di ricordi e pensieri in cui si era immersa non appena giunta in aula. Le parole che pronunciò la trafissero da parte a parte, come se fossero state indirizzate con millimetrica precisione alla sua personale esperienza. Ovviamente non era così stupida da crederlo possibile, ma la vicinanza con l'argomento non fece altro che renderla più tesa e in allerta; sebbene si fidasse ciecamente della sua guida. Ebbe bisogno di farlo.
    Chiuse gli occhi, strinse il cristallo, scomparve nella dimensione specchio.

    Caldo. Un caldo umido e sfiancante. Un caldo elettrico che le fece ardere la gola e le arricciò le punte dei capelli in inusuali riccioli; qualcosa di strano era avvenuto. Alla fitta nebbia del primo incontro, infatti, si era venuta a creare una cappa di calore bagnato che immediatamente la travolse come una vampata. Un sole innaturale le ferì gli occhi per qualche attimo, facendola arretrare di qualche passo per la potenza di quella rivelazione improvvisa. Lo scenario, infatti, che l'accolse la lasciò piuttosto stupefatta - se paragonato a quello della volta precedente. Kyotonabe risultava essere ancora lo sfondo prediletto, tuttavia il candido malto innevato e quella nebulosa foschia perpetua si erano completamente diradate in favore di un paesaggio bagnato dal sole - come i dubbi precedenti si fossero diradati d'innanzi ad una verità cocente; e lei ben sapeva quale fosse. Non volle, tuttavia, pensarci poi molto, sopratutto perché dettagli di poco conto presero a catturare lo sguardo onice della nipponica. Numerosi rampicanti avevano fatto la loro comparsa dalle viscere della terra cementata, andando ad avviluppare gli edifici di quella desolata cittadina ormai in parte decadente. Risultava, infatti, paradossale come le stesse piante da una parte tenessero in piedi edifici pericolanti - con i loro larghi e forti tentacoli - mentre dall'altra risultavano essere la cagione del loro sgretolamento, una cosa analoga a ciò che poteva accadere a livello immunitario con i globuli bianchi; che si stesse soffocando da sola?
    Purtroppo non aveva molto tempo da concedere ad arrovellamenti vari, una prova ben peggiore la stava aspettando all'interno di quel dedalo di vicoletti che ben conosceva e nel quale era cresciuta fino ai suoi diciott'anni. Fu allora, quando venne a patti con fatto che avrebbe dovuto sostenere quella prova, che finalmente il cristallo vibrò tra le sottili dita: una volpe di pura luce argentea si palesò d'innanzi ai suoi occhi.
    "È bello rivederti." si limitò a dire con un timido sorriso che aleggiava sulle labbra, prima di accucciarsi al suo livello e specchiarsi in quel puro candore. Il cuore le pulsava frenetico nel petto, tanto che ben presto percepì il ritmico ticchettio del battito anche nelle orecchie: era giunto il momento. Scappare avrebbe significato fallire, sia a livello scolastico che a livello umano; quelle lezioni lasciavano troppo un segno nell'animo per poterle seguire con superficialità. Strinse con mani tremolanti la stoffa dei jeans che indossava, ma si costrinse ad abbassare il capo in un accenno di assenso. La volpe non aveva pronunciato neanche una parola, seduta nella sua eleganza lì davanti, ma lei aveva compreso la sua richiesta.
    Il totem non se lo fece ripetere due volte e, ritornata sulle quattro zampe, cominciò a muoversi sinuosa e silenziosa tra le pieghe di quella dimensione. Ayumu, timorosa ma determinata, si rialzò in posizione eretta e prese a seguirla con passo sostenuto nel suo proseguire. Ogni metro che faceva si tramutava in una maggiore pesantezza al cuore e nel medesimo tempo ad una sensazione di puro calore all'estremità degli arti e al centro del busto.
    Paura e determinazione. Quelle erano le parole che più di ogni altre riuscivano a descrivere il dicotomico paradosso in cui si era trasformata in quel momento. Lei, tuttavia, non ci volle pensare, preferendo concentrare la propria attenzione sul percorso fatto. Attraversò sulla la strada principale che tagliava a metà il suo piccolo quartiere, fin quando il canide non girò di scatto verso imboccando un'arteria secondaria. Il cunicolo, mano a mano che lo attraversava, si fece sempre più stretto come se qualcosa stesse cercando di trattenerla dal raggiungere il luogo a lei predestinato. Anche se un po' a fatica e dovendo strisciare tra due muri troppo vicini, l'attrice raggiunse una piccola piazzetta quadrata a lei ben conosciuta, visto che precedeva il parchetto in cui era solita andare a giocare con il fratello. Fu lì, accanto ad un'altalena dall'inquietante cigolio, che la volpe si accucciò poggiando il muso ai piedi di una figura fin troppo famigliare. Lunghi capelli color ebano scendevano sulle spalle e sulla schiena, venendo mossi solamente dalla corrente d'aria provocata dal ritmico spostamento del corpo. Su una delle due altalene, esattamente di fronte a lei, si dondolava la copia del suo corpo, con la testa rivolta verso il basso e le mani arpionate alle catene che collegavano il seggiolino alla struttura.
    Visibilmente impaurita, Ayu prese ad avvicinarsi con passo lento e calcolato, scorgendo mano a mano che si avvicinava dettagli sempre più estranei a lei. Ciò che più spiccava erano le due grosse macchie nere presenti al livello del petto e presente in metà viso, quasi fosse una maschera bicolore. Si presentava come una venatura scura, innestata nella carne viva, che pulsava via non si sapeva bene che cosa: sangue? energia? Onestamente non ci teneva più di molto a saperlo, sopratutto perché poteva rivedere in essi qualcuno di ben più terrificante. Pareva come un parassita, largo come un'oscura macchia di petrolio, che non pareva avere minimamente intenzione di lasciarla, proprio come lui.
    Ciò che stonava, tuttavia, risultava essere una piccola macchia di luce all'altezza del cuore, esattamente dove lei possedeva il marchio da Parabatai. Era un piccolo puntino luminoso, solo contro il resto del tumore, ma ben visibile e tanto forte da contrastarlo: un faro nella notte. Sembrava, però, che ci fosse qualcos'altro a supportare la sua lotta, come un aiuto esterno che la rendeva ben più luminosa.
    - Taylor... - pensò per una frazione di secondo, sospirando sollevata nello scorgerla in quel momento così difficile.
    Le dita, parte del corpo fondamentale per una pianista come lei, si palesarono ai suoi occhi come insanguinati steli a cui erano state tolte le unghie a forza di morsi. Macchie incrostate di liquido scarlatto erano appiccicate fino al livello dei polsi e mostravano una tonalità più scura, mentre dalle punte delle dita non facevano che uscire zampilli vermigli e copiosi, sinonimo di una ferita ancora aperta e volutamente tenuta in quello stato.
    Orripilata da quella visione, la ragazza portò immediatamente lo sguardo verso l'alto, giungendo fino al viso tondeggiante che ben rappresentava il simbolo dello yin e dello yang: nero e bianco, buio e ombra, sofferenza e felicità. Ebbe solamente il tempo di formulare quel pensiero prima che il suo doppio alzasse finalmente il viso e dischiudesse due iridi lattiginose e bianche come la neve, in netto contrasto con le sue; una parola le sovvenne alla mente: mancanza di controllo. Ayumu ebbe un brivido di paura, che si accentuò quando notò il sorrisino di disprezzo e superiorità che colorò le labbra dell'altra.
    Il doppio si alzò lentamente e cominciò ad avvicinarsi con sempre maggiore velocità a lei. Ebbe la seria tentazione di fuggire, ma non lo fece. Le parole di Callaway cominciarono a farsi persistenti nelle sue orecchie, come un mantra benefico, tanto da indurla ad andare incontro al suo specchio con il medesimo passo cadenzato e fluido. Piano piano, un passo dopo l'altro, i poli opposti di quella diade cominciarono ad avvicinarsi pericolosamente, pronte ad uno scontro dal finale imprevedibile.
    GLEN


    Momento alla Alberto Angela (lolol che simpaticona che sono) per quanto riguarda le ferite:
    - Runa luminosa --> è un'incisione benefica, una ferita che al contrario di lederla le da forza e costituisce il suo appiglio alla parte più luminosa del suo essere. Riesce a risplendere così tanto anche per via del blocco magico attuato da Callaway.
    - Viso e petto neri --> indicano l'influenza venefica di Chaos, che tenta di annidarsi sotto pelle e succhiarle le energie. Queste due parti poichè: 1) è entrato nella sua mente 2) c'è stato uno scambio di anima tra i due
    - Mani insanguinate --> le macchie secche appartengono a Caroline, mentre il sangue che esce è il suo. Il fatto che le unghie siano state strappate a morsi indicano la sua incapacità di perdonarsi e come punizione si autoinfligge questo dolore (vedilo un po' come il portare all'estremo il fatto di mangiarsi le unghie per il nervosismo).
    - Viso metà normale e metà nero per il tumore --> indica la duplicità del suo essere, che la spaventa terribilmente sopratutto perché pensa che la parte negativa stia succhiando via quella positiva.
    - Occhi bianchi --> questo si rifà alla prima lezione di psichica, dove nel suo viaggio astrale ha visto se stessa uccidere le persone a lei care poiché non capace di controllare i propri poteri, in quel momento aveva gli occhi bianchi. Da quel giorno per lei quel colore significa il non sapersi controllare e rischiare di far del male.
     
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    christian milovich"l' artista è il creatore di cose belle" MlosohE
    Christian non era molto contento di andare a lezione di Magia Bianca ma visto che era importante per lui capire i meccanismi dell'aura ci andava e poi aveva ancora molte lezioni da fare prima di mollare la materia,a giugno,in occasione della fine dell'anno accademico, avrebbe scelto quali materie portare avanti e quali no. Nel frattempo, le frequentava tutte comunque per una volta entrava in aula prima di Meggie,lei si era fermata a dare il suo scoiattolo a Nicholas perchè giustamente non erano ammessi animali a lezione.
    Si sedette ad un banco su cui brillava uno dei cristalli già usati alla prima lezione e si mise ad ascoltare il professore,stava loro chiedendo di affrontare se stessi e come al solito lui non era preparato, era questo il peggio.
    Sospirò piano mentre Callaway andava avanti con il suo discorso, il suo nuovo se stesso avrebbe voluto ucciderlo, la cosa lo spaventò moltissimo poi si rassicurò anche se non voleva soffrire come sempre. La compassione sarebbe stata la sua arma? Poteva essere dato che si era dispiaciuto molto per se stesso negli anni a venire.
    Qualche istante dopo, si alzò scostando la sedia,prese il cristallo lasciandosi condurre nel labirinto davanti ai muri crollati della sua vecchia scuola,si guardò intorno e si rese conto che era deserto, altre mura erano crollate lasciando solo polvere. Chris si sentiva solo in quella desolazione ma al centro della sua ex-scuola c'era qualcuno con le mani legate da una catena e l'aspetto macilento. La sua bella volpe bianca apparve, eterea come la prima volta,lo guidò tra le macerie, sembrava sapesse esattamente dove andare, lui non doveva dirle niente ma la accarezzò per salutarla, era il suo spirito-guida che aveva cercato di dipingere,ora lo capiva, ecco perchè aveva sentito tanto potere provenire dal quadro. Sollevato dalla scoperta la seguì fino al centro dei resti dove stava una specie di fantasma, almeno quella fu la sua prima impressione.
    Non era un fantasma ma il suo doppio anche se non si distingueva bene perchè era coperto di sporcizia,di polvere dalla testa ai piedi, le catene sfregavano contro i suoi polsi che sanguinavano, il ragazzo fu spaventato vedendosi così ma decise di tenere a bada la sua paura.
    Chris provava già un certo dispiacere nei suoi confronti, insomma aveva le mani legate e sanguinanti, era sporco e sembrava abbandonato, davvero poteva ferirlo?

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    La role in cui Chris dipinge il suo animale guida, ancora in corso,è questa
     
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    Potete tranquillamente modificare i post fin quando non vi rispondo, non c'è bisogno che mi avvertiate :3

    Lara

    Il tuo riflesso parte rapido contro di te, ha una velocità sovraumana alimentata da una rabbia e da un dolore che trovano sfogo in grida roche che hanno tutta l'aria di essere ringhi. A pochi metri da te la tua controparte scatta in un balzo per attaccarti dall'alto. Sfodera gli artigli è pronta a lacerarti la gola, non gli importa chi sei. Nei suoi occhi c'è un'accusa a cui non da voce, ma che risuona vivida nella tua mente: Sono diventata un mostro solo a causa della tua debolezza.

    Sblocchi: Empatia Selettiva (la stessa che ha Noah con Jo per intenderci)
    Le tue capacità empatiche si sono allacciate al collegamento del Parbatai: anche se siete lontane riesci a percepire distintamente i sentimenti di Sam.

    Sam

    Lei è il rifiuto dei tuoi lati più oscuri. Hai afferrato immediatamente ciò che significa. Auguri nel capire come farla ragionare.

    Skill sbloccata:

    Nome: Scudo di luce
    Requisiti: 26 seconda lezione magia bianca
    Descrizione: la luce circostante viene conglomerata in uno scudo di diametro pari a 60 centimetri in grado di parare proiettili di sangue, o armi di sangue. Una volta colpito si infrange
    Durata: un'azione, può essere usato una sola volta
    Movimento: piegare l'avambraccio davanti a sé


    La percezione dell'aura ti permette di sentire il suo ki fioco e traballante, sembra la fiammella di una candela sul davanzale di una finestra lasciata aperta. Si dimena sotto i colpi di vento, cerca di sopravvivere al freddo, ma non resisterà a lungo. Forse non dovrai nemmeno alzare un dito perchè si sgretoli.

    Chiarito? Si. Dimenticato? No. Vuoi lasciarmi indietro. Vuoi essere più forte, senza fare prima i conti quello che ho sofferto. Mi Vedi? Vedi come sono ridotta? Sono fragile come cristallo. E adesso ho anche perso parte della mia identità per accogliere le ferite di qualcun altro? Finirai per distruggermi e io non posso permetterlo

    Allunga il palmo di una mano e già sai cosa sta per fare. Utilizza fossa sotto i tuoi piedi per farti cadere in un buco di terra profondo (d20: 11, poco più di un metro). Subito dopo una scossa tellurgica squassa la terra, spera di seppellirti in quella tomba. A te la scelta di come comportarti.

    Ayumu

    (non leggo il tuo spoileeeer non so perchè, spero non fosse niente di importante T.T)

    Perdita di controllo. Non hai bisogno di altre spiegazioni, hai afferrato perfettamente ciò che rappresenta e ciò che ti porti dentro.
    Auguri per quando cercherai di farla ragionare.

    Sblocchi skill:
    Nome: Scudo di luce
    Requisiti: 26 seconda lezione magia bianca
    Descrizione: la luce circostante viene conglomerata in uno scudo di diametro pari a 60 centimetri in grado di parare proiettili di sangue, o armi di sangue. Una volta colpito si infrange
    Durata: un'azione, può essere usato una sola volta
    Movimento: piegare l'avambraccio davanti a sé


    La tua controparte non parla molto, gli basta quel sorriso sornione per rendere eloquente ciò che pensa di te. Sei debole.

    Solleva rapidamente una mano, conosci l'intenzione di quel gesto. Un geyser comparirà sotto i tuoi piedi da un istante all'altro. Subito dopo i suoi palmi scattano in avanti per lanciare un idrocannone nella tua direzione.

    Chris

    Il tuo riflesso singhiozza sommessamente.
    Ti prego liberami, queste catene mi fanno male, non riesco a muovermi
     
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    Meggie
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    Meggie si era svegliata alle nove, aveva dato da mangiare a Blue e aveva fermato Nicholas prima che uscisse per portare fuori il suo cerbiatto affidandogli il suo scoiattolo. Per questo arrivava dopo Christian,non che il ragazzo volesse la sua compagnia quindi tanto meglio così per entrambi, quando entrò in aula vide sul banco il familiare cristallo e si ricordò della volta in cui aveva visto sua madre morire. Ascoltò attentamente il professore, era d' accordo con tutto il discorso sulla pietà infatti non sarebbe mai diventata un' assassina, riteneva che la dolcezza,la compassione fosse un utile modo per non avere istinti omicidi quindi la lezione cadevaa fagiolo.
    Dopo il discorso del professore, con espressione determinata prese il suo cristallo,era pronta ad andarsi incontro, qualsiasi cosa succedesse, il percorso nel labirinto di specchi la condusse al parco della prima volta ma questa volta era una bella serata di primavera, la luna brillava in un cielo blu senza nuvole illuminando gli scivoli,le altalene e l' erba tutt' intorno. La ragazza vide il suo daimon pettirosso volarle incontro e posarsi su una spalla, avrebbe dovuto avere uno scialle sopra la sua camicetta bianca con un fiocchetto nero in cima al colletto, la sua gonna sarebbe dovuta essere più lunga perchè nonostante la bella atmosfera faceva freddo.
    Ciao,uccellino, dovrei incontrare il mio doppio, puoi guidarmi da lei?. Non aggiunse altro poichè il suo spirito-guida mosse su e giù la testina come ad annuire. Dalla spalla di Meggie volò nell'aria guidandola fino ad uno spiazzo circolare dove il suo doppio stava chino a fare qualcosa poi si rialzò. Era identica a lei ma c'erano alcune piccole differenze:il suo corpo sembrava essere trasparente, indossava una camicetta nera con un fiocco bianco e la gonna era completamente nera,teneva una croce di pietra in mano, gli occhi erano rossi di lacrime trattenute, il viso gonfio, non aveva capelli nè ciglia e nemmeno peli sulla pelle quasi invisibile.
    Meggie vide che si guardava intorno come a cercare qualcosa o qualcuno, aveva una domanda negli occhi e le si avvicinò per sapere quale fosse, voleva aiutarla.
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    Tristan Ivashkov ( ) - 23 - half megaeros - Σ Θ Η - voice
    « I WEAR THIS CROWN OF THORNS UPON MY LIAR’S CHAIR. FULL OF BROKEN THOUGHTS, I CANNOT REPAIR BENEATH THE STAINS OF TIME. »
    Si era abbandonato tra le braccia di Morfeo soltanto quando il sole aveva cominciato a schiarire il cielo notturno, dando via così al prologo di una giornata che, ne era sicuro, sarebbe stata psicologicamente ingestibile. Dubbi insolvibili, quasi amletici, si annidavano tra le sue sinapsi, facendo sì che essi si propagassero in tutto il suo animo ed amplificandone quella spinta distruttiva che prima o poi l'avrebbe investito un po' come un fiume in piena. Quando la sveglia suonò, dunque, tuonando all'interno di quel silenzio quasi religioso, Tristan sapeva benissimo che non si sarebbe mai e poi mai riaddormentato; un po' perché sentiva di non aver sonno, sebbene le sue iridi chiare testimoniassero l'esatto contrario; perlopiù perché i suoi doveri di studente lo chiamavano più forte che mai. Magia Bianca. Un corso che aveva cominciato a frequentare più per necessità che per altro, ma che sin dal principio si era rivelato essere una spina nel fianco, e non perché non fosse una materia interessante; bensì per l'esatto contrario: quella branca della magia lo attirava fin troppo, seppur in una maniera fin troppo distruttiva. Avrebbe voluto mollare tutto, ma sarebbe stato come ammettere di avere qualcosa che non andava. Il pensiero che il suo ego potesse essere portato alla luce con sì tanta facilità lo inquietava, ma allo stesso modo non poteva fare a meno di trarne piacere, un po' come un masochista amava farsi del male, soffrire. E lui, forse, lo era fin troppo. Le spinte autodistruttive erano il suo motore immobile, ciò che lo spingeva a muoversi con irruenza ed impazienza, un forte desiderio di contatto umano soltanto per poi ripudiarlo. Contraddizione. Ecco cos'era diventato. Una contraddizione vivente, due spinte che lo schiacciavano da due poli opposti e che, probabilmente, con l'avanzare del tempo lo avrebbero inevitabilmente ucciso. Quella consapevolezza avrebbe dovuto portarlo a preservarsi, a fare qualcosa per salvarsi la pelle, ma in lui quei due concetti sembravano distare anni luce. Non era che non avesse considerazione di se stesso, quella forse ne possedeva fin troppa, ed era in nome di quella presa di coscienza che continuava a muoversi contro la sua figura.
    Abbandonò il proprio letto con una malavoglia affatto eccessiva, rimanere nella sua stanza era l'ultima cosa che voleva fare in quel momento, e così, dopo essersi concesso una doccia, si vestì ed uscì dalla sede della sua confraternita. Un'immancabile Winston Blue gli fece compagnia durante il tragitto che lo portò al Brakebills vero e proprio, quell'edificio, imponente, che oramai sentiva di conoscere fin troppo bene e che durante i primi giorni di permanenza gli erano costati minuti interminabili di attentissima osservazione, la conoscenza di un luogo che in principio gli era estraneo, ma che adesso era divenuto parte integrante della sua vita. Neppure il liceo no-mag che aveva frequentato in Romania gli aveva mai fatto un simile effetto - e dire che lo aveva frequentato per più anni. L'aula di Magia Bianca si lasciò trovare facilmente, un tragitto abitudinario, ormai perfettamente impresso nella memoria del ragazzo così come lo era quello che lo avrebbe portato nella classe di Alchimia. Un cenno di saluto, seppur piuttosto veloce, fu l'unica cosa che gli sfuggì, lo sguardo che vagò immediatamente sul banco, sul quale era poggiato un cristallo bianco che oramai conosceva fin troppo bene; testimone concreto di quel viaggio interiore che aveva fatto riemergere dalle ceneri cose che lui aveva sempre e comunque tentato di seppellire. Aveva mostrato, seppur involontariamente, una parte di sé ad una giuria che non fosse formata soltanto da se stesso, e la cosa, benché apparentemente non gli facesse né caldo né freddo, lo costringeva a martoriarsi ancora di più. Era tutta colpa sua. Vlad aveva fatto del male a Kaylee soltanto perché lui non era riuscito a fermarlo, e non poteva ignorare una cosa del genere. Non le aveva più parlato da quel giorno, sentiva che se lo avesse fatto avrebbe ceduto ulteriormente - e lui non voleva mostrarsi oltre, non dopo che aveva condiviso l'esperienza di quel viaggio proprio con lei.
    Affrontare se stesso ma averne pietà. Ecco cosa avrebbe dovuto fare. Gli sembravano due obbiettivi inconciliabili, non poteva negarlo.
    Il cristallo ben presto penzolò sul suo petto e lo riportò in quel labirinto di specchi che, ben presto, assunse le sembianze della Foresta Hoia, il suo panorama interiore. La volpe artica, come da copione, si staccò dal ciondolo e si materializzo sotto i suoi occhi, e Tristan si ritrovò ad alzare il petto e ad osservarla con gli occhi ridotte a due fessure: non sapeva fino a che punto fidarsi di lei, la prima volta lo aveva lasciato da solo, salvo poi ricomparire alla fine del processo. Probabilmente, aveva capito già fin troppo bene con chi avesse a che fare. Se la volpe appariva sempre uguale, tuttavia, la stessa cosa non poteva dirsi dell'ambiente che lo circondava: una fitta nebbia permeava al suo interno, impedendo dunque che la sua vista riuscisse a scrutare qualsiasi cosa si trovasse oltre una certa distanza. Gli alberi erano stati crudelmente tagliati, solo le basi dei tronchi erano ancora presenti, ed il terreno sotto i suoi piedi, nonostante l'umidità, appariva arido, asciutto. Oltre alla luce emanata dall'animale, in quel posto non c'era niente di luminoso; solo freddo e buio. L'ambiente era mesto, tetro, cupo, un senso di malinconia traspariva da qualunque cosa si ritrovasse al suo interno.
    La volpe cominciò a muoversi, sinuosa ed elegante, tra quei tronchi martoriati, passi flebili e leggeri che, a differenza di quelli di Tristan, non provocavano alcun rumore. Gli indicò la via, gli fece strada in quell'austerità, portandolo al cospetto del suo giudice più severo: se stesso.
    Il suo doppio era uguale a lui: alto, slanciato, il medesimo sguardo apatico, il corpo rilassato. Eppure, c'era qualcosa che stonava. Ferite, ferite che si portava dentro, cicatrici invisibili che neppure una pranoterapia avrebbe potuto far scomparire così facilmente. Graffi sugli aavambracci, rivoli di sangue che in passato era solito procurarsi con le sue stesse mani, quella spasmodica ricerca di dolore scaturita dal vano tentativo di reprimersi e di piegarsi sotto il suo stesso peso. Vene nere, scure come la pece, risaltavano sulla sua pelle come fossero un tatuaggio ben fatto, ma divenivano più confuse soltanto quando esse raggiungevano la zona in cui si sarebbe dovuto trovare il suo cuore, porzione che era ricoperta da un'ustione non propriamente gradevole alla vista. Era come se la sua pelle, in quella zona, fosse stata martoriata dal cilicio; una cintura invisibile, che gli intrappolava il cuore ogni volta che tentava di usarlo a discapito di una razionalità quasi chimica, come se fosse mosso soltanto da istinti fisici e non da sentimenti. Un automa.
    Lo sguardo risalì appena, fermandosi per un momento sulla zona di pelle tra l'avambraccio e il braccio, la quale era coperta di buchi ben visibili, lasciti di una brutta abitudine che aveva contratto quando era adolescente, e che non l'aveva mai abbandonato: quella di cedere, di tanto in tanto, alla droga. Era più forte di lui, e lui lo sapeva. Glielo confermò quell'improvvisa voglia di frugare nelle proprie tasche al fine di cercare una bustina di qualsiasi cosa si fosse portato dietro, ma che si ritrovò a reprimere stringendo le mani a pugno. No. Non poteva cedere.
    L'osservazione del suo doppio proseguì quando si decise ad incrociare i suoi occhi, così simili a quelli che possedeva lui, seppur più spenti ed oscuri. Neppure lo sguardo era stato esonerato da quella tortura. Le labbra erano state parzialmente martoriate con del fil di ferro, come a costringerle, almeno per una parte, a tacere. Tre linee di metallo in senso verticale, e quasi metà della sua bocca era stata chiusa. Incredibile. Ed era altrettanto incredibile constatare quanto quella visione potesse scaturire così tanti ricordi: sapeva cosa volesse dire non poter proferire parole, anche per le cose più basilari. Il Burattinaio, questo, glielo aveva stampato in testa fin troppo bene.
    Proprio quando stava per distogliere lo sguardo, la sua attenzione venne colta da un particolare raccapricciante, al quale in principio non aveva fatto tanto caso: la gota sinistra possedeva un aspetto singolare. Era scura, all'apparenza ruvida. Era... di legno. Come se qualcuno avesse staccato la corteccia di un albero e l'avesse incollata lì, al posto di quella guancia che tante, troppe volte era stata schiaffeggiata senza tante cerimonie.
    «Ad occhio e croce,» il silenzio venne profanato dopo quegli interminabili minuti di quiete «direi che sei messo piuttosto male. Non trovi?»
    Parole che sembravano lame, un'incapacità palese, come al solito, di dire qualcosa di sentimentale.
    the heart is deceitful above all things,


    Spiegone time, perché sono troppo una ciofeca in queste cose.

    - Vene nere: indicano le spinte autodistruttive, causate sia dal suo passato che dall'aura nera, che si stanno diffondendo all'interno del suo corpo alla stessa velocità del sangue.
    - Tagli sulle braccia: sono, semplicemente (più o meno, insomma), il simbolo del suo passato da autolesionista.
    - Guancia di legno: indica non solo l'affinità che possiede con il suo elemento, la quale l'ha quasi portato ad uccidere Vlad; ma anche il suo essere megero - cosa di cui lui, al momento, non è ancora a conoscenza.
    - Labbra parzialmente cucite: sono sia un riferimento alla prima parte di Death, in cui lui aveva le labbra cucite; sia alla sua ostinazione a tacere i propri sentimenti.
    - Buchi sulle braccia: rappresentano il suo cedimento al mondo della droga; dunque sarebbero buchi causati da iniezioni endovena di sostanze illecite.
    - Ustione all'altezza del cuore: indica il suo essere severo con se stesso quando palesa i propri sentimenti, ed il suo voler metterli continuamente a tacere - anche con la forza, se necessario.
     
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    Felicity Daisy Johnson
    ecoempatica - mezza fata della terra - 22 anni - ingenua
    « if i wanted, i could destroy everything. but i'm a good girl »
    Il discorso dell'uomo che ormai ben sapeva chiamarsi Callaway riuscì a scuoterla in modo molto diretto. Dentro di sè sentiva di voler provare, di voler davvero mettersi alla prova, ma al tempo stesso il pensiero di essere costretta a fronteggiare una sua copia la spaventava. Cosa avrebbe visto? Quali antichi dolori sarebbero emersi da quella sfida? Incrociò le braccia intorno all'esile corpo in un goffo tentativo di protezione, come se in qualche modo cercasse conforto in un suo stesso abbraccio. Tentò di regolarizzare il battito cardiaco, inspirando a pieni polmoni l'aria dal sapore frizzante che quella mattina permeava nell'aula, insieme a tiepidi raggi di sole che con delicatezza filtravano attraverso le finestre e andavano a posarsi sulle chiare braccia, creando varie tonalità di pelle come un gioco che Fee trovava buffo. Le ali erano ben nascoste sottopelle, per evitare di essere osservata come un'essere da baraccone dagli altri universitari che erano "semplici" maghi. Fee infatti stava iniziando a percepire molte cose abitando in quelle strutture, cose che non aveva invece mai capito o affrontato quando la sua esistenza si limitava alla casa sul lago, con il boschetto adiacente. Fu lampante per la bionda vedere come quasi tutti i presenti fossero umani e che, nonostante si trovasse in una scuola magica, ben poche creature vivessero là dentro. Così aveva deciso di evitare di mostrarsi per quello che era veramente a tutti anche se, visto il suo carattere allegro sincero, sarebbe bastato scambiare due parole con lei perché rivelasse il suo essere un ibrido. Il braccio destro si stese lungo tutto il banco con la mano tesa, per riuscire ad osservare meglio il delicato anello posto all'indice. Da quando era diventato il suo catalizzatore non se ne separava mai e neanche lo avrebbe fatto, amando osservare le due pietre incastonate al centro e riuscendo a darle forza e a ricordarle che poteva farcela a rimettersi in pari con gli altri ben più avanti di lei. Spostò il palmo della mano verso il cristallo dalle sfumature perlacee posto sul banco, afferrandolo. Quella percezione di paura non si era attenuata, ma al tempo stesso si stava facendo strada una sempre più vivida sensazione di eccitazione al pensiero di poter avere la possibilità di vedere i suoi amati genitori. La prima lezione l'aveva fatta sentire spossata per la prova a cui era stata sottoposta, ma Fee non sarebbe mai stata abbastanza grata a Callaway per essere riuscito a darle l'occasione di rivedere Leonard e Talia. Il volto rivelò una nuova tranquillità, mentre lasciava scivolare il ciondolo con il cristallo lungo la chioma, mettendolo così al collo.

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    Sbatté un paio di volte gli occhi, osservandosi intorno. Riconobbe subito quel labirinto di specchi frutto di confusione durante la precedente lezione, ma adesso familiare al suo sguardo. Sguardo che venne prontamente abbassato quando il cristallo iniziò a brillare e a far fuoriuscire un'essenza scintillante che andò a posarsi poco distante da lei, assumendo una forma che Fee già conosceva. « Ci rivediamo eh » mostrò la schiera di denti bianchi, sorridendo sincera al cerbiatto « Se non ti dispiace direi che è il caso di trovarti un nome » nel tono di voce di Fee si poteva scorgere un insolito rispetto verso la creatura, oltre che una naturale simpatia. Si era già affezionata a quell'animaletto così tenero, non poteva negarlo. Se la sua guida avesse acconsentito per il nome la ragazza sarebbe stata qualche attimo a pensare fino a che non avesse trovato quello più adatto, -Diana, come la dea romana della natura - per poi seguire il cerbiatto muovendo senza esitazione i piedi in avanti per poter far sparire le decine di vetrate e ricreare così l'ambiente vicino a lei, quell'ambiente così familiare e nostalgico. Il mondo intorno a lei mutò subito. Chiuse le palpebre in trepida attesa, sapendo di ritrovare quel delizioso cinguettio di uccellini e il rumore dell'acqua del lago a contatto con il terreno. Il duro pavimento divenne un soffice tappeto d'erba, mentre l'aria iniziò ad accarezzarle il volto con sempre più forza. A differenza della volta prima era apparsa nel prato e non in casa, ma c'era qualcos'altro di strano e Fee non potè non percepire una sensazione poco piacevole attraversarle la mente. Riaprì gli occhi, guardandosi intorno. Era davvero vicino casa, ma l'ambiente non era quel che si può dire sereno. Il vento le sferzava il volto e nubi scure nascondevano un'invisibile sole, facendo presagire un forte temporale in arrivo. « Ehi Diana, che ne dici se ci ripariamo in casa? » si strinse le braccia al petto, cercando di scaldarsi visto che quella magliettina bianca a maniche corte non sembrava riuscirci neanche un po'. Cercando di evitare di battere i denti per il freddo si avviò verso il riparo, sperando di essere seguita dal cerbiatto. A pochi passi però si fermò, i sensi in allerta e i muscoli contratti. La porta di legno stava all'interno, aperta, e nello spazio d'entrata una figura sembrava aver preso possesso del posto. Figura che Fee non riusciva a distinguere bene essendo nell'ombra, ma percepiva che non erano i suoi genitori o la zia acquisita nè tanto meno una figura amichevole. « Chi sei? Che ci fai in casa mia? » fece segno con la mano destra a Diana, nell'intento di farle intuire che era meglio se restasse dietro a lei. Alle orecchie della bionda arrivò una risatina ironica, nel momento esatto in cui la figura fece un passo verso l'esterno, mostrandosi. La bocca si aprì, mentre il cuore iniziò a pompare più velocemente del normale. Davanti a lei si stagliava.. lei. Ma non era come guardarsi allo specchio, lo capì immediatamente. La Felicity che stava davanti a loro era completamente senza capelli, con la pelle di metà volto cicatrizzata da quella che doveva essere stata una brutta bruciatura. Al petto una grossa cicatrice a forma di X riluceva sul petto scoperto parzialmente da una canottiera mal ridotta, all'altezza del cuore. Ma non fu tutto questo che la sconvolse davvero. C'era un'altra cosa, molto più orribile, che il suo sguardo aveva visualizzato subito. Il suo riflesso non aveva un'ala spezzata, no, molto peggio visto che le mancava proprio metà ala. Di riflesso Fee portò le mani dietro la schiena, anche se sfiorò solo il tessuto della maglietta. « Ehi... » riuscì solo a balbettare, aspettando che l'altra chiarisse le sue intenzione.
    code © psiche


    piccolissima spiegazione sulla copia di Fee (se ti dovesse servire per l'esito...)
    - E' senza capelli ed il volto è bruciato perché da piccola (quattro anni e mezzo circa) mandò a fuoco la casa, rischiando di far morire bruciata la madre, a letto malata. Il padre tornò in quel momento a casa e per un pelo evitò la tragedia.
    - La x incisa sul petto è dovuta alla malattia della madre, morta per l'aggravarsi di un problema al cuore. In qualche modo, il fatto di aver pensato da bambina che la madre aveva una minima colpa per essere morta, la riempie di vergogna.
    - L'ala spezzata è dovuta al fatto che da quando è arrivata a new york si è chiesta più volte come sarebbe stato se fosse stata umana, con la sua famiglia, ma normale. O se avendo ascoltato suo padre e fosse andata a scuola di magia, avrebbe potuto salvarlo in qualche modo dall'incidente. Insomma in qualche modo il fatto di essere mezza fata la rende fiera ma al tempo stesso la destabilizza
     
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    AYUMU KUROSAKI ♢ MEDIUM › SHEETVOICE
    Debole. Le bastò quel sorriso per comprende cosa il suo doppio pensasse di lei, un pensiero fin troppo annidato nei meandri della sua contorta psiche.
    Rabbrividì fin dentro le ossa, tanto da fermarsi di colpo e interrompere quel ricongiungimento di opposti che si era venuto a creare. L'ennesima scarica di paura la raggiunse quando gli occhi onice incontrarono quelli vitrei della controparte, un miscuglio grigiastro che non prometteva nulla di buono: ebbe paura. Istintivamente portò le braccia a stringersi le spalle nel vano tentativo di crearsi una fittizia barriera che la proteggesse dalla crudeltà dell'altra; ciò, però, ebbe vita breve.
    Si era, infatti, fermata da poco, quando scorse la sua controparte fare la medesima cosa, creando così una situazione di stallo momentaneo che le fece rizzare i peli sulle braccia; un brutto presentimento le corse lungo tutta la schiena e fu profeta di ciò che successe qualche attimo dopo. I gesti che eseguì l'attimo dopo vennero subito riconosciuti dalla nipponica, in quanto propri delle sue abilità da maga elementale: attacchi d'acqua. Nel suo animo sentì agitarsi ferocemente l'esuberante Lorss, piuttosto piccata per quell'affronto ai suoi poteri. Non ebbe, però, tempo di preoccuparsi anche delle sue paturnie da cangiante in quanto un attacco piuttosto potente era in procinto di colpirla in pieno.
    - Senza limiti... - pensò preoccupata, mentre il suo cervello cominciò a mettersi in moto per attuare una strategia difensiva. La difficoltà maggiore risiedeva, tuttavia, nel fatto che lei fosse il suo riflesso e questo comportava che le conoscenze di una fossero quelle dell'altra; uno scontro tra titani, insomma.
    Dapprima decise occuparsi del gayser in procinto di travolgerla da sotto, ben consapevole che il suo getto sarebbe stato quanto di più rapido e violente ci potesse essere. Dimostrando u sangue freddo impensabile in una situazione del genere, Ayumu si abbassò a terra e poggiò la mancina sul terreno, convogliando ogni singola forza magica in quel palmo. Non esitò, dunque, ad attivare una manipolazione della grandezza fisica sul terreno sottostante, nella speranza che l'ingrandimento delle particelle potesse creare maggiore spazio tra lei e l'origine del gayser sotterraneo. Uno strato bello spesso si sarebbe venuto quindi a creare sotto di lei, il quale non avrebbe tardato ad assumere una consistenza differente - pari a quella dell'acciaio - attraverso una mutazione metallica avanzata. Probabilmente non sarebbe stata la scelta migliore, ma consapevole della rapidità di quell'attacco quella era l'unica soluzione plausibile per il momento.
    Non si fece, tuttavia, scrupolo di guardare se il suo rattoppo fosse andato a buon fine poiché l'idrocannone proruppe l'attimo seguente dalle dita insanguinate. Il tempo - nei suoi occhi - si fermò per una frazione di secondo, un tempo infinitesimale in cui dentro di sé percepì una furia viscerale che la spingeva a contrattaccare, a mostrare quella falsa copia chi fosse in vero la più forte. Un tarlo mentale che, però, venne zittito improvvisamente dal ricordo delle calde parole di Callaway: pietà. Bastò quell'attimo d'incertezza per costringerla ad abbandonare una tattica offensiva ad una difensiva. Poggiò nuovamente la mano sul terreno - possibilmente di acciaio come aveva sperato - e la innalzò verso l'alto nell'intento di creare una barriera protettiva che si frapponesse tra lei e il muro d'acqua in arrivo. Una tattica di combattimento metalcinetico dell'ultimo secondo, che tuttavia l'avrebbe fatta digrignare i denti dal nervoso: non voleva essere debole.
    Se fosse stata al sicuro, finalmente, avrebbe risposto a quell'essere frammentato in ferite - questa volta con le parole.
    "Smettila." le avrebbe urlato, in modo tale che sentisse.
    "Lo so perché lo fai. Lo comprendo, ma questo non ti farà sentire più tranquilla. Io ci sarò sempre come tu ci sarai sempre, non puoi negarmi." avrebbe aggiunto l'attimo dopo, per poi rimanere in silenzio in attesa di una risposta.
    GLEN
     
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    l sole primaverile faceva capolino dalla finestra, illuminando fiocamente la stanza con un tenue calore che dava conforto alle membra e all'anima. Non c'era più il freddo insidioso che scivolava nelle minuscole fessure per arrivare alle ossa, né ancora il caldo cocente che indeboliva il corpo. Primavera. La rinascita e Levi non poteva non sentirsi affine a quella stagione fatta di fiori che sbocciano timidi solleticati dal quieto vento. Si guardò allo specchio sentendo per la prima volta dentro di sé una calma che lo avvolgeva con un dolce abraccio. La piccola scatola di pillole era poggiata a qualche centimetro e la guardò per qualche istante prima di ignorarla e uscire dalla sua stanza. Aveva deciso di combattere, aveva deciso di resistere e per farlo doveva lottare da solo. Una nuova sicurezza si era fatta strada in lui, ancora debole, ancora appena accennata, ma era una scintilla che prometteva di divampare nella sua anima come un inciendio. Sapere che fosse Callaway l'uomo che oggi avrebbe visto per la lezione portava dentro di lui una tranquillità ancora maggiore. Servava ancora con cura le parole che gli aveva detto tempo prima, custodendole nella sua mente come se fossero piccoli cristalli che riflettevano la luce del sole anche nei luoghi più oscuri. Quando il conforto veniva meno e la paura serpeggiava sotto i suoi piedi gli bastava riporrate alla mente il suo tocco gentile, la sua voce che infondeva speranza e fiducia e allora sentiva che tutto poteva andare per il meglio. Erano piccoli gesti che portavano il segno del grande cambiamento che aveva attraversato, forse troppo piccoli perché occhi esterni li cogliessero nel suo sguardo o nei suoi gesti, eppure per lui così magistrali da non poter fare a meno di sentirsi fiero di ognuno di loro. Si era mosso ben prima dell'orario della lezione, e quando arrivò in classe la trovò vuota fatta eccezione per il docente. Non aveva esitato sull'uscio, come avrebbe invece fatto normalmente, e l'ombra di un placido sorriso abitava nei suoi occhi e sulle labbra, dando al suo volto di solito contorto nel timore una sfumatura di leggerezza mai provata. «Buongiorno professore» perfino il suo tono si era fatta più ferma, le piccole increspature che l'avevano resa tremula si erano dissipate lasciando che niente s'intromettesse nella sua voce. Come un piccolo stagno che aveva ritrovato la calma dopo essere stato agitato dal salto di una rana, dal cadere di una foglia, un fiore o un sasso e, ora, specchiava il cielo e il sole con tranquillità. Dentro di sé sentiva che Daniel avrebbe potuto cogliere quei piccoli indizi con la faciltà con cui si respira, perché in fondo i suoi occhi erano fatti per vedere l'animo di chi aveva di fronte, pronti a cogliere ogni minima sfumatura delle persone che sfilavano di fronte al suo sguardo. Oggi, però, nei suoi occhi sembrava strisciare qualcosa di oscuro. Non poteva sapere come quella certezza avesse sfiorato le corde della sua anima, eppure ora la sentiva risuonare di una tristezza mista a qualcosa di peggio: colpa. Avrebbe potuto riconoscere quella sensazione fra mille, aveva ascoltato la sua melodia per così tanti anni che ormai le sue dita sembravano suonarla automatiche, senza riflettere. «Non importa quanto stretto sia il passaggio, quanto piena di castighi la vita, io sono il padrone del mio destino: Io sono il capitano della mia anima» aveva trovato un forte conforto in quelle parole e sperava che, adesso, anche Callaway potesse trarne lo stesso benificio che aveva sfiorato il suo animo. Sapeva che le sue parole non avevano il potere di quelle dell'uomo, ma sperava che lo specchio delle sue emozioni riuscisse ad allungare le sue tiepide dita fino al nodo che si serrava negli occhi del docente.

    Sapeva che non sarebbe stato facile. Le prove di Magia Bianca si erano già dimostrate tortuose, non per una pericolosità fisica tanto quanto per via delle insidie che si celavano nelle piege dell'animo e della mente. Sentiva la paura in agguato, pronta ad afferrarlo per riportarlo im vecchi schemi che aveva giurato di abbandonare e superare, per riemergere dalle ceneri di un passato inclemente ancora più forte. Fiducia. Era questo che gli sarebbe servito, ormai lo sapeva. Lo aveva capito grazie a Daniel, lo aveva capito grazie a Jyque. Con lei il concetto di solitudine si era dissipato con dolcezza, scivolando lontano dal suo cuore che aveva trovato un senso di pace che si era rafforzato sempre di più. La sentiva lì, presente in ogni suo respiro, e sapeva che il bisogno che aveva di lei era paragonabile a quello che lei aveva di lui. «Non mi piace questo posto» quello di Levi era un sorriso amaro. Scrutò nuovamente la casa che lo aveva cresciuto ed imprigionato, ma qualcosa era profondamente cambiato. L'angoscia era quasi del tutto svanita, lasciando solo una lieve inquietudine a invadere il suo animo. «E' casa mia» mormorò lentamente, accarezzando le pareti del piccolo salotto con lo sguardo. «Non mi piace come ti fa sentire, dobbiamo andarcene» sapeva che il suo spirito parlava per il suo bene, che cercava di proteggerlo, ma scosse la testa. «Non possiamo, dobbiamo affrontarlo» inspirò a fondo socchiudendo gli occhi e quando li riaprì il cerbiatto era immobile di fronte a lui, in attesa. Poteva sentire Jyque tesca come le corde di un violino, preoccupata e guardinga si agitava nella sua mente piena di un'apprensione che infondevano in lui una sicurezza totale. Non era solo, lei era lì, Daniel perfino era lì da qualche parte, sempre presente per aiutare i suoi studenti e chiunque allungasse una mano in cerca di sostegno. Non c'era bisogno di provare paura. Il cerbiatto avanzò verso la cucina, proseguendo nel piccolo giardino che era stato lo scenario dei suoi incubi e dei suoi rcordi più oscuri. Ed eccolo lì, immobile e di spalle, una figura che era lui, una parte di lui, rintanata in un passato che non lasciava scampo. «Sono qui» Jyque aveva percepito la sua esitazione ancor prima di lui. Annuì, inspirando a fondo mentre scendeva gli scalini che separavano i suoi piedi dal terriccio ed il fango infestati da erbacce che nessuno si era preso la briga di tagliare. Ed eccola che tornava, la paura strisciante che saliva lungo le braccia in lenti brividi di freddo. Il suo riflesso si voltò con una lentezza che sapeva di immobilità, risucchiando ogni cosa non appena il suo sguardo vuoto e perso la sfiorava, come se nelle pupille avesse il potere di prosgiugare ogni cosa e farla avvizzire, ingigire, appassire. Disperazione. Ecco come doveva essere apparso per tutti quegli anni, uno spettro inquieto che si aggirava sul mondo senza sapere dove andare, chiedendosi per quanto ancora la sua sofferenza sarebbe dovuta restare. Un involucro di colpa e rinuncia, convinto di non aver modo di espiare i mali che aveva causato. «Andrà tutto bene» non sapeva se stesse parlando a sé stesso, a Jyque o al suo riflesso. Forse a tutti, forse a nessuno. Forse era solo una preghiera mormorata nella speranza che il suo desiderio si avverasse e che la sua forza scendesse a rincuorarlo. Ma se la disperazione in cui aveva vissuto per secoli aveva un pregio era quello di sapere cosa fosse il suo riflesso. Lo conosceva in ogni intima sfumatura, in ogni piega e cicatrice, le stesse che ora vedeva risplendere come se fossero pallidi raggi di luna su pelle diafana. Le conosceva tutte e su di loro aveva piango e pregato, le aveva riaperte solo per paura che dimenticare fosse un peccato ancora più grande di quelli già compiuti. Ora era diverso, ora poteva farcela. Lo sapeva con certezza: meritava una nuova occasione. Quanto avrebbe voluto afferrare quel sé stesso impaurito per le mani e sussurargli che in fondo le cose sarebbero andate meglio, ma sospettava che non sarebbe servito. All'epoca, in fondo, non avrebbe mai pensato di poter trovare dentro di sé la forza di lottare. Ma sapeva anche che c'era qualcosa di più pericoloso della disperazione a risiedere in quell'animo distrutto: disprezzo. Un disprezzo profondo, viscerale, che puntava verso quello che era e che sarebbe stato. Un'odio che sapeva di tristezza e malinconia, di rimpianto per tutto ciò di cui, con le sue stesse mani, si era privato. Il suo riflesso era ancora immobile, ma dietro di lui lunghe liane si alzavano rapide mirando a lui, per avvillupparsi sul suo corpo e stringerlo con violenza fino a farlo sparire. Sparire. Era stato questo l'incofessabile desiderio del suo cuore: non essere mai nato. Cancellare la sua esistenza dal mondo solo per liberarlo da tutto il male causato, per liberare sé stesso da quello subito.
    this is not the end of me this is the beginning


    SCS eng, ma non potevo resistere a ficcare tutta la fuffa iniziale :')

    ok, avevo scritto sto spoiler prima di fare il secondo pezzo quindi correggo in un: SCUSA PER LA FUFFA IN GENERALE NON SO CONTENERMI
     
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    Meggie

    La domanda che senti affiorare sulle labbra del tuo riflesso è semplice: Perchè? Perchè sua madre è dovuta morire? Perchè anche se dentro di te l'hai salvata durante la prima lezione continua ad essere semplicemente morta. Non è servito a niente seguire magia bianca, non è servito a salvarla davvero. Tu l'hai lasciata morire e adesso la pagherai. Fa cadere la croce di legno a terra e un pugnale d'ombra compare al suo posto si taglia il braccio ed evoca una spada. Corre verso di te e ti attacca tentando un affondo con la sua spada.

    Tristan
    (per Pelor, la figaggine di quest'uomo....)

    «Ad occhio e croce» il tuo riflesso scimmiotta le stesse parole che gli hai rivolto con un tono decisamente più crudele «direi che tu, invece, sei un morto che cammina» (battutona del secolo).

    Solleva le mani con un gesto rapido, la terra inizia a tremare, le radici degli alberi si allungano sotto i tuoi piedi emergono rapide e cercano di afferrarti braccia e gambe, mentre l'AntiTristan si lancia con uno scatto ferino nella tua direzione, pronto a mollarti un diretto sinistro all'altezza del volto, seguito da un gancio destro. Più che ucciderti nei suoi occhi puoi leggere il chiaro intento di farti soffrire quanto sta soffrendo lui stesso.
     
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    Fee

    «Ehi? Hai solo questo da dire, dopo quello che hai fatto ai nostri genitori? EHI?» non so se hai dimestichezza con questo sentimento, ma sembra piuttosto arrabbiata, sul volto ha dipinta un'espressione che non ti è mai appartenuta, eppure sembra profonda e assolutamente sincera. Si fionda in un attimo contro di te pronta ad utilizzare la violenza, sembra brutale e selvaggia, prova persino a spiccare il volo per accelerare lo scatto, ma l'ala spezzata le impedisce di sollevarsi da terra. Si avventa pronta a farti cadere a terra e prenderti a pugni con furia.

    Ayumu
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    Grazie alla manipolazione della grandezza fisica (cd30) e alla mutazione metallica avanzata (cd37: 7+34) riesci a creare uno strato spesso di metallo sotto ai tuoi piedi che devia la risalita del geyser a qualche metro di distanza. Innalzi con successo (cd40: 19+34) la parete che ti difende all'ultimo secondo dall'idrocannone. (Attenta alle tempistiche delle azioni, teoricamente avendo tu fatto tre azioni e AntiAyumu solamente due non saresti riuscita a difenderti in tempo, ma questa volta ho fatto uno strappo alla regola, durante il recuperone le tempistiche sono state un problema quindi lo faccio notare giusto per poterci allenare di più su questo aspetto ed evitare di nuovo problemi in futuro ^-^)

    Sei sulla buona strada, dimostri di aver capito la lezione sull'accettazione, ma ancora non basta.
    Sblocchi:
    Nome: Globo luminoso
    Requisiti: 28 seconda lezione magia bianca
    Descrizione: Il mago concentra tutta la luce presente nell'ambiente (raggio massimo di 500 metri) creando un globo luminoso. Può essere utilizzato sia all'aperto, che al chiuso in un ambiente buio per generare una luce che possa illuminare la strada.
    Nota: se usato per attaccare colpisce anche esseri intangibili e ombre, ha lo stesso effetto di un'energisfera.
    Formula: lux quaero
    Movimento: Aprire il palmo davanti a sé e pronunciare la formula, il globo di luce leviterà a pochi centimetri dal palmo, avrà la stessa consistenza del vetro fuso e sarà possibile oscurarlo mettendolo in un sacco, o in una tasca, a seconda della grandezza del globo, che a sua volta dipende dalla quantità di luce compressa.


    AntiAyumu non si spreca in parole, eppure ciò che dici sembra arrivare da qualche parte, i suoi occhi si inumidiscono, ma la rabbia non è scemata, c'è qualcosa che ancora la alimenta che non sei riuscita a lenire.

    Daniel durante le lezioni ha ricordato spesso che i maghi bianchi prima di essere guerrieri sono guaritori, devono raggiungere le ferite profonde dell'altro, quelle invisibili che pesano nell'anima.

    AntiAyumu attacca ancora. Scioglie il tuo scudo e lancia due colpi telecinetici uno immediatamente successivo all'altro. NON TI PUOI NASCONDERE.

    Levi

    Il tuo riflesso utilizza le liane incarceranti che si lanciano contro di te rapide per afferrarti e stringerti fin quasi a stritolarti (a te la decisione di difenderti). L'AntiLevi sembra indossare un odio verso di te che non riconosci, (ha l'espressione che ha Ezra quando ti guarda, ma non puoi saperlo, che tristezza la vita), «Sei un debole. Sei un verme. Nostro padre ci ha picchiatti anno dopo anno e non hai mai fatto niente per fermarlo, non hai mai provato a difenderti. Non hai mai pensato nemmeno di andartene. Sei un fottuto codardo. Ti meriti tutto il male che ti è capitato!». La sua rabbia è feroce e violenta, i suoi occhi umidi mentre sputa il suo odio. Tenta un diretto dritto alla tua faccia ed un gancio alla bocca dello stomaco così da atterrarti per poterti prendere a calci.
     
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    Scusa terribilmente per il ritardo!
    Ti premetto che Noah, da dopo la fine della quest, sta affrontando un percorso di evoluzione che lo porterà di certo a cambiare in meglio, per via della stabilità riacquistata dal riallacciamento dei rapporti con Joachim, Isobel e Winter.

    Noah Joseph Brody
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    Il paesaggio era cambiato dall'ultima volta, ricordava bene quel posto, non sarebbe mai riuscito a dimenticarlo probabilmente, era il luogo in cui tutto era iniziato. Giostre che giravano su se stesse cariche di persone urlanti di gioia o di spavento, luci di tutti i colori che guizzavano di qua e di là, il suono delle giostre, le musiche, i tintinnii, nonostante fosse deserto e nessuna persona stesse andando sulle giostre queste erano in movimento, si sentivano i loro urli. Era il luogo dove aveva conosciuto Alaska per la prima volta. Di qua e di là, dal cemento, partivano enormi tronchi d'albero, tipici dei boschi della Gran Bretagna. Gli ricordavano la Foresta Proibita, un luogo di importanza colossale per lui.
    Il suo coyote di luce si materializzò esattamente di fronte a lui, lo fissò per qualche istante e poi, come se avesse potuto leggere i pensieri del suo padrone, cominciò a camminare per indicargli la strada che Noah aveva richiesto, nel mentre che i suoi ricordi chiaramente viaggiavano verso Alaska. Sentì le gambe tremare a quel pensiero, tremare per la rabbia che gli fluiva fino al cervello, come ogni volta, annebbiando ogni suo tentativo di razionalità. Si sentiva così dannatamente in colpa per averla lasciata sola, per aver permesso che la rapissero, che Ardan la rapisse... ogni volta, sentiva un desiderio crescente di uccidere, di mettere le mani su quella testolina bionda e sbatterla al muro fino a farla esplodere, si cibava di quel desiderio per tentare di farlo restare tale e non agire per renderlo realtà. Voleva solo ritrovare Alaska, voleva soltanto porre rimedio ai suoi dannati sbagli, come lo sbaglio che aveva fatto trasformando Lara.
    Si odiava terribilmente, nonostante avesse fatto pace con alcune delle fisime che per anni si era portato dietro (come abbandonare Hogwarts e tutti i suoi legami), se avesse potuto si sarebbe preso a pugni fino alla morte. Ironia della sorte, di lì a poco avrebbe potuto.
    Il coyote lo scortò tra le giostre e i giochi del Luna Park, tra gli alberi che solcavano il cemento di quel luogo così vivo ma deserto, fino a portarlo davanti a sé stesso. Noah sgranò gli occhi nonostante gli ci volle qualche istante per riconoscersi, era molto diverso dal suo attuale aspetto. Teneva la bocca dischiusa e sbavava saliva e sangue, delle zanne erano al posto dei denti così come unghie aguzze e lunghe gli partivano dalle dita. Aveva i capelli lunghi, sporchi e arruffati, e il suo viso era macchiato da una vernice rossa che disegnava una X sulla faccia, avrebbe potuto dire che era sangue. Un occhio era cucito con del fil di ferro, spariva e riappariva sul posto come una luce ad intermittenza, si stava teletrasportando in continuazione senza spostarsi da quel punto. Ciò che però, fece più ribrezzo a Noah, di tutto ciò che stava vedendo era che in una mano, nella mano destra, manteneva un cuore umano vivo che stava strizzando fino a rendere una pappetta organica indefinibile.
    Osservando ciò che aveva davanti con una faccia terribilmente schivata, si rese conto che tutto ciò che vedeva era una rappresentazione di sé stesso dettata dall'idea che lui aveva di sé stesso, ma non ne fu per niente stupito, era chiaro come il sole che si odiasse per gli innumerevoli sbagli che aveva commesso « Questo è il regalo più bello che Callaway potesse farmi, ho sempre sognato di prendermi a pugni da solo » commentò con un sorrisetto sghembo che guizzava sulla sua bocca.
    Quando Noah fece un passo avanti verso di lui, cominciò a nevicare qualcosa che però non era neve, quando un granello bianco gli si depositò sul labbro, lui se lo leccò d'istinto apprendendo che aveva un sapore terribilmente amaro e chimico che somigliava a quello della cocaina.


    Spiego anche io:
    - Denti e unghie aguzze, capelli lunghi: è un riferimento ovvio al suo essere lycan, il sangue è un riferimento al fatto che ha rovinato la vita a due persone (Joachim e Lara) trasformandoli.
    - La X di sangue: è riferita al fatto che si odia e che se ci riuscisse, nonostante non abbia mai provato a farlo per codardia, proverebbe a suicidarsi.
    - Occhio cucito: riferimento a Death e al fatto che si sente terribilmente impotente per ciò che è successo ad Alaska.
    - Teletrasporto: riferimento al fatto che è un Viaggiatore e questa cosa gli incasina tantissimo la vita.
    - Il cuore: il cuore rappresenta tutti i legami di cui Noah si è fottuto per tanto tempo, di tutte le persone che ha fatto soffrire e che continua a far soffrire (vedi Kaylee).
    - Cocaina: la cocaina scende come neve perché sì, la ritiene uno sbaglio ma non è ancora pronto ad accettare di poterla combattere, pensa che gli serva e non ne vuole fare a meno.
     
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    Fianna Aideen O'Maonaigh

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    i nuovo il labirinto di specchi. Il cristallo sembrava pesare come un macigno, in quell'anticamera del suo mondo interiore. Non era ansiosa di calarvisi ancora una volta. Aveva dovuto lottare contro un istinto che non le diceva altro se non di scappare, andarsene. Non era assolutamente necessaria la sua presenza. Avrebbe potuto benissimo seguire corsi che non prevedessero una così fine esplorazione di tuttò ciò che non voleva trovarsi di fronte. Mosse un passo, gli specchi si frantumarono sotto il peso degli scarponi. Un rumore metallico, come di cristalli che cozzano l'uno sull'altro, e nei bagliori di quei frammenti il paesaggio attorno prese a cambiare in una sfumatura argentea, sempre più definita, sempre più organica.
    Non era necessaria la sua presenza. Continuava a ripeterselo anche in quel momento. Se lo era ripetuto quella mattina, poi ancora sulla strada verso l'aula, e di nuovo quando Callaway aveva indicato loro i cristalli. Aveva ancora molto vivido il ricordo dell'ultima prova.

    “Come ti ho chiuso la gola, giuro che te la riapro.”


    Aveva chiuso gli occhi, inspirando un coraggio che possedeva già da qualche parte, nascosto sotto le palpebre. Non era necessaria la sua presenza. Sentiva di non aver combinato molto, nella lezione precedente. Aveva attraversato le strade di Salem, aveva incontrato sprazzi del proprio passato. Ma alla prima occasione, ne era semplicemente fuggita. Aveva abbracciato come un'ancora l'occasione di correre in soccorso di qualcun altro, tralasciando le proprie questioni sospese. Se l'era chiesto molte volte, Fianna: l'aveva fatto davvero per altruismo, o quanto più per l'egoistico e maniacale desiderio di lasciare sospese questioni che preferiva restassero in un comodo limbo? No, la sua era stata solamente ipocrisia. Un'ipocrisia che aveva guardato dritta in faccia, quando non aveva esitato ad ostacolare prima ed a minacciare poi colei che avrebbe dovuto aiutare. Non se ne pentiva. Aveva seguito il suo istinto, più che la ragione, e fatto ciò che in quel momento riteneva migliore. Ma non era soddisfatta, perchè non era in quel modo che avrebbe potuto gestire ogni situazione. Non senza un criterio. Non come i ragazzini, consapevoli a malapena che ogni azione nel bene e nel male scatena una reazione.
    Immaginò di vedere tra le forme del paesaggio gli edifici di Salem, ma le sagome che presero corpo di fronte ai suoi occhi erano molto più alte, più irregolari. Un forte odore di terra umida, di foglie putrescenti investì le sue narici. Se ne cibò con avidità, come se quell'effluvio naturale le fosse mancato per secoli, in un'apnea che non sapeva di aver faticosamente mantenuto per così tanto, troppo tempo. Il cristallo che portava si illuminò di fronte a lei, in quella luce calda e rassicurante, mistica, che aveva ammirato anche l'ultima volta. Senza ansia ora, Fianna sapeva cosa avrebbe scorto in quel brillare intenso. La figura sinuosa e potente del Wampus poggiò silenziosamente i piedi sul molle suolo del sottobosco, strusciando il muso ed il dorso contro il palmo aperto e le gambe di Fianna. La ragazza sorrise alla creatura di luce.
    «Sono così felice di vederti.»
    E lo era davvero. L'animale la guardò con i suoi occhi ferini, ed in un attimo il coraggio sembrò fluirle nelle vene, caldo come il fuoco. Annuì al felino, in risposta ad una frase silenziosa.
    "Sei pronta?" sembrava chiedere. Sì, sono pronta. Questo avrebbe risposto Fianna, ma lasciò che fosse il silenzio a parlare per lei.
    Le foreste di Clearwater occupavano per vari motivi un posto di rilievo nel suo cuore. Scenario di un passato dapprima segnato dall'angoscia, aveva imparato alla fine ad amarle, a modo suo. Tra gli alberi del Minnesota nessuno sguardo poteva raggiungerla, nessun giudizio e nessun controllo, se non quello che si autoimponeva ogni giorno. Tra quegli alberi, forse per la prima volta, aveva cercato di scoprire chi fosse Fianna. Non a Salem, non al Kavanagh's, ma in mezzo a quel brulicare di vita dove era sola, ed insieme mai sola del tutto. In quel luogo dove una cultura antica aveva lanciato una maledizione che portava ancora addosso. Mosse qualche passo in avanti, i sensi all'erta, il Wampus che si muoveva a pochi passi davanti a lei. Non fuggiva, stavolta. Si voltava per aspettarla, quando Fianna si fermava. Erano insieme in quella cosa, lo sentiva. Si sentiva più forte con lui, in quella circostanza in cui non aveva idea di cosa si sarebbe trovata di fronte. Poteva immaginarlo, ma aveva il segreto timore che ciò che avrebbe visto sarebbe stato molto peggio di ogni fantasia.
    D'un tratto, i tronchi si aprirono in uno spiazzo. Il sottobosco si arrestò di colpo, sostituito da una pesante terra battuta dal ferroso colore rossastro. I corpi degli alberi seguivano una geometria regolare, si trovavano fitti, stipati, uno accanto all'altro a delimitare come sorte di pareti diritte, incrociate ad angolo retto le une con le altre. Era qualcosa di assolutamente innaturale, che non aveva mai visto a Clearwater, nè da nessun'altra parte. Il wampus avanzò, le sei zampe di luce che non lasciavano alcuna impronta sul terreno. Fianna lo seguì, seppur titubante. Si guardò attorno. I tronchi presentavano profondi solchi nelle cortecce, segni di pesanti graffi. Qua e là, macchie di sangue, come se qualsiasi cosa fosse stata rinchiusa tra quelle pareti di foresta avesse lottato con tutte le sue forze per uscire, con furia. Furia. Fianna riusciva a percepirla, tutto attorno. Rabbia. In un attimo, comprese dove si trovasse: era l'interno di una gabbia.

    Le dava le spalle, raggomitolata su se stessa come un feto. Tremava. I capelli castani spuntavano madidi di sudore da sotto una cosa informe, una pelle grossolanamente scuoiata che ancora portava visibile il sangue rappreso. Non faticò a riconoscerla: era una pelle di lince. Era gettata sulla schiena della figura accucciata, le zampe anteriori che seguivano la forma delle braccia, la pelle del cranio svuotata, calcata sulla testa. Ma fu solo quando iniziò a muoversi che Fianna notò il particolare più raccapricciante: la pelle era cucita addosso a quella figura che portava i suoi stessi lineamenti. Con un filo grezzo e spesso, i punti irregolari che si approfondavano intimamente nella carne. L'altra Fianna volse lo sguardo verso la sua controparte, ed ella potìè vedere come i punti seguissero anche la forma della parte superiore del volto. Dalle orbite vuote della lince, la osservavano un occhio scuro, identico ai suoi, ed uno dorato, la pupilla a fessura, allungata. Entrambi erano arrossati e gonfi dal pianto. Fianna indietreggiò di un passo, il fiato mozzato letteralmente in gola.
    «Ho... provato ad uscire.»
    Aveva la voce flebile, rauca, così simile ad un ringhio. Così priva di qualsiasi emozione, fredda, tanto che un brivido percorse la schiena della ragazza. Non mosse un muscolo, mentre quella lentamente si scioglieva, si voltava completamente, e piano piano assumeva una posizione eretta.
    «Ma non si può. Non si può uscire.»
    Dapprima barcollante, poi allargò i piedi sul terreno battuto per assicurarsi un sostegno più stabile. Aveva le braccia abbandonate lungo i fianchi, la colonna incurvata in una posizione ferina. Le mani erano sanguinanti. Schegge spesse di legno erano conficcate sotto le unghie, sostituite dai gli artigli della lince che sembravano aver lacerato completamente la carne delle dita per uscire. In più punti, la pelle dell'altra Fianna appariva graffiata, e da sotto l'epidermide tumefatta sembravano spuntare le fattezze della lince. Soprattutto, queste lesioni sembravano interessare la zona dove si trova il cuore. Tagli e lacerazioni più profonde avevano stracciato gli abiti, macchiandoli in quel punto del colore rugginoso del sangue ormai vecchio. Ella mosse un passo nudo sul terreno polveroso, verso la sua controparte. Fianna indietreggiò, in sentimento di repulsione che si faceva strada verso quella figura che aveva i suoi stessi lineamenti, orribilmente sfigurata.
    «Non ti avvicinare.»
    Intimò, portando istintivamente una mano di fronte a sè, come avesse potuto farle da scuso in caso di un attacco.

    '' Oggi vi chiedo di avere pietà del vostro riflesso. ''



    Le parole del professor Callaway risuonarono nella mente di Fianna, che ricordandole iniziava a comprendere quanto la vera difficoltà non sarebbe stata tanto nella lotta con quel riflesso, quanto nell'accettarlo. Ma come poteva? Cercò lo sguardo del wampus, ma quello osservava la nuova figura martoriata, che aveva mosso un altro passo in avanti.




    Sò Diego, ti spiego: L'altra Fianna si trova in una sorta di recinto d'alberi, le pareti di tronchi sono completamente graffiate fino all'essersi scarnificata le dita, ha cercato di liberarsi con forza e violenza, ma non ci è riuscita. La gabbia è l'autocontrollo che Fianna si impone, sono la sua maschera di ragazza normale, easy-going, che in realtà non osa permettersi di cedere mai a quella parte animale che le appartiene.
    La pelle cucita in pieno horror style sull'altra Fianna è emblematica di come ella vede la maledizione del mutaforma: qualcosa di imposto, qualcosa che le è estraneo e che non le appartiene, che non è lei. Allo stesso tempo, le forme della lince premono per uscire anche da dentro, da immediatamente sotto l'epidermide. è come una doppia gabbia, autocontrollo da una parte, ed una maledizione che per quanto si ostini a voler percepire come estranea, vive in lei e la condizionerà sempre, come uno stigma, un marchio.
    I graffi, poi, sono di più e più profondi nella regione del cuore.
    è il simbolo di ciò che Fianna si è lasciata alle spalle, la sua famiglia ed i suoi affetti, ogni legame importante.
    La posizione dell'altra Fianna, infine, primitiva e ferina, a piedi nudi, gli artigli sfoderati, indica quanto in realtà ella si trovi senza una guida allo stato più brado. Vive alla giornata come un animale, quando un animale è proprio ciò che non vuole diventare.


    Edited by Rogue. - 23/3/2017, 01:30
     
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