Lost seafarer.

Tristan & Vlad | 1998 | Romania

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    Aveva scelto una casa in periferia. Lontano dall'aria malsana di Bucarest, dove case troppo alte erano piene zeppe di gente idiota. Aveva scelto una casa lontano da luci e rumori infernali, fuori dalla follia diventata città, una città troppo diversa da quella di cui da giovane secoli prima si era innamorato. Aveva scelto una zona dove il verde pacifico dei campi lambiva i confini del loro porticato. Era una macchia di bianco sulla schiena di una collina anonima. Era lì che aveva deciso di crescere suo figlio con lei, Aida. La osservò dal garage chiudere la cassetta delle lettere, come sempre piena di inutili richiami per le bollette. Prima di sposarla era una ragazza anticonformista e un po' folle, affascinante e assolutamente irresistibile. In quel momento, invece, nella luce di quel tardo pomeriggio di inizio estate, era una donna dagli occhi distanti. In quegli occhi di un azzurro inspiegabile e disarmante, tanto era chiaro, Vlad aveva trovato uno spiraglio di paradiso in un mondo che lo aveva soffocato e inghiottito e poi risputato, condannato a non morire mai e a soffrire per sempre. Nei suoi ricci ramati, come nuvole investite dal sole, ogni notte decifrava i misteri della vita e placava i tormenti del suo cuore. Lui la amava. Lui, quell'essere orrendamente immortale, rattrappito dai suoi scempi, privato dalla sua anima, lui che si odiava prima di incontrare lei. Eppure quegli stessi occhi lo ferivano. Lo feriva la loro distanza, lo feriva il modo in cui sfregiavano il dipinto che aveva costruito per loro. Era elusiva, sfuggente, la vide rientrare in casa senza ricambiare il sorriso che le aveva rivolto. Rimase a fissare contrariato la porta chiusa. Poi in silenzio tornò a sistemare tutto l'occorrente sul retro del pick up. Lui e Tristan sarebbero andati in campeggio quella notte. Gli avrebbe insegnato a cacciare come suo padre aveva fatto con lui. Coprì tutto con un telone di plastica giusto in tempo perchè il suono della corsa frettolosa di suo figlio non lo distraesse. Dietro di lui c'era Aida. "Vero, è una cosa padre figlio, che viene tramandata da generazioni nella mia famiglia". Lo sguardo di Aida finalmente incrociò il suo. Era preoccupata. Vlad s'inginocchiò davanti a Tristan poggiando il gomito su una coscia. Aveva gli stessi occhi chiari di sua madre. Guardarlo era come vedere la parte migliore di lei. "Allora? Sei pronto? Hai preso tutto quello che ti serve? E allora da bravo sali in macchina e scegli una cassetta da mettere nella radio" si rialzò dandogli una pacca sulla spalla, sorprendendosi come sempre che fosse tanto mingherlino. Fu il momento di salutare Aida e come sempre ebbe quella gelida sensazione che fosse preoccupata. le strinse le spalle tra le mani, una stretta leggera, ma sufficiente da ammonirla. Lei così si voltò finalmente a guardarlo. "Aida andrà tutto bene, fidati di me". La vide annuire debolmente. Non lo convinse, ma la lasciò comunque andare. Non voleva scoprire nei suoi occhi la paura che potesse fare del male al loro bambino. Salì sul pick up con il volto irrigidito. Fece retromarcia e abbandonò il vialetto di casa per partire alla volta del bosco. Avrebbero dovuto fare solamente qualche miglio, sufficiente a far sparire il sole oltre la linea dell'orizzone. "Tua madre si preoccupa troppo. Sono sicuro che te la caverai. Hai il mio sangue nelle vene". La strada era dritta, così si voltò a guardarlo. Il sole attraversava lo specchietto e faceva divampare la sua pelle. Aveva sempre avuto una cera pallida, non si era mai abbronzato. "Hey, fai un favore al tuo vecchio prendimi una birra, le ho messe nella ghiaccera sul sedile posteriore".

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