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Leda/Maul

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    Era un soleggiato sabato pomeriggio a New York. L'ora di pranzo era appena passata e le strade erano ancora avvolte in un caldo abbraccio ozioso, immancabile in quel preciso momento della giornata. New York era una città che non sembrava mai fermarsi per davvero, però a volte rallentava anche lei, rinunciando per un po' alla sua pulsante frenesia dilagante. Da qualche mese ormai Leda viveva in un appartamento a Manhattan, un appartamento bello e ampio, con grandi vetrate che davano all'ambiente un aspetto arioso e a lei la rassicurante sensazione di poter compiere liberamente respiri profondi e pieni. Proprio quello di cui aveva bisogno, adesso che così spesso il fiato le veniva meno, mozzato di netto all'improvviso senza un'apparente ragione, e la gettava in quei terribili, confusi stati di panico da cui temeva sempre di non riuscire a riemergere. La travolgente vitalità di cui ardeva la città non era di aiuto. Leda era nata e cresciuta in una tranquilla cittadina dell'Alaska, letteralmente lontano dal mondo, dove la natura non aveva perduto la sua dimensione dominante, e permeava le esistenze degli uomini con la sua pungente energia. In Canada non era molto diverso. Lì invece non c'era nulla di ciò che lei aveva conosciuto, quell'energia la si riusciva a percepire a malapena nelle aree verdi come Central Park, il motivo principale che l'aveva spinta verso la scelta dell'appartamento a Manhattan e non altrove. Ma a parte quest'ansia provocata dalle marcate differenze tra un luogo e l'altro, New York non l'aveva colpita in nessun altro modo, né in positivo né in negativo. Malgrado le numerose e lunghe passeggiate in cui si era imbarcata giornalmente, non c'era stato nulla che le avesse suscitato stupore o fascino. Forse era perché, senza che potesse impedirlo, mentre camminava si ritrovava puntualmente a sprofondare nei suoi pensieri, e quando questi le si erano mostrati in tutta la loro crudele chiarezza, era difficile se non impossibile smettere di guardarli, più o meno lo stesso che succedeva coi tramonti, che trafiggevano gli occhi ma ipnotizzavano.
    Adesso, mentre camminava all'ombra dei palazzi diretta al Siena, un locale non distante dal parco cui parecchie volte era passata davanti, cercava di tenere a distanza ogni pensiero, e se per qualche secondo accelerò il passo, probabilmente fu una risposta inconscia del corpo a quel pressante desiderio di fuggire da quello che la perseguitava non solo nel ventre della notte, ma persino fra le pieghe del giorno. Il Siena doveva aver attirato la sua attenzione per via del suo stile rustico e insieme raffinato: al di là delle vetrate incorniciate dal legno, si scorgeva un lucente bancone in marmo chiaro striato di nero, tavolini e un'elegante poltrona verde rasente un muro di mattoni bianchi che richiamavano il marmo. Leda entrò, ordinò una Moretti rossa, pagò e fu di nuovo in strada. Aveva intenzione di berla a Central Park: là, sperava, il silenzio verde del parco avrebbe costituito uno schermo, una protezione contro qualsiasi emozione cupa avesse bussato alla sua porta. Procedeva adagio, guardandosi intorno e di tanto in tanto abbassando lo sguardo sulla birra, quasi fosse un cucciolo da sorvegliare, pregustando il piacere semplice del suo aroma e della sua freschezza nella bocca; il collo di vetro bagnato e il tappo aguzzo le premevano nel palmo della mano destra, morbida sul fianco lievemente ancheggiante. Quel genere di sensazioni le piaceva. La distraeva.
    Un corridore le sfilò accanto, l’odore acre del suo sudore le punse il naso per un istante. Da quel poco che aveva visto, c’era sempre un corridore in qualche punto di Central Park, era una verità assoluta.
    Scelse una panchina e si sedette. Ricordò di controllare che non fosse sporca quand’era troppo tardi, si era già accomodata, ma comunque si tirò in piedi e rimediò all’errore. La sua gonna color crema era salva, la panchina era in perfette condizioni, fatta eccezione per una scritta. Una scritta che la lasciò interdetta, tracciata in stampatello con un pennarello nero. “God hates hugs”. Dio odia gli abbracci. Se voleva essere una battuta, non era divertente. E non lo erano neanche i bizzarri scherzi del caso. Tra tutte le panchine... era davvero incredibile. Staccando infine gli occhi dalle lettere, tornò a sedersi, ma l'espressione distesa che era rimasta aggrappata al suo volto fino ad allora si era dissolta, svelando segni di tristezza nelle rughe della fronte e nella piega severa delle labbra e nel profondo degli occhi assorti, fissi su di un nome che era anche un'anima, un sentimento, un viso, un viso luminoso e poi afflitto, un viso che le restituiva uno sguardo adirato, sprezzante, impietoso. Deglutì; i muscoli del suo collo pallido scattarono, si tesero come a voler raggiungere quel nome.
    Andrew.
    La bottiglia di birra stava lì fra le mani, poggiata sulla gonna, svuotata di ogni dolce promessa.
    Leda non sapeva se Dio odiava gli abbracci, ma sapeva che il Diavolo li amava.


    Edited by Mythesis - 16/8/2018, 18:02
     
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    Sospira lentamente, Maul, alzandosi dal letto fin troppo tardi per i suoi gusti, mentre il sole è già alto e scivola all'interno della sua stanza disordinata. Un appartamento da quarantacinquenne single, poco in ordine e poco pretenzioso, ma ampio. Così amplio che dalla porta aperta della camera da letto può vedere la cucina, qualche piatto ed utensile da cucina emergere dal lavandino in acciaio e le sedie disordinatamente distribuite intorno al tavolo. Strano come una persona fosse in grado da sola di sembrare un esercito.
    Quel giorno avrebbe continuato a dormire se quel raggio di sole non l'avesse trafitto e letteralmente quasi ustionato mentre dormiva - in canotta e boxer - a stella sul letto ad una piazza e mezzo. Ad ogni movimento che faceva poteva sentire come ed in che modo le vertebre scricchiolassero col peso del corpo retto in piedi sopra il parquet di legno scuro. Macinò qualche passo in direzione del bagno lasciandosi abbandonare in uno sbadiglio ed una mano che scivolava fra i capelli nel tentativo di mettere in ordine qualcosa di inaggiustabile. Come la sua vita, dopotutto. Erano passati anni da quando aveva deciso di cambiare casa, di cambiare aria, di liberarsi di quella casa che gli ricordava soltanto la famiglia che non avrebbe mai più avuto. Ed erano passati pochi anni da quando la sua vita era cambiata, da quando nelle sue vene scorreva la magia.
    Magia, ma chi poteva pensare che uno come lui sarebbe stato in grado di vivere con della magia in corpo? Un dono di Dio, che si chiamasse Tharizdun o Dio o YHWH non faceva poi così tanta differenza. Eppure lui era lì, a sorseggiare un caffé amaro pensando a come ed in che modo sarebbe stato in grado di rendersi utile all'universo, in quella giornata che iniziava fin troppo tardi. Guardava il vuoto, oltre il mobiletto bianco di finto design che portava l'unica foto della moglie e della figlia. Si guadò la sinistra, sentendo il peso dell'anello che aveva deciso di non portare più, mentre il suo respiro si faceva lento e cadenzato e gettava in gola l'ultimo resto di caffé. Così passava la giornata, aspettando la forza necessaria per lavarsi, indossare una camicia ben stretta dentro i pantaloni ed uscire in una camminata senza meta.
    Anzi, quella volta la non-meta era Central Park, semplice, tradizionale. Luogo di ricerca, di corsa, di passione, di naturalezza. Non amava molto i parchi, ma forse un po' d'aria fresca gli avrebbe fatto bene. Dopotutto, era un profiler, non sapeva fare null'altro, niente se non osservare le persone e sapere come ed in che modo sarebbero state in grado di interagire col mondo. Il soggetto di quella giornata fu una giovane ragazza. Attratto da lei principalmente per il fatto che avesse delle belle gambe ed un viso particolare (notati in quest'ordine), decise di avvicinarsi per accorgersi che nel suo volto troneggiava un'espressione intristita e la birra fra le mani gli fece supporre qualcosa che, sbagliata o giusta che fosse, gli avrebbe permesso di trovare un pretesto per parlare. "Bevi per dimenticare?"

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    Il ronzio fastidioso dei pensieri che affollavano la mente di Leda fu come risucchiato dall'intromissione di quella voce, una voce dal suono giovanile, che si srotolava amichevole nella sua direzione. Ciò che i suoi occhi grigi videro, una volta distolti dal vuoto che fino a quel momento avevano fissato perforanti, non era quel che si sarebbero aspettati, pure se non ebbe il tempo di comprendere esattamente di cosa si trattasse. Forse, semplicemente, qualcuno di più giovane. Schiuse un poco le labbra, visibilmente sorpresa, e delle parole parvero bloccarsi sull'orlo della sua bocca come le gambe di ragazzi scapestrati sul ciglio di un precipizio. Sbatté le palpebre più volte e con quei battiti sembrò volersi scrollare di dosso il velo di torpore che le si era adagiato sopra come polvere. I primi dettagli che immagazzinò di quello sconosciuto furono i suoi occhi, leggermente stretti nell'ombra di un sorriso e chiari come i suoi, e poi i vestiti, che sarebbero risultati perfetti pure se indossati da suo padre, poiché rientravano nella precisa gamma di vestiti che Rupert avrebbe scelto per sé. Dopo avergli rivolto uno sguardo che lo percorse velocemente dalla testa ai piedi, abbassò gli occhi e un piccolo, stanco sorriso sorse sul suo viso mentre un fugace sospiro scappava come un uccellino dalla sua bocca distesa. Levò una mano alla fronte e si scostò i lunghi capelli, facendovi scivolare le dita fino a sfiorare la clavicola, prima di ritrarle. Annuì leggermente, due puliti cenni cadenzati, colta sul fatto, e disse: "È così". Rialzò lo sguardo e ancora esitò e non riuscì a osservare l’uomo apertamente, il sorriso ora era solo un residuo sui suoi lineamenti, pieni di una chiara incertezza. Alla fine osò, si spinse un po' più oltre la sua personale linea di sicurezza, e aggiunse: "Vorrei pensare che lo ha indovinato perché è una persona molto intuitiva, e non perché è così evidente... ma so qual è la verità". Il sorriso tornò e stavolta le sollevò le guance con più convinzione, non fu unicamente di passaggio, si impresse con forza, forse perché Leda voleva che lo facesse. Sorridere: lo aveva fatto troppo poco nella sua vita. Era tempo che anche questo cambiasse. Non aveva sorriso con nessuno come con Thomas, ed era triste, a pensarci, che lui si fosse rivelato un superficiale senza alcun senso della dignità, e che le altre persone con cui avrebbe desiderato sorridere fossero ormai rinchiuse nel passato alle sue spalle, come bambole buttate in uno scatolone in soffitta con cui non avrebbe più giocato. Non le restava che sorridere da sola, per sé, tentare di farlo, ignorando ogni pensiero e la pesante ritrosia dei muscoli, che puntualmente davano la sensazione di stirarsi in modo innaturale. Come per ingoiare quella sensazione e farla sparire, Leda strinse la bottiglia, se la portò alla bocca e bevve un sorso né lungo né breve, abbassando per un momento le palpebre, oziose ali di farfalla adagiata su di un fiore. Deglutendo tornò a rivolgersi allo sconosciuto, chiedendogli: "E lei, passeggia per dimenticare?". Aveva notato che lui le aveva parlato informalmente, e sebbene questo non fu motivo di cruccio per Leda, lei non si sarebbe sentita a proprio agio a imitarlo, perciò, sperando di non suscitargli un'impressione sbagliata, fredda – ma sarebbe stata davvero sbagliata? – si mantenne ben ancorata ai suoi formalismi.
     
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    Nulla stronca di più un giovane scapolo che sentirsi dare del lei da una ragazza con la quale si sta pseudo flirtando. Prima batosta ricevuta, l'americano non poté fare a meno di soffermarsi a guardare il tripudio di emozioni che quel volto che casualmente aveva incontrato era stato in grado di generare. Interesse, stupore, paura, forse triste amarezza nel ricordare il motivo per il quale era lì, da sola, con della birra in mano. E forse, meravigliato da quella candida leggerezza e dai quegli occhioni color acqua circondati da un volto particolare, per nulla convenzionale, la batosta di sentire i quarantacinque e forse più anni sulle spalle per colpa di quel "lei" si fece leggera. Beve per dimenticare, quindi è triste, quindi in un modo o nell'altro avrebbe potuto cercare con quelle sue battute idiote di farle scappare un sorriso. Avrebbe voluto aver anche lui in mano qualcosa da bere, e l'idea di allontanarsi a lunghe falcate per colmare quella lacuna fu una delle peggiori, dato che in un attimo ebbe il timore che anche solo allontanandosi di qualche metro avrebbe visto perdersi l'occasione di guardare di nuovo quegli occhi azzurri. Era come un cardellino, che leggermente si appoggiava stanco su un ramo: bastava un attimo, un movimento brusco, un segnale sbagliato per vederlo scomparire. Alla sua risposta così formale, quindi, evitò di scomporsi prima di sorridere con una flemmatica calma. "E' così" ne imita la risposta, mordendosi piano le labbra prima di abbassare lo sguardo nella direzione delle mani della ragazza, strette intorno alla bottiglia "E comunque, sono una persona molto intuitiva, ma con degli occhi del genere sfido chiunque a non poter leggerne ogni singola sfumatura" esclusa la battuta sulle stelle rubate dal cielo - preoccupato dall'idea che essa stessa fosse una qualche figlia d'un ladro per davvero - si limitò a sciorinare un sincero complimento dovuto all'espressività del suo volto, impossibile da non considerare. "Quello che mi interessa sapere è il perché. Non si tratta di amore, perché per amore non si beve una birra..."

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    Con un vago sorriso lui rispose affermativamente alla sua domanda: a quanto pareva condividevano la ragione che li aveva guidati fuori casa e che li aveva fatti incontrare, ovvero il desiderio di distrarre la mente da foschi pensieri. A quanto pareva. L'amore capriccioso, volatile, che entrambi i suoi genitori avevano avuto per lei, ammesso che si potesse parlare di amore, le aveva fatto crescere dentro un grumo di diffidenza, che si era ingrossato nutrendosi degli atteggiamenti scostanti e sdegnosi, negli anni sempre più accentuati, di sua madre e suo padre nei suoi confronti. Verso chiunque, quindi, pure se con leggere variazioni fra un caso e l'altro, Leda inizialmente provava una certa dose di diffidenza, che la portava a considerare con scetticismo ciò che le veniva detto. Le persone mentivano riguardo le cose più minime, sciocche, come riguardo quelle più importanti, e lo facevano per paura o per vergogna o solo per sentire uno strano brivido di compiacimento, solo perché potevano farlo. Non le piaceva quel suo lato, non la metteva a suo agio sapere di stare virtualmente tradendo qualcosa, quando gli altri si rivolgevano a lei e lei subito innalzava quello schermo rifrangente; non era giusto che qualcuno che sinceramente, generosamente le stesse rivolgendo la sua attenzione, fosse scostato a causa di brutti episodi passati della sua vita con cui non aveva proprio niente a che fare. Per questo, perché si sentiva in colpa, ma anche e prima di tutto perché Leda era fatta così, vedeva e voleva vedere il buono nelle persone, alla diffidenza finiva col mescolarsi, in un modo singolarissimo, una candida ingenuità. Come se intorno a sé avesse scavato un fossato profondo, pieno d'acqua, ma poi il ponte levatoio si abbassasse con cedevole facilità, in nome di un fragile ideale. Dunque dapprincipio Leda pensò che forse la risposta affermativa dell'uomo fosse principalmente un tentativo di stabilire una connessione fra loro, ma poi pensò anche che, pure se così fosse stato, questo non necessariamente faceva delle sue parole una bugia.
    Un luccichio divertito si accese negli occhi di lei alla sua battuta velata, ma in un battito di ciglia quel luccichio sembrò perdersi in un'emozione diversa, profonda e oscura, che nell'arco di pochi istanti montò nel suo sguardo sgranandolo un po’. Ogni singola sfumatura. Guardò altrove, un punto lontano da lui, opposto alla sua posizione; un punto che era uno squarcio di viva erba verde nella cornice formata dai tronchi di due alberi. L'emozione che aveva afferrato Leda e ora le si divincolava nel petto aveva a che fare col sentirsi scoperti, denudati – certo, Thomas amava ripeterle che avesse occhi bellissimi, ma non le aveva mai detto una cosa del genere, nessuno lo aveva mai fatto prima – e con quella di aver finalmente svelato il mistero di un enigma rimasto a lungo sopito, e l'enigma in questione era suo padre, che aveva sempre saputo, con una chiarezza agghiacciante, come e dove ferire il suo animo. E adesso, immersa nella calda tranquillità del parco, Leda sconvolta si ritrovò a pensare: che lo sapesse per mezzo del mio sguardo? Non solo non era in grado di proteggersi da sola; persino si tradiva da sola. Deglutì e fu così faticoso. Gli lanciò un'occhiata e disse: "Grazie, credo" e fece un sorriso delicato, in cui, a cercare bene, si poteva individuare la traccia opaca di un imbarazzo contenuto. Ma fu la successiva frase di lui a fargli guadagnare l'attenzione più completa di Leda, spingendola fino a scrutarlo in modo fermo, non titubante, non incostante, fermo. Gli interessava sapere il perché. Ignoravano i nomi l'uno dell'altra eppure a lui interessava sapere il perché. Poteva anche porsi in maniera rilassata e cordiale, ma quella sentenza permise a Leda di intravedere la decisione del suo carattere, che la indusse a pensare che fosse uno abituato ad agguantare ciò che voleva, o almeno a provarci con ostinazione. E poi quella parola, amore. Una parola talmente ingombrante in ogni angolo della mente di lei; ovunque la mettesse, sembrava non esserci abbastanza spazio per quella parola. No. Decisamente Leda non stava bevendo per amore. Piuttosto, forse, per l'amore che non c'era stato. "Ne deduco che lei sia un esperto in merito" disse senza che il sorriso le avesse lasciato le labbra. Mosse la mano che stringeva la birra, un gesto conciso, come un pacato invito a esplicarsi. "Allora cosa si dovrebbe bere, in quel caso?".


    Edited by Mythesis - 24/9/2018, 00:55
     
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    "Sì, grazie è la risposta giusta" sorrise, inclinando lo sguardo mentre vedeva come ed in che modo i suoi occhi si abbandonavano alla sequela di emozioni che non pensava si potessero provare in un solo momento. Era da tempo che non si immetteva in qualcosa di così complesso come un corteggiamento e benché fosse consapevole di non aver eccessiva padronanza della tecnica in questione, poteva rendersi conto in un momento che stava andando a gonfie vele. Gli ricordava il suo lavoro da profiler, abituato com'era a scrutare a forte distanza e soltanto attraverso delle carte l'essenza delle persone, adesso poteva rendersi conto facilmente di che significato avesse un solo e singolo sguardo mancato. Come quello di Leda, ma della quale non sapeva il nome.
    Non gli serviva. I nomi erano segni, lettere che si uniscono per identificarsi, ma di identificarsi davanti a quegli occhi con un nome non ha senso. E' già sé stesso, lì dentro. Non si era mai reso conto di quanto filosofico potesse essere un elucubrare nei confronti dello sguardo di una donna. Non si ritrovava così da quando si era dimenticato le sfumature degli occhi di Selene. Non sentiva i tremori di una voce da quando aveva dimenticato il suono della sua voce. Era un'immagine sbiadita che si confondeva con gli occhi adorabili di Matilde, con la sua voce squillante che si faceva cauta da parte, per accogliere le armoniose note di quella della donna che aveva davanti. Non sentiva di star tradendo la defunta moglie, non sentiva di star violando la memoria della defunta figlia, si stava solo godendo un attimo con dei begli occhi. "Uno dei massimi esperti" si ritrovò a sorridere, sperando di mostrare notare un bagliore - forse di imbarazzo, forse di semplice tenerezza - prima di riprendere fiato "per un'amore andato a male si bevono cose forti. La birra è per vivere con leggerezza tutto il resto."
    Ma quel "tutto il resto" gli era ancora oscuro, come poteva saperlo, notando come la ragazza si fosse semplicemente allontanata dalla domanda precedentemente posta. Lui non smise di guardarla, certo adesso che le mille sfumature dei propri occhi le riuscissero a comunicare molto più che qualche parolina messa al posto giusto e detta al momento giusto.

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    Quello che le disse, come lo disse, quel suo puntualizzare che cercava di sollevare, piano ma con decisione, la bianca maschera impersonale che Leda indossava contro il riflesso troppo intenso del mondo, glielo fece capire con certezza. 'Vuole lusingarmi' pensò, e l'imbarazzo parve acquisire una nuova consistenza dentro di lei, come se fosse diventato una roccia pesante e ardente il cui calore saliva fino al suo viso, accaldando le guance e diffondendovi sopra un lievissimo rossore che lei non avrebbe potuto contrastare in alcun modo. Avrebbe solo potuto sperare di velocizzarne la scomparsa sforzandosi di ammansire le sue emozioni, respirando con calma e in profondità. 'Ma respirare con calma mi dà una strana sensazione. Come di qualcosa che è sempre stato contratto e alla fine inizi a espandersi. Checché se ne pensi, non è una bella sensazione. Fa pensare a quando, in aereo, ci sono dei vuoti d'aria.' Quasi a opporsi a ciò che provava, Leda rafforzò la presa sulla bottiglia e fece scorrere le dita sulla superficie fresca come se volesse scavare nel vetro, e nascose un po' di più, con un movimento minimo, come distratto, le gambe sotto la panchina.
    La risposta pronta dell'uomo, circa la sua ormai conclamata competenza nel valutare quale fosse l'alcolico adatto a ogni situazione, le fece scappare un sorriso su cui erano chiaramente impressi i segni di un primo moto di vera simpatia. Infatti le labbra si arricciarono nettamente, come a trattenere il principio di una fioca risata, e gli occhi scintillarono in un misto di ilarità e comprensione, su cui però le sopracciglia, leggermente incurvate verso il basso, gettavano un'ombra di dolce tristezza. Non se lo aspettava, ma sentiva che conversare senza un motivo specifico con quello sconosciuto, le stava facendo bene, nonostante l'imbarazzo inevitabile provocato dalla pungente estraneità che c'era fra loro e dall'approccio – come definirlo? – audace di lui.
    Non le era successo molte volte di parlare del più e del meno con estranei, sia perché normalmente non cercava contatti con gli altri che non fossero dettati da una necessità – l'introversione era una qualità predominante nel suo carattere – sia perché, a causa del nome della sua famiglia, delle poche possibilità di dialogo che lei lasciava aperte, e forse anche del fatto che fosse considerata un po' strana, le altre persone non sembravano ansiose di avvicinarsi a lei. Avvicinarsi a Leda, e questo era vero soprattutto in passato, avrebbe richiesto senza dubbio un dispendio di energie non indifferente, perciò la maggior parte di quelli che le stavano intorno dovevano aver giudicato che il gioco non valeva la candela. Alla Magnus Opus, in quasi dieci anni di servizio, aveva stretto amicizia solo con Thomas, il che era indicativo. Thomas, che una volta le aveva detto "Nessuno parla con te perché sono intimiditi dalla tua bellezza. Gli uomini non sanno come rivolgersi alle belle donne. E le altre donne sono invidiose", lei aveva risposto facendo un risolino nervoso "Suvvia, Thomas, questo non ha senso", e lui, sorridente ma con cipiglio serio "Ti dico che è così".
    "Allora mi dispiace, ma temo proprio che non possa utilizzare il suo metodo di analisi su di me. Non bevo superalcolici. Solo la birra, ogni tanto, e il vino. Il vino in modo particolare, ma sempre senza esagerare". Le saltò in mente che amava sorseggiare un bicchiere di vino prima di fare sesso, meglio se poteva accompagnarlo con della pizza – piccoli piaceri che le erano rimasti dal tempo della relazione con Thomas fra le coperte sfatte del suo grande letto; lui andava matto per la pizza. "Immagino di essere una donna che non sa come divertirsi" fece spallucce; tutto in lei suggeriva che stesse giocando, e tuttavia si poteva dire che quanto avesse affermato non si allontanava poi tanto dalla verità. "Ma se non va di fretta, non le piacerebbe sedersi? Mi farebbe sentire più a mio agio" chinò appena il collo abbassando il capo, e i capelli bruni le scivolarono su parte del volto cosicché lei poté osservarlo attentamente, scaltramente, ma con delicata prudenza, come una bambina che facesse capolino da dietro un albero.


    Edited by Mythesis - 3/10/2018, 19:29
     
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    "Me lo sentivo, che eri una tipa da vino." sorride mestamente, Maul, accorgendosi di come ogni movimento di quella donna urlasse innocenza. Erano lì, entrambi con lo sguardo perso l'uno nell'altra, consapevoli di essere in grado di riuscire a colmare le loro mancanze solo ed esclusivamente rimanendo ancora a parlare con fare aleatorio, distaccato, generico. Eppure, o almeno così l'americano volle credere, Maul ci sperava.
    L'espressione della donna accoglie la strana tendenza di Maul a governare tutto come un direttore d'orchestra. Che fosse rimasto in piedi era più che ovvio, che avesse perso più volte lo sguardo nella panchina libera al suo lato, anche. Con un sorriso delicato, si limitò ad inclinare la testa prima di raggiungere a grandi falcate il fianco della donna, libero e costituito da una larga panchina metallica, prima di raggiungere con gli occhi il gabbiottino con due giovani che vendevano ai viandanti le loro bevande. "Mi siedo solo se mi dai il tempo di prendere da bere. Non è galante far bere da sola una signorina." aggiunse e senza nulla aspettare proseguì a passi rapidi in direzione del piccolo bar, Pagata la birra in contanti ritornò indietro conscio che la ragazza non si fosse allontanata. Non lo era, era rimasta lì, perché avrebbe dovuto farlo. Oltretutto era certo che nel momento in cui inviti qualcuno a sedersi accanto a te non hai intenzione di fuggire a gambe levate.
    Con un candido sorriso, l'americano cacciò una mano in direzione della donna, per presentarsi, mentre si sedeva. "Maul, piacere. Dammi del tu.". perentorio, diretto, come sapeva ben fare. Alle donne, probabilmente, piacevano gli uomini così diretti e precisi. O almeno, fino a quel momento era sicuro che poteva avere più possibilità, mostrandosi perentorio e deciso.

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    LEDA GODFREY HELEN FERGUS
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    Gli incontri casuali potevano celare nel loro seno un seme di conforto. Quel seme che adesso Leda aveva scoperto, osservando allontanarsi la schiena di quell'uomo per lei ancora senza nome. Una schiena che non era quella di Scipio. Che non era quella Andrew. Certamente, gli aveva detto quando lui le aveva chiesto se lo avrebbe aspettato mentre comperava la sua birra. Certamente. Non era bello parlare con qualcuno senza sentire alcun peso sul petto? Sapendo che quella persona sarebbe passata come passano le stagioni, caduta oltre la sua vita, al di là della sua vista, come cadono i fiori di un albero dietro delle mura, silenziosamente, in modo indolore. Pronunciando parole più sottili e inconsistenti di una foglia, così sottili e inconsistenti da venire inghiottite, e non trasportate, dal vento. Leda era stanca delle parole che il vento della memoria le rimandava indietro, un'eco infame che continuava a rimbalzare per il mondo e, rimbombando contro le superfici più impensabili, un viso, l'angolo di una strada, una particolare tonalità della cupola del cielo, le si insinuava nelle orecchie, cogliendola sempre, sempre in contropiede. Nessuna di queste parole la faceva sorridere. Forse, da quel momento in avanti, avrebbe potuto vivere di incontri fugaci, collezionarli, uno dopo l'altro, finché non li avesse dimenticati dolcemente, come succede con gli oggetti messi da parte in un impeto di labile sentimentalismo. Forse anche in quel modo si sarebbe potuto dire che avesse costruito qualcosa, alla fine.
    L'uomo tornò, portando la sua birra e offrendole, insieme alla mano, il suo nome. Maul, un nome talmente simile a quello di un luogo, il molo, e che aveva la sua stessa desolazione e l'odore gravido del mare nei giorni in cui il cielo era di metallo e le onde lame affilate. Non aveva un'opinione su quel nome, ma istintivamente non le piacque, perché si era già appiccicato a un suo ricordo come la salsedine alla pelle. E non le piacque neanche che le chiedesse di rivolgersi a lui con familiarità. Indossare il distacco della formalità rendeva più solido il terreno sotto i suoi piedi. Toglierle quello equivaleva a farla sentire instabile. Fissò la mano di Maul per qualche istante, dopodiché la strinse e sollevò gli occhi a incontrare quelli di lui mentre diceva: "Helen". Le bugie potevano essere estremamente corte. Potevano pure non avere affatto una lunghezza; potevano essere fatte di silenzio, come il silenzio in cui per mesi, da sola nella cucina di casa Godfrey, aveva svitato le sue boccette e dosato le sue pozioni nei tè di Andrew, e a ogni goccia che cadeva, era un passo più distante da lui. Cosa dire? Che stava facendo? "Non è male, qui" qui a Central Park, e, più genericamente, a New York. "Però mi manca..." si bloccò, la sua lingua si pietrificò. Ma non poteva tornare indietro, ora. "Mi manca la mia terra" il suo sguardo fu gradatamente colmato da una luminosità triste, smarrita. "L'Alaska" chiarì presto, inspirando più a fondo del solito come se le fosse mancata l'aria persino in quel posto. Una confessione che, di colpo, le parve di aver fatto più a se stessa che all'uomo. Una confessione che avrebbe preferito rimanesse sepolta, soffocata, con la lingua mozzata. Oh, era certa che a sentirla parlare così, la sua famiglia ne avrebbe sorriso. E Andrew? Lui avrebbe sorriso? Una furia improvvisa le attanagliò le viscere e le fece desiderare ardentemente di lanciare e infrangere la bottiglia contro l'albero di fronte a lei. Ma, naturalmente, nessun muscolo di Leda si mosse.


    Scusa cara, per l'attesa e il post tanto "tagliamose le vene"


    Edited by Mythesis - 23/12/2018, 11:47
     
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    Maul

    BERGMANN

    Swing your partner round and round
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    narrato - parlato - pensato

    Aveva chiaramente notato come il modo di parlare della sua nuova compagna di bevute fosse irrimediabilmente, a poco a poco, reso sempre più sereno dall'andare avanti di quella conversazione. Sapeva, non certo a fatica, però riconoscere quelli che erano dei segnali di tristezza, di profonda amarezza che rispecchiava un sentimento provato per fin troppo tempo e che, in quel momento, era certo di poter sovrastare in funzione di quell'incontro. Fortuito sì, ma anche fortunato.
    Helen, perché così si chiamava la bella, era di una dolcezza disarmante e l'americano non poté non sentire il desiderio di stringerle la mano, di sentire quella sensazione passargli attraverso la pelle come se le sue particelle potessero unirsi alle proprie. Era fondamentalmente solo, lui e la sua corruzione e la sua ossidiana che conteneva tutto il dolore del mondo, unito al caos e alla disgrazia di un legame indissolubile. Che fosse quello con James Manson o con Tharizdun è un dettaglio che ancora nemmeno lui sapeva definire.
    Era artigliato ad una condizione di lontananza e vicinanza dal mondo stesso, confermata meravigliosamente dalle semplici parole di lei che si schiusero in un semplice "Non è male qui, però..."
    Dopotutto, era quasi la stessa sensazione che provava nei confronti della propria condizione. Non voleva darlo a vedere ed era sicuro che sarebbe stato superfluo qualsiasi riferimento sul tema. Però a lei mancava l'Alaska.
    Lui in Alaska non era mai stato ed in un attimo desiderava prenderla per mano e raggiungerla, quell'Alaska che tanto le mancava: fare una follia semplice, come liberare il suo animo romantico, la sua dolcezza smaliziata.
    Le sorrise, scuotendo la testa: "L'Alaska" ripeté poco dopo, come a sottolineare il suo interesse per il concetto. Come a sottolineare il suo interesse per lei. "Immagino sia un bel posto, per aver dato vita ad una come te" sorrise, incapac di contenere quella sua vena da dongiovanni, che si spense in un sorriso deformato dalle labbra che si poggiavano sulla sua bibita, bevendone un sorso. "Non ci sono mai stato... E tu, perché te ne sei andata?"

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