Convergence

Vincent/Charlie/Fox/Themi

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    A volte, negli ultimi tempi sempre più di frequente, senza che fosse necessario interrompere quel che stava facendo cominciava a contare. Contava i secondi. Contava i minuti, e poteva spingersi fino a contare ore intere. Uno, due, tremilaseicento. Tremilaseicento sono i secondi che compongono un'ora. Quanto tempo mancava prima che l'universo venisse a reclamare il prezzo degli sbagli che aveva commesso? Quanti battiti di ciglia, quanti attimi scanditi dal ticchettio nervoso delle sue dita mancavano prima che potesse rivedere il suo pianeta senza che dovesse volgergli le spalle, un fragile scudo contro la pioggia dirotta di maldicenze? Non lo sapeva. Ma continuare a tornare indietro non avrebbe arrestato lo scorrere del tempo. Ogni volta, ad ogni salto, poteva sorridere perché riniziava da zero, e gli inizi erano freschi per definizione, ma quello zero restava tale solo per lo spazio di un secondo, dopodiché invariabilmente, testardamente diventava un uno. Dopotutto, se i numeri erano stati inventati per dare un lessico alla realtà non ci si poteva aspettare che rimanessero buoni al loro posto, essendo la realtà stessa puro, incessante, strabiliante cambiamento. Il tempo, che Themi aveva sempre amato forse più di ogni altra cosa, la sua dimensione, quella di cui, da quando aveva scoperto la sua natura, si era sentita parte integrante, ingranaggio d'oro in quel mastodontico disegno diramato in connessioni pulsanti, figlia di carne di quel mare immenso, libera attraverso il tempo, il tempo, il tempo che ora la incalzava, che la rincorreva, persino lei, come il rumore invisibile di passi scuri al limitare di un incubo. Aveva appena visitato un pianeta il cui nome era un insieme di cifre e lettere, non ricordava quale precisamente, ma ricordava i numeri, posti lì come un promemoria alle sue ansie. La memoria era selettiva, nessun problema, ma Themi non poteva fare a meno di rimuginare sul fatto che se lo fosse stata nel modo in cui diceva lei, sarebbe stato di gran lunga meglio. Quel pianeta che stava abbandonando era il più bagnato che avesse mai visitato, una sfera rivestita di acque punteggiate di rifiuti che da lontano, nel sole, sembravano gioielli. Ci era scesa per via delle leggende che lo popolavano e che aveva scoperto non essere semplicemente leggende. Negli abissi cavernosi di quell'oceano senza rivali abitavano i Leviatani, su cui gli Uomini avevano fantasticato e scritto lungamente, come gli piaceva tanto fare. E non era stata sbagliata la loro intuizione che elevava quelle creature a simbolo di forza primordiale, anche se, più che di forza, si parlava di saggezza, ma quelli che ci avevano voluto vedere il simbolo dello Stato assoluto, secondo la sua opinione si erano fatti un po' trasportare. A ogni modo li aveva trovati, i Leviatani, ancestrali regnanti delle profondità marine, e ci aveva scambiato anche quattro chiacchiere, ma comunque da quell'incontro che aveva del miracoloso non aveva ottenuto quel che andava cercando, o forse sì, ma i messaggi che aveva raccolto giacevano ancora sterili fra le sue mani, in attesa che lei capisse come farli germogliare. C'erano quei grandi uomini di pensiero che in passato si ritiravano nelle loro case dipinte in cui tutto, dai colori ai rumori, era calmo e tenue; case circondate da giardini vasti e ricchi di fiori. E in quelle oasi le idee venivano coltivate con pazienza. Themi, che non avrebbe mai avuto un suo giardino splendente di tranquillità, si chiedeva se, con quella vita da viandante che conduceva le sue idee fossero in grado di svilupparsi in tutta la loro altezza, o se invece fossero condannate a uscirne spezzate. I capelli leggermente inumiditi, lo sguardo appena oscurato, era pronta a tornare da Cooper; l’immagine di quei giardini però aveva aderito ai suoi occhi più di quanto immaginasse, e quando compì il salto, la traccia di verde rimasta la trascinò altrove. Non si accorse subito di essere nel posto sbagliato, perciò esordì con un sospiro sentito: "Inizio di giornata umido per me".
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    Edited by Mythesis - 28/4/2020, 21:12
     
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    Fox Eggerton — The Pirate — Inventor — 36 — VoiceSong Questo ricordo non era più importante o meno importante di tanti altri, per Fox Eggerton. Se avesse voluto misurare la divergenza dei vettori sparsi nel tempo che l'avevano portato lì, in quel momento, probabilmente si sarebbe perso in una serie infinita che avrebbe tentato di calcolare, soltanto per poi trovarsi a sorridere di fronte alla scelta di notarne l'impossibilità, l'arrivare ad una fine che esisteva soltanto negli occhi di chi aveva deciso di comprenderla così, finita. Così come quel ricordo non aveva meno o più importanza di tanti altri, anche le possibilità o le impossibilità che si tessevano al suo interno, possedevano la stessa proprietà di spingere il sangue un po' più veloce, lucidargli gli occhi di meraviglia, e piegare le labbra alla forza inestimabile di un sorriso. E il freddo di quella Terra, lontana da noi così com'era lontana da Fox, sepolta in ricordi di avi a cui non poteva accedere, che finalmente poteva sperimentare nel ghiaccio dicembrino che si accumulava in strati sottili sulle poche foglie rimaste, faceva diventare ogni singola molecola iridescente come pietre preziose, come gli occhi della Profetessa e dello Storico che il Pirata non poteva smettere di guardare neanche mentre parlava, e raccontava, e l'emozione gli riscaldava la pelle dentro quella cupola che li proteggeva dall'immobile agitazione di ogni atomo intorno a loro. Gli ricordò quelle uova in cui si erano riparati durante il viaggio fuori Rascenvo, perché nonostante lui fosse immune - o, a seconda dei punti di vista, parte stesso di quel cambiamento a cui si sentiva asincrono - Charlie e Vincent non lo erano, e voleva stargli vicino, così tanto vicino da scambiarsi i brividi di quella prossimità esagerata, sentendoli attraverso battiti del cuore che si armonizzavano insieme. Poi Vincent aveva scelto di donarsi al tempo, a loro, alla teoria stessa che era diventata quel numero triangolare, un primo primordiale che era diventato triade, due intervalli armonici dentro un terzo, e quel terzo era lì, di fronte a lui. Un Vincent che era il suo, ma era anche un altro. Alla fine anche lui nella sua umana saggezza, arrivava sempre al punto di notare le differenze, contrariamente ai suoi simili però, trovandole di una bellezza sconvolgente proprio perché risuonavano su una frequenza un po' più malinconica.
    Poi la convergenza trovò un punto momentaneamente fisso nel tempo e nello spazio, e il Pirata riconobbe subito quella capigliatura bionda un po' spettinata onnipresente nella sua giovinezza. Dalla posizione semi distesa che aveva assunto, si tirò su di scatto. Non aveva mai dato per scontato nulla nella sua vita, neanche che non avrebbe mai più rivisto Themi, soprattutto questo, perché lei era vento e acqua, lei era un fulmine in un cielo terso, inaspettata e travolgente. Aveva sentito la sua mancanza, come aveva sentito la mancanza bruciante di Charlie e quella di Vincent, e l'aveva respirata riempiendo i polmoni fino a non aver più bisogno di ossigeno. Rivederla fu come fare un lento e soddisfacente sospiro. L'ultima volta si erano salutati pensando di rivedersi dopo pochi istanti, perso negli spazi tra le tessere di un enorme puzzle che ancora non aveva compreso fino in fondo, aveva perso quel sorriso luminescente che si rifletteva negli occhi scuri della Scienziata. Si alzò e quel cappotto rosso scivolò sulle gambe ondeggiando nell'aria spostata fino a tornare al suo solito posto, danzante dietro i suoi passi, quella volta veloci per raggiungerla in fretta nonostante fossero pochi i metri entropici che il caos aveva posto fra loro. La prese per le spalle e la fece roteare su sé stessa per averla davanti e abbracciarla. Un corpo caldo e uno freddo che si scambiavano calore volteggiando sulla freccia del tempo immaginaria che governava il secondo principio della termodinamica. Un viaggio nel tempo condensato in un abbraccio che lo aveva riportato su Rascenvo, ad Alnodisla, quando sulla lingua si agitavano concetti che avrebbe potuto condividere solo con lei « Themi » disse il suo nome con lettere che sorridevano, piano, perché era lei a doverlo sentire e a riconoscere la sua voce. Nella nostra cultura diciamo che quell'incontro era destinato dagli intrecci del tempo, ma Fox pensava che quella riscrittura costante escludesse un concetto semplicistico come il destino, era l'universo a farlo accadere, rigenerandosi nel momento stesso in cui si generava e ancora lo faceva di nuovo, raggrumandosi e sciogliendosi in filamenti che Charlie era in grado di toccare, Vincent di percepire e Fox di dispiegare.
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    Con la conoscenza che abbiamo oggi, avremmo forse fatto qualcosa di diverso? Non l'ho mai pensato. Ognuno di quei giorni l'abbiamo passato con la consapevolezza della morte e la leggerezza di un tempo che è oltre di noi, li abbiamo vissuti appieno, così come è l'unico modo di vivere. Continuano a chiedermi perché l'immaginare un universo vasto come l'abbiamo ipotizzato non mi abbia fatto sentire così piccola da esserne schiacciata. Ma come facciamo a intimorirci se siamo frammenti di infinito e come tali siamo l'universo stesso? La nostra anima è ciò che rende possibile il tempo, e noi ci siamo sentiti grandi fin dal primo sguardo. Ricordo quel giorno perché è stato speciale come ogni secondo che ci è stato concesso, quello che l'ha reso unico a modo suo è stato incontrare la nostra Cometa. Sembrava un giorno meraviglioso come ogni altro, perché eravamo al parco, fra l'erba a goderci una serata che può essere descritta solo con la sospensione dell'aria, quella leggerezza dei rumori troppo lontani che galleggiavano fra noi insieme ai nostri sguardi. Fox, tu eri steso e guardavi Vincent con quel sorriso votato così in avanti, mentre tenevo la testa sulle tue gambe lo facevo anche io. Con i piedi che scivolavano oltre il suo corpo perché volevo sentirvi vicini, entrambi, mentre scivolavamo via fra i fumi colorati che abbiamo strappato con le labbra all'erba di Guth. È allora che è arrivata la Cometa. Lei che naviga nell'universo come una luce troppo veloce, non poteva essere altrimenti se poteva parlare con te, Fox. Si avvicina ai pianeti, li scuote, li affascina, li guida. Proprio come ha guidato noi, tessendo un filo di destino che ci ha preso dalla strada e messo insieme. Era la voce del fato e del tempo, e come ogni profeta non sapeva quale grandiosità aveva reso possibile. Eppure proprio come le comete, a volte fa paura, quando si avvicina troppo e hai paura possa travolgere tutto. Allora, quella paura era in me sottile, si muoveva inconsapevole, solo ogni tanto si agitava come una voce più energica a parlare con me di lei. Allora, quella paura non poteva frenarmi dal volerla conoscere con tutte le mie forze. Vincent, ricordi come ti ho preso la mano? Non avrei potuto farlo senza di te, senza lasciar scivolare le dita perché si intrecciassero alla tua mano, così da alzarmi e permettere anche a te di alzarti, di portarti con me da lui che era tanto felice. Themi. Lei era Themi, la Cometa. No, senza di te, Vincent, non avrei potuto avvicinarmi così tranquilla, per vedere colei che ci ha fatto incontrare tutti. «Themi». Ricordo ancora che paura mi faceva pronunciare il suo nome, lei che era così grande fra le parole di Fox e che aveva creato con lui qualcosa di così straordinario. Avevo quel brivido che si ha mentre si fa un esperimento, in attesa di un risultato che possa straziare l'anima. Ma non era abbastanza per non allargare le braccia, perché volevo toccarla e scoprire come fosse la sua essenza in un mondo fatto di carne, e di sangue, e di respiri della consistenza del burro fuso. Così l'ho toccata per un solo momento, perché di più non ne avevo diritto, e già un secondo riecheggia nel tempo come quelle voci che non ci abbandonano mai, un secondo per passarle un braccio intorno le spalle e poggiare le labbra sulla sua guancia per un bacio così superficiale e veloce, perché a me bastava solo per sentirla insieme a noi. Già mi fidavo di qualcuno che per te, Fox, era come una stella luminosa. «Dovrei ringraziarti. Forse non lo sai ancora, ma è grazie a te che ci siamo conosciuti».
     
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    a vita è tranquilla. Nell'aria c'è l'odore di erba fresca, quello del freddo pungente che arriva portando quell'esalazione che punge nelle narici e anche se ormai mi sono quasi abituato, la sento comunque premere così nuova da non potersi stancare mai. È diverso anche l'ossigeno, non ha la nota metallica che nel vuoto di un universo in ebollizione si stringe nella pressione di una nave. Casa mi manca, casa intesa come un posto in cui sono cresciuto, un posto che è così lontano, nello spazio e nel tempo, eppure così vicino, a portata di dita, ma irraggiungibile. Penso che conserverò questo ricordo come tutti gli altri, diari di immagini che servono a ricordare a me stesso, a chiunque sia in ascolto in questo flusso, che la vita non può davvero essere predetta, neanche potendo attraversare il tempo come schegge impazzite. Ad occhi socchiusi penso ad una vita divisa in tre, penso al quarto che è ancora qui, anche se non lo è, perché compresso sul mio volto e fra i miei ricordi, quelli che si sfilano fra mio e suo e perdono i loro limiti, perché ormai così radicati nei miei da appartenermi. Eppure no. È un concetto così complesso e semplice da essere impossibile da snodare, così se ne rimane un po' così, appeso, fra le mani di Charlie e gli occhi di Fox che ogni tanto guardano me e vedono altro, qualcosa di simile, ma che si è perso lontano e non possono più raggiungere davvero, non come prima. Penso anche che mi piace così, che va bene, che non devono dimenticare, perché non sarebbe giusto, perché io sono io, lui era lui, e anche se abbiamo quest'anima in comune, anche se abbiamo un corpo e un volto uguali, siamo due cose che hanno avuto vite e momenti diversi, e non potrei mai sostituirlo e non vorrei. Penso di voler ricordare per sempre esattamente questo momento, il bruciore del fumo in gola quando inalo e gratta, il vento leggero che scivola sulla pelle, il calore che emanano e la sensazione di saperli semplicemente lì, raccolti, vicini. Ho ancora gli occhi chiusi quando sento Fox muoversi, ma anche se non lo vedo è come se lo sentissi che c'è qualcosa di diverso. Mi dico di voler restare ancora un secondo così, uno solo, prima di aprirli e girarmi ed è allora che la vedo. Per qualche secondo c'è solo quel cappotto rosso che proprio non dovrebbe indossare, ma che alla fine tiene sempre addosso e non mi impongo mai più di tanto perché lo so che per lui è importante. C'è solo quello, per un secondo, come una pennellata su una tela già piena di colori, ma poi la vedo spuntare e mi immobilizzo. Anche se non sono stato io, in un certo senso lo ero, perché quel tempo che si era riavvolto ed era stato cancellato da una manata mi era stato regalato sempre da me, così che potessi stringerlo anche se non lo avrei avuto mai. Un tempo rubato, una parentesi che si estende e si stacca, ma resta così immobile in ogni istante di respiro da sembrare ancora qui. Non mi piace quella donna. Non mi piace che sia qui anche lei, in un momento che non le appartiene davvero, in un tempo troppo lontano. La trovo pericolosa, con una determinazione che accostata all'idea sbagliata si è già dimostrata in grado di fare grandi errori. A guardarla non sembrano essere passati tanti anni, per lei, non quelli che sarebbero dovuti passare per me. Non mi muovo, resto irrigidito come un pezzo di metallo lasciato ai bordi della strada dopo un incidente. Sento ogni parola che potrebbe essere detta raggrumarsi nell'aria, ma per un secondo tutto si scioglie nella presa di Charlie. Charlie che si alza e mi porta con lei, perché lo sa sempre, in fondo, che non mi so muovere come loro, che ho sempre bisogno che qualcuno mi prenda e mi dia un momento, uno in cui farmi prendere contatto con qualcosa. Sono stato il più lento sempre, anche quando sono arrivati e mi hanno preso, quando mi hanno parlato di qualcosa che doveva essere mio, eppure no, perché appartenente ad un'altra versione di me. Eppure, sì. L'anima è la stessa, così ho strappato tutto quello che conoscevo e ho abbracciato tutto il resto, enorme, su cui mi hanno fatto affacciare. Ma ora è diverso. Sento il contatto fra lei e Fox, sento quello di Charlie che preme e si espande, come sempre già protratta e votata all'abbracciare non la carne, ma l'essenza che lei può vedere come se fosse un dono speciale che risiede nei suoi occhi. Penso che sia sbagliato, penso che sia bellissimo vedere Fox felice, così' genuino nelle sue espressioni da non poter mai nascondere nulla. Penso che sia bellissimo vederli così, penso che non vada bene. La guardo anche io, ma sento che il volto è immobile, ancora, duro come se fosse un'unica lastra di metallo con qualche forma abbozzata sopra. So cosa direbbero loro due se sapessero cos'ha fatto, so cosa penserebbero e cosa penso io, in controparte, perché ancora ancorato a concetti che stringo al petto e fra le mani così forte da non sapere come aprire le mani e lasciarli andare. Ci sono cose che Fox e Charlie non devono sapere, anche se non mi piace avere questi segreti, non mi piace avere mille silenzi che porto con me e fra me e me, nei miei ricordi e i suoi, senza poterli lasciare mai. So che lei, Themi, è un pericolo anche per questo.
     
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    Il tempo non era rigido, lo aveva detto una volta qualcuno, qualcuno di importante. Tra tutte le cose del creato, nessuna possedeva quella proprietà, la rigidità, nonostante fosse facile, ovvio per meglio dire, cadere nel tranello delle apparenze; nessuna struttura, non un palazzo impenetrabile, non i titanici pianeti né il pensiero più testardo in fondo la possedevano. Ogni cosa dentro era movimento vivo, vibrava impercettibilmente ma con ispirata costanza poiché ne valeva della sua stessa esistenza: ciò che era immobile, semplicemente era impossibile. Un elastico tra le mani di un bambino. Ecco quale aspetto assumeva il tempo nella dimensione della mente. L'elastico si tendeva, si allungava stirato da una forza esasperante e sino all'ultimissimo istante non si poteva avere la certezza che sarebbe tornato ad allentarsi, le sue porzioni a sfiorarsi, finché poi non accadeva, di colpo si riduceva e ammorbidiva e raccoglieva su se stesso in un unico punto, si concentrava in quell'unico momento sbaragliante, minuscolo ed enorme insieme, e gli uomini con gli animi più ardenti e pieni di solitudine e gli occhi rivolti al cielo chiamavano quei momenti miracoli, o destino, quando non c'era davvero bisogno di usare parole sontuose come quelle perché l'accadere, in ciascuna sua forma, in ciascun suo tempo, anche in quelli mai nemmeno sospettati era un miracolo incessante, il fiorire e il morire continuo di infiniti destini onnipresenti.
    Era scesa su Sidos qualche mese prima, un pianeta non particolarmente distante dal sistema solare dove il cielo anche era azzurro e la terra era un bellissimo quadro cosparso di paludi e di sporadiche formazioni rocciose come immensi edifici stoici sopra cui svettavano alberi-fungo e si posavano stormi di uccelli bianchi. Là su Sidos, lontano, aveva scorto una silhouette rossa che scivolava e saltava silenziosa fra le pozze brillanti nel tramonto, e aveva sentito gli occhi aprirsi un po' di più e il respiro nel petto fermarsi in un'attesa immersa nel dubbio del miraggio e nella paura mista a speranza della possibilità che si addensava sotto il suo sguardo. Aveva creduto che fosse Fox, e restando a osservarlo da lontano gli aveva domandato col pensiero, sull'onda di una malinconia inespressa ma vivida come quella luce infiammata sulla curva mesta dell'orizzonte: Fox, ho fatto cose terribili. Guardami e dimmi, ti piace ancora ciò che vedi? Ma non era lui; era solo un cacciatore. Dopo non si era spiegata come avesse potuto prendere quell'abbaglio, confondere un cacciatore con un cercatore… un errore da principianti.
    E ora era fra le sue braccia in mezzo a un parco, ed erano proprio le sue braccia, e quel mantello rosso era proprio il suo mantello, e il sorriso che gli aveva piegato la voce in un arabesco di gioia era proprio il sorriso che ricordava indissolubilmente legato alle sue labbra. Era passato troppo tempo, e non ne era passato affatto. Nella loro amicizia non c’era mai stato bisogno di promesse ma avevano sempre avuto fiducia l'uno nell'altra e questa forse, dopotutto, era la promessa più grande che due persone potessero farsi. Uno stupore inquieto, come una strana trepidazione l'invase.
    "Ce l'hai fatta a trovarmi. No, aspetta... io ho trovato te."
    Una donna dai capelli luminosi le si avvicinò e le baciò una guancia, poi incrociò i suoi occhi per la prima volta, e un secondo più tardi incrociò quelli dell'uomo al suo fianco, ignorando che fosse anche quello un primo incontro. Si ricordava di lui, certo, se ne era dimenticata a lungo, ma ad avere davanti il suo viso non avrebbe potuto guardarlo senza che non le suscitasse nulla, e questo perché c'erano pure tracce di lui nell'orma profonda che il giorno in cui si erano conosciuti le aveva stampato dentro. Passò su di lui uno sguardo acuto, pressoché irrilevante nel suo veloce spostarsi altrove, e precisamente sulla donna che fu indecisa se giudicare audace, visto quello slancio di morbido affetto che aveva voluto assecondare, o considerare un'amica, perché no, Themi non la conosceva, ma quella donna conosceva lei, abbastanza da ringraziarla, perciò le molte direzioni intraprendibili sembravano tutte condurre alla stessa conclusione. Un'amica, dunque, e audace, di quell'audacia inestinguibile di cui solo le cose candide sanno rivestirsi.
    Un po' spaesata sfoderò il suo sorriso migliore. "È fantastico, dico bene?" si girò verso Fox, aggrottò le sopracciglia. "La tua faccia è più larga... ma aspetta, questo significa che hai risolto il piccolo rompicapo che avevo lasciato nella tua macchina del tempo" si interruppe, inclinò il capo, riprese: "Pensavo ti saresti fatto vivo quantomeno per vantartene".
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    Edited by Mythesis - 28/4/2020, 21:19
     
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    Fox Eggerton — The Pirate — Inventor — 36 — VoiceSong Era scritto anche quello nel mutabile fluttuare del tempo. La Scienziata aveva sempre avuto la capacità di navigare sulle stesse forze travolgenti che avevano disegnato una costellazione di tre stelle nello spazio, con il suo usuale impeto nel vivere aveva allungato quell'ultima in una linea immaginaria, tracciando un legame che trovava il suo fondamento nell'intrico del futuro che era il loro passato, e aveva teso la mano verso il Pirata guidandola verso un tocco stupito. Nella nostra ignoranza potremo definire questo unico avvenimento un punto fermo nel tempo che rigira su sé stesso in una ruota di infinità, ma Fox Eggerton non sarebbe d'accordo, una spiegazione troppo semplicistica. Nei suoi pensieri in quel momento si delineava un pattern che diventava immagini come sarebbe successo con naturalezza nella mente di Charlie, si chiese se ne stesse assorbendo le peculiarità com'era accaduto con Vincent e la sua tratteggiata visione della storia. La sua mente si ridisponeva in continuazione, livelli su livelli che si influenzavano a vicenda e così faceva anche il tempo, riordinandosi respiro dopo respiro di ogni singolo essere vivente e non che abitava un universo infinito in continua espansione, come polmoni che si ampliavano per prendere aria e poi la sputavano fuori diversa, cambiata, nuova. Lo fece in quel momento, respirò come nel tentativo di imprimere quel preciso momento dentro di sé, non perché avesse bisogno di appuntarselo addosso, anche quello sarebbe stato riduttivo, ma piuttosto assecondando la voglia di diventare parte di quell'enorme digressione tra un'ora e l'altra, tra un secolo e l'altro, tra un infinito e l'altro. Anche il suo sorriso si estendeva su un retta obliqua che continuava oltre come una serie impossibile, non aveva avuto mai alcun dubbio sul suo legame con Themi, su chi sarebbe stato dei due a trovare l'altro, sul se si sarebbero rivisti perché se doveva accadere si sarebbe scritto come filigrana sulla loro ciclicità « Sei sempre stata tu quella che trova, io quello che si perde » diede voce a quello che era chiaro dentro entrambi come la luce perduta di galassie lontane, quella debole ai bordi degli abissi di uno spazio inesplorato che soltanto coraggiosi avventurieri avevano il privilegio di poter sfiorare. E ora, c'erano anche la Profetessa e lo Storico che allungavano i limiti del loro sguardo per conoscere quel brillio che era stato anche loro soltanto attraverso racconti di cui però la parole non potevano disegnarne la multidimensionalità.
    Charlie era abbagliante quanto un'ipergigante blu, rigogliosa si allargò per fiorire con il suo splendore su Themi, accogliendola in quel mondo che era fatto soltanto di loro e che Vincent sembrava voler chiudere. Non era soltanto restio come accadeva spesso, c'era qualcosa di diverso nel suo sguardo sfuggente e nella sua postura ancora più rigida, Fox lo guardò e gli occhi si dischiusero sul dubbio che voleva comunicargli senza la necessità di farlo diventare onde sonore capaci di far vibrare il ghiaccio. Nonostante l'indefinibile che avrebbe smosso delusione nel suo cuore, il Pirata ancora non sarebbe potuto avvicinarsi neanche lontanamente alla risoluzione di quell'enigma divergente, ma se Charlie era una stella iperluminosa in quell'istante, Vincent era un quasar accecante. Corpi celesti estremamente distanti di cui però il bagliore era visibile poiché estremamente influente sull'assenza dell'universo. Amaramente Fox Eggerton descrisse in un impulso visivo e associativo l'intera esistenza di Vincent Kovách. È l'attrito tra l'infinitesimalità di gas e polveri a generare la luce di cui il quasar si serve per esistere attraverso il cosmo, formando un disco di accrescimento intorno ad un buco nero, in una sequenza infinita senza principio né fine di vita, morte e rinascita. Themi sorrideva e lui con lei, scostando appena l'asprezza di quella metafora, rise invece, perché era quello l'effetto che gli faceva il sorriso della Scienziata – anche quando sua madre era morta, la presenza di l'aveva spinto nelle braccia della sua più grande invenzione e affisso per le strade di Alnodisla, ricercato viaggiatore temporale. L'aveva fatto sorridere anche quello, invece, all'alba di quel nuovo incontro subentrò stupore e preoccupazione. Si circondò il volto con le mani, stava per domandarle con una punta di sorpresa se fosse ingrassato ma lei continuò a parlare e il punto focale diventò un altro. Aveva lavorato per anni a quell'errore di programmazione che inficiava il calcolo del tempo di arrivo, senza riuscire a capire che cosa stesse sbagliando, era tutto chiaro improvvisamente, non c'era niente di sbagliato ma soltanto un altro percorso attraverso il quale passare per arrivare alla soluzione e lui l'aveva ignorato. Iniziò ripetendo la stessa esclamazione, prendendole le mani per stringerle e stringerle forte « Sei sempre stata tu, mi hai seguito ovunque per tutto questo tempo e io non ho guardato abbastanza bene da notarti la dove era ovvio che ci fossi » forse Fox Eggerton non aveva voluto guardare, aveva preferito tenere con sé quella parte di lei sottoforma di 0 e 1 nella loro versione più elementare, facendoli mutare in una scusa per tenere con sé anche Vincent e trovare Charlie insieme a lui. Era stata lei la madre di tutto. Charlie aveva ragione ancor prima di averla per davvero e completamente. La guardò con le iridi chiare che fremevano come se tremassero leggermente, esplodevano dalla voglia di fare, dire, sapere, conoscere, sperimentare, esprimere quanto amore stesse vivendo dentro di lui in miliardi di piccole esplosioni perpetue. « Quanti anni sono passati per te dall'ultima volta che ci siamo visti? Voglio sapere ogni cosa e sicuramente vogliono sapere tutto anche Charlie e Vincent » il Pirata era all'oscuro, ancora, di quali segreti tenessero nascosti senza malignità i due protagonisti di quella storia a sé stante di cui lui ignorava anche soltanto l'esistenza, non immaginava che in realtà, quel tutto che lui voleva conoscere non avrebbe potuto averlo nella sua completezza. Non subito, non in quell'attimo.
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    Eravamo un quadro perfetto e mai invecchiato, screziato solo dalle crepe del tempo ad indicare come esista a priori in ogni cosa, in ogni dove. Non esistono mondi piccoli e mondi grandi, il tempo è tutto quel che ci circonda e ci abbraccia facendoci galleggiare nelle sue braccia distese verso l'infinito. Nessuno di noi si perderà mai davvero, perché abbiamo trasceso la morte, abbiamo chiesto con la voce di preghiera al tempo di darci un po' di più, ed è arrivato. L'ho pensato guardando quel te bambino, Fox, quando ai suoi occhi ho detto che ci saremmo rivisti perché il tempo è come una foresta infinita, come le foreste di Fho che parlano perché gli alberi intessono le loro radici per farle divenire bocche e scuotono le foglie perché le parole abbiano un corpo. Così le anime si toccano e imprimono le loro tracce sulle altre, chiedendo al tempo solo di portare il loro messaggio. Come possiamo non avere fede quando abbiamo te, Vincent? Quando tu sei stato il miracolo di un tempo lontanissimo e sei riuscito a trovarci in un mare di bruma che diveniva solo il contorno necessario perché crescessero le nostre vite, quando neanche la morte è stata per te una fine, perché nulla avrebbe potuto strapparci la possibilità di sfiorarci ancora. Il tempo è il più meraviglioso atollo di forze d'attrazione, misteriose e inconoscibili, che vanno toccate, vanno sperimentate lasciandosene attraversare e guidare perché ci portino ancora l'un l'altro sulla stessa carena a immergerci nell'oceano sconfinato. Così sarà anche per la nostra Cometa, indiretta e lontana ha costellato i nostri cieli con la sua scia disegnando un sentiero nel futuro, ed è seguendola con occhi carichi di fede che siamo arrivati qui, insieme. E come tutte le comete, anche Lei credeva di essere solo ghiaccio, roccia e metalli, come la vita dovrebbe essere solo carbonio, ma le civiltà di ogni dove le hanno guardate e ne hanno visto il significato della luce come di ogni cosa che brilla. Civiltà che le hanno venerate e incarnate in simulacri di scoperta, perché le Comete sono custodi dei semi della vita, delle ammine precursori del DNA stesso. Anche allora quando i segreti germogliavano nei nostri animi senza dire quanto fosse vero, come la profezia di una vita spenta in grembo e l'accettazione di un tempo bloccato, come l'errore sia la causa del mondo perché è il linguaggio del tempo che parla per coincidenze, come tutto ciò fosse solo conferma dell'intuizione delle nostre anime convergenti in un unico punto che risentivano solo delle bugie di un tempo che sapeva come non fossimo pronti ancora, ma non osava privarci della nostra verità universale. E noi, Vincent, dovevamo solo attendere che le nostre stelle si incontrassero ancora e ancora, in ogni millisecondo di conoscenza che era sempre un incontro nuovo, per questo intrecciavamo mani, le mie dita fra le tue che si attorcigliavano dal braccio come un filamento di DNA, un sorriso perché hanno bisogno di bagnarsi nel tempo loro due, il nostro tempo per capire arriverà dopo. «Sì, vogliamo sapere». E il mio sussurro era per te, Vince, per te che guardavo con gli occhi che brillavano come in ogni istante in cui eravamo noi, era per te per esternare a voce quello che sapevo sarebbe stato il tuo pensiero trascendente, non limitato alla pratica di una conversazione passeggera, ma a ciò che significava per Fox rivederla e riconoscerla, e nessuno di noi lo avrebbe mai vincolato.
     
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    goodbye

    È
    la complessità di momenti come questo che prendono il carico di pesantezze imposte per anni e le modellano solo appena, un po’, rimettendole nel quadro di una direzione che sfoca da concezioni dure come il metallo che ha riempito la mia esistenza per anni. Non c’era erba sulla flotta, nessun cielo aperto nell’azzurro, nessuna foglia o rivolo d’aria fresca se non passi echeggianti su ferro solido e il rumore di un universo in movimento a carezzare le finestre fra occhi pieni di stelle. Ci sono molte cose insieme a me, ci sono ricordi che sono di una vita che va in parallelo con la mia e s’incontra in un punto solo prima di appropriarsene e renderla propria nel confondersi di volti che sono lo stesso e non lo sono. Ricordo ancora la prima volta che li ho visti, Fox e Charlie, ricordo la speranza che è divampata dentro di loro, quella che non sapevo capire, che non avevo mai capito, ma poi all’improvviso sì come se fosse un filo conduttore che mi trascinava verso qualcosa che avevo la sensazione di conoscere anche se non lo avevo mai visto. Mi avete insegnato tutto, voi due, molto più di quello che avrei pensato di poter mai sapere. Adesso so che ci sono regole che possono essere slabbrate, so che esistono confini che si estendono oltre le linee tracciate a terra e che possono allargarsi in infiniti che sono la stretta di mani giunte in un continuum che è una matassa troppo complessa per poter essere contratta fra le inflazioni di leggi decise da un pugno di uomini. Ci sono infinite scelte e decisioni, ci sono mille fattori che s’intersecano fra di loro ed è questo quello che so nel mio essere il più inesperto, anche con tutti questi dati che trattengo in un pezzo della mente che è una meccanica rigida di ingranaggi che corrono e si inseguono. Siamo sempre stati così, noi due, io e l’altro, l’altro che sono io e tu. Ho promesso un silenzio che non è il mio e lo terrò per me, per noi, perché ci sono cose che non so lasciar andare e non le lascerò mai, sono cose che fanno di me quello che sono, e anche questo me lo hanno insegnato loro. Levigare le forme, scavare per vedere cosa c’è sotto, oltre obblighi che sono imposizione, leggi che sono segmenti in cui costringersi, ma anche quelle che sento davvero e sono per me una certezza e un bisogno, altrimenti sarei solo un’asteroide sperduto senza nessuna gravità a tenerlo su una rotta o l’altra, smarrito nel buio infinito di un universo gelido. So cosa vuol dire sacrificio perché questo me lo sono insegnato da solo. L’ho fatto in anni ed anni di solitudine arrancata fra tempi diversi, muoversi di persone che non sono mai riuscito a cogliere come posso fare adesso, come anime che si muovono e sono vita, perché è stato sempre facile vederli come quadri in cui affondare nella prescrizione stabilita di tutto. L’ha fatto lui, il primo di noi ad inforcare una strada diversa per insegnarla a me e a tutti gli altri me che ancora esistono fra dimensioni che si sfiorano sempre nella connessione perpetua di anime legate. Guardo Charlie per un secondo, guardo il suo volto che è il raggio di un sole che dà vita ad un pianeta che dipende da quel calore e quella luminosità, e guardo Fox che è il rigoglioso spuntare d’erba su una terra per cedere vita e linfa a chi lo abita. Annuisco piano in un mormorio che è un soffio che non è un compromesso, perché non si tratta mai di questo. Non mi è mai stato chiesto di cedere qualcosa di mio per altro, ma di trovare la strada che fosse la mia e la nostra nel concatenarsi di strette che sono andate oltre ogni concezione e consapevolezza. Themi è la nemesi di un momento che mi appartiene a metà, è la mano di un delitto che condividiamo su fronti diversi, opposti come forze magnetiche che si respingono, ma è anche lei a far sorridere Fox, a trascinarlo nell’ebrezza di secondi che sono il ritrovamento di un tesoro importante e prezioso e scintilla nel suo sguardo e fra le pieghe del suo volto. Themi è tutto questo ed è molto altro e nel silenzio trasceso di un annuire leggero lascio andare quella che è l’accettazione incompleta, intricata ancora in un rifiuto, senza che possa esserci l’uno senza l’altra.
     
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    Fox non sapeva quali mani stava stringendo. Non sapeva dell'oceano di sangue in cui quelle mani si erano immerse, del sacrificio che non avevano semplicemente accettato nella iniqua accondiscendenza dell'omertà, ma direttamente operato afferrando la reliquia custodita dal fondo dell'oceano di sangue, affiorandone pulite. Themi non aveva mai avuto un posto che chiamasse suo, ma dopo tutto ciò che era successo il carattere dei suoi salti era mutato tanto da non essere più definibile come nomade: era un'esiliata. Da quanto ne sapesse, la vertenza su di lei non si era risolta in decreto, ufficialmente l'unico discriminante connesso al suo nome, l'unica onta che si gonfiava alle sue spalle come un enorme mantello inscindibile da lei e dalla sventura, era un epiteto, Truffatrice.
    Fox stringeva le mani di una truffatrice, le mani di Themi ora nelle sue erano carte da gioco, la loro natura doppia definita e separata dalla forma, e se le avesse girate il trucco sarebbe stato svelato. Non esisteva doppiezza più elegante di quella delle carte, era certa che Fox lo avrebbe capito, erano entrambi giocatori bramosi, che prima della vittoria bramavano la conoscenza del numero più alto di mosse e dei sentieri mentali su cui queste si erano costruite astuzia dopo astuzia.
    Avrebbe capito, ma non voleva che capisse e vedere il buio sopraffare lo sfolgorio dei suoi occhi, non in quel momento, e non perché non fosse pronta a farci i conti, la sua schiena si era piegata appena, solo una volta, quel giorno in cui si era chinata sulla reliquia per assaporare una risposta e si era risollevata portando un carico di anime. Quel carico dannato le sue ossa avevano imparato presto a portarlo con disinvoltura e ai suoi occhi non era consentito nel ricordo più di uno spasmo luccicante d'ombra che ancora tentava di cancellare completamente. Lo avrebbero sopportato, lui e lei, che avevano tenuto nei palmi e avvicinato ai loro volti le funzioni di albe come di tramonti. Ma Themi percepiva il brusio indefesso del tempo allo stesso modo in cui ascoltava il frusciare dell'erba nel prato in cui si trovavano e dove il tempo s'intingeva nella calma e nella dolcezza come i fili d'erba e i sorrisi che si allungavano avanti, in quello scenario che non riusciva a elaborare un ruolo coerente per lei, era una particella impazzita e le forze intorno ronzavano nell'affanno di rinstaurare un sistema armonico.
    Non era tempo. Non avrebbe pronunciato parole impossibili da stringare e alleggerire abbastanza da impedirgli di sfregiare quella pace florida come una pioggia di sassi. Non era tempo per riflettere in quel mondo il bagliore dell'esplosione che era il suo destino e le aveva incatenato per sempre lo sguardo. Le convinzioni le piacevano soltanto nell'istante in cui le pensava e in quell'istante era convinta che fosse giusto non contaminare la luce di quel giorno qualsiasi. Delle convinzioni a venire se ne sarebbe occupata poi; tra queste sentiva o sperava, ci fosse quella di un altro incontro.
    Sfilò le mani, un gesto asciutto, mentre le labbra si piegavano in un sorriso esemplificativo delle sue due facce, la linea della serenità spezzata da quella dell'amarezza, l'allegria ambigua di un saluto collettivo in un'occhiata fugace. "C'è qualcosa che sto cercando, sarebbe bello, ma non posso fermarmi a chiacchierare. So quel che pensi, Fox, ma non accetterò il tuo aiuto. Nessun dilemma. Fidati dei miei calcoli, che senza dubbio sono più attendibili di quanto saranno mai i tuoi. Prima o poi ti dirò tutto, o qualcun altro lo farà. È stato un piacere, un vero piacere. Sayonara."
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    Edited by Mythesis - 28/4/2020, 22:01
     
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