My name is Alan

GabrielAlan/Amira | 19 agosto 2020

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    alan denvey
    I primi tempi passati nell'EDiT aveva evitato di prendere casi difficili, che richiedessero coperture più lunghe, come invece Yana lo aveva incentivato a fare dato che aveva già esperienza sul campo, soprattutto sotto il suo comando. Era uno degli uomini di fiducia, sarebbe stato certamente utile che facesse quindi della sua esperienza buon uso, ma sapere di aver scombinato così tanto il tempo, di essere stato fra gli artefici di quella rovina e del futuro, probabile, collasso del tempo, gli aveva dato ben più di quella cautela che sarebbe stata necessaria, e che non aveva mai avuto. Quel caso sarebbe stato forse il più lungo della sua carriera fino a quel momento, per il solo fatto che non doveva arrestare un criminale già colpevole, ma prima di tutto identificare il movente di un crimine futuro che per altro aveva diversi punti bui. Avrebbe dovuto trovare Qohen, prima, e stava portando avanti il lavoro meticolosamente con Layla Burton, proprio perché conosceva l'IA, e non avrebbe lasciato nulla al caso. Si sentiva tranquillo in quel momento, perché sapeva, anche se stava cominciando a stringere qualche legame, che non c'era alcun reale pericolo. Rexana Bishop gli aveva alla fine spiegato perché volesse presentargli sua sorella, e aveva giudicato che la cosa non doveva avere troppi rischi.
    Forse era una sensazione, un'illusione dell'istinto, ma gli era parso che il suo intento fosse molto meno preciso di quanto si potesse pensare. Forse si sbagliava, ma era convinto che volesse sinceramente che facessero solo l'uno la conoscenza dell'altra, trovando evidentemente nelle tracce che aveva fatto trapelare di sé, qualcosa che sarebbe potuto essere un bene per sua sorella e viceversa. Aveva fatto analizzare anche ad Awa le varie possibilità, per non rischiare di incorrere in quello che sarebbe stato un errore forse umano, forse spinto dal fatto che una vita così solitaria lasciava dei segni, alla lunga poteva deteriorare. Non per nulla gli agenti dell'EDiT erano diventati via via meno umani, non per una loro maggiore efficienza in cui Yana non credeva così ciecamente, ma perché c'era una lunga serie di problemi secondari dati da quella vita che non permetteva loro di farlo a lungo. Lui aveva resistito più di altri, fino a quel momento in effetti non aveva mostrato alcun segno di cedimento, neanche un principio. Quindi sì, la percentuale di rischio era piuttosto bassa, persino nel caso in cui fosse già troppo coinvolto visto che si trattava della sorella della barista del suo locale preferito, uno che frequentava relativamente spesso per il pranzo, così da non stare sempre solo a bere il suo Syntex, qualche volta anche la sera per un drink, se Layla Burton si attardava alla Piramide o per altre ragioni non andava pedinata.
    Dire che non era il tipo da appuntamento al buio sarebbe stato un eufemismo. In effetti, il problema era che non aveva avuto molti appuntamenti con esseri umani, su quelli al buio aveva forse più esperienza se si contavano le volte in cui aveva dovuto incontrare un qualche informatore o agente sconosciuto. Un rapido studio dei posti che potevano adattarsi alla situazione lo aveva fatto protendere per Central Park, forse scontato, ma sicuramente il tipo di luogo che secondo lui si adattava alla situazione. Sarebbe stato semplice chiacchierare, potevano camminare su un itinerario già stabilito che partiva dalla statua di Alice nel Paese delle Meraviglie dove le aveva dato appuntamento, si dilungava per tutta la Literary Walk - un sentiero particolarmente apprezzato da appassionati di letteratura, e seppure non era il suo caso, le foto mostravano un paesaggio sicuramente accattivante - e culminava sulle riva interna di uno dei laghi presenti nell'intero parco. Gli alberi avrebbero anche fornito un clima più fresco, come pure l'orario pomeridiano. Non era affatto nervoso, in fondo aveva già avuto conversazioni con persone del tempo, e lavorare a stretto contatto con Layla era stato un buon allenamento, sapeva quindi di non rischiare particolari bizzarrie. Attendeva infatti immobile a poca distanza dalla statua, l'aveva osservata per qualche minuto, ma poi si era sostanzialmente fissato su un punto indefinito per evitare gli sguardi sospettosi che probabilmente si chiedevano se guardasse la statua o i ragazzini che ci giocavano sopra, finché non aveva intravisto qualcuno avvicinarsi al luogo dell'appuntamento. Una donna, da sola, alla ricerca di qualcuno che non era fra i bambini, quindi improbabile si trattasse della madre di uno di loro di nuovo, e che per altro assomigliava più della donna precedente alla foto che Rexana gli aveva mostrato.
    «Tu devi essere Amira. Alan» la avvicinò, presentandosi, e lasciando che sulle labbra si allargasse un ampio sorriso. Aveva una bellezza imperfetta, diversa da quella delle persone del futuro, spesso con modifiche corporee che avevano fatto perdere di vista quel frammento di umanità che ricordava, una perfezione che si era persa ai suoi occhi in una maggiore similarità fra volto e volto. Amira Bishop, invece, era indicibilmente umana, si riconosceva subito, di un tempo diverso. Anche in quel tempo, comunque, considerò che dovesse essere molto bella. «Almeno spero tu lo sia. Saresti la seconda donna che fermo oggi credendo sia te, e questa volta le mie scuse potrebbero suonare più imbarazzate».
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    Non sono del tutto convinta di ciò che sto per fare e forse questo non è altro che un effetto collaterale dato dal non riuscire a prevedere chissà quale futuro intrecciando le mie mani a quelle di Rex. D'altronde, non so nemmeno cos'è che voglio sapere di questa uscita: Forse ho paura che le cose vadano sin da subito bene, che l'Alan in questione, del quale Rex mi ha fatto vedere una foto a tradimento un po' come farebbe qualcuno che vuole denunciare un altro ma non sa bene quanto coraggio ci voglia, risulti più carino di quanto mi è stato descritto e che anche lui, proprio come me, sia così stufo della sua vita da quasi quarat'enne e quasi vergine da accettare quello che sembra a tutti gli effetti un appuntamento al buio. A dirla tutta non so nemmeno io cos'è che mi abbia spinta a mettere piede fuori, so solo che è la prima volta dopo tanto che lo faccio senza pensare necessariamente al lavoro. Ed in effetti fa un po' strano camminare per New York senza sentire il bisogno irrefrenabile di correre o di trovare il primo vicolo appartato affinché nessuno si accorga del teletrasporto. Riesco persino a notare cose che diversamente passerebbero inosservate: Come i padri che si occupano dei loro bambini e gli artisti di strada che sanno raccontare più cose di quanto ci riesca uno scrittore inventandole di sana pianta. Ci sono molte cose delle quali potrei innamorarmi all'istante: Come l'odore del cibo da strada e le urla gioiose di chi non ha fretta e a Central Park riesce a perdercisi totalmente, forse per la piccola statura o perché essendo ancora puri, questi bambini sanno notare dettagli che a noi adulti sfuggirebbero proprio per inerzia. Allora camminando giro gli occhi ovunque loro me lo indichino e sorrido, quando l'oggetto in questione sono io e questi capelli blu scelti esclusivamente da Elsa, nonostante la sfumatura verdognola, divengono la cosa più strana e bella che abbiano visto oggi. Mi piace pensare di essere osservata proprio per questo: Perché ai loro occhi saprei assomigliare ad una fatina e non ad una donna ormai troppo adulta per certe scelte di stile. Ma a me piacciono e sinceramente non ho il coraggio di deludere la mia bellissima nipotina.
    Saluto alcuni di loro scuotendo piano la mano, come se facendolo velocemente rischierei di attirare troppo l'attenzione, poi finalmente inizio a cercarlo. Non so come funzionano queste cose, né cos'è che va detto quando è la prima volta che ci si vede e non c'è stato nessun messaggio prima di questo. So solo che mi sembra di essere tornata ad una di quelle prime volte quando quasi senti di aver il cuore in petto all'idea che presto conoscerai una persona - a detta di Rex, in questo caso - interessante.
    ''Fingerei di esserlo per così risparmiarti la vergogna. '' Io stessa ne ho, terribilmente. ''Credo tu abbia indovinato comunque, a meno che non stia cercando una mia omonima. Ciao Alan, chiamami Amy.'' Il sorriso è timido, quasi tremante, eppure non riesco a privarglielo, non ho alcun motivo per farlo nonostante per anni abbia ritenuto stupidi incontri del genere. Gli porgo la mano guantata per abitudine, ormai senza interessarmi più a ciò che gli altri potrebbero pensare di questa mia scelta di stile anche in piena estate. ''Non ti ho fatto aspettare tanto, vero?''
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    Si ricordava il motivo che l'aveva spinto al Jack Doyle's, prettamente utilitaristico all'inizio. Il fatto è che si trovava vicino alla Piramide, da lì poteva arrivarci facilmente a piedi, cosa rara in una città come quella, per giunta era frequentato da soli maghi, e aveva scoperto che in quell'ambiente nascondeva meglio certe eventuali stranezze. Per di più, per quanto vicino alla Piramide, non era il più vicino, anzi, distava abbastanza da rendere improbabile incontrare lì qualche impiegato del M.A.C.U.S.A. che potesse poi pensare, anche solo scherzando, che quel tale "signor Denvey" con il padre strambo e inventore che era stato un così bel caso per la signorina Burton la stesse pedinando. In una città tanto grande sarebbe stato difficile spiegare la casualità di essere sempre nei suoi pressi, in effetti.
    Al vedere la barista del locale, poi, aveva avuto una bella sensazione. Sembrava l'anello di congiunzione che gli serviva fra un tempo passato quanto quello in cui era nato, e uno futuro in cui era vissuto. Per quanto gli avesse detto di volere che conoscesse sua sorella non si era mai interrogato sulla sua famiglia finché Morgan non l'aveva tirata in ballo. In quel momento, guardando quella donna così ingenuamente bella, pensò che probabilmente un generico "qualcosa" dovessero averlo proprio in famiglia, e anche se con la barista era stata una sensazione più fugace e superficiale, in quel caso la vedeva con maggior nitidezza. Amira Bishop, Amy, gli sembrava galleggiasse in quel parco, nota stonata e insieme così naturale. Doveva ammettere che come persona che aveva studiato approfonditamente quel tempo per potersi celare in esso, avrebbe difficoltà a sapere come comportarsi con lei. Già solo in un'immagine era evidente come non ci fosse alcun manuale da seguire, e lui, abituato ad essere sempre il pesce fuor d'acqua, buttò via quelle informazioni senza troppi rimpianti. Si sarebbe fatto guidare dall'istinto, dall'abitudine all'adattamento che aveva ampiamente dimostrato in tutta la sua vita. L'istinto, quindi, non gli fece ammorbidire il sorriso, ancora sollevato a partire dagli angoli della bocca. Si prese un momento in quel modo prima di rispondere, un momento in cui sembrava stesse soppesando un gran problema fisico, e insieme ammirando qualcosa di cui non si potevano stabilire leggi di funzionamento, troppo all'avanguardia per l'avanzamento delle proprie conoscenze. Fu poco più di un istante, percettibile perché comunque oltre il tempo concesso per espressioni come quella, ma comunque un istante, seguito da un altro, simile, in cui abbassò il capo per alzarlo di nuovo. «Ho aspettato il giusto» rispose, facendo un cenno del capo verso il vialone scelto per l'incontro per completare la frase seguente. «Vogliamo camminare?».
    Aveva preso in considerazione l'impossibilità di seguire quel fantomatico manuale. In fondo, era in una zona grigia, in quelle gli agenti umani davano il meglio perché tolleravano in modo più calzante l'ambiguità. Lui, in particolare, sembrava nato per essere repellente a estremi che avrebbero potuto renderlo inadatto in un momento o in un altro. Se quell'uscita fosse stata parte delle sue indagini, Awa avrebbe preparato a puntino la storia da raccontare, organizzato i collegamenti rapidi perché fossero subito accessibili pagine di fonti, mappe, riferimenti. Avrebbe saputo alla perfezione cosa fare. Lo divertì, quindi, ammettere che in quell'occasione era esattamente il contrario. «Avrei rifiutato anche solo per non trovarmi in questa situazione» cominciò, dichiarando quella che in fondo era una totale verità: era stato tentato, aveva soppesato pro e contro fino a trovarsi ad uno stallo in cui aveva deciso di prendere solo le cose così come venivano, perché avrebbe trovato un egual numero di argomentazioni per pendere sia da un lato che dall'altro. Su due piedi rivelò però anche qualcosa che se pure Awa l'aveva coerentemente inserita nella sua storia di copertura, avrebbe rivelato in ogni caso, assecondando quella parte di sé che era stata il fulcro della sua sopravvivenza in molte epoche. «Non esco molto. Soprattutto non in compagnia. Tua sorella deve aver fiutato la mancanza e deciso di dover fare qualcosa». La mancanza che per molti sarebbe stata una sorta di disperazione data dalla solitudine, anche se lui, in realtà, e forse perché accadeva da sempre, ci conviveva benissimo. Non aveva neanche le basi per dire di condurre una vita solitaria, persino se l'assenza di contatti umani avrebbe fatto propendere chiunque per quella strada. La "mancanza", però, la notò in quel momento, in cui se ne sentiva come leggermente alleggerito. E se era vero che si notava qualcosa solo quando smetteva di esserci, probabilmente era vero anche il contrario, e si notava un'assenza solo quando invece qualcosa tornava indietro. «Come funziona, dovrei farti qualche domanda, chiederti qualcosa di personale ma non troppo, come... cosa ti ha portato ad accettare. O ad avere i capelli blu». Se all'inizio camminava e basta, con passo lento, tenendo le braccia dietro la schiena, sul finire di quella frase la guardò, gli sembrava quasi uno scherzo o una battuta, anche se nemmeno lui riusciva a capirne la parte comica, pur se ne intravedeva l'ombra. Forse, la parte comica era che una tale scelta stilistica nel futuro non avrebbe avuto motivo alcuno se non estetica, una moda, lo sfoggiare un'estensione costosa della propria immagine olografica e così sottolineare il proprio status. Oppure, come facevano alcuni bersagli di cui aveva seguito le tracce come cacciatore di taglie, mascherare un pacchetto dati con un codice all'apparenza oneroso in termini di peso e necessità di ampiezza di banda.
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    Ho sin da sempre ritenuto tristi gli incontri di questo tipo, eppure estremamente utili per chi come me non ha un vero e proprio modo per approcciare in contesti del genere.
    Posso parlargli, ovviamente. Stare magari seduti ore ed ore a sproloquiare sull'esistenza stessa dell'universo, eppure sono anni che fatico ad andare oltre.
    Posso spogliarmi se lo vuole, lasciargli intravedere un lembo della spalla o anche lasciargli in dono un bacio quando andrà via, eppure la paura di volergli bene, anche se a malapena conosco il suo nome, resta sempre lì. Suppongo però che una ragazza normale dovrebbe ringraziare sua sorella per questa opportunità.
    Opportunità che saprei crearmi da sola se non fossi volontariamente così chiusa e schiva.
    Quindi sì, grazie Rex, anche se probabilmente non avresti dovuto votarti troppo alla mia causa. Sono sempre stata bene, in fondo, col capo chino sulle scartoffie del lavoro e accoccolata sotto la luce calda ma forse troppo fioca della lampada da scrivania.
    Il fatto che non mi abbia ancora stretto la mano forse è segno che tu sappia scegliere bene gli uomini: Come se ad un tratto avessi più esperienza di tutte le tue sorelle maggiori messe insieme.
    Ma a rifletterci con più lucidità, probabilmente l'età è davvero solo un numero e null'altro.
    Per esempio io vado verso i quarant'anni, eppure mi sento ancora la stessa bambina che trent'anni fa andava a nascondersi sotto un braccio di Sean.
    Le cose, a dir la verità, non sono propriamente cambiate e suppongo che questo sia uno degli innumerevoli motivi che ti ha spinta a mandarmi qui, alla mercé di un uomo affascinante nella delicatezza con cui si pone, ma del quale conosco a malapena le lettere che compongono il suo nome. A - l - a - n.
    Come ''Amy, Lasciati ANdare.''
    ''Menomale, non avrei saputo come scusarmi altrimenti.'' Se c'è una cosa che ho deciso di diventare in questi ultimi anni, è proprio quella persona sincera che della morte di Roman non ne nasconde gli incubi sotto ad un cuscino, ma corre dal proprio fratello a dirgli di svegliarsi. Perché l'amore fa male, specie quando di mezzo c'è l'eroina.
    ''Sì, certo.'' Spero di riuscire a mostrargli che sono davvero entusiasta di ritrovarmi qui, a parcheggiare a Central Park dopo un'eternità passata a debita distanza. Non ho mai avuto davvero il tempo di inoltrarmi lungo le sue stradine, o di sedermi su qualche panchina a fissare il laghetto. Il tempo è sempre molto relativo quando ci si fa vecchi. O quando ci si rende conto di dover morire.
    Riesce persino a strapparmi una risata quel suo modo che ha di fare. Porto una mano alle labbra come per contenerla o quantomeno nasconderla onde evitare di sembrargli una completa disadattata.
    ''Non volermene a male, ma Rex ha occhio per queste cose.'' Non intendo di certo dire che sì, Alan sa dare proprio quell'immagine precisa di persona sola. Dico solo che con me ha sempre colpito il centro. ''Però secondo me è perché ti piace stare anche per conto tuo.'' Non vorrei ritrovarmi ogni volta a cercare delle somiglianze in coloro con cui esco, eppure è più forte di me: Voglio immaginare che tale solitudine sarà così necessaria al punto da trovarci nella stessa stanza, ma su divani diversi e con libri diversi da leggere. Non completamente soli, ma comunque distanti al punto che servirà alzare gli occhi dai libri per ritrovarci.
    ''Na, non funziona così.'' Mi lascio sfuggire con naturalezza mentre lo affianco ulteriormente, svoltando l'angolo con lui. ''Potrei farti un elenco puntato di domande e di altrettante risposte, ma così perderemmo presto il piacere di scambiare anche solo due chiacchiere. Però sì... '' Fingo di star riflettendo su qualcosa. ''Posso dirti che porto i capelli blu perché mia nipote ha deciso che questo, adesso, dev'essere il mio colore preferito.'' Lo guardo, ma solo per un attimo. ''Di dove sei Alan? Il tuo accento non è di New York.''
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    alan denvey
    Nel futuro da cui veniva non sapeva dire se si fosse abituato meno alle persone, perché era un concetto strano. Era facile in un tempo come quello dire che "persona" era fatta di carne, pensieri, desideri, che camminava e aveva un'identità, ma la verità era che dalle sue parti non era più così da molto tempo. C'era un bar, o forse avrebbe dovuto dire che ci sarebbe stato, dove andava spesso per distrarsi. Quello dove anche Qohen era andato a recuperarlo quando aveva pensato che tutto fosse perduto. Era uno dei pochi avventori perché da quando si poteva restare a casa e mandare in giro il proprio ologramma le persone avevano iniziato a farlo, a restare chiusi in appartamenti o nelle celle dell'alveare. Stavano stipati uno sull'altro e quella vicinanza bastava. Si era abituato ai contatti con qualcosa che forse difficilmente in quel tempo sarebbe stato considerato persona, non lo faceva nemmeno lui persino se si teneva quel concetto aperto. In fondo, nemmeno lui l'avrebbero forse considerato in quel modo, con i suoi circuiti e pezzi che ormai l'avevano reso sintetico. In quel bar, parlava con un cyborg che di umano non aveva nulla, eppure era quanto di più vicino ad un'interazione avesse. Quello che mancava se l'era comunque dimenticato, soppiantato invece dall'abitudine. Si era concentrato sul fatto che se parlavano e lo facevano seguendo un qualche inespugnabile pensiero, allora si potevano considerare persone. Anche Awa spesso la riteneva una compagna più di quanto non facesse con altro, e lei non era esattamente come Qohen, che umano lo era in partenza. Si era concentrato sulle interazioni, anche quelle fugaci, e sul fatto che senza Qohen la sua era stata una vita piuttosto silenziosa, e quella mancanza aveva fatto sì che non si accorgesse di un altro importante fatto, ed era che non era solo quella scarsa frequenza di interazioni a rendere scarno il contatto, ma anche la loro qualità. Non la ricordava l'ultima volta in cui qualcuno aveva riso con una simile spontaneità. L'isolamento di solito se non abbrutiva le persone portandole a quella che dalle sue parti era "la sindrome delle zanne" - una sorta di psicosi che portava le persone a regredire a comportamenti quasi animali quando erano di nuovo circondati da persone dopo tanta solitudine - comunque sembrava quasi togliere la capacità di comunicare. Gliene aveva parlato Susan, di come fossero poche le persone che conoscesse in grado di essere così aperte con il prossimo. E per dirlo a lui, all'epoca un bracciante del Kansas abituato a passare anche dieci ore al giorno in totale solitudine, allora le persone dovevano essere piuttosto chiuse dalle sue parti. Su di lui evidentemente la cosa non aveva sortito lo stesso effetto, perché se non altro piccoli sorrisi come quello che aveva sulle labbra riusciva ancora a farli, in quella situazione a dirla tutta, gli venivano piuttosto naturali. «Infatti aveva piuttosto ragione. Passo la maggior parte del mio tempo da solo senza problemi, ma credo tu ci abbia visto giusto: è piacevole anche stare in compagnia, a volte» esclamò, con un sorriso più appuntito, perché quella era stata per lui una battuta che sembrava quasi seguire il gioco disteso da lei, su quell'anche che poneva una notevole differenza fra quei due concetti apparentemente simili che avevano espresso. Nel continuare a camminare, con quella tranquillità ad aleggiare tra loro, sentiva che quella constatazione era piuttosto azzeccata. Stavano passando un tempo decisamente piacevole nonostante non fossero che alle prime battute, addirittura gli venne da ridere scuotendo appena la testa per quell'aneddoto sulla sua nipotina, che dipingeva di lei un'immagine che trovava ancora più intrisa di tanta umanità da fargli sentire quella parziale mancanza nel petto, quell'assenza che tale lo era stata per così tanto tempo che solo nel trovarsi lenita poteva fargli scoprire di quanto in profondità si fosse spinta. «Dovrò proprio buttarlo quell'elenco di domande, perché non mi avrebbero fatto scoprire un dettaglio così interessante» cominciò, inizialmente guardando il percorso che stavano facendo a piedi, sotto una coltre di alberi che in una giornata come quella rendeva le loro facce piene di macchie d'ombra, per spostare poi gli occhi su di lei con un sorriso ormai più leggero, anche se accentuava le rughe sulle tempie. «E quanti anni ha?». Fece un pensiero inerte, quello che appena passò nella mente e gli fece pensare per un momento al fatto che probabilmente lei di figli non ne aveva, e non sapeva se ne volesse. Sembrava essere a suo agio a contatto con i bambini, quasi fosse ancora un po' come loro, e anche quella era una cosa che aveva visto di rado, ma più probabilmente perché le sue conoscenze erano state piuttosto limitate al suo ambiente lavorativo, e lì era piuttosto difficile trovare anche solo qualcuno interessato ad un contatto al di fuori dell'ufficio, figurarsi ad una famiglia. Lui non ne aveva mai sentito la mancanza, ma sapeva che era un qualcosa che gli sarebbe stato precluso in ogni caso, come quasi la totalità di agenti che si trovava a viaggiare di tempo in tempo per risistemare le cose, e quindi si vedeva costretto a non lasciarsi dietro nessuno a cui tornare. Per lui, in fondo, era pure difficile chiamare "casa" quel futuro così lontano, l'ultima che aveva ricordato di avere era la fattoria di quando era ragazzo, che ormai si rendeva conto di non ricordare quasi più. Ma gli era rimasta addosso, come tutta la sua vita precedente, più restia a lasciarlo di quanto accaduto da quel momento in poi. «Kansas. Di Bunker Hill, per la precisione, ma un posto come quello di sicuro non l'hai nemmeno sentito nominare». Era un paesino microscopico, molto simile a quello da dove veniva davvero, e che non era parte della storia elaborata per lui da Awa sull'identità di Alan Denvey che doveva impersonare. Un posto tanto simile che gli permetteva di appoggiarsi a qualcosa di vero di sé, almeno le volte, come quella, in cui aveva quell'impulso a condividersi e parlare in modo più aperto. «Esattamente come potresti immaginare il Kansas. Campi, fattorie, animali. A volte persino qualche persona». Un'altra battuta, si sentiva euforico. «Avevamo una fattoria, quando ero piccolo. Ho sempre pensato che la mia vita sarebbe stata di quel tipo, semplice e impegnata in lavori manuali. L'accento non l'ho voluto perdere». E quella, invece, era la verità, non la copertura di Alan Denvey, perché lui non l'aveva avuta la fattoria.
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    Degli uomini ho compreso i tratti caratteristi del loro modo di approcciarsi al prossimo. Non sono propriamente tutti uguali: Se ascoltati con interesse ognuno di loro è capace di presentarsi portatore di una peculiarità in grado di attrarre la mia attenzione, eppure ogni punto di partenza sa vederli immobili nei loro costrutti sociali. Così gli uomini come le donne: Non si differenziano affatto tra di loro se non per il sesso ed il diverso tessuto culturale di partenza al quale aggrapparsi con cecità quando, oltre ad esso, non esistono appigli visibili attraverso i quali stringersi e scoprire il mondo che in realtà li circonda.
    Compiono tutti i medesimi sbagli all'inizio se non si ha la delicatezza di accompagnarli verso il giusto approccio a cui basarsi affinché incontri come questi possano prendere una piega diversa seppur figli di un obbligo e non della casualità. E forse nemmeno potremmo parlare di questa se ci soffermassimo sul modo in cui, a propria volta, Rex deve averlo conosciuto e così spinto da me.
    ''Sì, non hai tutti i torti in effetti, seppur questo dipenda dal tipo di compagnia che scegliamo.'' Non mentirei mai di proposito solo per dar a tutti voi l'impressione di essere in grado, a quasi quarant'anni, di adattarmi adeguatamente ad ogni situazione posta sotto il mio non controllo. Ci sono scogli che ora, come vent'anni fa non sono in grado di superare senza un adeguato ed anticipato aiuto psicologico ed uno di questi mi vede proprio allungare una mano verso questo non più sconosciuto nella stupida speranza di poter ritrovare in lui la compagnia di cui potrei sinceramente aver bisogno. Non saprei di cosa poter aver bisogno ora se non di una vicinanza della quale avrò sempre paura di scoprire i retroscena.
    ''La solitudine è sicuramente affascinante per la libertà che ci concede.'' Vorrei fossero davvero le mie frasi il motivo per cui vivo da sola con le mie gatte. ''Anche se ci impedisce di condividere le nostre passioni con gli altri.'' Come una frase sottolineata tra le pagine di un libro od un film per il quale piangere e sentirsi vuoti insieme quando finisce e a noi forse non resta altro che la quotidianità dei nostri giorni.
    ''Così mi spingi a chiederti quali altre domande mi avresti posto. Non chiedermi quali sono i miei cibi preferiti od i libri che leggerei senza mai stancarmi di farlo: Preferirei portarti a mangiarli con me, magari in un posto dove posso persino leggerti qualcosa.'' Per quanto poi mi sforzi di mantenere le distanze - e non sempre con scarsissimi risultati - so bene come in un modo o nell'altro, specie se stimolata nel farlo, finisco per scivolare nuovamente tra gli umani come se di loro non fossi già delusa in partenza per ciò che non potranno donarmi e per ciò che non potrò donar io di rimando. ''Meno di cinque anni.'' Sono attenta a dettagli ben più diversi di quelli relativi al tempo, il quale non so scorgere nel suo passaggio lento, catartico, ma comunque riscontrabile facilmente nei volti delle persone. Ma so che non c'è bisogno di essere precisi su questi dettagli, non quando la percentuale che lui possa conoscere Elsa è ancora molto bassa. ''Ma sa il fatto suo in quanto a stile. Fa la stilista anche per sua mamma e devo dire che è davvero brava.'' Non sempre Nova gira con i giusti colori addosso, eppure l'idea che sia Elsa a deciderli per lei me li fa sembrare sempre così perfetti abbinati assieme. ''Io il Kansans me lo immagino come nel Il Mago di Oz.'' Mi dispiace pensare a quanto sia il bello questo modo che Alan ha di farmi rimbalzare da un pensiero all'altro senza minimamente stancarmi. Sta riuscendo a farmi parlare più lui che i miei fratelli e questo, probabilmente dev'essere già un punto a suo favore. Se servisse a qualcosa. ''Se potessi chiedere qualcosa ad Oz cosa chiederesti? Probabilmente io sceglierei il coraggio proprio come il leone, così da poterti chiedere di uscire senza avere Rex come intermediaria. Non è ridicolo che una donna di quasi quarantanni debba avere questi privilegi da adolescente?'' Lo dico con il medesimo tono che sta accompagnando sin dall'inizio questa conversazione. Non ho un vero e proprio motivo per essere triste ora, se non l'idea di poter, appunto, distruggere ogni cosa solamente sfiorandolo. ''Comunque deve essere bello: Vivere in Kansas ed avere una fattoria. Per me che sono nata e cresciuta a Lily Dale, posti come New York non riescono ad attirare davvero la mia attenzione. Non è caotica? Come ti è sembrata la prima volta che l'hai vista?''
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    Anche se ci impedisce di condividere le nostre passioni con gli altri. Si soffermò su quella frase, sfuggita fra le labbra, ma che gli sembrava stesse camminando accanto al suo mondo proprio come stavano facendo loro due. Non l'aveva mai vista in quel modo, la solitudine come un qualcosa in cui coltivare passioni, passioni che potevano venir condivise. Era un punto di vista interessante, anche se per un momento lo fece sentire più una sorta di robot di quanto non fosse. E dire che lo era parecchio, con i suoi componenti meccanici nascosti che nemmeno gli permettevano davvero di portare una ragazza a cena come tutti. Ma quello, come progetto, in realtà aveva ben più di un solo impedimento. Pensava alle passioni, però, su cui lui non si era mai soffermato. Da ragazzo ricordava di aver avuto una maggior vividezza dell'esperienza, forse dei sogni, che però si erano sgretolati senza lasciare un'eccessiva delusione o amarezza. Negli anni, la sua passione era stato permettere a quella di altri di bruciare fino a divenire un faro di speranza, delle sue di passioni poteva dire poco. Nemmeno sapeva dire in tutta sicurezza se ne provasse nel suo piccolo. Ogni giorno in cui si svegliava, con alle spalle decisamente poche ore di sonno indotte e governate dal regolatore di melatonina dell'impianto cerebrale, non aveva in mente qualcosa che volesse fare, quanto più i suoi compiti giornalieri. Non gli pesava dover sottostare a responsabilità e doveri, in realtà, non si era mai chiesto se ci fosse altro. In quell'istante si chiese cosa avrebbe fatto senza il suo lavoro, che fosse dell'EDiT, o di chi c'era stato al suo posto prima. Forse quell'uscita, quel bisogno di interazione, era l'unica attività estranea al dovere che avesse ricercato, e comunque gli era praticamente scivolata fra le mani.
    Lo vedeva che per Amira era tutto profondamente diverso. Era una di quelle persone che trasudava passione, istintivamente, gli veniva spontaneo voler difendere e anzi incentivare quell'aspetto di lei, permetterle di mostrargli semplicemente cosa facesse, di quale fervente passione fosse dotata. Anche se non la conosceva affatto. Rise, di quelle risate sommesse che lo portarono ad abbassare gli occhi e poi ricondurli sopra la strada che stavano lentamente percorrendo. «Hai già bruciato metà della lista» rispose, collezionando però quel dettaglio che aveva detto, che restò incastrato fra i suoi pensieri, e sapeva che l'avrebbe ritirato fuori poi. Quello del leggere libri. Nel futuro, non ricordava se avesse mai visto un libro. Forse un paio. Avevano smesso da tempo di stamparli per preservare le poche aree verdi rimaste, fuori le città i gas di scarico le stava avvelenando e aveva indotto la crescita di un nuovo tipo di alberi, dai colori spenti e foglie sempre gialle, anche quando erano nel momento più florido della loro vita. Più che i libri, andavano molto i trailer-storia: duravano all'incirca venti minuti, ed era per chiunque come aver letto un intero libro, anche se in realtà era la voce di un'IA che ne raccontava la trama con dovizia di dettagli e qualche frase accattivante. «Le restanti servivano a sapere dove sei nata e cresciuta, quanto sia numerosa la tua famiglia, e un aneddoto sull'esserti trovata o meno a barare ad un esame, mi pare di ricordare». Sì, quella domanda c'era. Numero quarantatré, dopo la sezione famiglia e affini. Aveva scaricato e integrato molte liste per ottenerne una completa e che non lasciasse troppo spazio a situazioni impreviste che sapessero coglierlo in fallo. Non pensava che avrebbe metaforicamente strappato quella lista così in fretta. «Molte sono sulla famiglia in effetti, e alcune cose direi che me le hai già dette: so che hai una nipotina stilista, due sorelle accertate» la prima, Rexana, che aveva conosciuto ed era responsabile di quell'incontro, la seconda la madre di quella divertente nipotina, anche se non sapeva se era la stessa di cui aveva sentito parlare da Morgan. «...di cui una si chiama Tess. Non so se è la madre della nipotina, tendo a non fare troppe domande per discrezione. Quindi sarà bene che ti avverta che mi hanno anche detto che hai un fratello maggiore, e qui finiscono le informazioni che mi hanno dato». Gli sembrava doveroso scoprire le carte, anche se erano tutte informazioni che quel ragazzo gli aveva detto in modo confuso, o almeno, era stato lui a recepirle confusamente. Tutto era iniziato senza nemmeno capire chi fosse lui all'interno di quella famiglia, domanda a cui non aveva trovato risposta proprio perché non aveva chiesto. C'erano posti in cui in fondo a chiedere si rischiava grosso, non fosse stato già riservato e piuttosto rispettoso di natura, l'avrebbe comunque imparato come non immischiarsi troppo nelle faccende degli altri. Tendeva invece al silenzio, come in quel momento, mentre cercava di capire come rispondere a quella domanda. Conosceva il Mago di Oz, nelle varie linee temporali che aveva incrociato era stato il più diretto collegamento al Kansas che avevano fatto sentendo il suo forte accento. Ne aveva trovato un trailer-storia nel futuro. Un po', anche se molto poco, l'aveva fatto sentire come a casa. «Magari puoi vederla diversamente: sei una donna di quarant'anni con una sorella che tiene tanto alla sua vita privata da organizzarle degli incontri» scherzò, approfittando di quel commento per prendere tempo, tempo che la sua mente sfruttava per elaborare un totale vuoto. Aveva problemi a desiderare, l'aveva sempre detto. Come per le passioni. In quell'istante però il problema peggiore era che rischiava di dire qualcosa di troppo, perché l'unica cosa che avesse mai voluto sarebbe stata tornare indietro dalla sua famiglia, ad essere un ragazzo di una fattoria del Kansas. Era quello che aveva desiderato e ricercato per quasi tutta la vita, finché non aveva capito che ormai era andata. Non li avrebbe rivisti mai più.
    Passavano i secondi, forse troppi. Non voleva incupirsi. Nemmeno mentirle, per quanto quello fosse l'obbligo a cui doveva sottoporsi ogni volta che si muoveva in un tempo straniero. C'era però un compromesso, a cui la sua mente arrivò non appena si decise a superare quello scoglio. Un modo per dire qualcosa di vero, senza per questo rivelare cosa facesse per vivere, quale fosse la sua storia così fuori dall'ordinario. «Ci sono. Gli chiederei di convincermi che il tempo si può percorrere in una sola direzione, così da non cascare nel tranello di pensare a quei "e se avessi fatto le cose diversamente"». Lo considerava anche in modo più letterale, purtroppo. Sperava che potesse dirgli quello che nessuno gli aveva davvero detto, perché in fondo, anche se gli avevano spiegato come funzionasse, e che dalla sua famiglia davvero non poteva tornare, perché sarebbe tornato solo da una versione di loro lasciando comunque tutte le altre prive del loro unico figlio, nessuno aveva detto che non si poteva tornare indietro. Il suo lavoro era tornare indietro, anche se a impedire ad altri di farlo. Una parte di lui, l'unica che fosse in grado di desiderare, probabilmente avrebbe voluto non si potesse tornare indietro e basta. La vita in una sola direzione, dal presente al futuro, da un punto in avanti. Suonava rincuorante.
    «Caotica, sì» non quanto Gardrath, ma confusionaria lo era di certo. Per lui ogni tempo era confusionario. «Ma qualsiasi cosa fuori da Bunker Hill è così. Ho imparato a prenderle sempre a piccoli passi. Ad esempio, per me New York adesso è solo questo, un parco a perdita d'occhio. Tutto ridotto allo spazio circostante, e palmo dopo palmo sembra tutto più accettabile». La guardò, quando ebbe finito di rivelarle quel piccolo segreto, la sua strategia di sopravvivenza. Aveva pur sempre Awa a spiegargli ogni cosa di come funzionasse il mondo circostante, ma a volte semplicemente non bastava. Si incantò, solo un momento, e quel pensiero che era rimasto incastrato nella mente tornò a galla. «Sai, mi piacerebbe davvero se un giorno potessi leggermi qualcosa. Ritagliare questo in un "palmo" di New York».
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    Alan, per quanto il tuo nome sia nuovo in questo elenco di scarabocchi lasciati penzolare lungo una mente fragile e soggetta a manipolazioni esterne, quando dico che vorrei prometterti di rispondere nel modo più sincero e leggero possibile, non lo faccio tanto per dire: Ci sono molte cose che vorrei fare ed essere a quasi quarant'anni, innumerevoli e tra questi vi è proprio il bisogno intrinseco, uterino, di tenderti una mano anche quando non posso. Stringerti il dorso con l'ultima falange ed il polpastrello e continuare a parlarti del trascorrere di un tempo sereno e stabile senza mai ritrovarmi a predire i fulmini che potrebbero abbattersi attorno a questo pugno di verde in cui ci siamo rifugiati. Fingendomi comune a tante altre persone, leggere nell'ignoranza di un futuro a cui possono solo aspirare con le loro migliori intenzioni, vorrei davvero passare le ore a raccontarti di come sia stato strano e bello crescere a Lily Dale, tra la natura e l'affetto equilibrato di una famiglia che ha sempre tentato nel migliore dei modi di tenersi saldamente unita come in un abbraccio dalle tante mani. Ti parlerei bene di Sean, dell'affetto viscerale che so nutrire nei suoi confronti nel ricordo che ci vede affrontare ogni difficoltà con la semplicità di un gesto che ci spinge ad aggrapparci l'uno alle spalle dell'altro, eppure ometterei di accennarti la presenza di una depressione che è stata capace di farsi largo nella mia vita, talmente veloce da creare insenature lungo la pelle, spacchi che solo il destino ha saputo rimarginare. In queste buone intenzioni, che animano questo incontro e mi hanno spinta a mettere il naso fuori dalla porta di casa, so bene che finirei per mentirti o anche solo tenerti all'oscuro di qualcosa.
    Eppure vorrei promettertelo davvero, anche solo per spingermi a mantenerla questa promessa e ritrovarmi a mantener ben salda questa tranquillità che a tratti sai infondere tramite il movimento del tuo corpo e la modulazione di una voce che sa farsi giovanile e profonda nel medesimo istante. Come se le due cose fossero l'una l'opposto dell'altra.
    ''Oh, lo chiamerei salvataggio in calcio d'angolo, allora.'' Eppure non credo sia questo ciò di cui si parla al primo appuntamento, non quando è stata tua sorella a programmartelo e l'unica cosa di cui sono certa è che basta il sesso a far conoscere davvero due persone: Anche se poi risulta per la maggior parte delle volte terribilmente imbarazzante tanto da far nascere quelle varianti in cui ci si trova davvero a parlare della famiglia e degli affetti stabili pur di evitarlo. Un po' come se ciò servisse a limitare delle libertà che, in quanto sconosciuti, ci sentiremmo in grado di far nostre al punto da pretenderle. Mi chiedo se tu stia evitando proprio ciò, Alan o se a mantener un passo indietro sono sempre e solo io con le mie paranoie a fingere di averci visto giusto. Perché ti perderò e questo è certo ancor prima che io possa averti.
    ''Sai molte cose, Alan.'' Rexana non dev'essere entrata troppo nel dettaglio, però. ''Anche se ho altri fratelli oltre a Rexana e Tess, che no, non è la mamma di Elsa. In quel caso si parlerebbe di Nova.'' Respiro profondamente e con la medesima lentezza butto fuori il fiato, tanto da rilassare le spalle e modulare la mia camminata alla sua. Passo dopo passo, che poi si trasforma in un saltellare leggero giusto per compensare la diversa lunghezza di gamba. ''Ma non ti preoccupare, ci sei arrivato così vicino da vincere il premio che ti permetterà di conoscerli tutti dal vivo.'' Rabbrividisco, forse per gioco o perché serietà del genere non ricordo di essere mai riuscita a permettermele. ''Terrificante vero? E pensare che non siamo nemmeno riusciti a strapparci un bacio che sappia di arrivederci.'' Non so provare questo tipo di vergogne io, né so frenarmi ed evitare di scherzare su argomenti che da altri verrebbero ricamati diversamente. Forse non saprò trasformarmi davvero in una donna capace di comprendere il romanticismo. Forse, Alan, avresti dovuto evitare di dar retta a Rexana ed andartene via. ''Sembra una cosa complicata da chiedere ad uno come Oz. Come si può convincere qualcuno di ciò ed evitargli così di aver rimpianti? E senza rimpianti, come potrebbe un uomo continuare a vivere senza mai sentire quel moto capace di spingerlo al miglioramento?'' Se non mi fossi spinta troppo nel bosco, se non avessi indagato su quelle antiche incisioni, avrei nutrito il medesimo terrore che sa togliermi il fiato quando tagliandomi le vene o stringendo il cappio attorno al collo finisco per ricordare quanti giorni ancora mancano al momento in cui giungerà davvero la mia ora? Se non mi fossi spinta troppo oltre, avrei paura, adesso, di un semplice appuntamento come questo? Non voglio pensarci.
    ''Piacerebbe anche a me.'' Esce cristallino, in un fil di fiato che nonostante la sua fragilità sarebbe comunque impossibile da tagliare. ''Mi rendi felice al punto da farti aspettare come il Piccolo principe aspetta la volpe.'' Ci vogliono i riti.
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    Edited by ( : - 20/3/2021, 16:47
     
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    Non l'avrebbe poi spaventato tanto il conoscere gli altri membri di una famiglia tanto coesa, nonostante gli avvertimenti di Morgan confessava di trovarlo più normale di quanto si credesse. Era cresciuto nella consapevolezza che ogni ragazza entrata nella sua vita sarebbe dovuta passare prima per l'approvazione di suo padre così come lui avrebbe dovuto incontrare i favori della famiglia di lei. Nel suo tempo, il suo vero tempo, quella era ancora un'usanza pienamente in uso, impossibile cancellarla con la permanenza in quel futuro che in fondo non gliene aveva data la possibilità. Era stato lui a non permetterglielo, restando così isolato, praticamente un eremita che aveva avuto a che fare solo con Qohen e Awa, entrambi piuttosto scarni in termini di rapporti familiari, come imposto dalla loro natura. Aveva quindi di quei sorrisi che si piegavano anche ai lati degli occhi, in piccole rughette appena accennate, e rimase così fino a quell'accenno ad un bacio di addio in grado di spaventarlo un po' più del previsto. Sapeva essere sempre un po' legnoso quando in ballo c'erano simili argomenti, ma cercò di riprendersi subito, affogando quella punta improvvisa di sorpresa in una risata.
    «Vedrò di riguadagnare terreno in vista dell'evento». L'aveva detto, quindi. Se Qohen fosse stato lì, non osava immaginare cosa avrebbe potuto dire. Forse - ed era solo un'ipotesi campata in aria, perché non aveva mai nemmeno avuto il desiderio di chiedere ad Awa una simulazione della sua personalità che di certo non avrebbe potuto ridipingere in modo altrettanto brillante - si sarebbe limitato a sottolineare come fosse lento a muoversi, sopratutto visto che la conversazione era tanto piacevole e che lui era sempre più colpito dalla personalità di Amy e da ogni cosa dicesse.
    Anche quello, il concetto apparentemente così ovvio su come i rimpianti servissero a migliorarsi, che tuttavia riponeva tutto quello che aveva fatto sotto un'altra luce. Non era facile sopportare ciò che aveva fatto, ma di certo aveva adesso l'occasione di rimediare, e il peso delle sue scelte non poteva certo farlo agire con altrettanta leggerezza. Avrebbe solo voluto non fosse necessario. Avrebbe voluto che le sue scelte non avessero compromesso altre persone, oltre che la sua sola vita.
    «Capisco perché tua sorella ha una così alta opinione di te» ovviamente intendeva quella che li aveva fatti incontrare, equivoco che non sarebbe nato in ogni caso, pur non specificandolo. Lo disse fermandosi, comunque, sotto un albero che in quel sentiero tracciato non gettava solo ombra sotto di sé, ma si faceva sfuggire anche qualche filo di luce che giocava sulla sua pelle chiara. Si fermò perché voleva guardarla, con serietà e quella luce negli occhi, nemmeno stesse trovando conferma di ogni parte di quel pensiero proprio lì, in quel momento. «Sei sicuramente la persona più saggia che abbia conosciuto» di una saggezza, intendeva, che si mescolava ad un ché di più infantile che probabilmente la accentuava ancora di più. Avrebbe potuto dire, e sarebbe stato altrettanto vero, che avrebbe faticato pure a conoscere qualcuno che fosse come lei e basta, ma avrebbe avuto un peso minore. Erano poche le persone con cui aveva interagita, con difficoltà avrebbe potuto riconoscere una qualche similitudine fra molte di loro, ma avrebbe mentito se avesse detto che fra loro ce ne fosse stata qualcuna che l'aveva colpito allo stesso modo. Forse era solo che non si sentiva umano da tanto di quel tempo. Persino meno di Awa, di Qohen, di quelle che erano nate come identità meccaniche, e non avrebbero dovuto saper dimostrare neanche un briciolo di umanità maggiore della sua. Ma lui, aveva così tante mancanze. L'imprecisione di un agire maggiormente spinto dalle emozioni, che gli sembrava aver al massimo guadagnato con il tempo trascorso all'EDiT. La capacità di quella passione vivida che aveva sentito in lei, e già aveva pensato di desiderare provare a sua volta, nonostante ne fosse più spettatore che partecipe. E infine, mancanze nelle conoscenze di ogni tempo, perché non aveva fatto davvero parte di nessuno di essi. Avrebbe voluto sapere quale fosse il Piccolo Principe e la volpe che lo faceva attendere, per un momento, anche se breve, pensò di chiedere ad Awa di fargliene un riassunto in diretta, così da sapere cosa rispondere. Ma Amira aveva parlato di un'attesa che rendeva qualcosa più prezioso, era un concetto che era emerso con forza. Avrebbe aspettato, quindi, concedendosi di poterlo leggere davvero e non privarsi di tutto quel viaggio ascoltandone l'estratto distillato dalla sua I.A.. Era sicuro che vi avrebbe trovato qualcosa di quella giornata che era stata sicuramente migliore di ogni sua previsione.
    Fece un passo avanti, quasi senza accorgersene. Con le mani ancora in tasca e gli occhi che per un momento si erano posati più lontani. «Magari c'è una cosa su cui però possiamo non aspettare ancora» tornò su di lei lo sguardo, quando si fermò a meno di un passo da lei, una vicinanza che poteva farle intendere quali fossero le sue intenzioni perché non voleva che fosse davvero inaspettato, non voleva che fosse un momento rubato. La guardò con le labbra piegate in un sorriso per una manciata di secondi, prima di piegarsi lui stesso verso di lei scostando appena una mano dalla tasca per accompagnare quel gesto con le dita posate sul suo mento.
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    Hai i modi buoni, Alan, così come io ho la sfortuna di non saper davvero distinguere il bene dal male o ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Ed è una mia scelta questa, devo ammetterlo, così però come non saprei dire sul suo essere ponderata, studiata e non figlia di un timore che mi ha spinta a chiudermi a riccio nell'unica zona confortevole che io abbia avuto modo di conoscere. Sono dei modi che ho già conosciuto in questi anni e per i quali mi sono detta che sì, sarebbe valsa la pena farsi più vicini. Nonostante le dovute precauzioni e quelle distanze che, a mantenerle, fatico a non desiderarle più corte, meno invasive. Perché non so come funzioni tu, Alan, ma io, come ogni altro uomo, tendo a contraddirmi e a ricercare ciò dal quale mi preservo da una vita con smania, egoismo.
    Suppongo sia proprio per questo che so essere così pungente nelle parole, anche se conosco il fine di ogni mia frase e conosco bene la paura che sa assalirmi alla vista di un futuro che potrei e vorrei prevedere, ma dal quale, per terrore, mi distanzio. Suppongo sia questo il motivo per il quale mi sforzo di far vincere Rexana in una partita innocente laddove il premio sei tu ed una felicità a cui ella crede ardentemente, ma verso la quale, in tutta sincerità, non so porre alcuna fiducia. La anelo, ovviamente, eppure non ho mai avuto modo di scorgerla se non per un tempo terribilmente breve.
    ''Oh, abbiamo fiducia in noi stessi, vedo.'' Potresti essere benissimo un protagonista di quei racconti fantastici che piacciono tanto ai ragazzi, ma anche un po' alle loro mamme. Perché l'impressione che sai dare in così poco tempo è quella di essere una persona dolce, con i piedi per terra ma la testa comunque tra le nuvole. Ancorato al presente quanto al futuro, all'ipotetico, al ''e se?'' a cui potrei persino risponderti se avessi il coraggio di sfilare il guanto e ricercare, lungo la pelle delle dita, le tue. Ma è ancora presto.
    ''Rexana deve averti fatto il lavaggio del cervello.'' Non so se ho ancora motivo di reprimermi dallo scherzo, se sia giusto dargli ancora del voi, del lei o rendermi più ostinata al punto da non dargli mai modo di credere che possa esserci qualcosa dopo oggi. Anche se c'è una parte di me che sa desiderare queste delicatezze così come lo desiderano tanti altri uomini e donne della mia età. Non è un peccato in fondo, eppure più vi cedo, più finisco per sentirmi in colpa nel medesimo modo in cui mi ci sono sentita quando, lasciando agli altri la libertà di vivere la vita nel miglior modo che potesse riuscirgli, ho nascosto verità che non avrebbero dovuto appartenermi in quel modo. ''Sono la persona peggiore alla quale chiedere consigli o parole sagge. Lo dice la società: Quelle che dopo una certa girano con i capelli colorati in malo modo sono le prime a toccar con mano la demenza senile.'' Ovviamente scherzo: Non ho nulla contro le anziane dai capelli talmente particolari da ricordare una scarsa imitazione del movimento punk. Anche perché suppongo che avrei fatto la loro stessa fine. Avrei. Forse accetto di assecondare Elsa solo perché so bene come non riuscirei ad aver la possibilità di sbagliar tinta, né di frequentare il centro anziani.
    Non ci penso nemmeno a riservarti altrettanti complimenti di rimando, quando fermandoci, riesco finalmente a fermare i miei occhi nei tuoi. Il fatto è che prima non vi avevo dato tanto peso: Ti avevo guardato nell'insieme ed in quel modo mi eri piaciuto. Ma ora, ora è diverso, anche se non so bene il perché.
    ''Oz deve aver invertito i doni...'' Il mio è un sibilo, un soffio che non so trattener lontano dalle tue labbra, sulle quali lascio scivolare lo sguardo senza oppormi al tocco. Con una mano mi faccio forse sulla tua spalla ed in un sorriso, un altro ancora, accosto le mie labbra alle tue. Perché so bene che ritornerai e che leggeremo davvero insieme il Mago di Oz, proprio su quella panchina dove la signora getta le molliche ai piccioni. Ed io mi innamorerò, se non domani, dopo domani ancora.
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