In Hushed Whispers

Ewan/Layla | 13 Settembre

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    Conto passi e respiri come fossero lancette di un orologio, numeri da leggere per tener conto, sempre, di ogni istante che passa. Li ascolto, come ascolterei un seguirsi di note sospese come echi nell’aria, di quelle melodie che, di tanto in tanto, restano aggrovigliate nei pensieri, e paiono reali an che quando sono le nostre orecchie a seguire quelle illusioni perse nel silenzio. Non so qual’è il mio proposito oggi, forse solo quello di afferrare questa fune che è rimasta a penzolare a mezz’aria, anche se non so, ancora, verso cosa porterà; e so sentirlo il bisogno di saperlo, così come quello di non saperlo affatto, e vivere gli eventi così come mi si presentano, senza più uno squarcio che possa aprirsi come una feritoia per guardare oltre le mura. Penso, nel moto conciato dei passi per arrivare esattamente dove gli ho chiesto di incontrarci, in un posto che avesse abbastanza aria e spazio, da conservare parole come fossero gocce di rugiada nascoste fra le foglie, che continuo a non sapermi sorprendere di come, inevitabilmente e senza nessun avviso, posso vedere come i passi miei e di Ewan continuino a trovarsi sullo stesso selciato, in punti diversi, ma quasi riflessi uno nell’altro. È una lotta, per me, quella di poter sfiorare il pensiero che sia davvero una minaccia, e non saprei dire se è perché in questi mesi, ho creduto tante cose di lui, o solo perché così certa di quella che costituiva per me, lì di fronte, non ho pensato a come in questo presente ci sono ancora mille istanti e mille altri ancora. In un certo senso, forse, mi sono quasi persa in quel futuro distante, quando io per prima ho sempre detto, a River, che quello che dovevamo sentirci sulla pelle era solo il presente. Penso, anche, che quello di Ewan è diventato adesso quel nome che so quanto si infili, senza sillabe, nella carne di River, per ogni secondo in cui, ancora, non glielo porgo come vorrebbe, come gli servirebbe a scatenarsi contro qualcosa che, per quello che sappiamo adesso, è un punto stabile che non può essere cambiato. Prendo un respiro e so pensare che questi sanno essere i momenti in cui vorrei poter trovare nella borsa il pacchetto di Marlboro per accenderne una, ma fra tutto il frastuono ed il trambusto, fra tutto quello che si agita e sembra farsi grande, come acqua che scappa da una spiaggia per ammassarsi più a largo, alzandosi in un’onda che è pronta poi ad avanzare con furia, c’è anche quell’ennesima, egoistica richiesta, che si è piantata nel mio ventre quando tutto avrebbe potuto dirmi, e forse lo ha fatto, che non era una buona idea. Ma non m’importa adesso, come non mi è mai importato, perché in fondo, so quanto niente sappia essere abbastanza forte da alzarsi e abbattersi contro ciò che proteggo, e ciò che desidero; neanche il buonsenso. Prendo un respiro ancora, allora, alzando lo sguardo quando fino ad ora, ho camminato ad occhi bassi, girovagando nei miei pensieri come se fossero fili da seguire, cercando di calmare i respiri che si sono fatti più agitati perché, alla fine lo so, lo so che ho dell’apprensione che mi nasce nel petto. Apprensione per Ewan, ora che so che qualcuno, fra i Cacciatori, conosce questo nome come lo conosco io, e lo ha collocato nella sua stessa divisa; apprensiva, anche, per i Cacciatori, che so quanto non abbiano bisogno di un problema o un rischio in più. Apprensiva per River, ora che anche il suo nome e il suo volto, sono spuntati dalle ombre che ho cercato di tenere con chiunque non fosse parte di quel mondo, che gli corre fra le vene e a cui lui appartiene, lo stesso che abbiamo ripescato dal passato per farlo essere, ancora, un presente solido. Apprensiva per tutto, quando in fondo, posso sentire lo scattare meccanico del muoversi di eventi che, per quanto possa provare a bloccare, continuano ad andare avanti, e lo fanno sempre. Mi fermo quando ritrovo la sua sagoma, e non so sorridergli come ho fatto altre volte, ed è perché, adesso, ho di quella sincerità nello sguardo che non ho mai potuto avere così completa, prima, con lui. Non ho più nulla da nascondere, o quasi, e so quanto questo mi faccia sentire indifesa, indifesa per tutto ciò che ho cercato di tenere al sicuro, e che ora, invece, è esposto all’aria da ogni punto, e si agita in quel mare di possibilità, che io non conosco. So solo, che anche Ewan non morirà oggi, o domani, o fra un mese. Come lo so di River. Lo so nel modo rivelatore che non può mentire, perché il Tempo si è piegato per bisbigliarmelo all’orecchio, o per mostrarmelo in carne ed ossa nel mio passato. «Grazie per essere venuto» penso di averlo già ringraziato per aver accettato di vederci qui, il giorno dopo quel centro nervalgico di cui, forse, sto facendo un dramma troppo grande, quando in fondo so di avere questa nota. «So che Archer ha parlato con alcuni di loro, ieri» lascio andare un sospiro e mi giro, indicando una panchina con un cenno della testa prima di avvicinarmici per lasciarmici cadere, prendendo per un secondo la testa fra le mani con i gomiti sulle gambe, prima di tornare a guardarlo alzando appena le spalle. «E io ne ho parlato con River, mi dispiace, ma non potevo nascondergli una cosa del genere» mi lascio scivolare indietro, fino a premere contro lo schienale di ferro della panchina, lasciando che per qualche secondo gli occhi si perdano come ad inseguire qualcosa di distante, qualcosa che è quella linea sottile di verità, e di verità ancora nascosta. «Posso capire tutto, ma è stato davvero stupido venire a quella Veglia, Ewan» non lo dico come se lo stessi sgridando, né con irritazione, ma solo con ancora, quella punta che sa essere una nota preoccupata fra le labbra, rifocalizzando su di lui il mio sguardo.
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    Edited by .florence; - 9/10/2020, 13:39
     
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    Forse, ma dico forse, ero un po’ sotto pressione. Per la verità andava tutto alla perfezione. Certo, c’erano alcuni problemi logistici, come ad esempio Morgan che non vedeva l'ora di incastrarmi, ma ci stavo lavorando ed ero sicuro che avrei trovato una soluzione. Se non abbassavo la guardia sarei arrivato fino al giorno in cui avrei dovuto uccidere Layla con un piano ben chiaro in mente. Tuttavia continuavo a rimpinzarmi come un tacchino in vista del giorno del ringraziamento, immagine che mi trasmetteva anche una certa sensazione di nodo alla gola, come se ci fossero fin troppe persone in giro pronte a tirarmi il collo per l’arrivo dell’ora x, quando le mie stronzate non sarebbero più state sufficienti a salvarmi il culo.
    Non so esattamente quale pensiero mi stesse torturando, se il rischio di diventare un assassino, la possibilità che Jade mi facesse le scarpe, il fatto che River potesse darsela a gambe, l’idea che Morgan mi piantasse una pallottola in mezzo agli occhi. Normalmente sarebbe stata ordinaria amministrazione, invece dal funerale non la smettevo di mangiare. Ragione per cui alla panchina di Central Park mi presentai con un bubble tea al mango e dello zucchero filato azzurro che avevo preso ad un carretto che girava nel parco a caccia di ragazzini. Non ero sicuro della combinazione colorante e tapioca, ma se alla fine di quella storia schioppavo non avrei ma più potuto mangiare un cazzo. Ad ogni modo lascio immaginare il mio stato d’animo allegro mentre mi avvicinavo al punto di incontro. Se avessi potuto scegliere avrei liquidato Layla con una pacca su una spalla. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era un surrogato materno che si preoccupava per me, o peggio ancora ficcanasasse nella mia presunta relazione con Jade la cacciatrice. Tuttavia qualsiasi cosa Layla avesse tirato fuori dal cilindro dovevo mandarlo giu in qualche maniera, era il mio ponte diretto con River e non me lo sarei lasciato sfuggire solo perchè non so fare conversazione.
    Fu difficile incrociare la sua figura minuta in mezzo alle zolle di erba verde e pensare che l’avrei uccisa, oppure se le andava bene le avrei solo arrestato il marito. Mi faceva sentire strano, come se le dovessi qualcosa. Ragione per cui anche se mi guardò seria non feci battute sulla sua faccia da funerale.
    Quando la raggiunsi mi ringraziò per essere venuto. Era così impostata che temevo avesse la mano di River su per il culo a muoverla in quella piccola sceneggiata. “Figurati, al funerale sulla pira non c’era anche il mio cadavere quindi direi che ti devo qualche spiegazione”. Mi lasciai cadere sulla panchina con l’aria del ragazzino problematico che viene mandato dal preside. Iniziai a mandare giù il resto del bubble tea, o almeno quello che era rimasto, fissandola piuttosto accigliato mentre si lanciava in brevi comunicazioni studiate, doveva averci pensato a lungo. Era il tentativo di ramanzina più patetico e deprimente che avessi mai visto. Rimasi in silenzio soprattutto per non scoraggiare quel timido tentativo, mi sarebbe dispiaciuto stroncare l’iniziativa così su due piedi. Non era facile che tirasse fuori tutto questo fegato, il più delle volte era quella che sorrideva gentilmente e sviolinava candide carinerie. Alla fine trovò anche il coraggio di darmi dell’idiota, più o meno. Ero molto orgoglioso di lei. Mi staccai dalla cannuccia quando per tirare il mango cominciai a raschiare rumorosamente il fondo. “Beh Layla. Non ti avrei mai chiesto di tenere un segreto con tuo marito”, non è vero, credo nell’istituzione del matrimonio come in babbo natale, o la fatina dei denti. Purtroppo era lampante che lei era tanto ingenua da credere che la sincerità fosse uno dei pilastri di una relazione stabile. Quindi non mi ero fatto grosse speranze sul fatto che tenesse la bocca chiusa. Almeno era stata discreta a differenza di Archer, che a quanto pare aveva sbandierato la cosa liberamente.
    “Sinceramente è stata una sorpresa trovarti lì. Insomma io mi sono aperto con te, ti ho detto della cacciatrice, ma capisco che invece tu non ti fidassi abbastanza di me”, ma si, un po’ di senso di colpa non faceva male, l’avrebbe riportata al mio livello dove potevamo parlare. Darmi l’idea di essersi piazzati comodi sul banco del giudice è un po’ come chiedermi di giocare al tiro a bersaglio. Invece io stavo provando a fare il bravo ragazzo. Ad essere gentile. Aprii il contenitore di plastica del bubble tea per tirare fuori le palline gommose. “Venire è stato rischioso, ma lo sarebbe stato solo per me, non pensavo di coinvolgere te, o Archer. Non volevo fare del male a nessuno. Ti giuro che io volevo solo trovare lei e per farlo ero disposto a rischiare. Magari per te è stato stupido. Non so perché, ma pensavo invece che saresti riuscita a capire”, mantenni lo sguardo basso, senza provare a cercare la sua compassione. Fu una delle mie migliori esibizioni e ce n’erano state diverse notevoli, quella al cimitero con i Crain era una delle mie preferite.
    Mandai giù una manciata di palline di tapioca e l’unica cosa che riuscii a pensare era che se mi fosse andata bene e avessi trovato davvero solo Jade non avrei rischiato la vita, ma non avrei scoperto di River. Ero felice come una pasqua per quell'impreviso. Me lo dovetti ricordare mentre le palline esplodevano sotto i denti. “Cos’è che mi vuoi dire veramente, Layla? Ti si legge in faccia che non mi hai portato qui solo per rimproverarmi qualcosa che so già”. Mi dispiaceva dover tagliare corto, ma ancora dovevo fare l’abitudine all’idea di guardarla in faccia e immaginarmi il modo in cui avrei scelto di ucciderla. Sicuramente l’avrei fatto in fretta. Un colpo alle spalle e fine della storia. Allungai lo zucchero filato verso di lei per riempire il vuoto che c’era al posto del dispiacere che avrei dovuto provare. “Vuoi un po’?”.
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    È quasi buffo, Ewan, nel modo in cui è ora, quasi come se avesse, dentro di sé, i tratti di un bambino, e non lo dico con una negatività che troppo spesso è accompagnata a questa parola, ma con quel sentore che mi fa pensare a come, in realtà, tutti noi dovremmo imparare ad essere, ancora, un po’ bambini. Ma questa sono sempre io, innegabilmente fatta di tante cose, alcune delle quali, sono disperse in sfere che si alzano eteree sopra il mio capo, come polveri invisibili che sanno essere tanto dense, per me, da essere solidificazioni che posso sentire fin dentro la mia anima. In realtà, so di come probabilmente, al suo posto, avrei fatto la stessa cosa, e in fondo posso dire di starlo facendo anche ora, nell’essere ancora qui a parlare con lui, fra tutti. Eppure, sono fatta così, e non ho mai cercato di farmi diversa, e semmai al contrario mi sono sentita in dovere di proteggere quel mio modo d’essere, come se sapessi che mi sarebbe bastato un soffio, un momento, per perderlo per sempre. Non sono fatta per il cinismo, per le speranze perse, non sono fatta per guardare avanti e non essere capace, anche nelle avversità più brutali, di pensare che qualcosa di buono, lì in fondo, ancora esiste per ognuno di noi. Forse è che ho assolutismi serrati per certe cose, ma che dall’altro lato, nel cercare di insegnare l’importanza di ogni secondo, l’ho scoperta anche io, e l’ho a mia volta appresa nella sua assenza, in quel perenne equilibrarsi che di futuri e passati, non ne conosce nessuno e li conosce anche tutti. Lo guardo con un sospiro nell’ascoltare le sue parole, senza provare a nascondere quello che non è senso di colpa per quello che gli ho nascosto anche quando lui, con me, ha avuto quel tipo di sincerità pericolosa, almeno un po’, perché in fondo so di non essere capace di sentirmi mai in colpa per nulla di ciò che faccio pensando a River. Nessuna bugia, nessun gesto, nessun atto rivolto a lui, sa essere per me un giudice che mi rimpicciolisce, ma una scelta perpetua che ho preso anni fa, e ancora prendo ogni giorno, perché, semplicemente, so che lui è di fronte a tutto per me. È una dedizione feroce, la stessa che uso contro di lui quando, ancora, ho il nome di Ewan nascosto fra le labbra, e posso sentirlo come questo silenzio sappia essere ancora fermo da qualche parte nello sterno di River, e scavi e scavi in tutti i secondi che vede perdersi e già persi e non lo portano vicino a quel futuro che tanto vorrebbe cambiare. Non mi sento in colpa per questo, ma so lasciare un sospiro che ha una nota che si abbassa, più dispiaciuta per quello che dice che per quello che, effettivamente, non so recriminarmi. A volte, è come se mi sentissi quasi stretta in quel modo che so, hanno in molti di vedermi. Come se non potessi essere capace, perfino io, di sentire quella spinta che, sopra le altre, sa dominare tutto, e piegare qui tratti di me che sanno rendermi tanto infantile, tanto docile, perché si induriscano contro qualcosa che voglio proteggere, e che proteggerei a qualsiasi costo, fino al mio ultimo respiro. Sa sembrarmi sempre tutto ridursi a questo, e se per tutta la mia vita, fra momenti che si sono allungati stretti fra parentesi, è stato più difficile che tutto questo venisse a galla, adesso è solo parte di una realtà che, per me, è sempre stata qui. «Non sono preoccupata per me» lo dico con tutta l’onestà che ho nell’animo, quando non lo sono davvero, e so che se qualcuno mi chiederà il perché di quel silenzio, avrò da dire le stesse cose che ho già detto a River, e di cui non mi vergogno. «Sono preoccupata per te» lo lascio andare con un respiro e mi rendo conto di come, quasi meccanicamente, una mano vada in borsa a cercare un pacchetto di sigarette assente, e mi lasci allora solo un piccolo suono di frustrazione prima di restare a fissare, per qualche istante, un punto vuoto di fronte a me, come se cercassi anche lì qualcosa che possa aiutarmi a sciogliere questo nodo in cui so sentirci tutti stretti in modi che non so comprendere. Io, che della veggenza sento sempre cose contrastanti dentro me stessa, so anche di come ora vorrei ricorrere proprio ad essa, e vedere cosa c’è nascosto in ogni passo che verrà compiuto da oggi a per sempre. Ma prendo un respiro nel tornare a guardarlo. «E non si tratta di non fidarsi, non direi mai niente di River, neanche al mio più caro amico, come non ho fatto per tutti questi anni» ma ha ragione, in fondo lo so che, oltre a questo, ho qualcos’altro infilato nelle corde vocali, qualcosa che mi sembra sempre più, come se avesse una vita propria, e mi stesse estraniando da me stessa perfino ora. Ora che siamo seduti qui, su questa panchina e, per un istante, mi sembra quasi di poterci vedere dall’alto, un punto di vista esterno, ma dura solo un attimo prima che io scuota la testa cercando di afferrare i fili dei miei stessi pensieri. Non lo guardo quando dischiudo le labbra e, per qualche istante, nessun suono ne sa uscire. Stringo appena le labbra, prendendo un respiro e lasciando che i miei occhi, per qualche istante, vachino sui confini degli alberi, come se osservassi, ancora una volta, un fluire invisibile, ma che sa essermi nitido come chiazze che, qua e là, formano un percorso. «C’è una cosa, in effetti, e forse avrei dovuto dirtela molto tempo fa, ma onestamente non so come si fa a dire una cosa del genere a qualcuno» prendo un respiro profondo, come se stessi strappando questo odore dall’aria per conservarlo, docilmente, fra le narici. «Sono una Veggente, sai, e ho questa ferma idea che ogni visione che ho nel toccare qualcuno, vada condivisa. Forse è solo che non voglio essere l’unica consapevole dei Destini altrui, o forse ci credo sul serio. Il punto è, che ho avuto anche una Visione con te, la prima volta che ci siamo incontrati alla Piramide» torno a guardarlo lentamente e lo so, lo posso sentire come ogni tratto del mio volto, si stringa di più su sé stesso, perdendo quella leggerezza che so sentire tanto mia, da rendermi conto di quanto ora sia lontana. E so anche, in un moto che mi si stringe stranamente fra le dita, che adesso sono pronta ad osservarlo, e osservarlo davvero, quasi come se fosse uno di quei libri che studio con attenzione. «Ti ho visto uccidermi» non ho fatalità nella voce, forse perché quell’immagine l’ho scrutata così tante volte, da aver ormai assorbito ogni sua esistenza, sfumatura e realtà, rendendomi incapace di contemplarla nel semplice impatto che ha, ed avrà, sulla mia vita. «E mi chiedo perché lo farai, Ewan» anche in questo non so avere nessun’accusa nella voce, ne sono così incapace da sentirla come se fosse solo una domanda che è fatta di un’eco, un riverbero che corre nel Tempo senza nessuna origine precisa.
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    Edited by .florence; - 9/10/2020, 13:39
     
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    Come prevedibile mi disse che era preoccupata per me. Io avrei voluto risponderle che era meglio che si preoccupava per River, ma ebbi il sangue freddo di tenerlo per me. Non badò allo zucchero filato, ne dovetti dedurre che stava per dirmi una cosa seria. Sembrava che mi stesse per comunicare che mi avrebbero condotto davanti ad un muro dove mi avrebbero bendato e poi fucilato. Se ne rammaricava, ma in effetti doveva pensare che andasse fatto, come strappare via un cerotto. Non l’avrei biasimata volevo rubarle il ragazzo e probabilmente fargli fare esattamente quella fine. Ad essere onesto non mi sono mai informato su come si svolgessero i processi all’EDiT e quali fossero le pene previste. Non perché non volessi sapere che fine facevano quelli che catturavo per non farmi prendere dai sensi di colpa. Semplicemente non me ne fregava un cazzo. Voglio dire, fin dal principio avevo trovato gli ideali di Yana e della sua agenzia completamente folli, quindi non mi sarei stupito se poi River finiva al muro, oppure lo cancellavano letteralmente dal tessuto del tempo. Non so se mi spiego. Di tutta la faccenda m’importava meno di zero. Mi divertiva la caccia e se era un modo per avere ancora qualcosa in comune con Gabe allora lo facevo senza scrupoli. Ad ogni modo continuava a mostrarsi profondamente addolorata, come se avesse un peso sul petto, o un’intossicazione alimentare, pallida e con lo sguardo basso, vomitava parole controvoglia quasi se lo imponesse. Ovviamente non so cosa le passasse per la testa in quel momento, ma doveva essere qualcosa di fottutamente malato perché arrivasse a dire con tutta la tranquillità del mondo che l’avrei uccisa. Mi prese in contropiede, lo ammetto, e non è facile, sono il tipo sempre pronto, sempre con un piano di riserva, mai impreparato. Non è che mi avesse detto niente di nuovo, ma si era sempre comportata con una tale normalità che venire a sapere che per tutto quel tempo sapeva che l’avrei uccisa fu paradossale. Avevo pensato che Layla fosse innocente e candida, ma dentro di lei qualcosa era profondamente disturbato. Non dava l’idea di avere qualche rotella fuori posto, ma chi è che va a pranzo con il suo assassino? Ti si dovrebbe almeno chiudere lo stomaco. No? Iniziava ad avere senso che uscisse con uno psicopatico come River. Tra l’altro c’era qualcosa di trascendentale, quasi biblico, nel fatto che il viaggiatore del tempo si fosse innamorato della ragazza per cui il tempo non aveva segreti. Talmente stucchevole da far venire il voltastomaco. Avrei fatto notare la cosa a River quando fosse stato dietro le sbarre, me lo appuntai mentalmente.
    Il problema in quel momento era evitare che mi si leggesse in faccia “Sorpresa! Già lo so!” a lettere cubitali. L’espressione attonita di chi sta pensando al fatto che Layla ha un problema grave di autoconservazione poteva benissimo passare per sbigottita costernazione, incredulità persino. Poi non mi trattenni ed esplosi in una risata, cercai di fermarmi, le chiesi scusa. La cosa che trovavo divertente in verità era il fatto che mi avesse chiesto come mai l’avrei uccisa con il tono di chi si sente quasi in colpa perché forse non mi stava simpatica abbastanza. Era una situazione talmente ridicola che ridere sarebbe stata l’unica opzione in ogni caso. “Layla io non ho mai ucciso nessuno e non inizierò con te, te lo assicuro” glielo dissi che ancora sorridevo, era imperdonabile se lo si vede nell’ottica in cui lei si stava confidando e io nemmeno riuscivo a prenderla sul serio. D’altro canto stavo lavorando ininterrottamente da mesi proprio per salvarla, meritavo un attimo di superficialità, tanto per non rendere la situazione ancora più deprimente. Io che le sparo per incastrare un criminale che si dà il caso sia suo marito e lei che mi chiede come mai le voglio tanto male. Avrei voluto dire che lei non c’entrava proprio niente, era tutta colpa di quel coglione di River che mi faceva sempre passare per il cattivo della storia. Io davvero non ho mai ucciso nessuno, lui invece ne ha fatti fuori a bizzeffe e avrei scommesso che aveva anche un certo numero di tacche alla cintura, quindi il santo che Layla credeva di aver sposato era decisamente una figura idealizzata. “Sta tranquilla, davvero, qualsiasi cosa tu abbia visto potresti averla interpretata male” e questo lo dissi nella speranza di esortarla a darmi più dettagli, non ero sicuro di poterglieli chiedere senza sembrare troppo interessato, ma mi sarebbero tornati utili per salvarle la vita se mi fossi avvicinato troppo a quella serie di eventi. “E in ogni, caso come ti ho già detto, io non vedo il tempo come una storia già scritta, è una realtà in movimento, cambia continuamente, ne sono convinto. Forse il giorno in cui lo hai visto una farfalla ha battuto le ali in africa e le cose si sono mosse in quella direzione, ma niente impedisce che possano cambiare” scrollai le spalle e presi a staccare pezzi di zucchero filato azzurro con le dita visto che avevo finito le bolle di tapioca. Il sapore alla liquirizia si sposava malissimo con lo zucchero e il colorante. “Comunque mi impegnerò a non ucciderti se sei veramente preoccupata” lo sbuffai come fosse una cosa ovvia, ma preferii lasciar perdere occhiate rassicuranti, non erano il mio forte e tra l’altro non ero nemmeno io sicuro che alla fine non avrei dovuto aderire al paradosso e farla fuori. “Immagino che l’hai già detto a River, giusto? Quindi ora non vedrà l’ora di uccidermi…” e addio alla speranza di entrare negli uomini di lettere e prenderlo di sorpresa. Comunque non ne ero certo, se gliel’avesse detto probabilmente invece di essere in un parco a parlare con lei, in quel momento ero sotto diversi metri di terra da qualche parte nel Nevada del duemila avanti cristo.
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    Non mi aspettavo mi credesse, prendesse questa informazione con l’accettazione che so avere io, ogni volta che il futuro o il passato, si ripiegano su sé stessi per arrivare a me, ferma nei miei punti e in nessuno; come se il Tempo mi sussurrasse all’orecchio, ma solo qualche bisbiglio appena, mai davvero comprensibile fino alla sua radice, ma solo nel filamento che, più degli altri, si fa nitido nelle orecchie. Non mi aspettavo niente, in realtà, ed è proprio in quel niente che ho posato gli occhi, per capire almeno un po’, come per cogliere uno degli infiniti frammenti di tutto quello che si muove tutto intorno, e trovare dove collocarlo nel miasma indistinto, di tutto quello che esiste ed esisterà. Non è il primo scettico sulla Veggenza che incontro, e non sarà l’ultimo, e mi rendo conto, come se potessi guardarla dall’esterno, del perché; non esiste davvero qualcuno che voglia conoscere il proprio futuro, se non per quelli che sono quasi giochi nell’essere previsioni di fortuna. Ma non si tratta quasi mai di fortuna, per cose come queste. Sono momenti densi quelli che filtrano, densi in un modo o nell’altro, nel positivo o nel negativo. Fa paura, il futuro, è normale, l’uomo nasce inconsapevole del suo Tempo proprio per questo, per non doversi perdere fra quei filamenti eterni, che si smuovono senza fermarsi mai. Guardo il suo volto, quell’espressione che non sono davvero capace di decifrare, ma del resto non so che tipo d’espressione si dovrebbe avere per una cosa del genere. È un gesto rapido quello con cui porto il catalizzatore alla tempia per estrarre quel filamento che posso quasi sentirsi agitare sotto la superficie, come se fosse un serpente che, sotto la sabbia, aspetta di scattare fuori per infilare denti avvelenati nella carne. Non aspetto nessun consenso prima di premerglielo contro la pelle, così che anche lui possa guardarlo esattamente com’è, conservato come un punto nero su un foglio bianco, nitido e impossibile da confondere. «Ho a che fare con le Visioni da abbastanza da essere sicura di quello che vedo» lo lascio andare dopo qualche istante, quando so che quel ricordo che ho condiviso con lui, si è esaurito nei suoi minuti. «Non abbiamo idea di come funzionino davvero le Visioni» lo aggiungo solo dopo, tornando a guardare di fronte a me come se anche adesso, potessi guardare parole e parole raccolte in cerca di una spiegazione che possa essere comprovata, la stessa cosa che anche io sto facendo da sempre, e di più ancora da quando questa immagine si è depositata nel mio sguardo per aprirlo in due. «Alcuni credono che si tratti di punti imprescindibili del Tempo, snodi sempre uguali, a prescindere dalla Dimensione Temporale in cui si scrutano. Ma non sono qui per farti un riassunto delle mille teorie in merito alla Veggenza» prendo un respiro che trema, socchiudendo appena gli occhi come se, in un secondo, potessi sentire il peso di quella stanchezza che mi percuote e sa essere dura, come ogni tentativo di capire e farlo adesso con quello che so essere uno scopo preciso. «Gli ho detto della Visione, sì, ma non gli ho detto nulla sull’identità del mio assassino» lo aggiungo con quello stesso tono prima di tornare a guardarlo, consapevole che anche in questo, non potrà far altro che sondare una decisione senza conoscerne davvero le radici. Non mi aspetto che in molti capiscano il perché di quello che faccio, e del resto non mi è mai importato di essere compresa da un mondo che si arcua su sé stesso e non si da pace, né che qualcuno possa comprendere com’è che conservo le mie Visioni, nell’intimo di una mente che nel guardarle ancora ed ancora, sa renderle quasi verità indiscusse a cui potermi solo abituare. Come decisioni già prese, con quella sensazione che in ogni tentativo di fuga, queste si stringano ancora di più come cinghie contro la pelle. «Non sa che si tratta di te» prendo un respiro ancora, spingendomi di nuovo con la schiena all’indietro, trattenendo per qualche secondo gli occhi chiusi, come se stessi, ancora una volta, cercando pezzi invisibili che, intorno a me, si smuovono sussurrando di quelle verità che, ancora, non riesco a cogliere davvero. Come fantasmi, spettri agitati che si addensano senza farsi vedere mai, ma giocando in controluce per rendere nota la propria presenza. «Credo nel fatto che adesso non lo faresti, Ewan, ma chi può dire davvero cos’è che ci riserva il futuro? La Veggenza non mi permette di conoscere tutto, ma solo dei momenti. Fino ad ora, non ho avuto una Visione che non si sia realizzata» apro di nuovo gli occhi girandomi, ancora una volta, verso di lui, per fermarglieli contro con quella certezza che non è come quelle fatte di idee e sogni, ma comprovata in anni ed anni di immagini che ho accolto prima di del tempo, per poi scoprirle reali ogni volta. «So distinguere l’adesso dal futuro, è una cosa necessaria per persone come me, o almeno a me è sembrato necessario impararlo. Ma River... per lui è diverso. Sto proteggendo anche lui» anche se non penso ci sia bisogno di dirlo, e non penso, neanche, che questa sappia sembrare una spiegazione reale per lui, quando so che ci sono cose che possono sviscerarla che solo io e River conosciamo, strette nei punti del nostro animo e di tutto ciò che siamo, e che sempre saremo. «Credimi, mi aspetto che tu pensi che io sia pazza, ma ho le mie ragioni, e ho anche le mie idee» alzo appena le spalle, anche se è un gesto così piccolo, che l’unica cosa che sento è come ricadono in basso, lasciandomi di nuovo a guardare un punto indistinto del mondo, come se potessi trovare, prima o poi, quello giusto su cui fermare gli occhi per capire. «Questo non vuol dire che abbia deciso di accettare passivamente la cosa, ma ho bisogno di capire molte cose prima di poter anche solo pensare di poter fare qualcosa in merito»
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    Edited by .florence; - 9/10/2020, 13:38
     
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    Ora non dirò che non mi abbia toccato la visione che mi ha mostrato Layla. La questione però, è più complessa di così. Prima di tutto anche se mi ero abituato a non vedermi con l’aspetto di Qohen da molto tempo lo avevo fatto senza mai assumerne uno che riconoscessi come mio. Quindi in pratica si, l’avevo vista morire, ma effettivamente con il distacco di chi vede il proprio personaggio preferito uccidere l’eroina del film. Cosa che non succede mai, quindi era anche una pessima sceneggiatura. Ma questo era il problema minore. L’altro dettaglio era una sequenza numerica, una specie di firewall che filtrava qualsiasi reazione. Come se non bastasse non solo era un brutto film, con una brutta sceneggiatura, ma sapevo anche già come finiva.
    In sostanza non mi aveva colpito particolarmente, solo una piccola parte di me avrebbe voluto dare una pacca sulla spalla di Layla, dirle che sarebbe andato tutto bene. Fortunatamente anche se sapeva quando sarebbe finito il suo conto alla rovescia aveva un’espressione… composta. Insomma, non dava l’idea di voler scoppiare in lacrime. Dubitavo che si sarebbe messa ad urlare, o che avrebbe provato a picchiarmi, o peggio, uccidermi per salvarsi. Cosa che le fece acquistare parecchi punti nella classifica delle mie persone preferite, surclassava quella regina del dramma che aveva sposato. Ironicamente in lista c’erano solo persone che avrei ucciso volentieri, ma era la prima volta che ce n’era una che alla fine forse avrei fatto fuori davvero. Insomma, vinceva il primo premio a mani basse.
    Peccato che fosse convinta sarebbe successo in ogni caso perché per lei "le visioni sono dei nodi del tempo". Non credo che il tempo sia una cosa che puoi definire con un colpo di spazzola e stabilire cos’è che deve succedere e cosa invece sia irrilevante nella visione complessiva delle cose.
    La sua opinione al riguardo in altri momenti mi sarebbe stata del tutto indifferente, perché lei come il resto dei suoi contemporanei per me erano come dei bambini. Praticamente pari ai trogloditi che dovevano immaginare loro quando pensavano agli Zapotechi che nella valle di Oaxaca imparavano a scrivere le prime incisioni su pietra. Parlo degli zii dei più famosi Aztechi, ma probabilmente Layla nemmeno sapeva chi fossero.
    Tuttavia venirmi a raccontare dall’alto di una conoscenza tutta epistemica che non sarei stato in grado di evitarlo mi fece un po’ girare, come dire, le palle. Non sono infallibile ed è in fin dei conti la parte divertente, ma togliermi anche il gusto di provarci era piuttosto crudele, forse la cosa più crudele dopo aver mostrato ad un tizio completamente ignaro – per quanto ne sapeva lei – il momento in cui l’avrebbe ammazzata. Fossi stato Ewan probabilmente le avrei dato della pazza e me ne sarei andato. O almeno lo avrebbe fatto se avesse potuto dire la sua, io purtroppo avevo bisogno di lei e anche se sapevo benissimo che avrei chiuso quell’argomento di lì a poco, preferii darle un altro po’ di credito. Insomma, poteva pure essere un po’ psicopatica a fare tutti quei discorsi serenamente, ma in fondo non potevo credere che almeno un po’ non stesse dando di matto. Una parte di lei anche solo a starmi vicino doveva urlare terrorizzata. Comunque alcuni dettagli essenziali mi avevano rivelato che non era una cosa che sarebbe successa in quel preciso momento, quindi entrambi eravamo piuttosto al sicuro lì sulla panchina del parco. Lo sapevo io, lo sapeva lei, ma questo non bastava a cambiare le cose. E un po’, lo ammetto avrei voluto che facesse davvero la pazza. Invece se ne stava lì immobile come un bersaglio facile, uno che vede il cacciatore e invece di mettersi in salvo capisce da solo che non c’è modo di evitarlo.
    Layla era troppo intelligente, questo era il problema. Troppo intelligente e allo stesso tempo troppo ingenua. E non lo dico perché pensai che sperasse non la uccidessi, ma perché credeva che nessuno dei due avrebbe potuto evitarlo. “Layla… ho fatto un discorso simile con la persona più cara che abbia mai avuto nella storia del mondo”, si, parlavo di Gabe e ad alta voce non parlavo mai di lui, questo dovrebbe lasciar intendere quanto l’avessi presa a cuore dopotutto, anche se della sua morte m’importava meno che della possibilità di poter minacciare River. “Il tempo è molto più complesso di quanto pensi. Non voglio dire che ha una volontà benevola, figurati, sarebbe una stronzata, nemmeno ci credo nel bene e nel male. Le cose che hai visto si sono sempre avverate, è vero, ma è anche vero che non conosci la natura di quello che vedi, non tutto almeno. I nodi si possono sciogliere e io ho tutta l’intenzione di sciogliere questo” glielo dissi guardandola negli occhi perché quella volta ero serio e non avevo alcuna paura che ci trovasse dell’esitazione se si fosse messa a cercare. “Non mi credi, ovviamente, non fa niente. Sono sfuggito al mio destino molte più volte di quante ne puoi immaginare” tornai al mio zucchero filato azzurro e al metodico lavoro di demolizione che ne strappava un ciuffo alla volta. Sono morto, sono stato abbandonato, sono stato dimenticato. Eppure eccomi qui, con più vita di molti fantasmi, anzi centinaia di vite, che avevo intenzione di godermi tutte.
    Esisto fuori dalle regole più di quanto non esista al di fuori del tempo. Quindi se c’era qualcuno che non poteva prevedere il mio futuro era esattamente qualcuno che ci viveva sempre così intimamente invischiato. “Non ho una spiegazione che posso darti per quello che hai visto per il semplice motivo che non succederà. Quello che hai visto è solo un falso ricordo, un’illusione, una storia che non verrà raccontata. Ed è il momento che inizi a pensare che ci sono realtà che non ti appartengono più di quanto non ti appartiene il tempo, ne sei solo una piccolissima parte, un riflesso di milioni di altre possibili. Ma è questa l’unica che ha davvero importanza, per il semplice fatto che ci sei tu dentro e che rimarrai viva. Se poi è una vita che sarà degna di essere vissuta dipende solo da te”, ma temevo già che River l’avesse rovinata indelebilmente. Un giorno o l’altro lui sarebbe dovuto andare via. Forse non sarei stato io a portarglielo via – possibilità che rifiutavo inderogabilmente – ma lui non apparteneva a quel tempo, né a quel bel quadretto familiare che stava dipingendo e presto o tardi, come ogni volta, avrebbe dovuto rendersene conto.
    Mi alzai perché ne avevo abbastanza e avevo anche detto abbastanza, persino troppo. Se c’era qualcuno con cui non potevo mettermi a fare quel genere di discorsi era Layla. Non potevo scoprirmi, o gli indizi che avrei lasciato qui e lì avrebbero raggiunto anche River.
    “Fammi solo un favore. Quando lo dirai a River… Samuel, o come lo chiami, avvertimi. Prima di morire mi piacerebbe fare un paio di cose” le rivolsi un sorriso, che la diceva lunga, ma in verità riguardava solo un ristorante che avevo scoperto a New York dove facevano i migliori panini che abbia mai mangiato. Quello a cui avrei dovuto dire davvero addio non era in quella città, o in quel tempo, ma era ad aspettarmi migliaia di anni più avanti.
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    Istintivamente, penso sapessi già che l’Ewan che ho di fronte, e che ho avuto di fronte per tutti questi mesi, non ha intenzione di uccidermi, ma al contrario. Non so definire quel tipo di calma che nasce dall’aver accettato un futuro e, insieme, avere anche quel motore che mi mormora di quanto vada impedito, e già si muove e gira, per cercare quei punti in cui premere per cambiare la direzione di binari che sono fissi, di fronte a noi, ma che pure, forse, devono avere di quei punti strategici che permettono di cambiare rotta. Sono consapevole di sapere così poco del Tempo, nonostante, forse, ne sappia più di molti altri, ma in un modo che è fatto di vita, non comprensione, e che scorre sulla pelle come un’esistenza che si forma con così tante domande, da restare sospeso sopra di me, in mille bisbigli che, ancora, non so interpretare. Eppure, continuo a sapere che quel futuro, quello che si è dipinto lì, abbia qualcosa di reale, ma che nell’essere fisicità puntata, può anche essere scartato. Forse è solo che, dopo anni ad essere stata coinvolta nel Tempo, e in tutti i suoi giri, dalla mia nascita ad oggi, dopo aver visto con i miei occhi, e aver toccato con le mie mani, quanto sa essere crudele e spietato, posso anche dire che nel dovergli tutto, tutto ciò che sono, non gli devo anche nulla. Non conosco talmente tante di quelle cose, eppure adesso, in questi giorni in cui mi sono raggruppata in quel bunker con così tanti più strumenti, e in quelli che ancora più indietro mi hanno fatto conoscere chi, come me, del Tempo ha sempre subito il fascino innegabile, mi fa pensare che se prima non ci fosse speranza, adesso è quella che respiro a pieni polmoni. Una speranza che non va attesa, come se potesse piovere dal cielo e scivolare su di noi, ma coltivata come una pianta in un deserto arido, mettendoci tutta la cura e l’impegno necessario. «Lo so che è più complesso di così» lo dico seguendolo con gli occhi, in un movimento che, per un secondo, i fa chiedere perché lui ne sia così certo. Io? Io sono nata dentro, in quel modo assolutistico che mi ha sempre trascinata nei suoi estremi, fra quei fili che, invisibili, si sono alzati come sogni ai miei fianchi, negli occhi, e l’ho conosciuto sulla pelle di anime così lontane, negli anni, e che pure si sono ritrovate una di fronte all’altra, riconoscendosi come se fossero sempre state insieme. Io, del Tempo, ho studiato quei piccoli dettagli scritti come formule su carta, e pure quelle sensazioni enormi che, senza parole, per me vi sono sempre state legate, come punti inseparabili di coscienza. Ma Ewan? È una domanda che mi resta sospesa fra le labbra, non scivola se non in un riflesso dello sguardo, restano lì, a mormorare silenzio per qualche istante. «Voglio dirti una cosa» mi alzo in piedi senza scostarmi, sistemandomi appena la gonna dell’abito in un gesto così parte di me, da essere ormai un comando automatico del mio cervello. «Non ho la presunzione di dire cos’è il tempo, posso solo fare delle teorie, e cercare di capire quante sono reali. È quello che faccio da una vita, è il mio lavoro e, in un certo senso, la mia vocazione» parlo ancora piano, lanciando uno sguardo che si fa rapido, morbido, al mondo intorno a noi, sempre così uguale, come uno sfondo disegnato sul palco di un teatro, immutato nonostante gli atti che vi si animano contro. «Ma è, appunto, un campo molto teorico. Eppure, non scherzavo quando ho detto che credo nel Destino, ed è un destino fatto di scelte. Non so se è possibile cambiare le cose, ma ho intenzione di scoprirlo, fosse l’ultima cosa che faccio» torno a guardarlo con un respiro, rivolgendogli uno sguardo che non mente, né che si fa carico di un pensiero che nasce dall’attesa, ma pregno, al contrario, della consapevolezza di qualcosa in cui vanno premute le mani, va scavato, ancora ed ancora, per poter trovare quello che si nasconde sul fondo. «Quella è una possibilità che appartiene ad entrambi, e sì spero sia una possibilità. Credimi, non scherzavo quando ti ho detto che non ho intenzione di affrontare passivamente quella Visione, ancora non so molte cose, ma nulla mi impedisce di imparare e capire ciò che oggi per molti è ancora un mistero. Ci hai mai pensato, Ewan? Il Tempo si muove seguendo una branca Magica, può essere velocizzato, rallentato, si può saltare avanti ed indietro, eppure non è la stessa Magia che permette la Veggenza. L’ho sempre trovato curioso» forse, è perché anche lui, del Tempo, parla in quel modo particolare che hanno le persone che lo hanno assaporato, sentito fra le mani, la lingua, dentro il petto, in quell’esistenza che, senza parole, ha avuto un’impronta fisica nei respiri. Alzo appena le spalle, inspirando piano l’aria che, di giorno in giorno, si fa più fredda, diventando sempre un po’ più tagliente nelle narici. «Non gli darò il tuo nome, non finché non saprò come impedire che accada, o finché non sarò sicura che può saperlo nel modo in cui lo so io» lo guardo ancora e questa non è una promessa, ma non ho dubbi sul fatto che, ora, Ewan possa capire il perché di molte cose, e di questa in particolare. Io lo so, e mi lascia intendere che anche lui lo sa, che l’azione di River, sarebbe provare ad ucciderlo. Quello di Ewan non è uno scherzo, e se so di non volere questo, per nessuno, so anche di come potrebbe essere un tentativo vano che in una lotta contro quel futuro, ad occhi chiusi, potrebbe solo renderlo più reale. Conoscere il nemico, questo si dice quando si deve scendere su campo da guerra per conquistare terre, spazi, Tempo. E il mio nemico, non è Ewan. «Per quel che vale, ho sempre avuto più fiducia nelle persone, Ewan, che in tutto il resto. Nel bene e nel male»
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