PARK'IN FEST

[EVENTO] - 22 Settembre 2021

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    now I am a happy song placed on the lips of a woman
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    Un sacco, ma proprio tanta fuffa, always Lucian e Yael

    o
    nestamente non mi sono immaginata la fine di questa serata. Avevo la testa troppo occupata per fare proiezioni di questo tipo, ma a parte gli scherzi non mi verrebbe neanche completamente da escludere una cosa del genere: un ballo imbarazzante fatto su una sedia. Ma sarei decisamente già troppo ubriaca se dovessi arrivare a livelli simili. Non che ci sia niente di male, ma non mi va di dare spettacolo proprio stasera - anche se non credo di esserne veramente capace, neanche nei peggiori dei casi - e vorrei piuttosto finire per ricordarmela questa serata.
    «Chi può dirlo» sollevo appena le spalle stringendo con le labbra la sigaretta.
    «Sono mesi che non bevo alcol, non so quanto posso reggerlo ancora» che mi piace "minacciarlo", anche se è palese quanto non sia davvero così seria. Mi piace strappargli un'espressione, cavargli un po' di sana preoccupazione, un po' di cipiglio, oppure sentire fino a dove vuole scherzare e assecondarmi.
    Ma in realtà sì me la vorrei ricordare questa sera, perché mi vorrei ricordare una cosa bella, visto che di cose belle non ne sono successe così tante ultimamente. Mi piacerebbe ricordarmela come la prima serata piacevole dopo diversi mesi di tensione e di fatica, fisica e mentale.
    Che ha ragione: a conti fatti è passato davvero tanto tempo. Non troppo, non credo nemmeno di volerla vedere sotto questa ottica del tutto lecita. Che ovviamente avrei fatto a meno di tante cose in questi ultimi mesi, di certo non metterei la firma per rivivermi tutto quanto. Però credo che tutto questo tempo in qualche modo sia servito per rimettere a posto certe cose, soprattutto dentro di me. Sì, in fondo è passato troppo tempo, ma è servito, è servito davvero tutto, fino all'ultima ora.
    Ma lo sto facendo di nuovo, sto pensando. Però almeno è un pensiero positivo, no? Almeno uno che cerca un minimo di positività in tutto lo schifo che finalmente credo sia passato. Cazzo, ho veramente bisogno di un po' di pace adesso. Adesso ne ho realmente bisogno.
    «Suona come un complimento»
    Prendo un sorso amaro dalla bottiglia di birra.
    «Pensa quanto ti adoro allora se ho deciso di appendere la mia pelle d'orso stasera». Miele puro.
    Sì, ok, a parte il mio essere completamente fuori fase, credo di averci pensato un po' su quando ho tirato fuori dall'armadio un vestito che non pensavo nemmeno di avere, perché fa solitamente parte di quegli indumenti che scivolano già dalla gruccia e si perdono nei meandri caotici di jeans e magliette scucite ripiegate malamente una sopra l'altra. Sono quelle cose che "ops magicamente adesso mi stanno a pennello perché devono avercelo di vizio i miei geni di ricombinarsi quando si spaventano a morte" e allora ti stanno meglio perché non sei semplicemente più la persona che prima si guardava allo specchio. Tipo le modelle sui siti di abbigliamento: che a loro sta tutto bene e a te ovviamente no, perché tu sei semplicemente tu, ed io invece sono una ragazza fortunata che ha questa magica dote che ancora non ha idea di come si controlli efficacemente.
    Vabbè, nella sostanza ho pensato anche a Lucian quando l'ho trovato perché a ste cose ci si pensa e basta e sono come un piccolo vermiciattolo nel cervello che poi ti fanno ricordare che sono passati diversi mesi da che non sei rimasta da sola e vicina alla stessa persona, e riprendere gli spazi di quella complicità è come riprendere a muovere degli arti informicolati da crampi che li hanno tenuti fermi nella stessa posizione per tanto tempo. E credo di ritrovarmi anche un po' così: a ricordare come è che si fa, con me stessa, con Lucian, col fatto che era tanto che non lo guardavo negli occhi da così vicino e, Dio
    Mi stringo al suo fianco, guancia contro guancia. Il braccio e la mano che regge la sigaretta quasi finita che gli scorrono con cautela dietro le spalle per appendersi al suo collo e appena avvolgerlo, per riallungarmi il mozzicone ardente alle labbra, prendere un tiro e poi appenderlo alle sue mentre volto il capo per espirare lontano il fumo.
    Credo che potrei anche farmi bastare solo questo per stasera. Penso che se mi guardasse e mi dicesse di tornare a casa adesso a scopare andrei dritta al parcheggio senza guardarmi indietro.
    Beh ma sento che dietro tutto questo alla fine c'è soltanto il fatto che mi sia mancato. Che le cose cambiano quando si dice "ti amo" ad una persona, qualcosa ti si accende dentro. E sono contenta che una fiammella sia rimasta accesa in tutto quel tempo che siamo stati divisi ed arrabbiati. Sono contenta di non aver saputo lasciar perdere. Che quel saper tutto perduto credo sia stata una delle cose che mi ha fatto più male. Quindi è consolante essere così adesso. Lo è davvero.
    Però mi preoccupo sempre, eh, Lucian. Devi sapere che mi preoccupo sempre per te. Non posso farne davvero a meno.
    Poi mi ricordo che esiste il mondo qua fuori e la musica. Già la musica.
    Buonanotte, Vivianne. Ho dimenticato persino come si sta alle feste e in mezzo a tanta gente. Credo di sentirmi come un ciottolo di fiume fermo in mezzo alla corrente.
    Alzo appena lo sguardo verso di lui, scontrandomi con il naso sul suo zigomo, prima di sciogliere quella stretta e riprendere le distanze. E mentre lo dice mi torna in mente quella sera terribile. Me la ricordo perfettamente, in ogni singola parola, in ogni singolo gesto o postura.
    "C'è una collega che è come me"
    Probabilmente le sappiamo entrambi le cose a cui stiamo pensando, quelle che non hanno nome, che fingo di non capire solo perché conviene così, solo perché serve che sia così e adesso ho motivo di crederlo, per quanto non possa fare a meno di pensare che tutto ciò sia orribile. A darmi più "pensiero", anche se non è una vera preoccupazione, è il fatto che faccia parte di quello stesso ambiente, che sia dall'altra parte del vetro, forse persino che sappia tutte quelle cose che dalla bocca di Lucian con me non escono. Forse è che per un istante qualcosa punge dentro e mi fa sentire, come molte volte in passato, dall'altra parte di qualcosa. Da sola, a guardare.
    «Sì… Sì, certo!»
    No, non credo neanche mi faccia paura l'idea di dover fronteggiare un wendigo, un altro. Non mi fa paura l'idea di trovarmi in mezzo a ben due creature, a due "bestie" potenzialmente letali, anche se… beh… in realtà è così. Ma no, non è questo. Voglio dire, nei fatti: con uno dei due ci ho condiviso più di una volta un letto senza pormi problemi, per non parlare di tutto il sangue che gli ho quasi letteralmente vomitato nella sua macchina senza che riuscisse neanche in quel caso a torcermi un capello. Questa è solo una proiezione, una considerazione estemporanea di una realtà che così appare solo parziale, solo relativa. No, siamo decisamente oltre questa cosa, per quanto ancora possa farmi così facilmente farmi dare di incosciente e folle esattamente per questi motivi. E forse è vero che sono testarda, ma per me ha tutto perfettamente senso, riesce tutto a incastrarsi nel modo giusto, che non è il più semplice, affatto, ma è il mio. Forse è vero che noi Dixon una vita normale non riusciremo mai ad avercela. Forse è nei nostri geni questo volerci per forza incasinare con le cose più difficili. Forse fa parte di noi ignorare leggi morali e civiche, contaminarci, farci arbitri illegali, e pure la mia è stata una trasgressione. Lo è stato fin dall'inizio, tanto è che, se ci penso, non capisco come è che abbia avuto così tante volte il coraggio di considerarmi così corretta.
    In fin dei conti se ci penso però sono contenta. Se penso a quella notte di fine gennaio sono contenta che Lucian voglia non escludermi da questa cosa, non voglia tenermene completamente lontano. Sono contenta di rendermi conto come le cose siano cambiate, si siano aperte, che non sono state solamente promesse vane, parola al vento.
    Sì, lo sono davvero. Devo cambiare prospettiva.
    Devo ammettere anche questo stasera: che io in quei mesi ci ho pensato anche a quella "collega come me", l'ho fatto proprio da brava psicopatica gelosa, credo, che si deve aggrappare persino all'aria per torturarsi nella propria spirale autodistruttiva. Senza neanche avere idea di come potesse essere fatta, senza neanche avere idea di chi potesse essere, e questo fortunatamente mi ha permesso di renderlo un pensiero solamente passeggero, cucito insieme a tanti altri fili sul solito arazzo del "ci sono troppe cose che ci distinguono, che sono inconciliabili tra me e te".
    E penso che se l'avessi conosciuta o vista prima avrei avuto ragione di temere un po' di più questa figura fatta solamente di aria nella mia testa.
    Evviva la sincerità personale stasera insomma.
    Le rivolgo un sorriso e le tendo la mano libera.
    «Ciao»
    È incinta. Si nota da come il ventre gli preme sulla maglia, penso di esserne proprio sicura.
    La guardo e lo capisco subito che… beh insomma, so come è che ci si può sentire a fare il terzo incomodo, ed è una sensazione proprio spiacevole, fastidiosissima, che proprio non mi va di perpetrare agli altri. Ma chiederle se vuole unirsi a bere qualcosa non mi sembra molto fattibile.
    «Sono Vivianne»
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    metamorphomagus
    brooklyn accent
    23 y.o.
    Vivianne C. Dixon;
    ...
    i don't know where the rest go
    but everybody's been telling me no
     
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    Ray e Caiden

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    CHRISANTHEMUM SINISTER – MORDIN - MAGO NERO – ASPERGER - P. SPIRITICO - TANATOESTETA - TANATOPRATTORE - ASSASSINO - DRAGQUEEN - BISESSUALE
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    26.
    Chrys non era maligno. Chi lo conosceva non avrebbe mai potuto parlar di lui in quel modo, eppure il suo cuore era così piccolo da ospitare solo e soltanto una cosa per volta. Per questo si limitò ad offrirgli una sigaretta ma non si sedette: Perché farlo gli avrebbe richiesto un approccio che per quel momento non si era affatto preparato. E di improvvisare non ne era affatto capace, non in quell'esatto periodo della sua vita. Così si si era limitato a mantener alto un sorriso che potesse sembrare quantomeno di gradimento: Un po' come gli aveva insegnato a fare sua madre quando capitavano quelle cene importanti. Un po' come doveva aver provato dinanzi allo specchio tirandosi su gli angoli delle labbra con i pollici opponibili.
    Indossò quella maschera che di solito viene accettata di buona lega in contesti sociali del genere e nel farlo, sentì di essere sporco.
    ''Beh sì.'' Si limitò a rispondere in prima battuta, gettando un'occhiata che potesse sorvolare la folla di testoline galleggianti e raggiungere, senza alcuna fatica, il palco in quel momento vuoto. Ascoltò ciò che ebbe da dire su Josh e questo lo portò a mutare nell'espressione del proprio viso: Si sentì fiero. Orgoglioso, seppur indirettamente, per ciò che Josh era stato in grado di suscitare in Ray. Per lui sentirlo cantare equivaleva a stimolare sensazioni diverse eppure si sentì di non contraddire il ragazzo. Non poteva tradire la promessa che si erano fatti: Avrebbe voluto dirgli che quello era uno dei motivi per i quali gli aveva chiesto di sposarlo, eppure si trattenne. Nascose il ghigno nell'ennesima boccata di sigaretta per poi tornare a cercare gli occhi di Ray tra le assi della panchina. Che lui non lo guardava e questa assenza di attenzioni lo rattristò seppur per un breve istante. ''Non lo so come mi sento, sinceramente...'' Ma si sforzò comunque di rifletterci su. Come se da quella risposta potesse dipendere un minuto in più da spendere in compagnia di Ray. Che aveva accantonato, sostituito bruscamente con la figura di Josh. ''Quando canta dico. So solo che mi piace.'' E che tutta la frase assunse un certo grado di colpevolezza. Che a piacergli non era il suo modo di cantare, ma tutto un insieme di cui non aveva avuto modo di parlare con altri. Perché oltre ad Israel e Leanor nessun altro si era degnato di resistergli al fianco. Nessun altro.
    ''No...'' Ma si sentì di troncare già sul nascere un discorso che, a conti fatti, avrebbe solamente portato ad un elogio eterno su Josh ed i suoi talenti nascosti. ''Sono venuto con lui e...'' Alice ''Mia cugina.'' Poi alzò il bicchiere di birra con cannuccia come per confermare ogni cosa. ''Stavo giusto per tornare a portarglielo. Tu sei con qualcuno o vuoi...'' Unirti a noi? Se lo chiese davvero mentre si ritrovò a staccare con forza gli occhi da quella panchina solo per spostarli su una seconda voce. Che è la sua. Non lo ha cercato né sentito per così tanto tempo che la sola immagine lo spinge ad accumulare i sensi di colpa in quell'angolino del cervello in cui è solito gettarli come fossero panni sporchi. ''Cazzo.'' Gli uscì in un ringhio felice. Il corpo si sposta in sua direzione: Lo fecero la punta dei piedi puntandolo ed abbandonando Ray. Lo fece con le spalle che si curvarono in avanti e che erano lì proprio per permettere alle braccia di tirarsi su e stringerlo. Ma oltre a questo, a conti fatti, non si mosse affatto. ''Ora capisco perché ti trovo così bello.'' Ma scherzò e lo fece solo per cancellar via quella punta d'imbarazzo che gli fece vibrare la lingua contro il palato. Fu tentato nel portare un dito contro la mano del bambino, ma si trattenne. Detestava i bambini ed Alice non era ancora divenuta totalmente l'eccezione a confutare la regola. ''Come stai?...'' Gli chiese poi in un sibilo a denti stretti.
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    Gli abissi ai profondi.
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    Ryan Wilson
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    Chrys ha quell’aria trasognante di sempre. Mi fa sorridere. Non per quello che dice, non è niente di particolare. Non sapevo avesse una cugina, ma non è che sappia molte cose di lui. So che la sua casa infestata ha il suo stesso fascino un po’ eccentrico, un po’ antico. Ha ancora gli occhi di un ragazzino, sembra che crescendo il tempo abbia risparmiato quel dettaglio lasciandolo così com’era quando aveva cominciato a guardarsi intorno. Anche se adesso c’è qualcosa di diverso. Ma forse è solo distante, un dettaglio che fa male, ma in fondo non sarebbe mai potuto essere tutto come prima.
    Prendo una boccata dalla sigaretta e mi ritrovo a dover espirare in fretta per poterlo interrompere prima che m’inviti a seguirlo. Non penso sia una buona idea. E non perché non abbia voglia di parlare un po’ con lui, ma sono certo che avesse il tono di chi spera di avere un no come risposta. Quello lo afferro facilmente, capisco quando le cose si fanno complicate e non amo le cose complicate, sono troppo impegnative. Quindi gli dirò che devo tornare a casa perché domani mattina ho del lavoro da fare. Sembra una scusa credibile, almeno quel tanto che basta da togliere entrambi dall’impaccio.
    Sto per mettere in scena quell’esibizione da manuale quando sento la voce di Caiden.
    Sempre i posti più impensabili
    Ammetto che avevo qualche indizio. Però, è vero, non ci avevo pensato che l’avrei visto. Pensavo fosse ancora in giro per disinfestare qualche villetta a schiera in una periferia qualsiasi.... d'accordo non trovo il suo genere di occupazione particolarmente esaltante.
    Ha in braccio un neonato, ma Edie aveva uno di quei passeggini per gemelli, quindi anche in questo caso avevo un indizio. Dio, sono proprio un bravo investigatore.
    Prima che riesca ad avvicinarmi per salutarlo – anche perché ho una sigaretta e i bambini non devono stare vicini al fumo, quindi temporeggio per un secondo – la voce squillante di Chrys esplode poco priam che getti le braccia intorno a Caiden. Non riesco a trattenermi e rido, ora sembra proprio lui.
    Spengo la sigaretta per terra e mando giù l’ultimo sorso di birra.
    “Hey, Caiden” gli faccio un cenno mentre mi avvicino, non è molto entusiasta come saluto, ma dopo l'accoglienza spumeggiante di Chrys sarebbe stato difficile fare di meglio. E poi sì, sono un po’ imbarazzato, troppe persone con cui ho perso i contatti perché non mi sono sprecato tanto da mandargli un messaggio. Sembra la sagra dei sensi di colpa, o un viale dei ricordi organizzato da un karma parecchio stronzo.
    Ma in fondo non mi dispiace. Mi fa piacere di rivederli.
    Dimostro tutta la mia gioia con una pacca alla spalla di Caiden, assestata in modo piuttosto leggero perché ho l’ansia che gli caschi il pargolo.
    A tal proposito il piccoletto che ha in braccio è di quelli affascinanti, con occhi grandi ed enigmatici, scuri, zazzera rada che già fa pensare ai capelli folti dei Cevik.
    “Anche tu diventerai un musicista? Che dici?”, la sua espressione perplessa non mi sembra troppo convinta. Passa velocemente a guardare altrove. Non devo essergli sembrato poi molto interessante. È davvero un tipo sveglio.
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    Interazione con Alice, e poi il mondo.
    Scende e va in cerca di gente u.u

    JOSHUA ÇEVIK – brother – father – rockstar – black magician – faust
    HEAD LINER - PARK'IN FEST
    Park'in Fest
    27.
    Quello che nel backstage non mi aspetto, è Alice che mi viene in contro appena mi vede. Io non riesco a percepirla perché c'è davvero troppo in ballo. Ma lo fa, mi si getta addosso come se, non so, avessi fatto davvero qualcosa di buono per lei da quando è qui. E lo so, sono un cazzo di emotivo ma ne sbatto un po' il cazzo di chi ci sta guardando. E me la stringo contro. «Ti stai divertendo?» glielo chiedo in inglese, perché non voglio sappiano troppo di me anche i meccanismi silenti di chi, qui, tira i fili del mio successo. Perché non ci sono solo io dietro tutto questo. Alice profuma di Chrys, forse è per questo che chiudo un attimo gli occhi ed un po' maledico tutto quello che mi circonda e che mi impedisce di averlo legittimamente al mio fianco adesso. Però poi la guardo, ed è davvero come avere una parte di lui davanti a me. Il trucco, lo smalto, quel sorriso innocente che mi spezza in due il fiato. «Vous êtes très jolie.» Sei molto bella. Glielo sussurro trascinandola appena verso di me, per evitarle l'incontro con la schiena di Roger che sta cambiando il set di Caleb. L'ho detto, mi dispiace solo non alzare lo sguardo e poter vedere Chrys, anche se cazzo a questa cosa dobbiamo rimediare in fretta. Mi servirebbe solo che fosse pronto a quello che ne deriva dopo, alla gente sotto casa, alle foto per strada, ai giornali e le stronzate di cui lo caricheranno. Cazzo è troppo presto.
    Si perdono velocemente questi dieci minuti di respiri che mi prendo a forza. Manca poco, in realtà, ma cazzo se è fottutamente bello quando conoscono le mie canzoni ed allora a me basta dirigere il coro e so, so che succederà anche adesso che tra le ultime ritroveranno ciò che conoscono molto bene. Prima però aggiungo al collo di Alice un lasciapassare diverso, che un po' anche io non ci sto capendo un cazzo di chi può andare e dove, ma lei se vuole può fare quello che più desidera. «Puoi stare qui, oppure torna da Chrys.. ok?» Sottovoce glielo traduco anche in francese, e non senza lasciarle prima una carezza. Per chiunque è Alice Sinister, la cugina di Chrys. Per me è una Çevik tanto palesemente da fare male all'anima se nei suoi occhi finisco per perdermi troppo.
    Il resto delle mie fottute energia si pianta in petto ora che risalgo sul palco e cazzo se li sento che in qualche modo davvero non aspettavano altro che un mio ritorno. Dio, che sensazione tremenda. Appagante. Adrenalina che mi porterò addosso anche quando sarà finito. E sarà presto perché ora l'introduzione alle canzoni è breve fino alla fine, fino all'ultima. «OK NEW YORK!» Li richiamo tutti alzando un braccio. «Vorrei restare e sequestrarvi un'altra ora e mezza, ma poi mi arresterebbero quindi: questa è l'ultima canzone per stasera. » Faccio un pausa che è solo scena, tutto per abbassare il tono e parlare come se fossimo solo io ed ognuno di loro. «Siete stati un cazzo di pubblico fantastico» Io i complimenti non li so fare diversamente, neppure se poi la voce si abbassa di toni che mi vedranno vivere monosillabi fino a domani sera.
    E allora che "in the end" sia, e quel cazzo di inno alla morte che in fondo mi perseguita da sempre. Ed è che però li sento tutti, li sento quando sto per scendere. La vogliono di nuovo, vogliono che chiudiamo in bellezza, ancora, un cazzo di bis che non mi ha mai chiesto nessuno. Risalgo, e questa volta sono loro le fottute star. Loro che canteranno per la voce che non ho più, che finirò solo per accompagnarli con un fottuto sorriso che non riesco a togliermi.

    Dio, il primo vero concerto della mia vita e sembra tutto stonato, un incastro improbabile tra quello che sono e quello che sarei stato se solo non avessi venduto l'anima alla Corruzione. Questo è il mio "facciamo finta" più grande e me ne rendo conto mentre scivolo via dai riflettori. Una doccia, mi serve una cazzo di doccia dopo la birra che è scesa come acqua con la band. Lo so che sono un po' uno stronzo ora, ma insomma passerò due mesi e mezzo con loro quindi se adesso non gli sto incollato al culo penso possano capirmi. Ognuno qui ha qualcuno da salutare prima di caricare il bus e ritrovarsi a Dallas in un giorno e mezzo. Così mi basta questo, una cazzo di doccia nel bagno del cazzo degli spogliatoi, una canotta a caso dal guardaroba afferrata al volo insieme al chiodo in pelle.
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    IL CONCERTO DI JOSHY E' ANDATO, LA FESTA PROSEGUE CON IL DJ SET
    MA... non dopo il bis: e scusate se è poco, io sono in crush patologica. (click)
     
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    ALICE OLIVE ÇEVIK – Viaggiatrice temporale – viaggiatrice dimensionale – figlia di lilian e Joshua – orfana – batterista – non ancora scolarizzata
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    12.
    Quello non era stato il primo concerto della sua vita: C'era già stata tante volte sotto quel palco. Non lo stesso, ovviamente: Central Park non lo aveva mai visto e forse nemmeno sentito nominare, ma con la testa all'insù c'era stata spesso, soprattutto quando là sopra c'era sua madre e tutto in torno a lei si trasformava in una sontuosa sala da orchestra. Suo padre, che non perdeva mai un suo concerto, era solita tenersela seduta sulla gamba o a cavalcioni sulle spalle. Giusto per esultare per Lilian, quando poi il resto della sala se ne stava in religioso silenzio. Tant'è che rimase ad ascoltare Joshua proprio in quel modo: Lasciandosi stringere la mano da Chrys e chiedendogli solo una volta se poteva salire su di lui. Ma Chrys non aveva spalle large come Joshua e questo la portò a stargli sulle scarpe come fossero stretti in un passo di danza.
    Fu meraviglioso, ma affatto utile nell'esorcizzare quella consapevolezza che, il giorno successivo, l'avrebbe vista risvegliarsi senza ritrovarlo in casa.
    ''Je reviens tout de suite.'' Lo congedò durante la pausa correndo per le scalette del backstage. Sapeva che quel Chrys sarebbe rimasto lì ad aspettare il rientro di Josh e questo le lasciò quella sicurezza utile a scavalcare distanze affinché, tra tutta quella gente, potesse poi aggrapparsi saldamente al petto di suo padre. E quando lo intravide lo strinse così forte da sentir male alle dita. Affondò il viso nel suo collo e sorrise. Perché era felice di una felicità capace di appianare entrambi i piani esistenziali. Così felice, da essere ritornata con la mente a casa propria. A quando lui era vivo e non vi era alcuna minaccia esterna ad abbattere le mura della loro dimora. Tutto era perfetto in quella bolla di pelle e respiri. ''Mi sto divertendo.'' Ripeté ciò che Josh le disse, avendone capito a pieno il significato. Ma non ne mollò la presa, non subito almeno. ''Tu es belle.'' Lo corresse come fosse di vitale importanza farlo. ''Chrys a choisi les vêtements.'' A lei piacevano, eppure non voleva attribuirsi il coraggio di averli indossati. Sua madre non le avrebbe mai fatto portare le unghie il quel modo, non ancora almeno, anche se suo padre era sempre stato un tipo tosto. Uno rock al quale certe cose piacevano. Rimasero però abbracciato in quel modo per un tempo forse troppo lungo. Ad Alice piaceva restare ad osservare quei tatuaggi che suo padre, a differenza di questo Josh, non aveva. Le piaceva ridisegnargli con la punta dell'indice come fossero stati tirati su con l'Uni posca.
    ''Je reviens chez Chrys, à plus tard.'' A volte sembrava persino troppo matura nel modo che aveva di lasciar andare le cose. Sciolse l'abbraccio. Gli sorrise di nuovo ed in pochi piccoli balzi fu di nuovo laddove si era separata da Chrys, ma il ragazzo no, non era ancora tornato. Pensò allora che al chiosco delle bevande ci fosse troppa fila o che magari si fosse perso tra tutto quel marasma. Così si allontanò a sua volta: Tanto aveva ancora addosso il bracciale di suo padre. Avrebbe saputo come tornare da lui. Così si liberò nella folla, ma l'unica persona che gli sembrò di riconoscere, a primo impatto, fu Morgan, suo zio. Se avesse osservato bene si sarebbe accorta persino della presenza di Edie e di uno dei bambini, ma in un lampo si sentì di dover spostare l'attenzione altrove.
    ______________________________________
    1. Torno subito;
    2. Tu sei bello;
    3. Chrys ha scelto i vestiti;
    4. Torno da Chrys, ci vediamo più tardi.
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    La sagra del disagio e del ''chi me lo ha fatto fare.''
    Parla solo con Yael e Vivi e fa un cenno di bg a Ray


    N
    on credo di sapere con precisione com'è che si facciano certe cose. Se è un bene trascinare nel mezzo Vivianne o se fosse stato meglio continuare a fingere di avere una vita normale. Misera, ma comunque normale a quella di tanti altri che tirano avanti di espedienti più o meno legali. Non credo di saper gestire molto, in effetti, tanto da essermi persino dimenticato di avvisarla di un invito fatto appositamente per mantenere una promessa come quella: Non posso parlarne, ma capiscimi. Ed io di Yael non voglio dirle molto, non posso fare nemmeno quello, eppure voglio che sappia qual'è il volto associato ad un nome che potrebbe sentirmi pronunciare più del dovuto. In più Yael ora è sola e solo Dio sa quale stupido pensiero mi abbia portato a credere che sarebbe potuta, proprio in questo modo, diventare amica di Vivianne al punto da uscirci insieme a prendere un caffè. Non lo so, esattamente, a cosa cazzo ho pensato quando lasciandole quel messaggio, mi sono solo limitato a dirle che c'era un concerto a Central Park dove sarei andato con la mia ragazza. La mia ragazza. Neanche a dire che mi servisse porre dei paletti già ben posizionati a tenerci l'una distante dall'altro. Poi ho ripensato al suo stato interessante e cazzo se mi era dispiaciuto saperla passare nove interi mesi chiusa al Pendragon sotto lo sguardo indagatorio di Riley che, per quanto ne so, potrebbe persino essere qui nei paraggi a mappare la situazione. Come se io non fossi così degno della sua fiducia e Yael fosse un wendigo fatto di cristallo. Fragile, quasi prezioso. Ma io Riley non l'ho mai tradito e questo, beh, questo è solo l'unico modo che ho per lasciar intendere a Vivianne com'è che è costellata la mia vita. Che tra tutte quelle stelle che mi circondano, oltre a Dorothy, c'è anche Yael. Yael che è ancora più bambina di lei ma che, vivendo, dimostra a volte di avere superato i trent'anni.
    Credo persino di aver intravisto Ray in tutto il tempo passato a strusciarci contro come fossimo gatti in calore. E questa consapevolezza no, non fa altro che peggiorare la situazione in cui ho deciso di tuffarmi a capofitto senza tener da conto dei sé e dei ma che tale situazione avrebbe potuto creare.
    ''P-per fortuna c-che guido io, a-allora.'' Ma ho scosso l'agitazione dalle spalle e l'ho fatto rimarcando concetti stupidi, ma comunque capaci di far scivolare ulteriormente lo sguardo sulla sua figura senza dover per forza stimolare sensi di colpa dettati dalla presenza del giudizio che suo padre ha su di me e che, probabilmente, mi accompagnerà per tutta la vita. Mi chiedo ancora, nonostante tutto questo tempo passato a conoscerci nel miglior modo possibile, come sia possibile, per me, incastrarmi così perfettamente alla sua figura. Forse ogni volta lei mi smussa gli angoli. Forse è lei a darmi la forma giusta da indossare. Me la stringo contro tendendole un braccio lungo il fianco. Che ricorda tanto quella posizione che assumono i ballerini quando ballano...quelle cose classiche. Non so. ''M-ma a me la t-tua pelle d-d-d'orso piace.'' Non devo specificarlo per forza, però credo sia davvero uno dei suoi punti forti. Forse perché la rende una bestia al mio pari. Forse perché così sento di aver qualcuno a tenermi testa. ''T-ti rende p-p-più selvaggia.'' Ma scommetto che saprebbe stupirmi persino con questa veste stretta e simil trasparente che sì, magari è anche più comoda per certe cose, ma comunque troppo...spinta? Credo sia uno di quei pensieri che non riesco propriamente a togliermi dalla testa, non quando continuo a fissare lo sguardo sulle sue gambe che son le stesse. Cavolo se lo sono. Vivi avrà cambiato volto un'infinità di volte, ma il suo corpo è quello: Si allarga, si restringe, ma io continuo a riconoscerlo indistintamente.
    Mi faccio rubare un bacio che sembrano due, che sembra una limonaia intera. Che se non ci fosse nessuno forse lo faremmo davvero qui, adesso. Che se non ci fosse nessuno forse non sarei così composto. Le sorrido sulla faccia in respiri che si mischiano ormai perfettamente ai suoi. ''Senti.'' Deglutisco ''S-so che non s-sei ancora in forza p-per p-pogare, ma m-me lo concedi un ba-ba-llo?'' Ed è solo un momento prima di sentire il suo odore e così staccarmi, ma solo per rivolgermi in sua direzione.
    ''Ehy!'' Alzo una mano per salutarla e farle cenno di avvicinarsi. Non ho programmato nulla per questa sera: Avevo pensato che bastasse il concerto a tenerci impegnati e così lontani dalla sensazione di essere a disagio o di troppo. Spero basti davvero.
    ''Vivi, lei è Y-Yael.'' Vivianne si è già presentata, ma preferisco porre una premessa prima che Yael le risponda a sua volta, giusto perché non le ho accennato niente per messaggio - sono stupido - ''L-lavora con D-dorothy all'Atelier.'' L'Atelier per gli altri è una semplice boutique di lusso e sia lei che Dorothy possono essere spacciate per commesse. Così come il Pendragon è solo un club altrettanto rinomato. In comune hanno soltanto il loro proprietario, che è un uomo qualunque, che lavora nella legge e paga ogni tassa richiesta dallo Stato. Ovviamente. Il fatto che Yael sia un wendigo come me è un dettaglio aggiunto, che potrebbe spingere Vivianne a capirne meglio, ma che non può spingere me ad aggiungere altro. Non posso parlare della Famiglia: Il patto ce lo vieta. Le parole mi si incastrano ogni volta in bocca. ''Y-Yael.'' La guardo con un'espressione che forse potrebbe descriversi come preoccupata. ''V-vuoi del succo e q-qualcosa d-da m-mangiare?'' E non mi intendo agli esseri viventi che sono qui intorno ma a degli hot dog o qualsiasi altro cibo abbia della carne cotta al suo interno. Non è come mangiare un uomo, ma è comunque proteico.
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    huunter




    L
    a sigaretta si muove allo stesso ritmo delle sue parole, marcate da un tono di voce che sembra stia sorridendo come l’angolo delle sue labbra. Lei si siede su di me e io mi sistemo un po’ meglio per non diventare scomodo, più per Edie che per me.
    Lo sguardo cade sulle gambe quando le muove, si sistema, le accavalla. E io le guardo risalendo poi a Jaden, «Alan è con Den» rispondo distrattamente. Lo tiene come se dovesse proteggerlo dal mondo intero. Arrivo al volto e ancora mi trovo a fissarmi sulla cadenza con cui la sigaretta dondola, la presa leggera intorno al filtro. Sento l’impulso violento di scostarle la sigaretta dalla bocca e baciarla, invece resto fermo ad osservarla e ascoltare la sua voce e connettere movimenti a suoni come se fosse una specie di codice da tradurre.
    Mi sento un sorriso sulla faccia anche se non saprei dire da quando si è formato.
    Non è importante dopotutto.
    In questi momenti mi chiedo perché devo andarmene, perché devo salire in macchina ogni volta e andare via, quando c’è tutto questo qua. L’ho deciso io, mi dico. L’ho deciso per dei motivi che non sono stronzate e anche perché ho già assaporato la recita della famiglia perfetta e tutto il resto, e non è davvero nelle mie corde. Non del tutto, non ogni giorno per sempre. Io voglio salire su quella macchina e dimenticarmi ogni cosa, ascoltare i lamenti dell’asfalto sotto le ruote e confonderli per canti di sirene e tutto, tutto il resto.
    Sarebbe bello se fosse vero, che questa è la mia pace.
    Ma la mia pace è altrove.
    Non che non sia contento ora, lo sono, ma è un discorso molto più complicato di così. E penso che Edie lo sappia, in fondo, chi sono io davvero. Spero che l’abbia capito a questo punto, che io non sono un padre o un marito.
    «Puoi fumare l’idea di una sigaretta, te l’accendo con l’idea del fuoco», schiocco la lingua sul palato imitando il gesto dell’accendere un accendino con la mano, solo il gesto, vicino alla punta della sua sigaretta. «Perché il fumo così vicino a mio figlio non ci deve stare» faccio il severo, lo sguardo serio e tutto il resto, ma non lo sono davvero.
    Ancora sto sorridendo in quel modo incontrollato.
    Tutto ciò che mi vive intorno in questo momento non lo sento e sarà per il piccolo aiuto che ho preso, quella potenza di focalizzazione che da una mano ad incanalare l’attenzione in un’unica via. Potrebbe essere, l’ho presa proprio per questo. Non importa, me la godo così, nell’unico modo in cui la volevo godere.
    Immobilizzo la mano vicino alla sigaretta per qualche secondo, come se davvero la stessi accendendo, e poi la scosto facendola scivolare al lato, sulla sua gamba vicino al ginocchio. «Ti assicuro che se ti impegni abbastanza avrai lo stesso effetto di dipendenza socialmente accettata».
    In verità a queste stronzate un po’ ci credo davvero, ma sono discorsi che potrebbe fare Caiden fatto di peyote e quindi lasciamo stare.
    Penso a tutt’altro, guardando Jaden penso a «Come farò adesso senza di voi», lo dico ad alta voce senza nemmeno accorgermene, non immediatamente. Ascolto di cos’è fatta la pelle di Edie sotto la mano che sale, scivolando al di sotto del vestito per raggiungere la coscia dal lato più libero vista la posizione. Le prendo il mento tra pollice e indice, premuti ai lati, uno a destra e uno a sinistra e mi avvicino quanto più possibile, parlando a voce più bassa. Più serio, come se anche la domanda lo fosse, «Non dirai a nessuno queste cose mentre non sono in città, vero?».

     
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    E... ciao Riley

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    Sai percepire ogni odore in un raggio tanto ampio da darti la nausea anche ora. Il sudore di un uomo esaltato qualche metro ad ovest, puzza di rancido e di quell’emozione che sa dare l’adrenalina scatenata ad oltranza. Ha una leggera aritmia, non dovrebbe andare allo stand del fritto. C’è qualche altra donna gravida in raggi diversi, più lontano oltre la massa in cui ti sei infilata per trovare Lucian. E poi ci sono proprio loro due, che dovrebbero scopare. Lo senti nei tendini come il punto più critico non sia osservare Vivianne e renderti conto di quanto sia umana, o puntare su Lucian l’accenno di un sorriso di circostanza. No, la parte difficile è rendersi conto che non dovresti essere lì. Certo ti ha chiamato lui, ma il tempo che hai impiegato a deciderti a muoversi è stato in ogni caso intrattenuto in altro. Sono ormoni che consoci, a lento rilascio ma che da wendigo a wendigo restano… palesi. Per questo forse lo sguardo su Lucian - che nel frattempo vi ha presentare - si fa indagine ad occhi aperti. Dura poco, abbastanza per convincerti che può pure non dirlo, ma sei di troppo Yael. Lo sei al punto che stringi le labbra nell’espressione che hai quando stai già pensando a qualcos’altro. Qualcosa che ti tormenta. Mandi giù un boccone difficile che profuma solo di ansia, la tua, e ti sforzi di fare quello che dovrebbe fare chiunque: salutare Vivianne. Ma tu non stringi la mano nessuno, perché il contatto è qualcosa che ti infastidisce se non è nel pieno delle tue volontà e toccarti è impossibile se non sei tu a permetterlo. Allora fai solo quello che riesci, non stemperi alcuna tensione, accenni un vago gesto con il capo. Lasci che Lucian dica quello che deve per adeguarti al modo in cui cela la Mafia ai suoi occhi. Lo sai già che non le ha detto nulla, non può. In compenso ti chiedi se ancora per Riley devi tenerlo d’occhio, se ti ha portata li ad uscire ed ha voluto accompagnarti anche perché fossi il suo tramite.
    Ad ogni modo, qualunque sia il motivo, hai un nodo al centro dello stomaco. «Mh? Si.. si ma ci penso io. Tranquillo.» lo dici distrattamente, che in fondo neanche le circostanze sai mantenere e tenti solo di non farti guardare da Lucian troppo a lungo, nè gli permetti di notare il briciolo di tristezza che si impossessa dei tuoi occhi: hai già preso una decisione. E non è fame, non è sete, nemmeno rabbia. È che ti chiedi se avresti mai potuto viverla anche tu una vita così, umana, e quanto male ti ci saresti incastrata dentro. Forse perché vuoi Riley così tanto che anche ora ti piacerebbe si presentasse alle tue spalle e ti portasse via, che non sei a tuo agio. Non ti premuri di dire altro, no, fai slalom tra le figure che a malapena ti notano ed è l’unico punto positivo mentre ti spingi tra gli stand e ti fermi davanti ad uno in particolare. Non sei sicura di cosa stai ordinando, ma sei sicura che non ripercorri i tuoi passi al contrario, dopo. Afferri il bicchiere in cartone dal contenuto gelido, e ti sposti più lontano dietro una fila di biciclette abbandonate. Vorresti andare lì, dove l’auto nera ti aspettava molto più tardi e solo appoggiarti al fronte, incrociare le braccia e respirare nel posto più sicuro che conosci. Soprattuto quando la mano scende lungo il ventre.
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    Ray e Chrys <3



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    Se non fosse che è tutto diverso, potrei quasi crogiolarmi in una specie di déjà vu, anche se qualcosa del genere non è mai tecnicamente successo. Una specie di viaggio in un lungo viale dei ricordi. Ma appunto, no, non è questo il caso. Sistemo meglio Alan sulla spalla, e penso che se fossi una persona diversa magari mi sarei risparmiato di piombare qui così, di botta, e avrei aspettato, che ne so, di avere un segno ancestrale che mi dicesse senza dubbio alcuno che era okay un terzo incomodo. Ma come ho già detto, mai stato uno che si fa di questi problemi. Invece, rivolgo un bel sorriso a tutti e due, prima di spostare un po’ la testa, piegando il mento verso il collo, per dare uno sguardo al bambino. Così, giusto per seguire la frase di Ray e non soffermarmi troppo su tante altre cose. Tipo, quanto cazzo è strana la vita, che un anno fa a stento sapevo che si conoscevano, e poi salta fuori addirittura che Chrys e Josh, beh. Direi che non sono uno a cui piace andar giù di reminiscenze ma direi una cazzata, è solo che quelle che mi piacciono sono altre, quelle belle toste che in realtà sono esattamente ciò a cui cerco di non pensare tipo mai, e che invece mi si sono inchiodate da anni nel cervello. Ma sì, resta una situazione alquanto strana, questa. Anche perché non ho visto nessuno dei due per un bel po’, e penso che solo Ray è uno di quelli che invece, ho visto anche dopo tutta la storia del Sangue. Sì, era l’inizio, ma avevo giù dimostrato quanto poco ci volesse a perdere la testa in quella situazione. Penso distrattamente al fatto che sotto la maglietta, ho ancora il ciondolo che mi ha regalato quella volta. «Bene» lo dico dando la mia attenzione a Chrys, anche se è la classica cazzata di fabbrica Crain. Non stiamo mai bene, credo, ma l’importante è sembrare che sia così, almeno in certi contesti. Immagino che questa sia una cosa per cui dobbiamo ringraziare nostro padre, ma anche questo è un discorso inutile. Adesso, invece, cerco di far finta che non ci sia un palese imbarazzo nell’aria, e che probabilmente è dovuto a qualsiasi cosa si stessero dicendo prima del mio arrivo. Che comunque, mica sono cazzi miei. Chi pensa ai fatti suoi, campa cent’anni, così dicono. E a me piace così tanto farmeli, i cazzi miei. «Mi sono goduto una piacevole estate a scrocco, quindi tutto sommato non posso lamentarmi» non fosse che è una balla colossale, ci crederei anche io ad essere onesto. Ma sono solo chiacchiere di circostanza, e di certo non è questa la sede per dire che probabilmente, sto uscendo di testa per motivi del tutto naturali e legati a mille astinenze, e oh sì dei leggeri problemi Divini ma niente di ché. Ordinaria amministrazione. Il che è tristemente vero. Del tipo, crudele ironia. Mi sposto un po’, solo per poter guardare anche Ray, cosa che comunque richiede girarmi un po’ per via di Alan. «Posso dirti che per adesso, suona benissimo le sue corde vocali, anche un po’ troppo, ma si vede che è tutto impegno per arrivare da qualche parte» sì è una battuta del cazzo ma l’ho detto, sono arrugginito in queste cose. E sfido a non esserlo al posto mio. Non è che abbia avuto molto modo di fare social-life. Penso che sia un po’ quello che capita quando, appunto, si perde del tutto la capoccia, ma male proprio. «Vi direi di prenderci una birra ma ho un po’ rivisto la mia dieta, quindi al massimo posso permettermi una pepsi con ghiaccio, il che devo dire si addice al mio fascino da ragazzino per le MILF»
     
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    Non si dissero niente. Dopo mesi passati a rincorsi quello fu il minimo che potessero concedersi. Chrys lo aveva invitato con lui ed Alice perché rattristato nel vederlo così: Come fosse uno straccio sgualcito abbandonato su di una panchina di un grande parco. Avrebbe voluto guardarlo un altro po', come per esser certo che bastasse lo sguardo ad assicurarsi che stesse ancora bene e non sempre più sul ciglio di un baratro così profondo dove, se avesse poi dovuto, Chrys non si sarebbe mai tuffato. Ma questo non ebbe risposta. Ci furono un'infinità di domande ed affermazioni che il ragazzo avrebbe voluto fargli, restando sempre lì, ad un palmo di distanza, eppure non ne pronunciò alcuna. Non gli sembrò il caso, forse, né si sentì in dovere di provare a salvare qualcuno non sapendolo fare. Chrys non avrebbe più saputo come tenergli la mano, né come lasciarsi andare al suo fianco, seduto su quella stessa panchina ad ascoltarlo vaneggiare come al suo solito. Si sentì triste per questo, ma di una tristezza che trascende il sesso, l'amore o qualsiasi altro sentimento positivo l'uomo avrebbe potuto nutrire nei confronti di un suo simile.
    E Caiden fu una salvezza, un senso di colpa trasfigurato in un sorriso che andò poi a colorargli il volto magro donandogli quella dolcezza in più che sì, aveva riservato anche a Ray, ma che lui non doveva aver colto a pieno. Non c'era più quell'intesa, non c'era più nulla che potesse in qualche modo richiamare quel passato così recente. Fu come svegliarsi da uno strano sogno. Intenso, sì, ma molto strano.
    Avrebbe avuto persino trattenere a sé il coraggio di mostrare a Caiden quanto fosse dispiaciuto per come fossero andate le cose: Per quei silenzi che lo avevano portato a non interessarsi mai alla sua condizione e quella distanza, che lo aveva visto ritrarsi presso i suoi alloggi.
    Chrys sapeva di essere tremendamente egoista, eppure non fece nulla per migliorare. Non vi riuscì con Marigold, non lo fece con Ray e questo lo portò ad essere coerente persino con Caiden. Che con lui era stato buono, ma non abbastanza da permettergli di lasciarsi andare. La chiamavano, probabilmente, La Teoria del Porcospino.
    ''Non conosco milf presenti nei paraggi, ma so che c'è una bambina che vorrebbe parlare con te di Dragon Ball.'' E ripensare a quei pomeriggi passati a vedere Dragon Ball in francese un po' lo fece rabbrividire. Che lui da bambino non era mai stato fermo a guardare gli anime. Credo che i suoi genitori non gli avessero fatto vedere nemmeno dei film, tanto che il primo lo vide a tredici anni e fu proprio The Rocky Horror Picture Show. Fu quello a cambiare ogni cosa. A fargli accendere quelle idee che poi si sarebbe portato dietro nel corso degli anni. Morendo, si era detto, lo avrebbe fatto proprio come Frank n Furter: Accennandola in una tristissima canzone.
    ''A proposito...'' Si sentì di interrompere il discorso al suono della chitarra: Josh aveva ripreso a cantare e lui non era ancora tornato a riprendersi Alice. Che babysitter incapace. ''Devo un attimo tornare sotto al palco a prenderla. Aspettate qui?'' Ma non gli lasciò tempo di risposta che già era partito. Con la mano stretta attorno al bicchiere, saldamente, affinché la birra non gli si rovesciasse in mano ed il passo svelto, Chrys fece lo slalom tra le persone, senza però trovarla. E quello fu per lui un immediato motivo di angoscia: Perché aveva promesso a Joshua che sarebbe stato attento e non sapere dove fosse una minorenne era indice di irresponsabilità. Joshua non gliel'avrebbe mai fatta passare liscia. Non in virtù della sua partenza: Avevano forse solo tre ore per cercare di restare in piedi nel miglior modo in cui sapevano farlo. ''Alice!?'' La chiamò senza dar troppo l'idea di essere in allarme. Iniziò a guardarsi attorno con la foga di chi non sa premeditare niente né riflettere sul miglior modo di approcciarsi a situazione come quelle. Salì persino nel backstage, ma di lei non c'era traccia.
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    Sempre Lucian e poi *panik* corre dietro a Yael signora i limoni signoraaaaaaa Riley si sposti

    c
    redo di iniziare a stare meglio, sì credo di potermi convincere di ciò. Ed è perché forse i nervi si stanno sciogliendo al punto di farmi sentire le gambe indolenzite e ancora doloranti dalle ginocchia in giù. Che son quel tipo di dolori che rendono così palese il tuo stato di tensione fino a quell'istante. Sono nervi un po' traditori, perché mi fanno pensare che ora una panchina ci vorrebbe ma che non mi va però di rimanere inchiodata ad un punto per richiudermi in una bolla dove le paranoie facilmente riescono a rientrare. Penso che la miglior cura per le ansie più incontrollate a volte sia questa: spostare il cervello altrove, cambiare frequenza di pensiero e smettere di guardare verso sempre la solita faglia nella quale la testa con troppa facilità riesce a scivolare. Bisognerebbe intrattenersi con altro, anche se non è una vera soluzione permanente, è solamente un modo per sopravvivere temporaneamente prima di tornare nella tana sicura. Ed io credo di sentirmi un po' così ultimamente, un po' impaurita per troppe cose, soprattutto per quelle che incutono meno paura. Forse è perché ormai non mi fido più di ciò che appare più evidente. Forse sono semplicemente diventata eccessivamente diffidente con le cose che non posso controllare nel dettaglio, per le cose di cui non posso programmare perfettamente l'andatura. E anche se lo faccio, anche se riesco a immaginarlo perfettamente, a mettermi più paura credo siano le variabili, ciò che è lì pronto a rovesciarmi addosso tutto il tavolo con le mie carte appena disposte.
    C'è che non c'è niente da temere, adesso non ce ne è davvero, va tutto così bene da farmi diffidare anche di questo, da farmi pensare che sia troppo, che, anche se non nasconde nessuna minaccia, non sia comunque io capace di stingerlo tra le dita.
    Non ne sono capace, stringo le braccia di Lucian con questa consapevolezza in fondo: che potrei fare di più, che vorrei aprirle di più ma questo è il mio massimo perché a gravarmi addosso è tutto il resto.
    È un resto irrazionale, a cui non vorrei pensare, non stasera. E se non riesco ad essere felice allora almeno vorrei arrendermi e basta. Voglio essere felicemente instupidita dalla musica rock e da una birra che scivola giù, sorso dopo sorso, con un'amara dolcezza.
    Ecco come vorrei essere adesso, amaramente dolce.
    «Addirittura» anche se non credo di avere veramente qualcosa di selvaggio. Forse solo nel modo brutale che ho di imporre regole implicite agli altri e a me stessa. Di voler far funzionare le cose come in un branco: puoi scalare le rocce che vuoi, ma non puoi lasciare il mio perimetro. Sono un orso nel fare mie le cose solamente con passi pesanti, con una mole che occupa spazio ma non minaccia, non incute timore naturalmente. Quindi no, non sono un orso perché ho chissà quale indole selvaggia, ma perché ho dei piedi pesanti quando passo nelle vite degli altri, e per stasera ho provato invece ad essere leggera come un palloncino che infatti però è finito a farsi soffiare via dai pensieri.
    Un ballo
    Non faccio neanche a tempo a rispondergli. Lo guardo solo sorpresa e rido.
    Ci penso: credo di essere tornata indietro di un paio d'anni, a quella festa di Halloween dove ho scoperto come le cose succedono a volte con la massima banalità. Con una stretta di mano e un leggero imbarazzo stampato con una curva sulle labbra che finisce poi per aprire all'imprevedibile.
    Anche se la mano non me la stringe. E rimango così, sospesa in un gesto che rimane a metà e che all'improvviso diventa pesante tutto insieme.
    Non credo sia perché tutto d'un tratto scopro di non piacerle. Voglio dire, cazzo… nemmeno l'ho mai vista prima. Credo che se deve avercela con qualcuno ce l'ha con entrambi. Ma no, non credo proprio sia questo. Credo, e penso di avvertirlo quasi naturalmente, sia per il fatto che siamo in tre e per la prima volta non sono io ad essere la ruota di scorta, il terzo incomodo, l'intruso, insomma quello che è. E non mi piace come sensazione, anche se ho lasciato subito il fianco di Lucian quando si è presentata con quel mezzo saluto, proprio per questo motivo. Perché non mi piace che sia così, ed io non mi sento neanche così disperata da dover rimanere attaccata a lui come una ragazzina che deve proteggere con i propri ormoni impazziti qualche cosa. Vorrei solo comportarmi come una persona normale, giusta per tutti quanti.
    Per questo quando si allontana mi volto di nuovo a guardare Lucian con uno sguardo che, non lo so, forse vuol chiedergli "la seguiamo?". Voglio dire, è una ragazza che a vederla avrà forse la mia età, ed è incinta. Non sarebbe neanche corretto rimanere qui a far finta di niente, no?
    «Vado a vedere se è ok»
    Non lo so, forse anche proprio perché è incinta e allora qualcosa automaticamente mi scatta per cui, anche se non la conosco minimamente, non mi va di saperla da sola. Ripeto: anche se non la conosco abbastanza, quindi potrebbe pure voler dire essere mandata malamente a fanculo, ma non importa. È una cosa di principio. Meritatamente e immeritatamente chissà quante volte sono stata mandata a fanculo. Una volta in più non mi cambia. C'è anche che non mi va di dare questa immagine di me, neanche a me stessa. Non mi va di essere quella che se ne frega, perché non è così, non me ne frego mai di niente io, a volte persino diventando eccessiva.
    Percorro qualche passo, alzandomi sulla punta dei piedi per cercare il suo capo dalla prospettiva aperta su uno dei tanti stand. Però le vedo le spalle e come non stia tornando quindi indietro.
    Mi volto e faccio cenno a Lucian, «Torno subito» gli dico aspettando un suo cenno di affermazione.
    E poi non è difficilissimo capire dove è andata, non se fisso lo sguardo sulla sua nuca e il suo profilo e mi sforzo di non mollarlo per il breve tratto di sentiero che si snoda tra la gente e la vede poi fermarsi in un posto decisamente più quieto e solitario, dove almeno non bisogna sforzarsi di parlare a voce alta.
    «Tutto ok?»
    E poi appunto la gente, la mezza calca, la gravidanza, le nausee, potrebbe pure non sentirsi così bene. E se poi sviene? Ma che ne so io come cazzo funziona una wendigo incinta. Da donna a donna penso bisognerebbe un po' capirsi per prime in ogni caso. Nonostante le razze dovremmo avere tutti un po' di empatia.
    «Non l'ho mai bevuta quella roba, ma è tipo partita una vera moda tra i ragazzetti» commento, molto probabilmente in maniera inutile visto che come approccio fa schifo, tirandomi su a sedere su una delle ringhiere alle quali sono allucchettate diverse delle biciclette.
    Ed è con questo che intendo "essere un orso".
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    ...
    i don't know where the rest go
    but everybody's been telling me no
     
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    Chrys mortacci tua, una cosa dovevi fare. UNA. <3

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    Non so come cazzo faccia Alice a farmi sentire così "giusto" quando di fatto non lo sono. Non sono quel padre con cui è cresciuta, né saprò mai esserlo come magari vorrebbe. O come avrebbe bisogno. Sono in effetti il più sbagliato di tutti, eppure lei mi accetta. Mi stringe nell'accontentarsi di me come quello che può ancora darle qualcosa, non farla sentire sola. E cazzo ogni volta è una scarica di adrenalina ed intenzioni che corrono ovunque io abbia un pensiero attivo. E penso a lei, a come farò di tutto perché si sente a casa con me. Con noi. Sì, noi perché Chrys è parte dell'equazione, non esistiamo senza. L'ho deciso quando avrei potuto frenarlo su quel tetto ed ho invece affondando le mani nell'idea di sposarlo, che sia mio ed in modo tanto evidente che nessun altro ci possa mettere le mani sopra. Giuro che saprò difenderli e che non dovrei pensarci con l'acqua che ancora mi scorre addosso. Queste sono un po' docce del cazzo, messe in piedi giusto a miracolo, ma la magia arriva dove il resto arranca, asciugando e sistemando.
    Ho poche cose ancora da fare stasera, prima di salire sul quel cazzo di bus e sentirmi tanto lontano da chiunque quanto vicino alla seconda cosa che più ho voluto in vita. Poche, ma voglio farle bene. Devo salutarli e per primo, in realtà ,vorrei Chrys. Voglio sapere che ne pensa di quella canzone che gli ho dedicato prima ancora che lo sapesse. Forse ne ha bisogno anche il mio ego, che dei gesti romantici non so farmene un cazzo se poi non hanno effetto. Lo cerco per poco, troppo poco.
    Ce lo siamo detti che per lui, in primis, era presto farsi vedere con me nei modi che rimangono inequivocabili se poi mi vengono fatte domande a cui non posso rispondere. E non è per dichiarare che cazzo di fazione sia la mia, ma perché lo perseguiterebbero e non esiste che accada senza che ci sia io. Non lo aspettavo qui.
    Davanti a me, nel backstage, anche se lo raggiungo alle spalle e devo violentare i miei stessi movimenti per non allungare braccia che lo stringano e me lo portino vicino. Però andiamo, sarò anche un ragazzino in preda agli ormoni, ma sono altrettanto stanco e consapevole dei troppi occhi su di noi. Quelli sbagliati.
    «Ehi.. » lo so che è normale il cazzo di sorriso che ho adesso, perché si non gli nego che sono felice, un po' esaltato ed è lì con lui che voglio condividerlo cazzo. Tanto che po mi sposto abbastanza per essergli davanti. Abbasso il tono come se servisse a tenerlo tra noi. «Allora, come ti è sem-.. » sembrato. Ma no che non vado avanti a parlare, che lo conosco abbastanza da leggere nel suo sguardo qualcosa che non va. Ma cosa? E sì mi irrigidisco subito, è una cosa che d'istinto mi prende la pancia e rivolta lo stomaco, come se vestissi una pelle diversa, più tagliente.
    «Cos'hai?» Lo sento come mi raddrizzo sulle spalle, si scurisce lo sguardo, si spegne il sorriso e trattengo il fiato. Che spero sia qualcosa di risolvibile al volo così da poter rilassare i muscoli che si sono tesi immediatamente.
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    Continuo a tenere Jaden in un modo che mi permette di tenerlo sempre nell’angolo degli occhi, anche quando muovo lo sguardo per individuare Caiden in un moto che è automatico, e ritrovare lì anche Alan su cui soffermarmi appena. È una cosa di cui non so davvero fare a meno, e neanche sa importarmi provare a cambiarla. Solo qualche secondo, prima di tornare su di lui con gli occhi che restano un po’ inclinati, seguendo la posa del volto. Seguo i suoi gesti, lo faccio assecondandolo anche se un po’ scuoto la testa, e lo faccio in un modo che resta solo come un gioco, una recita di uno sbuffo che non esce mai dalle labbra, e neanche riesce a formarsi davvero negli occhi. Va tutto bene. In quel modo preciso, e particolare, e non completo, ma che è anche vero allo stesso tempo, e lo è nel correre di un secondo preciso, e stretto in quelli che lo precedono e lo seguono. C’è un momento in cui, semplicemente, mi assale qualcosa di totale. Qualcosa che mi lascia gli occhi su di lui, qualcosa che si concentra contro le dita, contro la stretta su Jaden che per un secondo sento più presente, più tutto. Un qualcosa che sale dal petto, come un’ondata, e se ne va ovunque per restarci, prendere possesso degli occhi che restano su di lui. Lascio andare un respiro e penso, come sempre, che ci sono mille cose che stanno succedendo anche adesso oltre il suo volto. Ci sono sempre, un po’ come piccole presenze che si sono accumulate una sopra l’altra, e hanno creato qualcosa di talmente fitto, da sembrare come una foresta di rovi. E forse ne hanno anche la stessa consistenza. Stringo appena le labbra, trattenendo ancora il filtro lì, prima di muovermi per spostarmi appena con il busto, scivolando piano dalla sua presa sul mento, solo per allungarmi e sistemare Jaden di nuovo nel carrozzino, muovendo una mano nel tragitto per tornare dritta così che possa sfilarmi la sigaretta dalle labbra e lasciarla sul tavolo, come qualcosa di già dimenticato. Gli do tutta la mia attenzione, allungando le braccia sulle sue spalle, così da premerci gli avambracci e per qualche secondo, lasciare che le mani penzolino a vuoto oltre la sua schiena. Qualche secondo appena prima di premerne una contro di lui, in una stretta che quasi l’avvolge, mentre l’altra si ferma sui capelli dietro la sua nuca e si stringe lì. Io mi faccio più vicina, con il volto, abbastanza da premere la fronte contro la sua come a chiudere tutto qui, anche se solo per un secondo, ma con ancora quel sorriso sulle labbra. Quello che sa farsi più morbido, intimo, nascosto a tutto e non a lui, mai a lui. «Dire cosa?» diventa un mormorio, anche se ancora trattenuto in quella nota che pregna le labbra, e scivola via come un soffio. È un po’ come una promessa, anche se diventa uno scherzo che si arriccia contro le labbra. In fondo penso che lo sappia che non direi mai niente di niente a nessuno, mai, e che questo piccolo spazio, che è nostro e nostro e basta, lo difenderei se anche qualcuno provasse a tirarmelo via dalle labbra. «Non so proprio di cosa parli, baby» lo soffio appena, anche questo in quello stesso modo che anche nella leggerezza, non perde mai davvero la sua serietà. Credo che in fondo, non ci sia mai un momento in cui smetto di esserlo quando si tratta di lui, e di quelle piccole cose che piccole non lo sono. Come se ci stessi attenta, naturalmente, e prestassi ogni tipo di dedizione ad ogni più minuziosa sfumatura. Sfioro le sue labbra con le mie, ma solo in un gesto che mi porta a strusciare un po’ tutto il volto contro il suo, prima di tornare appena più lontana senza lasciarlo mai. Lo sapevo che sarebbe andato di nuovo ovunque, prima o poi. Questa è una cosa che ho sempre saputo, e per quanto possa avere di quelle paure vecchie, e alcune nuove, è una cosa che ho sempre e solo saputo accettare perché è qualcosa che è parte di lui, ed è lui, semplicemente. «Ma lo sai che non è “senza”, no? Non cercare di farmi essere sdolcinatamente romantica adesso, su» continua a valere sempre tutto quello che gli ho detto. E poi, ne sono convinta. Non mi fa paura la distanza, quella no. Mi fa paura, al massimo, il rischio, e mi fa paura sapere che esistono di quei momenti, per lui, che sono bassi, e cadono a terra come cocci di un vaso già in frantumi. Questo, ma non per me, non per noi. Per lui. È sempre così, e un po’ non posso farne a meno. Ma resto qui, vicina, a premere un sorriso che resta ostinato negli angoli delle labbra, nonostante tutto. Mi sono chiesta davvero se avrei dovuto chiedergli di restare. L’ho fatto, per forza, in quei moti che a volte arrivano, e si chiedono com’è che debba funzionare una cosa o l’altra. Ma sono moti che non hanno senso, perché a me quelle cose non importano. M’importa, invece, come funzioniamo noi, e niente di più. «Siamo ad una chiamata di distanza» lo dico in un modo un po’ più serio, forse perché so che se dovessi chiamarlo e chiedergli di venire, lo farebbe, e allo stesso modo so che se fosse lui a farlo, andrei. In un battito di ciglia.
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    Slater
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    Raramente si mescolava nella folla. Per una cauta diffidenza, o una genuina riluttanza nel trovarsi tanto esposto. Le persone normali, quelle che si accalcavano innocentemente sotto il palco, erano la maggioranza su quel pianeta, come su molti altri e in tante altre dimensioni eppure erano così inconsapevoli.
    Poi le luci del palco si accesero. Faust era insolitamente diverso. Aveva come una maschera, quella di un’altra persona. Si divertiva, l’avrebbe lasciato divertirsi, ma in fondo non per questo l’avrebbe lasciato libero. Quando si congedò dal palco Slater si allontanò dalla calca, trovò riparo nell’ombra. Aspettava la bambina. Era comparsa improvvisamente. L’aveva notata mentre studiava il nuovo ragazzo di Faust, ma non era la prima volta che la vedeva. Era successo non molto tempo prima, quando aveva spiato una casa del tutto diversa, di una persona che Faust non sarebbe mai stato.
    La vide emergere dal backstage, era assorta e spensierata, si guardava con occhi grandi da cerbiatta come la madre. Sfiorò la sua mente con estrema cautela e delicatezza, saggiò senza interferire, come uno che posasse la mano su una lustra superficie metallica lasciando un’impronta appannata, fuggevole, ma sufficiente. Un semplice impulso, camminare lontano dalla folla, in un posto appartato, dietro i baracchini. L’attrasse verso di sé. Non appena la vide fare capolino, le sorrise, “ciao, piccola”. S’inginocchiò alla sua altezza per poterla guardare negli occhi, “hai perso la tua mamma?”.
    ----------------------------------

    Nome: ipnosipedia frĕquentans
    Requisiti: 28 II lezione II anno
    Tipologia: influenzamento psichico - azione modificabile
    Descrizione: il mago può indurre un bersaglio a pensare ripetutamente a un’azione o a un pensiero finché non diventi quasi un'ossessione. Qualsiasi cosa venga ripetuta viene fissata meglio in memoria, attira più attenzione e concentrazione, al contrario tutto il resto diventa via via meno importante. È necessario vedere il bersaglio.
    Formula: ipnosipedia frĕquentans
    Durata: 3 turni

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    Edited by Moonage - 23/9/2021, 14:16
     
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    Morgan, sei sempre nei suoi pensieri, ma ormai va da Slater.

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    ALICE OLIVE ÇEVIK – Viaggiatrice temporale – viaggiatrice dimensionale – figlia di lilian e Joshua – orfana – batterista – non ancora scolarizzata
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    Alice non era mai stata una di quelle bambine che con l'arrivo dell'adolescenza avrebbero indistintamente e senza alcuna pietà iniziato a dar rogne ai propri genitori. Alice era sostanzialmente buona, uno di quegli angeli di cui solitamente le mamme tendono a vantarsi con le amiche. Ma aveva ripreso da suo padre e nonostante lui fosse un uomo potente e posato, scoprirono ben presto di condividere assieme la curiosità. Erano esseri curiosi lei e Josh, a differenza di Lilian che aveva sempre costruito un proprio posto laddove aveva ispezionato il territorio e scoperto di poterci vivere decentemente. E questo li aveva sempre spinti ad uscire un po' da quegli schemi che la società o regole molto più piccole, avevano tirato su per loro. Per questo smise immediatamente di cercare Chrys ed abbandonò nel medesimo istante il desiderio di andare a salutare i piccoli Crain e la loro famiglia: Perché vi era un bisogno più urgente a sciogliere i muscoli delle sue gambe e a spingerla laddove la folla si sperdeva. Perché non vi era nulla oltre agli stand se non tutto il resto del grande parco. C'erano alberi e panchine e forse anche Chrys. Sì, si disse che doveva andare lì perché lì lo avrebbe trovato e se non era lui, allora avrebbe trovato qualcos'altro da portare a Josh.
    Ma quando voltò gli angoli e la gente le sembrò così lontana da credere che presto sarebbe caduto quel silenzio spaventoso che accompagnava ogni riposo notturno, un sussulto la fece bloccare. Sentì i brividi solleticargli la schiena.
    ''Salut monsieur...'' Comprese ciò che l'uomo le disse nella lingua di Joshua e Chrys, eppure le venne spontaneo rispondergli in francese. Come se non avesse modo di potersi soffermare su una scelta importante come quella della lingua da usare. Sentiva solo di dover essere lì ad osservare il suo interlocutore, che non aveva nulla di diverso da tutte le altre persone. Poteva benissimo essere amico di Morgan, aveva la barba come la sua. ''M-maman?'' Comprese anche quello, eppure non seppe come raccontargli che sì, forse sua mamma l'aveva persa o pure era stata lei a perderla. Perché in quel tempo ed in quell'istante vi era approdata per puro caso. Non aveva avuto coordinate da rispettare, né idee di come avesse fatto. Quindi pur volendo, sua madre non avrebbe potuto recuperarla. Per questo era con Joshua, perché lui l'avrebbe aiutata a ritornare a casa. ''Tu connais ma mère?'' E quella fu una delle tante risposte sconclusionate. Che poi non sono vere o proprie risposte, ma domande su altre domande. Perché s'era annidata la disperazione nei suoi pensieri e l'unica cosa su cui riuscì a fantasticare, in quel momento, fu proprio che quel signore l'aveva fermata perché amico di Lilian.
    ______________________________________
    1. Ciao signore;
    2. Mamma?
    3. Conosci mia madre?
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50 replies since 16/9/2021, 10:28   1276 views
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