PARK'IN FEST

[EVENTO] - 22 Settembre 2021

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    Dopo un anno e mezzo di pausa forzata, il Park'in Fest riapre i battenti per la giornata più bollente di fine estate! Festeggiate con noi l'inizio dell'Autunno. Vi aspettiamo il 22 Settembre, a Central Park, che per occasione sarà adibito a festa. Ci saranno 6 ingressi principali a cui presentarsi con il vostro biglietto (se non l'avete ancora preso, affrettatevi!) ed i cancelli si apriranno alle 17 spaccate. Vi promettiamo però che all'una vi rispediamo tutti a casa, ma per chi volesse è aperta un'area camping privata, con l'upgrade del biglietto. Come da tradizione, il Main Stage ospiterà la scoperta Rock del momento, e molti di voi avevano già indovinato chi si sarebbe presentato. DJ set, leccornie da ogni angolo d'America e bella gente, vi aspettano.
    Il suo singolo d'esordio: "No Hero", ha totalizzato quasi tre milioni di visualizzazioni in due giorni ed altrettanto simili i numeri su Spotify. E' l'ex leader della band "Morgana's", ma per tutti è Joshua Çevic, ed il No Hero Tour partirà proprio dal Main Stage del Park'in Fest 2022.
    Oltre al Main Stage e la piazzola adibita al concerto, il Park'in Fest vi propone una linga area interamente dedicata al merchandise delle band in concerto ed al mercato dell'home made per chiunque cerchi qualcosa di caratteristico da portarsi a casa come ricordo. Insieme a tante bancarelle allestite con cura, troverete piazzole accerchiate da banchetti di street food. Dai fritti, alle tapas, agli hot dog al sushi, ed alla pizza. Per non parlare di un piccolo contributo direttamente da Little Italy. E poi dolci, bevande e stramberie culinarie del mondo moderno. Potete viaggiare con il palato restando fermi nel parco che il mondo ci invidia.

    INFO POINT

    BENVENUTO AL PARK'IN FEST!!

    L'evento è aperto a tutti i PG di tutte le età e fazioni e quant altro, all'insegna del Rock e del chill.
    Il concerto di Joshua inizierà a breve - stay tuned - e sono circa le 21.

    Tra i luoghi del Festival, saranno a disposizione anche gli Stand dei negozi che si trovano in giro per il forum, oltre alla classica trafila di bancarelle di chincaglieria no-mag e cibo da tutto il mondo.

    Reference, QUI

    NB: Il topic rimarrà aperto fino al 6 Ottobre.
     
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    AVVISO!!!



    Durante l'Evento tutti gli oggetti acquistati agli Stand (Negozi) avranno uno sconto del 50% - come se, insomma, fosse un acquisto con la role.
    NOTA: ovviamente non valgono negozi/prodotti illegali

    I Negozi "aderenti" sono:
    - Mojo Moco
    - Il Fabbricante di Maschere (sezione legale)
    - Magic Ink Tattoo

    C'è anche il Wolf Wool, che non ha davvero un listino ma di background ha il suo stand e vende animali e prodotti per animali, pace e amore
     
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    Accenni a: Chrys, Alice, Edie e tutto il mondo.
    Scaletta delle prime canzoni, in code. Cià.

    JOSHUA ÇEVIK – brother – father – rockstar – black magician – faust
    HEAD LINER - PARK'IN FEST
    Park'in Fest
    27.
    A volte penso sia come il sesso. Cazzo si. Come quei lunghissimi preliminari che ti trovi a voler tirare per le lunghe, ma poi il momento arriva e ti auguri un fottuto orgasmo che duri una vita. Il mio orgasmo oggi sono migliaia di persone che aspettano me, la mia voce, i miei demoni che li divorino per poi vomitarli agli angoli della strada. Io ho un fottuto amante, ed è sempre stato con me. Lì, davanti, pochi passi fuori dalle quinte, rappresentato da un microfono che mi aspetta. Che non abbiamo avuto vita facile io e lui, ma Cristo se tutto questo mi è mancato. Lo so nei movimenti che si fanno naturali, ancora nel backstage. Non cammino su un palco da mesi, da quando è morta Lilian ed abbiamo chiuso tutto quindi si, si cazzo se voglio far fuori ogni cosa che ci si trovi sopra, che non me ne frega davvero che piaccia a chi c'è sotto. Sono un egoista, mi importa solo di quello che provo io quassù ed è già una cazzo di forza che mi trascina. Per questo lo so anche quando finisco di truccarmi, anche quando vedo Chrys ed Alice scendere per andare nel ring più stretto, vicino al palco, so che sarà per me più che per loro. Anche se poi mi fermo un secondo con Edie. Quante volte abbiamo parlato di un momento come questo? E quanto lontano ci sembrava? Dio, inarrivabile. A guardarci ora c'è un momento, un respiro, in cui non ci credo. Ma poi cazzo, le sorrido e non ho bisogno di sentire quella pacca sulla schiena quando è il mio turno di salire. Svuoto i polmoni del tutto e lascio che sia il cuore che batte come un tamburo del cazzo, a guidarmi lungo tre scalini, cinque casse, mille canaline di cavi coperti e dietro il bassista. Sento che mi aspettavano dal coro che si alza e mi snuda i canini.
    Non do il tempo a niente, Yari batte il primo e si parte così, diretti, con la voce che ancora un po' gratta nonostante il riscaldamento con Rebecca poco fa.
    Le prime tre canzoni scendono come acqua fresca, e Dio se sono elettrizzato, se sento il corpo andare a fuoco e non sono davvero qui, non sono Faust, non sono il fratello di Edie, non sono il fidanzato di Chrys, né il surrogato di padre di Alice. Sono solo io, Josh, in quella stanza a sbattere demoni al muro tirando fuori una voce che richiamasse il quartiere. Che, guardateli, ora sono vostri.
    Ho dimenticato quanto volessi questo, ma non so perderlo di vista di nuovo, non in ringhi d'espressione lungo il volto e cazzo se è bello quando qualsiasi cosa io faccia ha una risposta immediata. E sanno le parole, e cantano quando volutamente non lo faccio io. Ogni tanto li chiamo, spiego due cazzate, ascolto come rispondono, come pendono a volte dalle mie labbra, cazzo se è questo che mi è mancato una vita. Come se respirassi di nuovo. E dopo la mia famiglia, vale come l'oro, nessuno potrà strapparmi via questo! Anche se la fama è un cazzo di campo minato. Ma poi.. poi non penso più a niente ed una canzone segue l'altra, un casino divora il successivo. Traumi, vita del cazzo, Edie, tutto in poche righe che ho scritto un po' ovunque, dovunque capitasse c'ero sempre io con quel cazzo di taccuino a segnare gli errori e le sconfitte. E so allora che per tutti loro c'è qualcosa che risuona nell'anima quando canto, quanto dico ciò che non hanno avuto il coraggio di dire.
    «Va bene, va bene.. » alzo le mani, teatrale come so essere da una vita, colpevole di aver spento la musica per un istante di troppo quando ancora saltavano uno sull'altro. «.. come inizio non c'è male, ma so che possiamo fare di meglio, è così?» Grida, ancora, cazzo non smettete mai. Non ho bisogno di gridarlo io, invece, sono tutti qui, di nuovo in silenzio tombale mentre sorrido e trascino l'asta con me. Via lungo la passerella centrale, almeno finché non trovo gli occhi di Chrys e quelli di Alice, ma è su di lui che mi fermo, che li fisso imprimendo al tempo di fermarsi appena un po', che il contesto non so vederlo. Dissimulo subito puntandomi altrove. «La prossima canzone è un inedito...» Mi prendo il tempo scenico che serve anche a tirare il fiato, perché nonostante le prove, si tratta di polmoni che se non incamerano bene l'aria, mi fottono. Già bruciano. Dovrei dire per chi, dovrei dire per cosa, dovrei dire molto ma non lo faccio. Chrys lo sa. Gliel'ho detto di stare attento all'ultima prima della pausa, anche se non gliel'ho fatta ascoltare mai. Insomma, i miei segreti so tenermeli. «E fa più o meno così..» (9) ed è veloce, il primo giro lo è tanto che mi aggrappo al microfono nel trascinarlo indietro con me, lì nel punto in cui sapevano non sarei mai rimasto fermo tutta la sera. Non so come cazzo si faccia a parlare, me ne rendo conto e mi dispiace, Chrys, se in fondo molte cose che vorresti sentirti dire, devo cantartele così o devi leggerle per conto tuo. Ma io sono questo e non posso fare altro. Non saprei come.
    Tiro un respiro solo dopo, solo quando mi fermo per bere e dichiaro quei dieci minuti di pausa di cui ho bisogno, prima del round finale che mi farà sicuramente a pezzi, tanto che torno velocemente nel backstage e mi siedo sulla prima cassa. Mi tampono il sudore, cazzo sto grondando ma penso di non rendermene neppure conto, non è importante è.. tutto così fottutamente forte che solo sorridere mentre riprendo faticosamente fiato.
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    Interagisce con Dionne (ma volendo anche le pietre, come al solito), avverto tutti che cerca di spacciare sottobanco (lo fa da ore, in realtà) e che ha addosso un braccialetto di gomma rossa con il simbolo dell'omino che - come sanno quelli che aderiscono a #nohumanrace - rappresenta il movimento <3

    #nohumanrace
    Si accartocciava lo spazio, nella gente, tanta gente come non ne ricordava di recente, tanti scambi di mani che ci scivolava facile un pacchetto, sacchetto, biglie bianche e colorate, etichette, sorrisi di chiacchiere graffiate ravvicinate, spirali e andavano in avanti, indietro, ritroso e srotolato, non sentiva la musica davvero ma perché non era in linea, la sua testa scorreva come polvere, precipitava senza strettoie e poi correva in scivoli snocciolati, non era il suo tipo, in quel momento non contava abbastanza finché non si trovò a fermarsi. Acqua, dentro la gola e sempre troppo poca, ancora, schiacciava la bottiglia e la buttava, ne cercava un'altra ma cercava anche Dionne e l'aveva lasciata libera abbastanza, lontano per gli affari e ora gli affari gli riempivano già le tasche di inchiostro verde e grigio, individuò una chioma inconfondibile ed espirò risata, tirò capelli attorcigliati per seguire una strada fino a mettere il braccio contro le spalle, intorno le spalle, allungare una bottiglietta porgendola dal collo. «Sguazzato abbastanza?» una domanda annusata nell'orecchio, e poi già in movimento, verso pressione di gente che stava sotto il palco ma non troppo all'interno, aveva già quell'acqua sulle braccia e colava dai capelli, toglieva un'altra sirena mentre la prima la teneva sotto braccio, separata, senza che si mischiasse troppo alla gente che stava tutta pigiata.
    «Sai, il più è andato, credo proprio che mi vedrai salpare raramente» anche se sentiva quell'immobilità nelle gambe, la scalciava e spingeva e accantonava, cercava con gli occhi quello che poteva prendere il posto, un'occasione, da prendere al volo e spingersela nel sangue, batté sulla tasca che forse poteva darle un'aiutino, ma il tempo di scarto era poco e alla fine cercò di liberare le mani e girarsi una sigaretta. «Sai, questa roba non è molto mio genere» e indicava il palco, qualcosa che non sentiva nel sangue, una sonorità che aveva troppo da parlare e gli piaceva confusione, gli piaceva precipitare da una parola all'altra, spiaccicarsi contro come un treno «potrebbe essermi venuta un'idea per passare il tempo» e con la testa indicò uno dei banchetti, quello dove scrivevano segni di inchiostro, collezionabili di sezioni di pelle che non invecchiava e restava identità estratta.
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    Edited by Tippete - 16/9/2021, 23:51
     
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    Inizio tutta fuffa per Joshy OBV, poi Morgan

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    È una di quelle cose che posso dire rientrassero in quell’immagine che avrei voluto fosse reale, sempre di più, così da conquistare tutto e diventare una realtà solida. Anche adesso non so dire se sia davvero così, se ci sia riuscito, o se sia soltanto un frammento minuscolo in mezzo a tutto il resto, come una piccola zolla di terra in mezzo all’asfalto. Ma c’è. Almeno questo. C’è qualcosa che anche se non sovrasta il resto, almeno si prende il suo spazio. Lo penso mentre guardo Josh, mentre penso a quanto sia andato in là in questo, e a quanto è successo, e quanto nonostante tutto, sia ancora qui. Ho ancora quel tipo di preoccupazione che nel vedere così tanti occhi puntati su di lui, ha quel timore basso che vadano un po’ più in là, fra meandri che devono restare nascosti e non possono essere afferrati, perché lo strapperebbero via da tutto con un’imposizione immobile sulla testa. E non potrei sopportarlo. Ma sono paure che fanno parte di un groviglio di ansie sempre ferme, immobili sotto pelle, e che so scacciar via nei minuti in cui tutto quello che arriva a prendere possesso dei miei pensieri, è solo qualcosa che batte di quel tipo di felicità che nasce dal vederlo fare qualcosa che ama, e prendere un pezzo di vita per tenerlo con sé. Solo questo. Il resto per qualche secondo se ne va, e so guardare solo la sua schiena, e quel tragitto che si smuove per portarlo fino al palco. Penso a quello che ha adesso, oltre tutto, e quanto avrei voluto, sempre, che ci fosse qualcosa per lui. Ovunque, nel mondo, qui, dentro e fuori. Penso a quanto ne avesse bisogno, e quanto di rimando allora ne avessi bisogno io, per tranciare almeno un po’ quella necessità sempre gonfia che lo guarda e non sa chiedere che tutto, sempre tutto per lui. Anche adesso so chiedere questo, come una preghiera nascosta e nata con me, incastrata in ogni mio respiro. Sono i momenti in cui mi sembra più facile sperare, e farlo in un modo che non mi dia quella sensazione che scava a fondo e lo fa con forza, con dita piene di artigli che sono sempre pronti a trovare un punto più molle. Mi sposto solo dopo un po’, minuti che non ho contato, non ho sentito correre davvero se non nella sensazione di un brivido contro la pelle, e fermo nello sterno, muovendomi per scivolare via da questa zona, ripercorrere una strada all’indietro che porta lontano dalla folla, lontano da suoni troppo alti, verso quelle più pacifiche che lasciano arrivare la musica senza che sia un rimbombo bestiale. È un tragitto che faccio con un tipo di velocità diversa, ma a cui non bado mentre sento lo sfregare della fondina contro la gamba, quella che è diventata solo un’abitudine che è una risposta automatica. Ma non penso neanche a questo mentre mi fermo solo ad uno degli stand per prendere un bicchiere di birra, stringendolo fra le dita prima di continuare il tragitto lanciando sguardi che si spostano alle spalle, fra luci e rumori che mi sanno comunque lasciare un sorriso contro le labbra, nonostante tutto. Penso che sia semplicemente un bel momento, uno di quelli che voglio spingere su, in alto, a sovrastare tutto il resto, facendolo sorpassare e muovere perché copra tutto quanto. Muovo una mano per scostare una ciocca di capelli dietro l’orecchio, la birra stretta nella mano mentre premo altri passi uno dietro l’altro, fino al tavolo dove ho lasciato Morgan e i bambini. Lascio il bicchiere sul tavolo, facendo scivolare con l’altra mano la borsa per terra dopo aver sfilato il pacchetto di sigarette, nel lanciargli uno sguardo che si stringe appena in un moto che ha un’intenzione precisa. «Ho un debole per i giovani padri sexy» sfilo una sigaretta infilandola fra le labbra, prima di chiudere il pacchetto e lasciarlo sul tavolo, trattenendo la stecca spenta in bocca. Gli lancio un sorriso appena, strizzandogli l’occhio in un modo volutamente ammiccante, esagerato quasi nel versante del ridicolo. Allungo la mano per trovare di nuovo il bicchiere e prendere un sorso, facendo tornare la sigaretta stretta fra le dita dell’altra nel movimento, ma restando ancora in piedi «Me lo offri da accendere?»
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    A parte Jaden che è il suo unico mondo in questo momento, Edie.

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    huunter




    P
    enso che qualcuno dovrebbe insegnarmi come si fa a spostare l’attenzione altrove, anche solo per un secondo, quando sono con i miei figli. Hanno questo cazzo di assurdo super potere, sono magnetici. Magnetici. Mi attirano come se fossi un fottuto asteroide e loro la Terra, con tutta quella inevitabile gravità.
    Non riesco a smettere di guardarlo, Jaden, tanto che mi appoggio con un braccio sul tavolo, il gomito che fa da perno nel tenere la testa sul palmo della mano. E lo guardo. Lo guardo lo guardo lo guardo, come se dovessi trovarci qualcosa che non conosco, ma in realtà ormai lo conosco alla perfezione.
    Come se avessi paura che, crescendo così in fretta, mi perdessi qualcosa. Un minuscolo dettaglio. Il colore degli occhi che cambia. Un sorriso irripetibile, che esisterà solo in quel preciso istante e mai più.
    Non voglio perdermi niente, anche se lo so che succederà, perché sarò via e andrò via presto in realtà, dopodomani. Quindi finché sono qui e posso stare con loro, ho una specie di terrore atavico, sembra ansia, sembra fretta. Paura di perdermi qualcosa. Quindi non riesco a smettere di guardarlo.
    Finisco per prenderlo in braccio dopo qualche minuto di resistenza forzata.
    Ho anche pensato di fumarmi una sigaretta ma no, non riesco a resistere davvero altro tempo prima di tirarlo fuori dal passeggino e portarmelo vicino, lasciandogli un bacio leggero sulla fronte mentre lo stringo sostenendogli la testa, con tutta quella delicatezza che ho sempre riservato a poche cose, poche persone, e anche di più.
    Molta di più.
    Su un altro livello.
    Lo mantengo un po’ disteso e guardo in avanti, probabilmente anche Edie ha lo stesso super potere dei bambini. Istintivamente guardo avanti e c’è lei che arriva, da lontano, in un modo che cancella tutta la folla intorno. Come se un cazzo di riflettore si fosse acceso su di lei e il resto del mondo fosse al buio più totale.
    «Oh mio Dio, Jaden» lo dico attraverso un sorriso, un sussurro perché tanto non capisce comunque, ma non importa. Potrei parlargli per ore, leggergli libri, cantare per lui, per ore, anche se non capisce niente. «Ma l’hai vista mamma?». Guardo lui e sorrido di più, anche di questo non riesco a farne a meno.
    Lo tiro un po’ su, facendolo poggiare piano contro la spalla, tenendolo con due mani. Osservo Edie che si avvicina e il resto dei pensieri che faccio li tengo decisamente per me.
    Il sorriso cambia, si affila su un lato.
    «Non saprei, vedo che sei sposata», lancio un’occhiata alla sua mano giusto per rendere più credibile questa stupida recita, poi la guardo negli occhi. «Dov’è tuo marito? Non vorrei che poi arrivasse qui. Sarei costretto a spiegargli che non sono la persona giusta a cui rompere i coglioni».

     
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    Gli abissi ai profondi.
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    Tutto per Josh (anche se non ti viene a cercare perchè lui è fatto così, ma ti apprezza da lontano)

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    Ryan Wilson
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    Una pausa è la scusa ideale per svignarmela dalla calca. Non ero pronto alla folla, anche se cazzo Joshua c’è proprio riuscito a sfondare. C’era una possibilità su un milione e lui ce l’ha fatta. E onestamente sembra essere nato per stare lì sopra, nato per la folla, nato per incitare le urla, far vibrare il palco. Non riesco a smettere di pensarci.
    Cazzo, c’è riuscito. C’è riuscito davvero.
    Per qualche ragione sorrido, anche mentre incasso le gomitate, sorrido. Penso che alla fine una favola con un lieto fine c’è stata. È successo tutto sotto i miei occhi, più o meno, ma insomma abbastanza vicino perché potessi vederlo e sapere che sì, è successo. Joshua ha realizzato i suoi sogni, è sulla cresta dell’onda, ha svoltato la sua vita, spero che lo abbia fatto davvero. Da adesso tutto cambia. Mi chiedo come ci si debba sentire. Ma non voglio fare il tipo egoista che vede un amico avere successo e poi si piange addosso. No, io me la giocherò diversamente. Adesso vado a prendermi probabilmente il bicchiere di birra più costoso della mia vita, e brinderò a Joshua.
    Arrivo allo stand della birra, una folla infinita perché ho aspettato fino alla fine della canzone per allontanarmi, quindi nemmeno me la prendo. Faccio un paio di conti, c’è una buona probabilità che dopo continuerò a festeggiare con il whiskey da discount che ho conservato sotto il letto per i momenti di magra. Dal mio portafogli in effetti esce un deprimente sospiro di povertà che saluta gli ultimi dollari con cui mi compro la birra. Ed è giusto così, per il sogno di Josh sono soldi ben spesi.
    Mentre mi allontano dallo stand cercando di recuperare più spazio vitale intravedo Edie. Dovrei avvicinarmi, ci penso giusto un attimo, poi vedo anche il profilo di Morgan, è di spalle. Decido di starmene in disparte, perché non ho voglia di farmi ammazzare di botte proprio oggi e poi hanno due mocciosi, che sembrano dannatamente adorabili. Non reggo bene questo genere di felicità incondizionata, finirebbe che scoppierei a piangere. Sarebbe molto poco il caso.
    Josh è zio. Che sembra un po’ persino meglio della fama, ma d’altronde io suono Jazz, ho boicottato la fama al mio primo disco di Dave Brubeck.
    Mi allontano fino a raggiungere la prima panchina vuota. Mi ci siedo piuttosto comodamente anche se è deliziosamente appiccicaticcia, tanto da farti pensare a uomini sudati e soda rovesciata.
    A proposito di soda rovesciata. Devo fare il brindisi a Joshua. Cosa che farò qui e adesso perché non ho voglia di andare a fare la parte dell’amico opportunista che bussa alle porte del backstage. Mi sentirei così squallido che non troverei il modo di dirgli niente. Quindi lo faccio adesso.
    Alzo il bicchiere di blastica rosso rubino, uno di quelli tanto sottili che hai paura ti si spacchi tra le dita e spero davvero non accada, altrimenti raschio il fondo della tristezza troppo presto e troppo in fretta. Davanti a me ci sono diverse bottiglie prima di quel momento. Che comunque farà in tempo per le 4 di notte, l’ora dei poeti e di chi soffre d’insonnia.
    Non so cosa dire.
    Opto per un approccio vichingo. Rovescio un po’ di birra a terra e poi alzo il bicchiere verso il palco ormai vuoto.
    A te.
    Che in fondo volevi solo essere visto.
    Ci sei riuscito alla grande, cazzo.
    Buon per te, Josh.
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    now I am a happy song placed on the lips of a woman
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    Tutta vita, per ora solo Lucian, e paranoie

    s
    ono nervosa. Ma non c'è un motivo particolare. Cioè, no, credo che un motivo ci sia, e che sia determinato dal fatto che sono forse cinque mesi che non metto piede fuori casa. Bugia. Relativa. Sono cinque mesi che non metto piede fuori casa per ritrovarmi in posti così affollati. E, non lo so, una volta ci ero abituata e basta, non mi ponevo tutti questi inutili problemi. Voglio dire, è una serata piacevole, ma partivo da casa già con questo pensiero e non dovevo faticare troppo, come adesso, per convincermene effettivamente. Più che nervosa, inquieta. Deve essermi scattato qualcosa nel cervello in questi ultimi cinque mesi, ma non è una domanda o un dubbio. No, è una certezza, diavolo se lo è.
    Però voglio godermi il momento, lo voglio fare sul serio e in fondo non è niente di così ingestibile. È solo una strana e viscerale irrequietezza ancora non abbastanza forte per mettere in discussione davvero tutta la serata.
    Sto bene, lo sto davvero. Cioè, no, anche in questo caso, non sto benissimo. Sto meglio, ed è già qualcosa. Non sono più abituata a stare in mezzo alla gente, tutto qui. Se dovessi andare un po' più a fondo a tale pensiero allora mi direi che non mi sento affatto sicura perché quel proiettile ha fatto ovviamente saltare dei tasti e mi ha reso quasi più impaurita di quanto non lo sia mai stata, neanche nelle fogne. Alla luce di quello che è successo cinque mesi fa adesso le fogne fanno più paura, e davvero non realizzo come non ne avessi abbastanza un anno fa. Ero cieca? Oppure sto diventando solo adesso paranoica nel pensare, anche solo con una infinitesima parte del mio cervello, che proprio adesso potrebbe succedere qualcosa? Credo si tratti del fatto che stavolta, quel mago, quel proiettile, quelli volevano solamente me. Cazzo, l'ho sentito così addosso. È dipeso così tanto da me.
    Questa cosa ha un nome, Vivianne, e si chiama "essere Dixon".
    Divertente.
    Fino ad un certo punto.
    Sto facendo i conti anche con questo, anche con la consapevolezza, il chiodo piantato fisso in testa, che sto somigliando sempre più a papà. Non che sia una cosa brutta, voglio dire… ma sarei ipocrita se dicessi che la cosa mi è indifferente o mi rende addirittura felice. Non ho fatto altro che fargli la guerra in tutti questi mesi. Non ho fatto altro che puntare il dito su quella maschera tetra. E forse sono stanca, forse essere troppo stanchi ad un certo punto ti fa capire quanto non valga più la pena battere la testa contro lo stesso punto nel muro. È complesso. Nella sostanza è questo. Anche con papà le cose sono complesse perché non c'è solamente quel fatto, ce ne sono troppi, cose che ancora non mi vanno né giù né su, cose che fatico a comprendere e che credo di aver spiegato solamente a stento a Cam esattamente un anno fa, ma che penso abbia capito. Non lo so forse era perché eravamo ad Ogden, forse è stato quel posto, forse perché eravamo solamente io e lui lontano da tutti quanti, forse perché stavo scappando ma al mio fianco c'era qualcuno che continuava a reggermi la testa sopra le spalle, a tapparmi le orecchie e tenermi in piedi, appoggiata contro un fianco. A mettere un po' di quiete in tutto quel caos disordinato. Servirebbero più Camron a questo mondo, o almeno servirebbe a me, avercelo sempre qui, stargli costantemente attaccata ad un fianco tipo parassita non soltanto quando le cose vanno solamente male.
    Ma a parte questo adesso credo di aver cambiato prospettiva. Credo che il giardino sicuro nel quale sono rimasta per tutti questi anni in realtà non sia mai esistito. Comincio a vederlo sfumare, a non avere più chiaro dove è che finisce il suo verde e inizia la terra arida. Non so nemmeno quanto sia arsa questa terra. Più semplicemente: non so più distinguere così nettamente il bianco e il nero come ho sempre fatto, e credo sia perché mi sono macchiata le mani di qualcosa che ha finito per rendere anche me grigia.
    Però sto bene, va tutto bene, è una bella serata e sono solamente io che penso troppo, e che ci provo a non farlo. Ma il fatto che abbia una gonna forse decisamente troppo corta stasera non è perché voglia sforzarmi a "uscire allo scoperto", ma credo sia solamente la prova che sono più dentro la mia testa che fuori. Sto pensando troppo a quello che succede dentro, non a ciò che mi circonda. Non al fatto che Lucian abbia teso la mascella quando sono uscita di casa perché sono una cretina che pensa a troppe cose tranne a quella giusta.
    Vabbè ormai sono così.
    E che sia cretina lo dimostra pure il fatto che come giustificazione il mio cervello si stia adattando all'idea del "l'ho fatto per te, non ti piace?", perché hanno ragione quando dicono che sono un orso. No, ok, forse un po' è vero. Forse voglio provare a spostare il pensiero da un lato all'altro della testa e focalizzarmi sul fatto che sono contenta. Perché lo sono. Sono solo preoccupata per un motivo inesistente che ancora non preme abbastanza. Quindi voglio godermi la serata, sono contenta di essere fuori, di non essere più in quel letto di ospedale, di essere sulle mie gambe, non più dolorante e di essere con Lucian dopo tutto quello che abbiamo passato. Sì, sono contenta che l'inferno di quei due mesi sia passato. Sono contenta che sia semplicemente tutto passato. Sono contenta di essere un po' più serena, almeno per questo. Per il resto, beh, è evidente come stia cercando di tenere tutto dentro e di schiacciare, comprimere quei puzzle, quelle matasse mentali che non sono riuscita ancora ad ordinare.
    «Stavo già pensando al secondo giro di bevute. Non credo di aver digerito ancora tutta quella roba fritta» gli dico prima di riportare la sigaretta alle labbra e prendere un altro tiro.
    Onestamente? Devo ancora capire come dovrei sentirmi. Ma so come almeno vorrei stasera. Solo stasera.
    Anche se non mi sono portata una giacca dietro.
    Scema. Però le luci sono suggestive.
    «Non mi va di infilarmi nella calca, non ancora almeno. Ti dispiace?»
    brakebills student
    supporter
    metamorphomagus
    brooklyn accent
    23 y.o.
    Vivianne C. Dixon;
    ...
    i don't know where the rest go
    but everybody's been telling me no
     
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    Fuffa su Josh, interazione con Alice che va be, son sempre io e poi rompe a Ray.

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    CHRISANTHEMUM SINISTER – MORDIN - MAGO NERO – ASPERGER - P. SPIRITICO - TANATOESTETA - TANATOPRATTORE - ASSASSINO - DRAGQUEEN - BISESSUALE
    central park
    26.
    Chrys aveva un sorriso immenso ma il cuore piccolo. In una stretta di mano tenne vicino a sé Alice per tutto il tempo, dal tragitto che li portò da casa a Central Park e dalla prima a quella canzone. Lì la stretta si fece più forte, ma solo perché finalmente capì, tra tanti punti agitati della propria esistenza, che con il matrimonio tutto quel poco spazio che aveva se lo sarebbe preso lui. Insindacabilmente. E così anche sua figlia che per tutta la prima parte del concerto guardò con la coda dell'occhio: Sistemandole di tanto in tanto le ciocche di capelli che le ricadevano ribelli lungo la maglia che avevano scelto insieme.
    Perché insieme si erano ritrovati solo lì, per la prima volta. Seduti dinanzi alla toletta del bagno in religioso silenzio. Lei aveva chiuso gli occhi e lui le aveva decorato le ciglia con qualche brillantino avanzato da quelle serate drag andate così bene da spingerlo a ricordare, proprio in quell'istante, quanto cazzo fosse bella la paura della folla sotto al palco. Alice era la bambina più bella lì e questo se lo ripetè più volte, anche se non aveva la forza di tirarsela sulle spalle per farle così veder meglio suo padre. Aveva la sua mano stretta alla sua. Cementificata. E quello credeva fosse il meglio che potesse fare.
    ''Est-ce que ton père a chanté comme ça?'' Le aveva chiesto quando gli occhi gli si erano inumiditi così tanto che anche solo guardarla dalla coda gli sembrava un'impresa più che difficile. Lei all'inizio si era limita solo ad alzare ed abbassare le spalle, come se non sapesse rispondere a causa di ricordi che avevano iniziato a sovrapporsi. Perché se suo padre era quello sul palco, allora certo che cantava così. Lo stavano ascoltando insieme, non vi era alcun dubbio. ''Maman aussi'' Si era limitata a rispondergli prima di stringergli contro il petto. E quello fu il primo abbraccio dopo mesi. Rimasero aggrappati così per un po': Chrys ai suoi occhi che erano gli stessi di quello che sarebbe presto divenuto suo marito e lei alla morte di suo padre. A quell'uomo che senza alcuna pietà gli aveva tagliato la gola per bagnarsi le mani del suo prezioso sangue.
    ''Allez lui dire bonjour avant qu'il ne recommence à chanter. Je vais tenir une promesse.'' L'aveva poi congedata accompagnandola sino al backstage, giusto per assicurarsi che si avvicinasse laddove lui invece sentiva di non poter stare ancora, non quando quel cuore piccolo continuava a pulsare inciampando su se stesso ed il viso era ancora rosso dall'emozione. Così si disperse tra la folla con passo agile, ma solo per assicurarsi di arrivare al chiosco delle birre e tornare indietro nel minor tempo possibile: Che se quella era la serata delle prime volte con Alice, allora doveva assolutamente farle assaggiare una birra. Magari l'avrebbero ''condivisa'' insieme in attesa che Josh fosse tornato da loro.
    Ne approfittò per lasciarsi scivolare una sigaretta tra le labbra, che quando era così vicino a lei era solito non fumare per non darle troppo fastidio. Anche se erano all'aria aperta ed il fumo si sarebbe subito disperso tra i faretti e le stelle.
    ''Buonasera. Mi farebbe una bionda in pinta?'' Gli faceva strano ritrovarsi dopo quasi più di un anno in mezzo a tanta gente, soprattutto quando l'ultima festa era stata comunque a Villa Sinister e Morgan Crain non era a far figli, ma a spaccare finestre. A proposito si disse che avrebbe dovuto raggiungergli al più presto: Non tanto per piacere quanto per coordialità. Aveva probabilmente piacere solo nel rivedere Edie, che era stata per lui consigliere fidata. Ma ne era combattuto: Che per lui, tutto ciò che andava a nuocere alla psiche di Josh andava estirpato. ''Ah, potrebbe metterci una cannuccia? È per un'amica.'' E quell'amica era ovviamente Alice, con la quale non si sopportava, ma che quella sera era così carina da renderlo orgoglioso. Era vestita come lui, c'era qualcosa a tenerli saldamente incollati.
    Poi fu tornando indietro che la traiettoria cambiò per un istante. Ma solo perché negli angoli degli occhi si ritrovò incastrata la sua immagine ed istintivamente non si sentì di far finta che non l'avesse visto, non quando a comportarsi male era stato lui e lo sapeva. Lo sapeva, ma non aveva voluto far niente affinché le cose avessero un risvolto diverso. ''Non è un po' troppo poco jazz per te?'' Chiese senza sedersi ed allungargli una sigaretta dal pacchetto schiacciato nelle tasche dei pantaloni. Non ricordava nemmeno se Ray fosse un fumatore o no: Quello era un gesto istantaneo che lo aveva portato a far tornare il vizio persino a Josh.
    --------------------------------------------------
    1. Tuo padre cantava così?
    2. Anche la mamma.
    3. Allora vallo a salutare prima che riprendi a cantare. Io vado a mantenere una promessa.
    ©


    Edited by ( : - 18/9/2021, 01:17
     
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    now I am a happy song placed on the lips of a woman
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    Just con Justin per ora

    è
    come un'onda, un'onda di fiume illuminato da cocci di vetri di bottiglia rotti che dietro la luce di lanterne poste sulla riva fanno brillare riflessi colorati sulla superficie dell'acqua. Somiglia ad un rito pagano per celebrare qualcosa che finisce, senza necessariamente sedersi in tondo attorno ad un falò per veder bruciare l'ultima luna di cartapesta. E ognuno brucia la sua. Una coppia, un gruppo di amici, una famiglia, semplici sconosciuti: ognuno ha da lasciare qualcosa, non sbarazzarsene ma farla diventare fumo che impregna i vestiti, si aggrappa a quelli degli altri, entra nelle narici e diventa qualcosa di nuovo, e lascia un segno, si mescola a quello che c'è dentro, dà un sapore diverso. Ognuno compie il suo rito, fa la sua celebrazione. Lo fa senza rendersene conto, lo fa con una consapevolezza amara di un tempo bello apparentemente finito, lo fa soltanto per chiudere qualcosa come tradizione vuole e impone, ammirando il tempo che si avvicenda e rimane l'unico punto fermo in un questo mondo troppo caotico, fatto di onde che fanno avanti e indietro, che si accavallano, che riscrivono pagine, le riempiono di redazioni e stesure sempre diverse della stessa giornata, settimana, mese. Ogni volta riscritte, ogni volta ripensate.
    E tu sei una che colleziona Dionne, una che non ha paura di perdere la propria vita ma che si fa bastare di osservare quella degli altri. Che è pur sempre vita, e a te piace semplicemente starci nel mezzo, lasciarti avvolgere da essa, lasciarti trasportare, carezzare dalle correnti più fredde e più calde. Ti piace imprimertele sulla retina. Ti piace scivolare in mezzo alla gente, ti piace prenderti il tempo di perdere del tempo, di tatuarti addosso ad encausto le ore che passano e fissandole con il sole che scende.
    Ti piace diventare liquida, indefinita, e soprattutto ti piace stare in mezzo a persone che non hanno bisogno di vederti addosso una forma. Ti piace stare in mezzo a persone che riescono, con un solo colpo d'occhio, a prenderti così, tutta insieme, senza schemi, senza forme, come una nebulosa, una nuvola scura che minaccia pioggia. Ed una di queste persone, ormai lo hai capito, è Justin.
    Ti piace che sia lui. Ti piace non leggerci neanche in lui una forma troppo definita. Ti piace quella stupida molletta. Ti piace che neanche voi due ce l'abbiate una vera forma.
    «Questa sirenetta stava cominciando a sentirsi ignorata, marinaio» gli dici afferrando la bottiglietta d'acqua calata dalle sue mani. Gli mormori un grazie e ti graffi un palmo delle mani per aprirla.
    Che non vuoi finire come a quel capodanno. Anzi, in realtà sarebbe bello finire di nuovo a quella maniera: tra murales e graffiti come porte di mondi pulsanti al neon e magie fatte di fumo. Sarebbe bello persino ritornare a quella danza di pavoni su un vestito leggero abbottonato fino a sotto la nuca. È bello ogni volta che due nature si mescolano, si mischiano, in qualsiasi modo, anche solo prendendo atto di poter vivere e respirare nello stesso metro cubo d'aria e scoprirla tanto reale questa diversità. Che il tuo, Dionne, è sempre un binomio che ogni tanto, periodicamente, vomita fuori del dolore represso, tutto ciò che sfugge al tuo controllo, tutto ciò in cui inevitabilmente finisci tu stessa per sentirti imposta. E questo in parte riesce a curarlo, a sedarlo, a rendere le acque più dolci, meno amare e pesanti.
    Ti volgi nella direzione da lui indicata con quel cenno, e affini lo sguardo nell'osservare per qualche istante lontane macchie, schemi, e disegni che si concentrano come nei tutti in quel banchetto.
    «Vogliamo tatuarci tutti e due una lisca di pesce? Ci facciamo due matching tattoo con i gelatini?»
    Lasci appena libera una risata, perché sì, sarebbe divertente. Non ci sarebbe niente da perdere.
    half mermaid
    journalist, activist
    naturalist
    antiguan accent
    28 y.o.
    Dionne Ochoa;
    ...
    you wear a new perfume for each city that you visit
    so you can always remember how it felt to be there
     
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    L
    a nostra è solo una vacua ricerca di uno sprazzo di normalità tra una costellazione di giorni passati a combattere la verità dei fatti. Che non ci si slaccia mai dai polsi smettendo di arrossarli anzi, stringe sempre di più la presa. Come al mia sul suo mignolo. A tenermelo stretto nel palmo della mano in una sorta di libertà a catene. Da restarmi vicina anche se potrebbe andare più avanti, a farsi strada tra la folla eccitata affinché venga contagiata a sua volta e si agiti, anche se le fa ancora male ogni cosa ed ogni articolazione sembra dislocata dalle altre. Ha un corpo fatto di gomma: Non lo stringo per paura di imprimerci troppa pressione.
    ''N-non rischierai d-di ba-ballare s-sui tavoli, v-vero?'' Non che mi dispiaccia, eppure oggi la trovo troppo succinta ed instabile per far sì che altri possano guardarla dal basso verso l'altro con le mani protese verso di lei affinché, cadendo giù, possa sfiorarle. Vivi può star stretta solo tra le mie, anche se non ne cambio la posizione, né mi sforzo di farmi così vicino da lasciarle un bacio tra i capelli. Mi piace restare così a fissare il mondo correrci intorno come se non ci vedesse affatto. Che è tutto ciò di cui ho bisogno per tornare a respirare fuori da un contesto che, da quando è stato smascherato in quel proiettile a trapassarle la pelle, ha decisamente iniziato a farsi troppo stretto.
    ''V-vieni, brindiamo d-vi nuovo al pr-primo concerto dopo...d-d-dopo troppo'' Che non abbiamo più fatto nulla da un anno a questa parte: Che siamo sempre stati troppo occupati e troppo distanti anche solo per accorgersi di cambiamenti così piccoli come il colore dei suoi capelli ed il resto di quei connotati ai quali mi sono già abituato, ma solo perché c'è il suo odore a riportarmi con i piedi qui, a punte diretta in sua direzione.
    Prendo l'ennesima birra per entrambi e gliela faccio scivolare tra le mani ''A-a noi. A V-vivi che oggi indo-do-dossa un abito da f-f-femmina per f-far vedere che anche lei può permet-t-terselo.'' Me ne prendo gioco ma solo perché so che lei sa come mi piacciano le sue sue felpe e quei jeans sbiaditi a tirarle su le cosce. Che poi in realtà tutto è bello, se glielo si può sfilare velocemente di dosso.
    ''N-non ti ho detto una cosa p-per oggi.'' Che è parte della promessa che le ho fatto in sussurri. Non è qualcosa che ho pronunciato affinché ella ne fosse consapevole. Credo sia qualcosa che mi è sorto dentro quando, tornandomene a casa dall'ospedale, ho iniziato a credere fosse giusto quantomeno farle conoscere una persona che, almeno di lei, già sa molto. ''H-ho detto ad una mia c-collega ch-ch-che poteva r-raggiungerci qui.'' E la guardo con la coda dell'occhio proprio per vedere che effetto va sentirmi dire qualcosa del genere: Che del mio lavoro non posso parlare, che è già tanto se ha la possibilità di uscire con Dorothy e restare comunque in disparte da tutto il casino. ''C-ci tenevo a pr-presentartela.'' Forse proprio perché è come me o perché mi sentirei di affidarla più a lei che a Dorothy. Trattengo un sorso e resto ad osservarla. ''S-spero t-ti faccia p-piacere.'' Ed è un'affermazione che sa farmi deglutire con nervoso. Che tutta la questione relativa alla sua gravidanza continua a scombussolarmi, specie quando torno a ricordare di chi è quel bambino.
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    Lucian Coppola;
    ...
    Ogni giorno mentre guardo te che vivi
    E mi meraviglio di come sai stare
     
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    Gli abissi ai profondi.
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    Riconosco la voce prima ancora di alzare gli occhi. Non me lo aspettavo, anche se ora capisco che avrei dovuto. Ho conosciuto Josh grazie a Chrys. Me l’ero dimenticato. Non proprio dimenticato, solo che non ci ho pensato. Forse speravo solo che la folla mi nascondesse per bene. Purtroppo il mondo dei maghi è un piccolo buco da cui è impossibile fuggire, quando ci sei dentro è come se fossero sempre tutti lì insieme a te. Non mi dispiace che mi abbia visto, ma per un attimo ho un tuffo al cuore. D’accordo, più di un attimo. Per più di un attimo mi manca la terra sotto i piedi e non so esattamente come reagire. Mi sento paralizzato e d’improvviso molto più giovane, un ragazzino stupido che ha fatto davvero troppe cose altrettanto stupide.
    Freno la lingua quando sento che mi sta per uscire fuori qualcosa che suona come “mi dispiace”, mi dispiace per essere venuto qui, che tu mi abbia dovuto vedere e che tra l’altro non ho avuto la decenza di cercarti e di rimediare. Gli direi che sono un verme e che mi dispiace.
    Invece abbasso subito gli occhi dal suo viso e lo sposto sulle sigarette.
    Sorrido perché non so bene cosa fare e perché il destino è proprio un ironico figlio di puttana, fa tornare a galla sempre tutto quello che provi a seppellire.
    Prendo una sigaretta, la sollevo e dico “grazie”.
    Poi me la guardo tra le dita, “no, non è jazz, forse è per questo che va forte. O perché Josh è un grande, non saprei dirti”, è uno scontro tra titani, sorrido. La questione è semplice, funziona perché in qualche maniera Josh si aggrappa alle emozioni di chi lo ascolta. Lo sentivo, lì sotto il palco, quel senso imprescindibile di forza bruta e violenta che a volte mi è parso mi crescesse dentro. Non contro Josh, mai contro di lui, ma contro la cazzo di vita, contro il sistema secondo cui funzionano le cose. Un sistema di merda, che io di certo non ho ancora capito.
    “Quando canta ti senti nel girone più profondo dell’inferno, non pensi? Ti senti un animale feroce, come se ringhiassi contro ciò che odi di più al mondo, qualcosa che vuoi divorare, ma solo dopo averlo terrorizzato a morte. Sembra brutta messa così, ma è piuttosto… esaltante come sensazione”, comunque non mi sembrano le parole adatte, è indescrivibile.
    Porto la sigaretta alla bocca e poso la birra sulla panchina appiccicosa, mi accendo la sigaretta tirando fuori il bic fucsia che ho in tasca. Che colore infelice, mi chiedo a chi l’ho preso, o se sono stato io a comprarlo.
    “Sei… mmh” non so cosa dire.
    Bene.
    “Sei qui da solo?”
    Esattamente la cosa sbagliata da chiedere, complimenti a me. Complimenti.
    Idiota.
    “Ho visto che c’è Morgan, ci sarà anche Caiden nei paraggi, immagino”.
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    Ray e Chrys, perché li cazzi sua mai :'D



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    Direi che posso dire che la mia vita ha avuto un netto miglioramento da quando ho ripreso a scopare. Il sesso è davvero il nettare della vita, ed è anche difficile mantenere un’astinenza quando vivi con una coppia che, beh, lasciamo stare. Quindi sì, un cazzo di netto miglioramento. Anche se, insomma. Facciamo anche finta che non ci siano stati dei netti peggioramenti. Ma del resto, direi che questa è una di quelle volte in cui campare per qualche ora in grazia di Dio. Ecco, magari non proprio in qualsiasi cosa di qualsiasi Dio; in grazia di me, me stesso e me medesimo. Che poi, sia un concerto di Joshua Çevik diventa del tutto irrilevante, per me. Sono qui per le donne. Parliamoci molto chiaro, è anche il motivo per cui mi sono preso Alan e me la sono data alla grande. Alan, quello tranquillo, perché avendo la possibilità di scegliere, eh. Mica sono scemo. Lo guardo scostandolo per un secondo dalla spalla, reggendo il busto con una mano e la nuca con l’altra, strizzandogli un occhio perché sì, adesso non lo sa, ma sta rendendo un enorme servizio a suo zio. Che poi definirmi “zio” ancora mi faccia strano, è tutta un’altra storia. Penso che sia dovuto al fatto che per lo più, è una cosa che mi sono vissuto stesso in quella casa. In un certo senso. Non è che ho socializzato così tanto, ultimamente, fatta eccezione per il sesso. «Se non piangi e fai il bravo, dopo ti do due dosi di succo, tanto poi sono cazzi di mamma e papà se ti va alla testa e stai sveglio tutta notte, sì? Certo che sì» lo rimetto su, tenendo sempre la nuca con la mano così che stia più dritto, contro la spalla, e stando particolarmente attento alla testa ora che è davvero ancora troppo piccolo per tenerla dritta. Cammino anche ondeggiando un po’, il che onestamente in qualsiasi altra circostanza sarebbe ridicolo, ma io ho il bonus “bambino bellissimo in braccio” e quindi bene così. Tutto regolare. Solo che mentre cerco qualche ragazza dagli occhi trasognanti, mi trovo a beccare invece con gli occhi qualcun altro. Un classico chi non muore si rivede, in cui non so se chi non muore sono io, Ray o Chrys. Forse non dovrei andare lì, ad invischiarmi in questa cosa. Più che altro perché mi ricordo della realizzazione alla festa da Chrys, quando ho inteso che insomma, fra di loro ci fosse se non altro un, come vogliamo definirla? Intesa sessuale, sì. E ora so anche di tutta la cosa, invece, Chrys e Josh. Vorrei dire a Chrys che palesemente ha abbassato alla grande i suoi standard, anche se io di uomini non è che me ne intendo. Ma Joshua, cazzo, quello è tipo palo in culo della vita. E non in un senso che potrebbe piacere a Chrys. Ma in fondo sono sempre stato uno inopportuno. Quindi, sticazzi. Mi ci avvio di gran passo, ancora attento a tenere Alan come si deve, caricandolo un po’ più su sulla spalla. «Ma tu guarda un po’» sì, così, di botta. «Sono sempre i posti più improbabili, eh?» solo per dare aria alla bocca, sì. Forse è che è davvero un bel po’ di tempo che non socializzo in senso amicale. Voglio dire, sarà... un anno. Circa. Quindi, sì. «Prima che tu possa anche solo pensarci no, non è mio, l’ho preso in prestito a mio fratello perché i bambini tirano un sacco di gnocca, ma in un modo che davvero non ci si crede» questo lo dico rivolgendomi per lo più a Ray, che Chrys lo sa benissimo che, insomma, decisamente non ho figliato negli ultimi due mesi, io.
     
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    𝔅𝔩𝔬𝔬𝔡 𝔄𝔫𝔱𝔥𝔢𝔪
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    Rileyssimo. Poi Lucian e Vivi.

    C6RRC2C
    pregnant
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    yael night – wendigo – canadian accent – carnivore – predator – pregnant
    staten island
    23.
    Sarebbe bello se tu, Yael, conoscessi il tempismo e tutto ciò che deriva dal compiere le giuste azioni nei modi corretti. Ma sei solo una creatura istintiva che divora passi per fame e per quel senso che ti tiene aggrappata alla vita. Istinto di sopravvivenza, lo chiamano. Primordiale, oscuro, nel tuo caso. Aggrappata a Riley e quel piccolo essere indifeso che ti cresce dentro, che ruba le tue energie e pian piano ti piega al suo volere, ai suoi bisogni a cui sarai legata per sempre. Ma sei consapevole che ci sarà anche, al tuo fianco, qualcuno che si occuperà dei tuoi, di bisogni. Riley a cui volgi lo sguardo a macchina ferma. Ci sono tante ragioni per cui ora per un po’ non vuoi staccargli gli occhi di dosso, molte delle quali ti vedono alzare un angolo delle labbra e ripensare a quanto i sedili di quella splendida auto saprebbero dire di voi se potessero. Ci pensi che gli lasci una stretta lungo il ginocchio, veloce e che mette in luce l’anello. Una promessa, un legame che speri ancora sia solo per te anche se i dubbi non sanno mancarti mai. Nana ti ha sempre detto di dubitare di tutto, ed è stato l’unico insegnamento che Baba ha perpetrato, incidendolo sulla carne. Ma tu non hai imparato, o avresti capito che quanto tu hanno fatto era reversibile. Una condizione che farà di te una madre. Giovane, inesperta, aggressiva. Ma ora devi andare, quindi a Riley lasci quello sguardo che è solo un “ci vediamo tra poco”. Che se lui ancora non può farsi vedere da così tante persone in giro con te, può comunque sentire quanto ti salga l’ansia in gola a pensare a quanta gente avrai intorno. Lucian però lo fa, quindi perché non puoi farlo tu?
    Oh la riposta è semplice: Yael ora mangia per due. Ed ha fame per due, e dilania per due. Tutto per due. E se già un Wendigo sa essere spaventoso da solo, se già un alfa ha il suo dannato potete a tenerla ancorata agli incubi, quando c’è una prole da difendere non v’è scampo.
    Eppure Lucian ti ha invitata, lui sa andare agli eventi, ha vissuto come umano più tempo di te, che di poco ti ricordi di esserlo e solo con la luna piena ne hai le conferme. Dodici giorni all’anno. Un ultimo accenno a Riley e poi ti fai largo tra gli odori ed i profumi, tra cibo ed alcool, lungo le note di quella musica che già sei abituata ad ascoltare. Anche se non ha niente a che vedere con i modi in cui Riley suona per te. Che già sei gelosa e ringhi se lo fa per altri, e per sbaglio c’è ancora qualcuno al Pendragon quando pensate di essere soli. Comunque poi lo senti. Lo riconosci. Lucian non è nemmeno così immerso nella folla, ed ancora se il contatto accidentali con altri corpi ti urta, fai quello che puoi per guardare dritto e ignorare i sensi. Ti concentri solo su di lui, su quello che indossa ed il modo che ha di lasciare tracce ovunque. Perfino su di lei, l'umana. Sono briciole e ti sta bene seguirle finché non sei nel suo perimetro. Sapevi che c’era anche la sua ragazza ed è forse la ragione per cui più ti manca avere Riley alle spalle, statuario e sicuro. Sentirsi sola è un attimo. Sentirsi in imbarazzo, quasi dovuto. Sai di camminare in una cristalleria e sei il genere di bestia che difficilmente presta attenzione a dove mette i piedi. Fallo.
    «Ehi..» un saluto leggero quando in verità non sei lì a fissarli, solo uno sguardo veloce ad entrambi, che già senti di interrompere tutto ed esplodere la bolla in cui si erano rinchiusi. Ti chiedi perché ti abbia chiamata lì.
    ©
     
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    C’è qualcosa di inevitabilmente dolce nel modo in cui lo guardo adesso. Inevitabile nel prendere uno stralcio, come faccio sempre quando ci sono momenti che sembrano insignificanti, ma che per me sanno di qualcosa che invece, al contrario, è importante, e profondo in un modo che neanche provo a spiegare. È lì, fra le labbra che ancora restano su in un tentativo che neanche ci prova davvero a tenere del tutto una facciata che è un gioco, o qualcosa di comune fra di noi. Lì, negli occhi, e nel modo in cui per un secondo mi prendo una pausa, e penso di assaporare semplicemente quello che succede di fronte a me. Così e basta, per qualche secondo. Come mettere le mani in qualcosa che si è forse aspettato per molto, e che un po’, ancora si deve finire di assaporare del tutto. Anche se non penso che ci sarà mai il momento in cui smesso di assaporare, e in cui ne sarò semplicemente sazia. È solo sempre la stessa realizzazione che non è neanche davvero questo, è più come fermarsi davvero e semplicemente guardare, respirare quello che per quanto è sembrato impossibile, adesso è fermo. Ed è anche solo che probabilmente ho davvero un punto debole, molto, molto debole, per Morgan con i bambini. In qualsiasi cosa che fa, dice, o in tutti quei più piccoli sguardi ed atteggiamenti. Mi prende sotto le vene, ed anche questo non avrebbe senso spiegarlo, né ora né mai. Penso sia una di quelle cose, che semplicemente esistono, e fanno un po’ parte di tutto quello che so, e che lui sa, e che sappiamo e basta. Spingo l’anca destra un po’ più fuori, in una posa che mi lascia in piedi, per continuare a guardarlo in quello stesso modo, con quello stesso sorriso, e quella stessa specie di scintilla impressa nelle iridi. Quella che è sempre rivolta a lui, e che sa di mille cose, e che in queste occasioni, diventa come una sorta di segreto fra me e lui. Sposto per un secondo lo sguardo altrove, ma sempre nel modo che fa parte di quella che è una recita, sì, ma è anche qualcosa di diverso. Poi torno su di lui, sempre e comunque, e lo faccio con denti che per un attimo, afferrano il labbro inferiore, mentre scuoto appena la testa. «Non voglio deluderti, cowboy, ma sono abbastanza sicura che, purtroppo per te, mio marito ti aprirebbe il culo se fosse questo il caso» lo faccio schioccare appena sul palato, con uno suono secco della lingua, e un sorriso che nell’angolo destro si infossa, e se ne resta lì prima di smuovere la testa solo per scostare appena i capelli senza toccarli. «E penso anche che te ne sei perso uno, di bambino» sposto lo sguardo verso il passeggino doppio, dove resta un posto vuoto, prima di tornare da lui con una domanda negli occhi, anche se è una domanda che non chiede davvero, ma resta solo divertita nello sguardo. Smuovo le mani, lo faccio per allungarle fino a Jaden, spostarlo piano nell’afferrarlo con cura prima di girarmi per sedermi sulle gambe di Morgan. Me lo metto fra le braccia, così che sia steso fra uno e l’altro, chinandomi per un secondo per lasciargli una pressione di labbra sul naso, piccolo, minuscolo, prima di tornare dritta e smuovere il busto abbastanza da premere la schiena contro il bordo del tavolo e rivolgermi verso Morgan. «Ma sei fortunato, il mio armadio a quattro ante non è in città, e sono una donna sola» sento la sigaretta ballare fra una parola e l’altra, ancora spenta fra le labbra. Mi metto un po’ più comoda, appoggiando il gomito del braccio che regge la testa di Jaden sul tavolo, mettendolo quel tanto più inclinato che lo trattiene ancora lì, fermo con cura. Sono i miei momenti pieni, questi. Accavallo le gambe, spingendo quella libera sotto quella in cui adesso c’è una stretta a cui abituarsi. «E odio essere una donna sola» alzo appena una spalla, in un fare che resta teatrale mentre metto su un aria che dell’accigliato, ha solo un’impressione. «Quindi, me lo offri o no d’accendere, ormai che siamo qui» abbasso appena lo sguardo, in un modo che se sta ad indicare la mia seduta, prima di tornare a guardarlo con la stessa pressione che resta sempre, imperturbabile, nonostante tutto. Quella che pressione non lo è davvero, ma è solo qualcosa che è più simile a un ribollire che risale la superficie, ancora ed ancora. Per così tante cose, che neanche posso nominarle tutte. Così tante, che se ci provassi dovrei passare la mia vita così, senza fare altro.
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