Moth to a flame

Diana/Nathaniel - Settembre 2021

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    Alcuni dolori non sono creati per essere espulsi subito da un organismo che ne sente il prurito fin nelle viscere, sono fatti per essere assimilati, per scavare piano in un mondo di convinzioni che ad un ritmo indecente comincia a crollare su sè stesso e a provocare dubbi come frane, l'uno sopra all'altro. Questi dolori non puoi sfogarli subito, non puoi pensare di piangerli via con un mucchio di lacrime che, in fondo, non significano niente se non realmente sofferte. A Nathaniel fanno male perfino le due lacrime che per una delle poche volte nella sua vita gli rigano il volto, silenziose ma inesorabili nel tracciare un percorso che non sa di vergogna ma solo di mille colpe mai accettate. Ancora non le accetta quando rimorsi e rabbia si mischiano piano nel suo stomaco per far tremare ogni muscolo, ogni vertebra e ogni pensiero. E questo è un dolore che sa di non poter sfogare subito, che sa di non poter lasciar andare solo con un paio di gocce che sanno di odio più che di arresa. Dovrà viverci con un dolore del genere e non lasciarlo andare come ogni altra sua parola, ogni suo sbaglio in quella che gli sembra una storia impossibile da terminare, ma anche da portare avanti.
    Cosa potrebbe mai esserci, dopo di quello? Dopo due vite che ha deciso forzatamente di separare per riportarle sui binari dritti che ha imposto a sé stesso e ad altre vite solo per poterle tenere sotto stretto controllo? Lo sa che la risposta a tali domande non può esistere per il semplice fatto che è stato lui a cancellarla, a renderla impossibile tra errori ed errori dettati da una paranoia a lui sempre più evidente, ma a quasi ogni altro sguardo invisibile. E c'è una persona, tra tutte, che può conoscere ogni rivolo di dubbi e speranze infrante di cui è fatta la sua mente, una persona sola che anche senza il potere di dissipare il suo dolore, saprà donargli il sollievo di un rifugio.
    Il suo è un teletrasporto scostante, quasi pericoloso, è ciò che lo può portare senza troppi pensieri in un luogo che è casa sua pur senza esserlo, perché parte del suo sangue. Per questo traballa su un uscio già varcato, davanti ad occhi che sperava e sapeva di incontrare, di fronte all'unica sagoma che saprebbe accoglierlo anche quando ogni sua barriera è ormai fatta a pezzi da rabbia e dolore.
    «Si sposa. Yael è incinta.»
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    Sono passi che si muovono nelle intercapedini di un silenzio che si agita quieto e rigonfio, quando non ci sono pianti da accogliere e stringere nell’essere ragione che la tiene salda sui suoi piedi, nonostante tutto. Ma diventano il rumore sordo che si sposta verso una porta e poi si ferma, in istanti che servono a guardare ed analizzare, e comprendere per raccogliere stralci di pezzi distaccati dalle ossa, come sbranati da fauci che di grazia e clemenza non ne mostrano mai, ma seguono i dettami di quella che sa sembrare una maledizione immemore sepolta nelle vene. Lo guarda con quel modo che sa riservare solo a carne che sa essere simile alla sua, scolpita dalle stesse mani che li hanno creati già stretti in una morsa che anche se ha spine, è l’unica stretta di cui ha un bisogno viscerale. Lascia andare un respiro, spingendo la porta alle sue spalle perché si chiuda con un tonfo che resta sordo, e spezza per un attimo il velo di un silenzio che anche senza sillabe, sa gonfiarsi di un fiato che è rotto insieme a tutti quelli di Nathaniel. «Che pezzo di merda» è un sibilo che si fa grave nelle labbra, un soffio che ha le fattezze del verso di un animale che si rigonfia in gola, ma che resta basso nella notte così da non essere percepito. Sente quella vibrazione antica che chiede solo sangue e dolore per ogni più piccola pena inflitta a quella dinastia che li ha generati, e che rinnegata, ha lasciato solo tre esistenze a interlacciarsi fra di loro. Muove le mani per cercare quelle di suo cugino, stringerle piano ma con una forza che si fa quasi incessante nella volontà di esprimere qualcosa che, lo sa, è la tacita consapevolezza che si sono piantatati più giù delle ossa. Lo fa mentre arretra, così che possano entrare fra muri che rigonfi di segreti, sanno anche trattenerli e soffocarli per non farli uscire mai dai secondi stessi in cui si concedono di nascere ed esistere. Non lo lascia neanche quando raggiunge il divano, e trova posto nell’accompagnarlo con sé, lanciandogli uno sguardo che poi viene seguito da una mano che diventa una carezza sul suo volto, una che potrebbe muoversi rapida per trasformarsi nel contrario e diventare dura contro volti che si sono alzati alle spalle di Nate e lo hanno portato qui. Ci sono giuramenti che avrebbero dovuto restare saldi come pietre miliari mai scosse, ma sa quanto esistano esistenze che non danno importanza a quelle concezioni che per lei, invece, sono l’unica realtà possibile, quando è di giuramenti che vive e si nutre, come sangue iniettato nelle vene. Sa che il matrimonio resta l’unica via perseguibile quando ci sono condizioni che chiedono responsabilità, e il rispetto di un codice che non può crollare, ma solo preservare regole che sono le stesse a tenere Nate incatenato nel silenzio di un segreto che non può vedere la luce, ma solo angoli bui in cui nascondersi e non emergere mai. Non sa mai accettare davvero come tutto questo, tutto il loro mondo, il cemento, il sangue, l’oro e la bile, possano essere le stesse cose che si ritorcono contro quelle persone che invece, vorrebbe tenere lontane da tutto, sempre sopraelevate così che la sporcizia e l’infamia di quelle stesse terre non possa coglierli mai. «Te l’ha detto lui?»
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    Le espressioni sul suo viso non sanno mai alternarsi con sciolta spontaneità come in momenti come questo, quelli che tra sangue simile al suo sa rendere privi di un controllo ghiacciato e spesso soffocante. Perché ci sono sorrisi addolciti seppur tra i più amari mai provati e occhi tristi ma stanchi a rendere più morbidi i suoi lineamenti in una concessione di un secondo che sa di famiglia e quindi di quella verità più assoluta. Quella che rinnega, che si rimangia in ogni gesto dettato da un disegno più grande e così fottutamente preciso da non lasciare spazio ad istinti che adesso, solo adesso, lo divorano. Ma è un abbraccio sicuro quello in cui si rifugia, l'unico che ha davvero visto ognuna di quelle espressioni passare sul suo volto in istanti che lui chiama di debolezza. Non lo sa se lo siano davvero, non più, ora che li sente premere con tanta insistenza contro il suo sterno piegato da sospiri veloci, affannati, increduli. Però lo sente che alcune parole non riesce a pronunciarle. Quanto vorrebbe poter dire che sì, Riley è uno stronzo ad aver cercato una nuova vita, quella che in realtà Nathaniel ha sempre desiderato per lui. Ma qui, in questa realtà che solo Diana è capace di rendere tanto sincera, sa di non esserne in grado. Così come non è capace di provare rabbia, quella cocente e piena di passione che vorrebbe sputargli addosso per esprimere quel dolore contratto e ormai da troppo tempo segregato nelle sue viscere. Non può, non quando il futuro è la mera conseguenza di ogni sua azione, forse perfino tutto ciò che già si è aspettato senza accettarlo, mentendo a sè stesso. Può solo percepire quanto faccia male, infine, sbattere il viso contro ogni previsione divenuta cruda realtà.
    «Non lo vedo da mesi.» Perché alla fine non ha seguito le parole di nessuno se non quelle da lui prescelte, non ha ascoltato nemmeno Diana stessa quando gli ha detto di non privarsene mai, di quell'amore. Perché sembrava così ovvio non poter tenere Riley nella propria vita, quando c'era un erede in arrivo, una vita perfetta con una moglie perfetta. La verità, però, è che nella sua vita ci è rimasto lo stesso.
    «Lo sa che sono il primo a sapere ogni cosa, Dia'. Non verrà a dirmelo. Lo ho allontanato troppo.» Perchè lo ha privato del modo di farlo, ha alzato così tanti muri da renderlo sempre inaccessibile tra assenze, viaggi, eventi.
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2 replies since 3/1/2022, 23:52   89 views
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