Lost souls paired

Rafael/Gray | Novembre 2021

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    Non ho mai più sentito mio nessun posto, da quando me ne sono andato da Charleston, ma forse ne sono realmente grato. Non sento mie le vie caotiche di questa città, a volte troppo fredde e a volte insopportabilmente chiuse tra tetti troppo alti. Non sento mia la taverna in cui lavoro, così come non sento mio il pub nè i posti che ho deciso di frequentare per puro piacere e non solo per permettermi questa casa. Ovviamente non sento mie neanche queste quattro mura in cui ormai con Ray convivo da un po'. E non è questione di non essermi ambientato, ve lo assicuro, è solo che preferisco non sentirmi a casa in questo periodo della mia vita, preferisco essere dove sono senza farmi troppe domande, senza appiccicare troppe etichette su pareti che mi piacciono così, un po' anonime, un po' di tutti. Per questo mi piace invitare gente a casa anche se mai avrei pensato di volerne ospitare così tanta. Mi piace dare un tocco sempre diverso a queste stanze per renderle sempre diverse, quasi come se fossero un segna posto per il passaggio di tanti ma un rifugio, in realtà, per nessuno. Non ho bisogno di un nascondiglio, non ho bisogno di una casa. Li ho già avuto questi posti e tra le loro mura non portano bei ricordi, non portano altro che grandi rimorsi. Ma New York è diversa e lo so nel momento stesso in cui entro in casa dopo una notte insonne, una notte da nomade che racconta di divertimento in ogni odore che si porta dietro. Ho una canna accesa in mano, tanto per cambiare, ma anche gli occhi già rossi per tutte quelle che sono venute prima. Eppure è un sorriso quello che si stampa istintivamente sulle mie labbra nel sentire la porta di casa scricchiolare appena e rumori indefiniti oltre ad essa. Mi importa poco di scoprire che non è Ray a riempire i muri della nostra piccola tana, ma un viso sconosciuto che associo a poche parole riferitemi il giorno prima di una notte annebbiante.
    «Tu devi essere il proprietario del divano.» E' tutto ciò che ricordo e tutto ciò che basta, anche, mentre cerco con movimenti traballanti ma agili di salire sul comò più vicino, giusto per poter lasciar penzolare le gambe in un moto rilassante nell'essere solo la continuazione di una vita passata a non star mai fermo.
    «Non ti da fastidio se fumo, vero? Anche perché mi sa che c'era già una puzza d'erba devastante.»
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    Edited by Patrizia. - 7/1/2022, 14:48
     
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    Le strade del Bronx ti sembrano più buie questa sera. Sarà che i lampioni sono fulminati per una buona parte e nessuno, nemmeno Froy, ti sta scrivendo. Di tanto in tanto sblocchi il cellulare per vedere se c'è qualche notifica. Che di solito, se non è a scopare con le gemelle, il tuo amico ti scrive, ti accompagna fino a ''casa'' pregandoti di fare marcia indietro e di tornare a quella che effettivamente ti ha ospitato per questi dodici anni.
    Non importa il modo in cui gli hai spiegato che affittare un divano forse è solo sintomo di un'autodeterminazione che vuoi concederti prima di non aver più modo di farle certe cazzate. Non importa di come ''dormire su di un divano per più di qualche giorno'' sia già stato depennato dalla lista delle cose da fare prima di morire. Lui ti vorrà sempre in tenda, a dormire sì, scomodi perché in due su di un lettino del cazzo. Ma comunque sotto la sua ala protettiva.
    Che alla fine è come se ti avesse cresciuto lui, nonostante siate quasi coetanei. Papà ha affidato a lui il tuo maledictus già dai primi giorni di permanenza al circo. Lo ha preparato affinché potesse gestirti da solo: Senza aiuto dei suoi genitori, senza altri sostegni, non durante gli spettacoli. E non è stata facile all'inizio: Perché istintivamente sei stato portato ad avere un imprinting quasi negativo. Lo hai visto come un carceriere, prima e solo dopo qualche mese, forse un anno, come un amico. Un fratello, quasi.
    ''Fro, sono quasi a casa. Batti un colpo per farmi sapere che sei vivo? Mh?'' Gli scrivi senza badar troppo alla strada. Schivando istintivamente le buche nell'asfalto e la merda di cane a decorare il marciapiede.
    Nella mano libera stringi una busta di birre di qualche sottomarca sconosciuta. Roba in lattina che quasi è più buona da calda. Forse è davvero l'unica roba che sei riuscito a trovare al minimarket aperto h24. Forse era davvero serio Ray, quando ti ha detto che l'importante, a casa, non è nemmeno pagarlo quel divano, quanto cibarsi da soli. Mantenersi senza strappar nulla agli altri, né chiede altro in prestito.
    Ma l'unica cosa di cui tu senti il bisogno, probabilmente, è solo di trovar qualcosa che sappia porti dinanzi ad una ''prima volta'' sempre. Immagino sia per questo che ti piace stare in mezzo alla gente, anche se spesso hai il timore di farti scoprire per quel che non sei: Un uomo fatto solo a metà, a detta tua.
    Sali le scale del palazzo a due e due, fischiettando una canzone che ti è rimasta in testa ma della quale non conosci nemmeno il titolo. Forse è roba ascoltata durante l'attesa in cassa. Forse è stata cantata da Joshua durante il concerto a Central Park.
    Ma non ti ci soffermi molto, non quando da bravo equilibrista incastri le buste negli avambracci ed usi una mano per aprire la porta.
    ''Oh, ciao.'' L'odore di erba invade subito le tue narici. Tra l'elenco dei profumi che ti piacciono forse è al secondo o terzo posto. Al primo c'è quello che permea casa di Caleb, per ora.
    ''Già, così dicono.'' Ti sembra quasi un titolo importante quello. Proprietario del divano, Re del divano, non fa poi tanta differenza.
    ''Ero tornato proprio per fumarmene una anche io in santa pace.'' Annuisci serio, poggiando le buste piene di birra sul tavolino davanti al tuo divano/spazio vitale, per poi iniziare a frugare nella tasca del giaccone alla ricerca del grinder. Ti lasci subito andare su di una sedia di fronte a lui, sporgendoti in avanti giusto per dargli una mano da stringere.
    ''Sono Gray, comunque. Anche se ''Proprietario del divano'' non mi dispiace. Sembra una cosa seria così.'' Inizi a triturare la cima d'erba. ''Ti dispiace se...se ti faccio compagnia? Chiedi indicandogli con lo sguardo le birre da cui poter attingere.
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    Non lo so dove potrei aver sepolto anni di un'educazione rigida e composta da mille e più tasselli di formalità insulse. Penso che ogni mio gesto e parola un po' lo rispecchi il senso di inadeguatezza che mi son portato sulle spalle per tutta la vita in una famiglia troppo ricca, troppo importante, in un branco troppo potente e una casa troppo grande. Forse è per questo che ora mi sono staccato da ogni convenzione, che a volte ci passo notti intere con la gente senza chiedere quale sia il suo nome. Mi bastano gli odori, gli sguardi, quelle emozioni che percepisci anche senza empatia, perché così superficiali da essere scritte su ogni lineamento contratto. Sono qui per questo, in fondo, per vivere ciò che di superficiale non mi è mai stato concesso.
    «Oh, già mi piaci.» Che poi la avrei spenta la canna se gli avesse dato fastidio, perché nonostante tutto non sono un maleducato e mi piace starci bene, con le persone. Però la prospettiva di aspettare l'alba con l'erba e le birre è sempre la mia preferita.
    «Mh, Rafe. Graazie.» Lo dico mentre il fumo esce dalle labbra un po' strette in un sorriso che si accomoda sul mio viso stanco. Ma è così che mi piace essere, stremato da una vita che sa essere quanto di più dinamico io abbia mai conosciuto. E mi sto già sporgendo verso quelle lattine, perché un invito è un invito e sinceramente mi sta piacendo, questo nuovo coinquilino.
    «Bhe, è seria quanto vuoi che lo sia.» Perché non mi dispiacerebbe trovare tutte le mattine nuove birre calde in soggiorno, ma non mi offenderei se mi dicesse di dover partire domani. Superficiale, vero? Ma forse è ciò di più sincero che io abbia potuto provare.
    «Sei da tanto a New York? Quanto resti? Se ti va di dirlo, ovviamente.»
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    Edited by Patrizia. - 7/1/2022, 14:48
     
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    L'ansia da prestazione, che sa assalire anche te quando ti ritrovi dinanzi a situazioni nuove, già scema. Perché nel guardare il ragazzo che ti siede dinanzi, uno strano senso di somiglianza finisce per assalirti. Un po' come se già lo conoscessi nonostante sei portato ad estendere il tuo dominio su tutta la stanza. Guardi il tuo divanoletto con la voracia di chi vuole prendersi tutto, eppure ciò che ti limiti a fare è aprire una birra e portartela sotto al muso mentre, sfilando le cartine stropicciate dalla tasca del felpone, inizi a rollarti la canna. Ti piace l'odore che ha la birra, anche quando è così calda e sei certo che non riuscirà a dissetarti come una Corona in cui spremere del limone. Ti piacciono tutte quelle immagini capaci di donare quella sensazione di convivialità che per anni hai sognato.
    Come quando avevi quattordici anni ed essendo arrivato da poco al circo, guardavi i ragazzi più grandi far tardi dinanzi ad un fuoco. Loro bevevano e a forza di guardarli di nascosto, poi hanno iniziato a far bere anche te. La prima birra l'hai bevuta con Oswald, ma il gin lo hai conosciuto con Declan, tuo padre.
    ''Rafe? Figo!'' Ti esce spontaneo, leggero, in un batter di ciglia che non gli concedi subito, perchè sei impegnato ad osservare il tabacco mischiarsi all'erba e poi prender forma tra le tue mani. Tiri persino la lingua di fuori quando ti concentri così. Ne batti la punta contro le labbra, incastrandola tra gli incisivi.
    ''Diminuitivo o ti chiami proprio così?'' Non sei affatto accorto, né riflessivo. Non pensi che lui potrebbe rigirarti la medesima domanda e che, a mente lucida, dovrai scegliere se essere o meno sincero con lui.
    ''Me lo chiedi per l'accento?'' Forse il Kentucky ancora si sente. Il tuo accento è un po' duro e non ha certamente nulla a che vedere con il cambio di voce dato dal testosterone.
    ''In realtà sono qui da quasi due annetti...circa.'' Ed accenni la canna in un tiro così lungo da farti chiudere gli occhi. Premi la schiena contro la sedia e lo fai in modo che qualche vertebra scrocchi appena. Giusto per riaggiustarti da solo un po'.
    ''Spero di restare più tempo possibile, in effetti.'' E non lo dici per il maledictus, quanto perché con Papà avete viaggiato per anni in lungo ed in largo: Non c'è zona dell'America che tu non conosca, probabilmente, eppure tra tutte, nonostante tu sia tipo da Montana, New York ti piace davvero.
    ''Sai, viaggi di lavoro...'' E fai spallucce, chiedendoti, per un istante, se Ray deve avergli raccontato del vostro primo incontro e di come, sin da subito hai svelato la carta della prostituzione. Non vai fierissimo di ciò che sei: La prostituzione, il maledictus e tutto il resto, eppure sei convinto di non voler mentire a nessuno, di voler essere quantomeno sincero...per quel tempo che ti resta.
    ''Spero di non disturbare.'' Ti viene poi il dubbio che possa avertelo detto perché, in casa con loro due, non ti vuole. ''Ma posso giurare che sarò spesso fuori. Ho degli amici qui in città con me, ma avevo voglia di...cambiar aria, diciamo. Provare esperienze nuove e beh, affittare un divano mi è sembrata una di di quelle strane esperienze da dover fare almeno una volta nella vita.'' Prima di spegnersi mentalmente, si intende. ''Tu...'' Butti fuori il fumo, ma piegando le labbra su un lato della bocca, come a voler evitare di mandarglielo in faccia. ''Vivi da tanto tempo con Ray?''
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    Lotto perennemente tra una superficiale curiosità e il ghiacciato rispetto che nutro per la riservatezza della gente. E' sempre stato un po' il mio problema, questa istintiva tendenza a farmi amiche le persone che va fondamentalmente contro alla paura di aprirmi, di rivelare ciò che è scritto dietro ad ogni mio sguardo in un passato che non mi piace riportare a galla con memorie cruente. E' che non mi piace neanche giocare a fare il timido, tenermi tutto dentro nella speranza che prima o poi sparisca, perché lo so che certi ricordi non sono fatti per svanire e, in fondo, sono anche ciò che mi ha portato fino a qui, ad una vita che nella sua superficialità apprezzo davvero. Non so cosa mi aspetto dalle persone che mi circondano, sinceramente, non so se a volte vorrei essere scosso da loro o se semplicemente io voglia solo tenermele di contorno, continuando a seguire questi istinti che mi piace sempre un po' sfocare, andando oltre i bordi di convenzioni che amo non rispettare. Un po' come adesso, che l'odore di Gray mi sa di qualcosa di così diverso da me, forse opposto. Ma contro questa sensazione mi piace spingere e spingere, tirarlo un po' più verso di me nonostante queste barriere invisibili, sentendo brividi di adrenalina nello stomaco che mi dicono quanto potrebbe essere sbagliato. Sì, mi piace anche questo.
    «Nah, mi chiamo Rafael. Che mi piace, eh, ma sembra troppo nobile Alla fine solo mia madre mi chiamava con il nome per intero, perché perfino i miei fratelli lo sentivano quanto un po' mi desse fastidio lasciarlo pronunciare a qualcun'altro.
    «Perché Gray è un nome vero, invece?» Non ne ho sentiti di nomi così a New York, eppure non dovrei nemmeno molto sorprendermi abituato come sono ai nomi assurdi che girano in South Carolina. Mia madre è troppo raffinata per quel posto, l'ho sempre detto.
    «No, non ero così attento. E' che a New York non c'è mai nessuno di New York e di sicuro nessuno che viene ad abitare con noi.» Scuoto appena le spalle prima di poggiarle contro il muro, rilassato per l'ennesima inspirazione di fumo.
    «Ma che disturbo? Portali qua i tuoi amici, facciamo un festino!» E anche questo va leggermente contro ciò che il mio istinto, in questo momento, mi dice di fare. Proprio non ci riesco a fare ciò per cui sono stato cresciuto, a marcare territori con barriere inespugnabili e difenderle fino all'ultima goccia del mio sangue corrotto. Ma è quello che mi sono ripromesso una volta arrivato a New York, no? Di andare contro ad ogni convenzione per acchiappare finalmente qualche desiderio.
    «E' due anni che sono qui e due che vivo con Ray. Mi sa che abbiamo avuto culo, dicevano tutti che sarebbe stato un incubo avere un coinquilino a New York ma cazzo, noi ci divertiamo.»
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    Hai sempre pensato che per rompere il ghiaccio fosse semplicemente necessario parlare a briglia sciolta. Senza dire nulla di troppo personale, ma parlando comunque tanto. Accavallando le parole col fine di stordire il tuo interlocutore ed imparare, così, ad inventare storie che fossero credibili. Come quella che gira sul tuo nome e che sei stufo di alimentare. Perché Gray non ti è mai piaciuto: Non ti è stato dato da qualcuno che ti voleva bene ed stato per mesi vessillo di ciò che non puoi essere, un ragazzo. E ''Gray'' è semplicemente il grigio, quella scala in cui sei stato infilato a forza e che, per anni, non ha fatto altro che avvelenare la tua esistenza. Al pari del maledictus. Al pari di qualsiasi altra paura adolescenziale.
    Per questo hai un po' di timore adesso nel sorridergli con quel fare leggero che ti porti dietro da un po'. Quando rassegnato alla fine ti vesti di quello che fingi essere il tuo abito migliore. Che nel fumo che ti riempie i polmoni sai scorgere una sincerità che non dovrebbe essere tale, non con uno sconosciuto almeno.
    Eppure se hai capito bene com'è che ci si rapporta con qualcuno che, si presume tu debba vedere almeno una volta al giorno per buona parte della tua - e se consideriamo che vivrai forse altri quattro anni, anche solo un anno passato ad affittare quel divano è una percentuale altissima - allora la sincerità è alla base del rapporto. La prima cosa che necessita di esser messa in gioco.
    ''Sembra spagnoleggiante. '' Non sai nemmeno se è un aggettivo che esiste. ''Magari è il nome di uno che ha finanziato la costruzione della Sagrada Família. Uno importante in questo senso. '' Il bello dell'alcol e del fumo è che te ne bastano pochi per iniziar a dire cose apparentemente senza senso. Non ti ubriachi al punto da vomitare, ma tanto da finire sempre in bilico tra la stupidità e la genialità. Ed adesso forse sei stupido, terribilmente stupido.
    ''No, mi hai sgamato.'' Prendi un respiro profondissimo. Accavalli le gambe e spingi la schiena all'indietro. Abbassi per un attimo lo sguardo, lo concentri sulle dita che reggono la canna da cui hai preso forse pochissimi tiri, poi lo riporti di nuovo su di lui.
    ''I documenti dicono che mi chiamo Grace. Come piaceva a mia madre.'' Fai spallucce e ti dici che no, non è come con Lady Oscar di Riyoko Ikeda. Tua madre ti ha chiamato Grace perché non sapeva, alla tua nascita, che crescendo avresti iniziato a sentirti stretto in quel corpo da donna. ''Ma Gray non è così malvagio.'' Giusto perché ci hai fatto l'abitudine e non conosci altri nomi maschili che pensi potrebbero starti bene. Tu sei Grace: Grace per i tuoi amici, Gray per i clienti.
    ''Dai? Che coincidenza. Di dove sei tu? Magari ci siamo già visti da qualche altra parte.'' E lo dici perché guardandolo continui a sentire uno strano prurito allo stomaco. Lungo la gola. Come un fastidio, sì, ma non così ingestibile da spingerti ad alzare i tacchi per andartene. ''Già, Ray non sembra male.'' Anche se lo hai rivisto solo poche volte da quella sera al giorno in cui ti ha dato la copia di chiavi per la casa. ''Certo, sono felice di aver conosciuto te in un modo diverso da quello in cui ho conosciuto lui.'' Ridacchi e sai bene a cosa ti riferisci: Non vorresti diventare amico di tutte quelle persone che, bene o male, hai cercato di portarti a letto in cambio di qualche spicciolo. ''Ma devo ritenermi soddisfatto della fortuna che ho avuto nel trovare una casa dove non sembra vivano dei pazzi. Mi avevano detto di star attento qui a New York. ''
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