In The Dark

Nova/Aalina | 10 Settembre 2019 | Sacred Heart

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    Nova Bishop


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    i sento così stupida ad aver creduto di potermela cavare nonostante questa disabilità. Disabilità, è una parola dall’accezione crudele nella nostra società e non l’ho mai voluta usare, non me la sono mai voluta vedere addosso, ma è successo e alla fine è stato nel modo peggiore. Uno che mi è crollato addosso facendo crepare anche la terra sotto ai miei piedi. L’ho sempre saputo che il rifiuto non era la strada giusta ma ho tentato comunque quella e mi ha portato a sbattere così forte contro un’accettazione forzata. La solitudine non era bastata, gestire una figlia da sola con la paura di non esserne capace, sentire lui troppo lontano per sopportarne la mancanza come la roccia che è sempre stato per me. Ma ci ho provato forse proprio perché di fronte a tutte queste difficoltà dovevo dirmi di potercela fare da sola, e non ci sono riuscita. C’è voluta invece una persona sconosciuta per salvarmi la vita da quel vicolo. Sarei morta e avrei lasciato Elsa da sola, con un padre licantropo odiato e ostracizzato dalla stessa comunità in cui lei sta crescendo e che la vedrà un giorno proprio lì, in mezzo a loro. Mi passo una mano sugli occhi mentre recupero quelle poche cose che mi sono rimaste, che non mi ha portato via quell’uomo spuntando su una mancanza che è una ferita nello sguardo, nell’orgoglio; avevo anche quello prima ma lentamente è andato consumandosi per lasciarmi con niente tra le mani e una carriera spezzata a metà. Penso che la mia famiglia verrà a prendermi a breve, quindi quando esco dalla stanza non mi aspetto di vedere l’aura di quella persona che ho visto invadere la mia vista buia in quel momento. Ho visto solo la sua luce. Una bella luce. Mi blocco appena oltre la porta, ancora un po’ indolenzita nel corpo di quei punti in cui la magia ha solo iniziato un processo di guarigione più lungo. Abbozzo un sorriso che sento tirato sulle labbra verso la direzione da cui si espande il suo contorno luminoso. «Non so neanche da dove cominciare per ringraziarti,» è questa la prima cosa che dico, distante da me in modo che non mi ha lasciato prevedere nemmeno la mia stessa voce. Aggiungo poi, «Vedo la tua aura soltanto», perché una spiegazione di questo tendo a darla a tutti all’inizio, così che sappiano come faccio a destreggiarmi almeno un minimo.


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    Alcuni pesi non pesano mai davvero, non sono massi che con convinzione ci si può portare sulle spalle per doveri che vengono scritti addosso fin dalla nascita e giorno dopo giorno. Aalina ne sa qualcosa, di doveri e di etica, di impegni che alcune persone non si prendono la briga di assumere in un lusso che lei non ha mai potuto concedersi. L'immagine è tutto, è ciò che le hanno insegnato quando ancora non sapeva che il suo volto veniva già riconosciuto in diversi luoghi del mondo e ogni suo gesto preso ad esempio. Eppure nessuno ha mai dovuto insegnarglielo davvero, a fare la cosa giusta, a preoccuparsi per gli altri prima che per ciò che le veniva imposto, a vedere il buono laddove alcuni avrebbero notato solo un'infinito susseguirsi di doveri e imposizioni che, se non condivisi appieno, non conoscono una fine. Ci sono delle convenzioni che le pesano addosso più della più invadente corona, ma non si tratta mai del prossimo, mai di chi ha realmente bisogno, mai di chi ha scelto da quando ne è cosciente di aiutare con tutti i mezzi che possiede, che a volte le sanno sembrare anche troppi.
    «Non devi assolutamente farlo.» Ci si ringrazia per una gentilezza, di solito, per qualcosa che vada fuori dalle righe e non per un gesto che non ha saputo essere che quello in una giustizia scritta in ogni sua convinzione. Un aiuto, una salvezza, un'attesa che forse non sarebbe stata necessaria, ma che Aalina non ha potuto fare a meno di portare a termine con impazienza.
    «Volevo solo assicurarmi che tu stessi... meglio.» Meglio, non bene, perché non lo sa davvero come stia, non lo può immaginare da quella bolla di salvezza e agi in cui è cresciuta, con l'attenzione di tutti addosso, nel bene o nel male.
    «Mi chiamo Aalina.» E sorride appena anche se non lo sa se potrebbe essere inutile, o se davvero qualcuno avrà piacere a preservare il suo ricordo, a farle un ritratto seppur incapace di registrare i dettagli del suo volto.
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