Amaretto Sour

Magnus & Nathaniel | 13 Marzo 2021 - Alcatraz

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    Consuetudini, ricorrenze: tutto trova un perfetto incastro in quel grande meccanismo che è Alcatraz. O lo è da quando Magnus siede al trono, poggia le mani gelide lungo i braccioli e tamburella il potere attraverso piccoli gesti. Stringono la gola di chiunque anche solo voglia alzare il volto e cercarlo, chiedere di lui, reclamarlo. Ascolta, quando può, quei pesci che nuotano nella sua vasca. Poiché non v'è dubbio che sia suo tutto ciò che mette piede alla Fortezza. Detiene un potere legale, tanto quanto uno spirituale, che allaccia ad abitudini di cui si è fatto Re e Padrone. La divisione, recente, lo rende particolarmente fiero, da quei piccoli rituali che compie ogni volta che qualcosa di più rilevante avviene nel suo carcere. Non ci ha pensato due volte a strappare le redini dalle mani dell'invalido predecessore e dunque ora è la sua personale punta di diamante quella che brilla negli occhi profondi. Neri come due pozzi di petrolio, scrutano celle dall'aspetto angusto, muovono passi lungo corridoi che sono labirinti. Alcatraz vive nella sua testa, si modella sui suoi respiri, si muove silente al suo comando. L'ha resa una creatura verso cui ha il massimo rispetto e che, in ricambio, è tutta la sua vita. A completo agio, il direttore si avvicina al quarto livello, supera i cancelli della doppia guardia. Castor e Pollux sempre al suo fianco, silenziosi come i gatti che sono, ma letali in quanto la razza esige. E lui, stesso, impone.
    Bastano cenni perché il sentiero si apra al suo scorrere, al ticchettio delle scarpe lucide, come sempre italiane. Importa tutto ciò di cui si veste, poiché sa che molto fa l'apparenza, ed il resto lo fa l'ego. Sta per incontrarsi con un'altra forma di potere, una più fisica a volte, ma sempre contrattuale. Nathaniel Gallows, e la solita visita al padre, uno dei più grandi Boss mafiosi della scena newyorkese. Un rubino tra le gemme, che colma di fierezza Magnus che se ne assicura la reclusione con tutte le giuste condizioni. Il sistema di oneri ed onori non ha mai smesso di funzionare da quando l'ha messo in piedi.
    "Suppongo siano dovute delle congratulazioni" lascia andare un fiato, affiancando l'uomo nel tenere d'occhio l'ultimo saluto di padre Gallows, pronto a tornare dovutamente scortato, al suo comodo isolamento. Mantiene le labbra curvate appena all'insù, in uno scherno che non sa esserlo del tutto: d'altro canto, sono solo vibrazioni che scorrono sul vetro, niente altro. Volge, infine, anche il capo verso Nathaniel. "Un drink ?"
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    Non esistono azioni sbavate o incerte in una vita che le colleziona come pezzi di un puzzle perfetto in cui incastrare ogni gesto o idea nel proprio preciso collocamento. Ogni passo è una figura già compiuta, delineata, decisa prima ancora di essere parte dei propri pensieri. Perché Nathaniel ha già scelto ogni svolta del proprio futuro anche senza saperlo e le illuminazioni non sanno mai essere tali, ma solo conseguenze obbligate e così facili da prevedere. Forse lo sa da tutta la vita che dopo il matrimonio avrebbe potuto decidere di uccidere suo padre, forse non è nemmeno iniziato adesso il suo lungo processo per arrivare ad un obiettivo che brava da tempo e che, adesso, si posiziona con perfezione tra milioni di eventi gioiosi. Ha una famiglia, un erede in arrivo. Pensa che sia sarcastico quanto per una volta possa farlo felice davvero, Samuel, dandogli quella notizia che ha bramato troppo a lungo. E proprio oggi che si avvicinerà a lui con un falso sorriso, invece che con il solito sottomesso sguardo preoccupato, inizierà la sua segreta condanna. E non si sorprende che sia proprio questo ad avergli insegnato suo padre, a prendere potere con ogni mezzo, contro ogni etica, ma solo seguendo quello schema di convinzioni che si è imposto anni addietro. Non è ad Alcatraz per salutare suo padre, per annunciargli gli arrivo di un figlio, di un matrimonio felice. E' ad Alcatraz perché prima o poi Samuel dovrà morire.
    Ci sono voci che si mischiano a sorrisi di circostanza, ad altri sorrisi che non ha mai visto piegare il volto di suo padre, mai così. E tutti quei rumori, tutti quelli che potrebbero essere ricordi, non sono altro che lo sfondo di cose assai più importanti. Informazioni, un'ispezione che potrebbe sembrare superficiale ma non lo è affatto nell'essere solo il primo passo in un processo che durerà mesi, se non di più. E' una base, una base che sa già essere solida quando un sorriso più sincero, interessato, istintivo, si apre verso un volto non troppo familiare, ma vicino abbastanza.
    «Volentieri, Magnus. Ti ringrazio.» Sa essere una risposta non formale anche se educata, una che all'eleganza di parole semplici fa seguire un gesto della mano che inviti le sue guardie a lasciarlo, a tornare a New York che lui potrà in seguito raggiungere con un portale. «Ero giusto venuto ad annunciare a mio padre che io e Eleonora aspettiamo un figlio.»
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    40.
    Tende l'occhio, sempre, laddove si presentano incontri di un certo calibro. Il buon nome di Alcatraz lo preoccupa quanto la buona salute di chi vi alloggia. Quasi fosse un hotel di lusso, un superior per criminali d'alto e basso ceto sociale, rango, stirpe, razza. Qualunque etichetta ben si sposa con il sistema gerarchico di cui, però, lui è solo sovrano. Lo appaga sapere che perfino agganci profondi, radici della corruzione politica e sociale, debbano infine sottostare alla Fortezza come Stato a parte, isolato, non facile da insidiare. Quasi impossibile, a meno che certo non sia un rischio calcolato da Magnus. Assiste l'allontanamento delle guardie, dismesse come pedine di una scacchiera la cui partita è già stata giocata. Perché così funziona, ingranaggi che prevedono mosse contromosse e momenti in cui la guarda la si può abbassare un attimo, così da trarre un fiato che non sappia solo di fumo o cenere. Uno schiocco di lingua verso Castor e Pollux, all'ingresso di quello che è il suo ufficio. I Matagot rispondo veloci al suolo muoversi del corpo, un gesto e sono ai lati nella scrivania, seduti come statue, modellati nel marmo. L'arredamento è stato curato nei dettagli. Dalle poltrone in pelle scura, alla sua seduta alta. Si può ben dire che sia un insieme ordinato di mobili scuri, soffocanti, arieggiati solo da qualche libro, un fermacarte dorato, qualche monstera ed un piccolo carrello dal vassoio illuminato: è il suo minibar, un laboratorio di cocktails anche per i più esigenti.
    Matrimonio. Figli. Nulla che davvero tanga a Magnus, quanto più fardelli che gli ricordano ancore di famiglia. Una numerosa, fin troppo. Un padre assente nella presenza ingombrante che ricorda la mano pesante del figlio. Madri, perché la sua ben si confondeva tra le altre. Ah, i mormoni. "Ah, la famiglia si allarga. Congratulazioni doppie, in questo caso" affabile, non servile, semplicemente di contesto. Anche se per Magnus, questo si crepa molto in fretta. "Cosa posso offrirti?" un sorriso si apre come quel palmo che mostra il suo infinto potenziale in bottiglie di ogni sorta. Nell'attesa, non resta con le mani in mano; per lui, Amaretto Sour. ".. dal bar" una specifica in voluto ritardo. A lui si chiedono molte altre cose. Favori, spesso.
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