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Arnaud/Odessa | 21 novembre 2022

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    omeriggi così a casa li passeresti all'aria aperta, con quel sole novembrino così freddo, una caligine già incipiente, su uno di quei tavolini che costeggiano la Senna. Avresti lavorato in quel modo sonnacchioso di chi già si sente impigrire per il freddo, con scadenze più serrate perché è quello che accade in questo periodo dell'anno. Persino lontano, non sono mancate le mail, i messaggi per valutare questo o quel materiale, persino domande su dove sia finita quell'idea che avevi tirato fuori da un cassetto per un libro che potrebbe essere perfetto per inaugurare il nuovo anno con un nuovo progetto in stesura nella fornace viva della casa editrice. Ti si legge in faccia quel lavoro, nelle occhiaie più profonde, troppa la diligenza che non ti permette di ignorare certi doveri lavorativi, ma in questo momento quello che nemmeno puoi fare è trascurare la tua curiosità.
    Si è accesa viva nelle indagini su quell'albergo, ha proliferato in una frenesia mutilata quando sei stato lì. In quella notte così particolare.
    Non puoi trascurare l'accaduto, le briciole di pane che ancora non hanno indicato la strada, hanno richiamato piccioni, ma lasciato per terra dei segni inconfondibile che hanno l'intento di condurre da qualche parte. È la questione che vuoi sottoporre anche ad Odessa, il suo messaggio è stato di un tempismo provvidenziale, soprattutto visto quanto ti è difficile ambientarti in un ambiente come quello americano, che ti annoia, ti fa alzare un sopracciglio pigro, finisci per tendere a ignorarlo. Il tempismo provvidenziale è rappresentato pure da quel piccolo pezzo di Europa che ha raggiunto te senza doverti scomodare troppo.
    Abbassi il libro, un'edizione elegante degli intramontabili diari di Cioran, lo fai come se fossi lì, a Parigi, in uno di quei pigri pomeriggi sulla Senna. Invece sei su una panchina di Central Park, pensavi potesse essere più vicino a quelle immagini familiari, ma non puoi che avere un barlume di delusione in merito. Perlomeno è un'area verde, un luogo dall'odore meno sgradevole di quella città di colori cacofonici, dove poter approfittare dei sentieri per una passeggiata fresca mentre il sole già comincia a tramontare fra gli alberi.
     
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    it's 2040. our president is a plant.
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    Ha preso per sé appena un paio di giorni per ambientarsi, o così direbbe - li ha impiegati a disfare le valigie nella sua camera d'albergo al Plaza, ché ad affittarsi un posto avrebbe dovuto sprecarsi a cucinare e lavare e fare altro che non fosse leggere o starsene seduta a sorseggiare champagne con vista. E che vista, poi. I grattacieli non l'hanno mai fatta impazzire, e l'aria secca e gonfia di smog di New York City non la emoziona per niente; le dà quasi la nausea. Gira per le strade con una mascherina FFP2 a coprirle metà viso come se qualcuno ancora rispettasse le regole di contenimento anti-Covid dei No-Mag, ma in realtà le serve ad attutire il tanfo dell'inquinamento. Lo detesta proprio questo posto, non a caso si è categoricamente rifiutata di recarvisi in trentacinque anni da che è sulla Terra - e se quel pezzetto di stoffa non le coprisse la bocca ed il naso i passanti la vedrebbero trasalire di spiacevole stupore ad ogni nota fuori posto, ad ogni corsa e bizzarria che si avvicenda per le strade davanti ai suoi occhi. Il cielo si fa scuro sulla sua testa mentre passeggia pigramente per Central Park, le mani fino ai polsi nelle tasche del giacchetto di pelle. Non è Copenhagen, questo è sicuro, ma l'isola verde nel cuore della città le aggrada di certo più delle vie di cemento e dei taxi gialli che sono un pugno nell'occhio. Si ferma un attimo, quasi arrivata a destinazione, e chiude gli occhi, lasciando che l'aria frizzante le risvegli i polmoni intorpiditi, prima di tornare a camminare, stavolta con più solerzia, cercando con lo sguardo la figura di Arnaud.
    L'ha invitato a confrontarsi, dice lei, così che possano sfuggire dalla penosa realtà americana per un attimo e imparare qualcosa nel frattempo.
    Le sembra di riconoscerlo dal cappotto, così squisitamente francese, e la cosa la fa sorridere appena mentre si avvicina e prende posto al suo fianco, accavallando le gambe.
    «Bonsoir, mon ami», gli rivolge, voltandosi di tre quarti verso di lui. «Ti trovo bene, vedo che l'aria...», e indicherebbe con un gesto vago l'atmosfera intorno a sé «discutibile non ti ha rovinato».
    standing on the cliff face,
    highest fall you'll ever grace,
    it scares me half to death;
    look out to the future, but it tells you nothing
    so take another breath
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    c
    ominci a sorridere vedendola avvicinarsi, già pronto, in verità, ad alzarti per un saluto più europeo di quanto ti sei concesso da quando sei in America, se non con i tuoi stretti parenti. Per gli altri risulta strana quella tradizione che trovano un'invasione personale, troppo intima, il che ti ha fatto pensare spesso a quanta freddezza debbano avere nella carne, un sangue che evidentemente scoppietta della polvere da sparo ma non del fuoco che richiama.
    «Tu as l’air aussi belle que d’habitude» sussurri quel anche tu mi sembri bella come al solito come se il francese sia un segreto, non certo il complimento sotteso, che potresti anche urlare come si dovrebbe fare con certe dichiarazioni. Un sorriso furbo, mentre ti siedi di nuovo, finché il clima consente un freddo contenuto, c'è ancora in te quell'istinto francese a dare il giusto spazio a un ritrovarsi, così lontani dalle rispettive città. Comodi su una panchina, in uno dei pochi posti che i newyorkesi non sono ancora riusciti a sporcare di un odore così forte e sgradevole.
    Hai dovuto fingere per quanto, un paio di mesi? Mostrare un lato meno altezzoso, che non aveva pregiudizi verso una cultura diversa da quella che ti è familiare, e non solo per il popolo: lo sono anche i Cacciatori, di una diffidenza diversa, più rozzi in alcuni atteggiamenti, meno coordinati e uniti fra loro. Ti sembra ora di respirare aria fresca, anche solo per il fatto di poterti concedere questo sogno proibito di dire qualcosa che pensi davvero, e che hai dovuto nascondere. «Sei la prima con cui parlo da quando sono qui a non pensare che l'America sia il posto più bello del mondo» mentre parli, con quel tono un po' critico anche se presentato con un sorriso più aperto, apri appena la giacca, ne estrai la sigaretta elettronica. Boccheggi appena cercando di non dare troppo nell'occhio, perché nel paese delle grandi libertà, invece, ti trovi prigioniero a non poter nemmeno godere della maggior parte dei vizi che rendono la vita degna di essere vissuta, per quell'atteggiamento così puritano che sembrano non notare. E così non si fuma, non si beve, non si mangia bene. E ovviamente no, non c'è nemmeno la cultura del contatto, che ti farebbe già sentire del tutto alienato se non ci fossero i tuoi fratelli. E ora, qualche amicizia in più che ha il sapore di casa. «Da questo immagino che non sei venuta qui per il divertimento, mon ami».
     
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