It's a Violent Game

Mari/Sirthareth | 19 Marzo

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    Le cose hanno preso a smuoversi in un modo che può sembrare nuovo, ma che ha quella nota ciclica che si ripete sempre, nella storia. Non gli interessa nel senso in cui può interessare ad uomini che sorgono e muoiono tutti, alla fine, indipendentemente dal vessillo a cui scelgono di chinarsi, ma per quella curiosità pungente che lo ha sempre vessato al seguire ogni evento per analizzarlo, e scoprire come e quanto potrebbe tornargli utile. La situazione del Calvario non è migliorata, è ancora un ammasso informe di pretese che si sono alzate virulente contro un posto che vuoto non lo è mai davvero. Eppure sa quanto le attenzioni di chi quelli come lui li uccide sia comodo venga puntata altrove, quando le forze sono impegnate a trucidarsi in nome di una conquista che è sempre usurpazione. Non che manchino i Banditori, c’è sempre qualche anima pronta a barattare un desiderio con la sua eterna dannazione, e loro sono sempre contenti di accoglierle tutte. Di tumefarle talmente tanto, da cambiarle per sempre. Guarda da fuori la finestra, le dita strette contro il bicchiere, la giacca slacciata che scivola morbida lungo i fianchi. Potrebbero esserci opportunità nascoste in mezzo a tutta questa faccenda, o potrebbe essere solo un piacevole intrattenimento nel mentre della sua interminabile attesa, quella che quasi completa è stata di nuovo portata al suo inizio. Ma la pazienza è una delle poche virtù che conta nel suo arsenale, quando tutte le altre si sono degradate e corrotte nei millenni della sua esistenza. Anche questo tempo finirà, ed un nuovo ed uguale sarà pronto a ricominciare il suo ciclo, prima della fine di tutto nel segno di suo Padre. «Goliath» non è un vero saluto, quanto più il semplice constatare della sua presenza. Non sono amici, non lo è con nessuno, un concetto che gli è distante quanto possono esserlo sentimenti di pietà e misericordia. Conosce la legge del dolore, quella della paura, le uniche che possono funzionare in un mondo di dannazione. Il sorriso si fa affilato mentre si gira del tutto a guardarla, prendendo un altro sorso dal bicchiere. «Serviti pure» un gesto della mano che indica il carrello con le bottiglie ed i bicchieri, qualcosa che non è altro che un vezzo concesso solo per il gusto di farlo, come ogni cosa da sempre. «È il momento di fare una lunga chiacchierata sulle possibilità per il futuro» si muove con il bicchiere ancora stretto fra le dita, un sorriso che resta immobile sulle labbra come un sussulto nel buio.
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    È un movimento lento. Un risciacquo di acque torbide, dense ma allo stesso tempo estremamente lucenti. È una bella sensazione. Sa di certezze, di qualcosa che non muta e non lo fa imprevedibilmente. È un avanti e indietro calibrato alla perfezione. Anche il tempo ha assunto una veste diversa. Non è come essere fantasmi, affatto. In quel caso si hanno le cose decisamente poco chiare, troppo fumose, è come guardare attraverso un caleidoscopio rotto e cercare di ricostruire la realtà. Questa è una sensazione decisamente migliore: è come il primo giorno con gli occhiali nuovi.
    Segui il suo profilo prima ancora che faccia il tuo nome e ti chiami ad avanzare ed entrare nel suo spazio.
    «Sirthareth.» gli rispondi di rimando, con una familiarità ferma, pacata, non ostentata, ma pur sempre una familiarità. Che se c'è una cosa che più delle altre ha faticato a staccartisi di dosso nel tuo passaggio è sicuramente stato quel senso umano di correttezza, il dispiacere del tradimento. E infatti non ti si è proprio staccato di dosso, è stata una pietra su cui hai cominciato a gettare nuove fondamenta, tra l'ardore di una sofferenza bruciante, lancinante, delirante. Una purificazione, distruggere un tempio profanato, svuotarlo, dare tutto alle fiamme, scavare nella carne viva e nei tessuti così a fondo, grattare con uncini di ferro le ossa, cercare anche dentro di quelle, per ripulire.
    Urla disumane per togliere tutto, anche le cose più radicate, quelle non scardinabili, per togliere l'umanità. Fino a che la vittima non diventa l'aguzzino.
    Hai scelto una speciale moneta per chi vuole avere a che fare con te, per quelle povere anime che prima di ottenere il loro favore devono sottoporti ad un piccolo sacrificio per dimostrare così, senza grossi sforzi, la loro volontà di purificarsi.
    Giusto.
    Liberatorio.
    Non c'è dolore o sofferenza infernale che stia stata vana. Serviva a questo, a purificare, a mondare i miserevoli che a questo mondo hanno bisogno di rinascere, di elevarsi a una condizione superiore che abbracci una sola cosa alla fine dei conti, la coerenza. Questo mondo prova ad emulare i vostri con così tanta arroganza, cercando di dargli forse un senso. Dopo la purificazione sembra tutto molto più chiaro, più lucido e comprensibile.
    Ti avvicini al carrello osservando i bicchieri e le bottiglie con curiosità chirurgica, mentre ci balli per qualche istante sopra le dita, quasi a voler scegliere la bottiglia dal colore più bello invece che seguire un semplice gusto.
    «A che cosa stai pensando?»
    Una domanda precisa, forse addirittura troppo informale per le vostre gerarchie. Ma non importa, non è questo ciò che conta veramente alla fine. Sono i fatti, non le formalità, e a Sirthareth ritieni di aver già dimostrato sufficientemente le tue intenzioni.

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    sirthareth
    Torna ad ergersi di fronte la finestra, sulle labbra il sorriso che è lo stesso da milioni di anni. Appena meno tagliente di quello che gli apre il volto quando ci sono mani che affondano nel sangue, che premono nei mugugni di dolore per suonare gli uomini come fossero lo strumento più sublime, la stessa dedizione con cui un violinista pizzica le corde. Appena meno, ma incurvato lì nella traccia mai assopita di una curiosità che trattiene gli stessi tratti marciti, brama la distruzione che rimbomba e echeggia in gridi di morte. Porta il bicchiere alle labbra per un altro sorso che resta lento, assapora ogni goccia di bourbon come se fosse nettare degli dei a sgorgargli dalle labbra. «Alla Causalità, e come renderla utile» nel mondo in subbuglio che chiama casa, chiama dimora, chiama nido di ogni sua nascita, ci sono serpi e sussurri, ci sono crimini innalzati dalla superbia che macchia fratelli e sorelle in egual misura. Al di fuori, c’è un mondo che schiaccia i fedeli e mina numeri, li rende deboli contro le guerre intestine che si smuovono nel Calvario. Ma c’è anche la possibilità primitiva di giochi che si ergono da soli, e da soli camminano fra quelle strade pendendo da un lato e l’altro senza sosta. «Presumo tu sia ormai venuta a sapere dello spiacevole incidente di ieri mattina» continua a guardare fuori, fra fiumi di asfalto che ricoprirebbe di viscere e sangue, se solo non avesse impegni che sempre, e da sempre, sono tutto ciò che lo distoglie dai suoi hobby. La voce è cantilenante, mostra chiaramente quanto quello che definisce incidente, lo abbia messo di buon umore. La paura la conosce, la sa annusare come un cane che fiuta le prede, ed è da sempre una sua vecchia amica che a lui si apre riponendo sulle sue spalle ogni suo sordido segreto. «Quei poveri Cacciatori, tragico, non è così, che la loro tanto amata segretezza sia stata strappata via con un gesto talmente plateale» avrebbe apprezzato se fossero stati giustiziati, ma sa apprezzare di più lo spasmo dell’attesa che setta una strada fatta proprio di quella: paura. Rientra in una comodità innegabile, per lui, per loro, ora che gli occhi sono impegnati altrove e possono agitarsi con più fervore nel mondo. Si volta alzando le spalle, il gesto teatrale e volutamente infantile che gli preme di più gli angoli delle labbra, agitando il bicchiere in un tragitto che non lo porta da nessuna parte, ma solo a masticare pavimento sotto le sue stesse falcate «Sono curioso di saperne di più di questa storia, e di come gli equilibri di questa Nazione si muoveranno in suo accordo» dopo aver giocato la stessa partita per milioni di anni, muovendosi in accordo e contro le schiere di Aaos allo stesso tempo, sa quanto cose del genere possono essere rapide. Quanto anche un soffio possa sbilanciare qualcosa che si credeva solido.
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    «Mi è giunto, sì.»
    Ti incuriosisce. Forse non sai ancora abbastanza di Sirthareth, né ti concederà mai di saperlo - non è questo il punto - ma è affascinante. Il modo in cui si muove, come le parole gli scivolano sulle labbra e si diffondono come un eco contro le pareti della stanza. Finisci per servirti da bere, senza porre attenzione a quale liquore sia, finisce per piacerti solo la bottiglia soffiata bene.
    È affascinante come la cosa lo colpisca.
    Goliath non è di molte parole. Ti viene spontaneo centellinarle, sceglierle ed esprimerle solo con precisione. Il resto è tutto sprecato se ha utilità. In compenso, sei una brava osservatrice, una attenta ascoltatrice. Ti piacciono i meccanismi, e adesso i suoi li trovi affascinanti. Forse per quella sorta di astio non così sotterraneo nei confronti dei Cacciatori. La cosa non ha ancora avuto il piacere di toccarti da vicino, ma ci sono cose che hai udito tra i lamenti sopra e sotto il Calvario. Perché ascolti, e ci sono milioni di tasselli con cui giocare per ricomporre l'immagine di Sirthareth che hai davanti. Non quella fisica, quella che ti palesa, ma tutte le trame che intessono le sue scelte, i suoi gesti, le sue movenze, i suoi interessi, fino alla pretesa maliziosa di voler ricostruire i suoi pensieri. Ah ma senza pretese sovversive, no. Soltanto per un affascinante gioco tra superiore e sottoposto che non ha voglia di sentirsi solo una marionetta o un automa meccanico. Non è stimolante.
    Ti porti il bicchiere alle labbra, ma non lo sfiori nemmeno il liquore.
    «Credi che la cosa sia in grado di comprometterli davvero alla fine?» una domanda onesta. Chini appena il capo sulla spalla guardandolo, come a volerlo osservare con una mutata angolazione. Che la cosa rischi di farli capitolare sul serio? O riusciranno a riorganizzarsi e tenere duro fino a quando la cosa non passerà in secondo piano e la tempesta si sarà acquietata. Oppure i loro oppositori si riveleranno un avversario in grado di metterli davvero in ginocchio?
    «Non vuoi solo restare ad aspettare per vedere che piega prenderanno gli eventi.»
    Una opinione diretta, forse anche pericolosa e troppo azzardata considerando la vostra gerarchia e le reverenze che molti concedono e devono concedere ad un Luogotenente come Sirthareth. Ma ti piace di più così. Se ha chiamato te poi c'è un motivo.
    «Vuoi semplicemente scommettere su chi è più forte, o vuoi giocare anche tu insieme a loro?»

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    Giocare è una parola che dalla sua lingua diventa acido, corrode carne ed ossa fino a straziarle, ma sempre prima del punto in cui la distruzione diventa tale da impedire di ricominciare tutto dall’inizio. Non è mai stato interessato alla morte in sé, quanto lo è sempre stato del processo che porta ad essa, a quello più dolce e straziante che arriva a far pregare per una fine che solo la sua mano può concedere, la stessa che nel vezzo di un capriccio si ritrae e lascia che sia l’agonia a portarla con lentezza. Di pietà non ne ha mai avuta per nessuno. Il sorriso si preme per un secondo sul bicchiere, uno sbuffo appena prima che un altro sorso porti il bourbon in bocca, bruci un po’ lì in quel modo piacevole che lascia sulla lingua qualche istante prima di lasciarlo scivolare a fondo, fin dentro lo stomaco. «Io amo giocare» il naso si arriccia appena, un’espressione che non si cura di nascondere la reale estasi di un pensiero che lo plasma e resta immobile nelle sue membra, principio primo di ogni suo gesto. Si muove lentamente verso il divano, lasciandovisi cadere sul lato, abbastanza da poter muovere un braccio sul bracciolo e lasciarlo mollemente lì, il sorriso ancora immobile sul volto quando alza lo sguardo per continuare a guardare lei. «Credo che i Cacciatori siano come un’infestazione di blatte, puoi ucciderne quante ne vuoi, ne spunterà sempre un’altra da qualche parte» ma è allettante, troppo allettante, il pensiero della loro paura. La loro angoscia, il loro dolore. Lo è come quello di chiunque altro, ma forse solo con quella punta di soddisfazione in più che sa sempre avere quando di fronte a sé, c’è qualcuno che si professa incorruttibile. Solo il dolore è più dolce di un animo del genere che si dimena cercando di scappare dalle grinfie di ciò che lo sta inevitabilmente corrompendo. Che sia un’ideale, una morale salda, per lui fa poca differenza. Sciocchezze tutte quante, quando l’unica regola che vige è quella di dolore e paura. «Un paragone accurato, se pensi che esattamente come le blatte, preferiscono vivere nascosti e all’ombra, e adesso gli occhi di tutta la nostra cara Nazione sono puntati su di loro, una piacevole ironia» si concede lo sbuffo di una risata, la mano che non è ferma sul bracciolo si muove seguendo le sue stesse parole, facendo traballare il bourbon nel bicchiere. «Per quanto sarebbe indubbiamente divertente guardare dall’alto e aspettare che il fato faccia la sua sorte, come ho detto amo giocare, e penso potrebbe tornarci davvero molto utile fare qualche mossa in questa partita» non è frettoloso, dalla sua ha la concezione di un tempo infinito. Ha la concezione dell’immortalità piantata fin dentro le viscere, quella che gli regala la pazienza di attese lunghe secoli. «E più la loro attenzione è lontana da noi, più ci è comodo. Ma non tutti i Banditori la pensano come noi, Goliath» ci sono traditori che sul suo volto, si segnano con l’odio cupo di una rabbia che pretende sangue, vendetta. Pretende altro dolore. Pretende la forza di rimettere in fila chi la testa ha osato alzarla contro quella di suo padre. «Sono sicuro che possiamo indirizzare i traditori sulla scia d’interesse dei Cacciatori, e di questa nuova fazione di creature così desiderose di vendetta» dopo, lui resterà ancora in piedi sulle macerie di qualsiasi risultato. Immobile come lo è sempre stato. «Dove c’è rabbia, c’è spazio per tutto. Il potere fa gola a tutti, come molti dei nostri hanno ampiamente dimostrato. Noi abbiamo potere da offrire, abbiamo forza, abbiamo capacità che in molti si sognerebbero di poter acquisire con la facilità con cui possiamo offrirle noi. Sarebbe egoista da parte nostra non aiutare una minoranza che reclama i suoi diritti, non credi?» un altro sorso mentre resta a guardarla, la soddisfazione che già prende posto nel petto, nelle membra, come se potesse assaporare l’acre sapore di sangue sprecato sulla punta della lingua. «Il Sangue di Banditori è un Miracolo, e se arrivasse alle Creature sono sicuro ne saprebbero fare un eccellente uso. I Cacciatori non ci metterebbero molto a scovare lo zampino della nostra razza, e se accidentalmente questo portasse ai nostri nemici, beh» svuota il bicchiere, si piega in avanti per posarlo sul tavolo, la mano che s’infila nella tasca interna della giacca per prendere una sigaretta e accenderla. «Vinciamo doppio»
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    Sì, le tue parole erano dosate e nei sei perfettamente consapevole. Un po' perché stai cominciando a capire la mentalità di Sirthareth, che non così immune a questo, al piacere del gioco, al sentirsi comunque predatore di qualcosa o di qualcuno. Se può tornare utile alla sua missione, allora tanto meglio. Si tratta comunque sempre di cercare qualcosa che stimoli interesse, curiosità. Ha le fattezze come di un grosso felino, che vuole vedersi passare di fronte il topo per il gusto di dargli la caccia, anche se non ha veramente fame, anche se di certo, così piccolo, non lo sfamerà.
    «Quindi non pensi che la loro presenza faccia parte di un equilibrio
    La domanda si inscrive in un lento ragionare che pian piano prende campo nella tua testa.
    «C'è la creatura e c'è l'umano, a sua volta creato. E il più forte prevarica sul più debole, in un ciclo continuo.»
    Visualizzi i passaggi passandoti da una mano all'altra il bicchiere ancora mezzo pieno, con il liquido che ondeggia ad ogni movimento. Come se nell'alcol dentro il vetro fosse una sorta di brodo primordiale, come se sopra ci galleggiassero organismi primitivi e preistorici.
    «E poi c'è la logica, le sovrastrutture che creano la morale, e stabiliscono la presenza di un giusto e di uno sbagliato.», la sua Nazione, che deve scegliere chi è tra i due il più condannabile. Che deve cedere al compromesso, ed è questo che la rovina, è questo che le strappa tutta la naturalezza animale e istintiva. Diventa creatura sociale, costruzione artificiale.
    Con queste parole non c'è la volontà di convincerlo del contrario, non è neanche una tua convinzione. È semplicemente il riflettere su condizioni originarie, su schiavitù quasi biologiche che legano ai proprio primordi praticamente tutti gli esseri viventi. La logica della preda e del predatore. L'equilibrio perfetto tra il forte e il debole. In un certo senso ti affascina.
    L'equilibrio. Non significa un bilanciamento di forze, assolutamente. Il più forte occupa il campo che il più debole è costretto a cedere. Questo è equilibrio. Non parità. Come potrebbe esserlo?
    «In ogni caso…» e con un gesto della mano libera cancelli tutti i pensieri, li rendi inconsistenti, li scansi con ironica noia.
    Ti siedi appena sul bracciolo opposto al suo, lasciando che ci si spinga contro prima il fianco, per poi accavallare una gamba sull'altra, in preciso equilibrio.
    «Bisognerà assicurarsi che l'attenzione sia rivolta ai giusti Banditori. Non si può sbagliare.»
    Non si può rischiare, con questo gioco, di finire sotto i riflettori. Certo, lo sa anche lui.
    Lo guardi e ti spingi con il busto verso il divano, il braccio teso per allungarti su di esso e rimanere comunque accavallata sul bracciolo.
    «Ma, personalmente, non ci priverei del nostro diritto di tagliare la testa ai traditori.»
    Questo è quasi indegno lasciarlo ad altri, che siano cacciatori, creature o qualsiasi altro uomo.
    «Se vuoi la mia opinione.»
    Gli accenni un sorriso.

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    La sigaretta resta per qualche istante a pendere dalle labbra, sbuffi di fumo che si alzano lentamente uno dopo l’altro a decorare ogni scambio che avviene sotto quel tetto. Nel sangue, stringe la convinzione che niente che sia umano, o in parte umano, possa essere dichiarato come forte. Lui sa cosa si nasconde oltre le teste umane, quale Entità e Divinità che potrebbero schiacciare tutto con un solo soffio, un solo passo, quand’anche non si voglia considerare le alte gerarchie dei Primi Nati da quelle stesse Divinità. Per quanto abbiano definito Abonminii i Banditori, per quanto la loro origine sia proprio in quella melma così insignificante ed umana, lo sa che sono di più. Molto più di questo. Rinati senza il peso di un’emozione che potesse impedire di fare ciò che andava fatto, perché hanno uno scopo ed uno soltanto. Hanno la libertà, nel mentre, di apprezzare l’assenza di quell’emozione che altrimenti li renderebbe egualmente deboli. «La logica conosce tutto fuorché la morale» lo soffia insieme allo sbuffo di fumo, il sorriso ancora impresso ed annidato negli angoli delle labbra. Solo dopo sposta lo sguardo su di lei, le gambe aperte in una postura che non ha nulla di elegante, ma che invece si preme nell’aria come se anche quella fosse un diritto che non gli può essere negato. «Siamo noi i più forti, Goliath» ne è diventato ancora più sicuro da quando gli Emissari si sono persi in un bicchier d’acqua dopo che Aaos ha subito la stessa sorte di suo padre. Ne ha riso, gli esseri perfetti completamente allo sbando dopo il primo ostacolo, quello che tutti loro, invece, affrontano da eternità intere. Prende un altro tiro scivolando appena di più sul divano, in avanti, abbastanza da poter piegare all’indietro le testa e premerla contro il divano stesso, così da guardare per qualche istante il soffitto. «Tutto il resto sono solo cose che ci servono, e che usiamo di conseguenza» niente più che bisbigli in sottofondo, opportunità da cogliere: che sia per dovere o diletto, poco importa. Sono tutti pezzi di carne fra le mani, da spingere o dilaniare a seconda dello scopo che sta seguendo. Fa scattare di nuovo la testa dritta, un movimento che questa volta conserva una posa più elegante, come se stesse seguendo le sue stesse movenze solo per puro divertimento. La sigaretta finisce di nuovo fra le labbra, la schiena si fa più dritta come se fosse alla presenza di una qualche corte da rigirarsi fra le dita. «Quella feccia sa già che può solo sperare di finire nelle mani di chiunque, tranne che le mie» lo sa che in fondo, il suo nome è inciso di terrore, perfino e forse sopratutto nel Calvario. La minuziosa dedizione che impiega nel piegare, nel ferire, corpo e anima, non è un segreto per nessuno. La sua Vocazione, il suo Ruolo, la sua Gioia. Il sorriso gli si affila appena sulle labbra, come se già potesse assaporarlo con precisione, il sapore del giudizio. «I nomi importanti faranno sì che vengano sacrificati i Banditori di bassa lega, questo li indebolirà e ci permetterà di fare in modo che invece, siano proprio le mie di mani a dar loro tutte le cure che meritano» Vertalath e Galrenoth non saranno mai in prima linea come carne da macello, saranno arroccati nei loro scranni blasfemi, in attesa che tutto crolli prima di rendersi conto che non posso sfuggire. «Avremo le loro teste su una picca, di fronte il trono di Samenar»
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    «Ne è profondamente schiava, invece.» La logica, della morale. Diventa parziale, diventa una costruzione che ha come fondamenta ciò che si reputa giusto e cosa invece si reputa sbagliato.
    E dunque.
    Liberarsi della morale per raggiungere l'equilibrio.
    Morale e Giustizia poi non sono la stessa cosa. La morale formula la giustizia? Sì, quando la logica per prima ne è appunto schiava. Liberata dalle sue costrizioni la Giustizia rimane superiore, si eleva, e purificata si esercita in maniera perfetta. Cos'è che rende la giustizia imperfetta se non, appunto, la morale?
    Ma non è per contraddirlo che lo dici. È solo il fascino di inseguire delle chimere, il flusso di un preciso pensiero liberato da tante costrizioni.
    Perché sì, «Indubbiamente.», voi siete al di sopra, ed è come calare una mano, da un livello superiore verso quello inferiore, ad attingere e afferrare ciò che più serve, scarti, giocattoli da inserire in ingranaggi precisi, perché è peccato sprecare cibo solo perché si è troppo schizzinosi. Basta non mescolarcisi con quelli, non cedere la propria superiorità a qualcosa di meschino.
    «Ad ognuno il suo equilibrio.»
    Anche a voi, su un livello ben diverso, nella perpetua lotta tra l'acquistare il terreno che gli Emissari per debolezza cedono. È forse questo che tiene in vita creature come Sirthareth da così tanti anni: l'idea di voler valicare costantemente quel limite, la prospettiva di spingersi sempre più avanti, di condurre la lotta cosmica su piani sempre più alti, di secolo in secolo, di millennio in millennio, un gradino sopra l'altro.
    Ti alzi dal divano e ti avvicini alla stessa finestra dove lo hai trovato entrando nella stanza. Guardi fuori, ti perdi nel profilo dei palazzi illuminati. È come averli tutti nel palmo della mano. Uno stringe le dita e si possono accartocciare. È un meraviglioso parco giochi, e a renderlo ancora più bello è l'idea che si possa spegnere la luce quando più lo si desidera. Per divertimento, oppure anche per noia.
    «Hai chiamato me, pur sapendo che non ho mai visto il nostro Signore seduto sul suo trono.»
    Non è stato il momento più propizio per rinascere al Calvario. Una vacanza di potere, lotte tra chi ha visto spiragli e possibilità aprirsi di fronte all'assenza del vostro signore, e chi ha avuto il coraggio di rimanere fedele al proprio scopo, alla propria elezione. Ci hanno provato, a prenderti e diventare massa di carne da sacrificare per la loro causa eretica, un numero per accrescere quella massa informe di concrezioni.
    E allora, perché Sirthareth si fida di te? Perché hai scelto la parte giusta nel momento più difficile? Perché, proprio per questo, la tua decisione è stata più onesta, più valida?
    Si può veramente fidare di te?
    La tua risposta, da te, la conosci.
    Stacchi gli occhi dal vetro, e volti appena il profilo verso la sua direzione.
    «Devi ristabilire l'ordine, Sirthareth.» Stavolta la voce è decisa, dura, ha smesso di contemplare chimere.
    Perché i traditori, per quanto potenti possano essere, per quanto influenti, non meritano di rimanere sui loro scranni. Non meritano neanche di rimanere nel Calvario. Non importa quanto importanti essi siano, quali ruoli ricoprano, tutto è decaduto, ogni loro singolo diritto. Tutti destinati al Vuoto.
    Per questo può confidare in te. Perché non c'è niente di più inaccettabile del disordine, di quella Giustizia profanata, della sovversione di ogni ordine naturale.
    «Dovrà essere un vero bagno di sangue. Solo così terrai ciascuno al proprio posto.» e stavolta ti volti completamente e lo guardi direttamente in volto, seria, ma con qualcosa che vena la tua espressione come di una dolce sensazione di gustoso piacere.
    Un bagno di sangue. Con una inaudita violenza. Più di quanto non sia stato violento fino ad ora, che ciò non ha impedito ai molti di ribellarsi.
    «A costo di sacrificare ogni cacciatore e ogni creatura, e sconquassare il loro delicato equilibrio. Hai ragione: sono solo cose che ci servono.»

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    sirthareth
    Non controbatte non perché sia stato folgorato, tramite le sue parole, da una nuova intuizione. Miliardi di anni non si sradicano in un secondo. E lui è stato testimone di quanto la Logica, libera, sia andata a briglie sciolte. Non è chiava della Morale, né è vittima. Vittima di bocce e menti che morali lo sono, e quella logica cercano di affogarla nei propri preconcetti che ne bloccano il flusso. Non è un discorso che in fondo, gli interessa così tanto. Non è mai stata la palestra mentale per il fine di sé stessa ad accendere i suoi interessi, quanto quella che nello scavare, puntava sempre a lasciare segni già marci ad ogni tocco. Nella mente, così come nella carne. Invece, lascia andare uno sbuffo di fumo, senza muoversi quand’anche il bicchiere è vuoto, e il vizio ne reclama uno giù pieno. Resta seduto, la posa che ora immobile lascia trasudare tutta la sua stessa viscerale importanza, dalle gambe dritte alle dita che affusolate, restano a premere in una carezza immobile il bracciolo del divano. Mai intaccate neanche per un secondo dalle atrocità che commettono, mai denutrite della loro elegante fragilità apparente, anche quando sono fatte di macchine di distruzione. «Non sono uno che lascia ai sottoposti il compito, o diritto, di dirmi cosa devo fare e come» la testa si piega appena in basso, leggermente spostata di lato, un sorriso che lascia intendere come ci trovi qualcosa di divertente. Non fatto così, il suo regno, quello che è solo una porzione di quello di suo padre. Quello che deve fare, è un fremito che lo tiene in moto, sempre presente. Non lo scorda mai, a costo di lasciar andare i suoi stessi vizi per tornare a chinare il capo quando è tempo di farlo. Ha sempre ricavato gioia nel sapere che come figlio, non ha mai avuto bisogno che suo padre chiedesse, perché gli arrivasse già servito su un piatto d’argento. Anticipare i bisogni di Samenar ed accontentarli, è sempre stata una prerogativa di cui è andato fiero. Quello che lo hanno reso uno dei prediletti, uno di quelli che hanno portato il geloso rancore degli altri come un vanto sul petto. Ha punito per molto meno di questo. Ha punito nel senso di tenere chiare posizioni che vacillare, non lo possono mai. Ogni testa che si è alzata ad annusare quella gerarchia nella speranza di scalarla, ha trovato la sua mano pronta a tranciarla. Come Abigor prima di lei. Sorride di più, si alza in modo lentamente calibrato, con quella stessa eleganza che ora ha deciso essere parte dei suoi gesti. Una recita da interpretare con dovizia, senza tralasciarne neanche un dettaglio. La mano che non tiene la sigaretta si allunga morbida a raccogliere il bicchiere, il palmo che sovrasta di pochi centimetri la sua apertura mentre si muove verso gli alcolici. Infila la sigaretta in bocca, il sorriso ancora incastrato negli angoli lascia scoperta solo la punta dei denti da un lato. «Non commettere l’errore di credere che abbia bisogno di qualcuno che mi ricordi come fare il mio lavoro, Goliath» sfila la sigaretta, la mano che si muove fino al collo della bottiglia così che possa di nuovo riempire il bicchiere. È un gioco che va giocati da soli, questo. Lo è sempre stato. Non esistono alleanze che tengano, tutto quello che regge sono dolore, paura e dedizione. Quella che lui e sua sorella riversano verso loro padre. Il resto, è solo un contorno che danza tutto intorno, inafferrabile. «In un altro momento la considererei insolenza, ma sei giovane» torna a guardarla con il volto chinato verso destra. Lascia la bottiglia, prendendo un lungo sorso mentre inizia a muoversi verso di lei, senza abbassare il bicchiere finché non è abbastanza vicino da dover appena abbassare il capo per poterla ancora guardare in volto. Lascia che il braccio che tiene il bicchiere gli scivoli lungo il fianco, la mano con la sigaretta si muove ad afferrare dalla punta una ciocca di capelli, il tizzone che segna di rosso l’aria nel suo muoversi. «Vuoi stupirmi? Stupiscimi con i fatti, i risultati» tira appena la ciocca incurante del dolore, ma con quel premere che invece, cerca proprio quello. Un dominio mai piegato, un regno imperversante che conosce solo sé stesso. È con uno scatto che quelle stesse dita passano dai capelli al volto, trovando una presa salda che gli fa infilare le dita nello spazio vuoto sotto i suoi zigomi, la sigaretta che ancora svetta fra le dita. «Vuoi un bagno di sangue? Fallo»
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    Fai una mezza giravolta sui tuoi stessi piedi, le gambe si incrociano e le mani rimangono dietro la schiena diligenti.
    «Non avrei mai la presunzione di dirti come agire. Ho solo avuto l'arroganza, sì, di pensare di dar voce già alle tue intenzioni, ma solo perché spero di esserne spettatrice.» dici con lo stesso tiepido sorriso sulle labbra, altrettanto diligente, ma con voce squillante, accesa. Beh, è la verità. Vuoi vedere le cose fatte in grande stile, proprio perché sei giovane ma hai avuto la fortuna e la saggezza di trovarti dal lato giusto al momento giusto, e allora vuoi proprio vedere a cosa si può arrivare, quali apici di violenza inaudita e carminia può arrivare qualcuno tanto potente quanto Sirthareth per ristabilire l'ordine, per fare quella giustizia che ti piace tanto. Perché non c'è niente di più potente e motivante di questo: la Giustizia. In confronto la Ribellione, che prende senza chiedere e cerca di sovvertire, non ha la stessa decisa motivazione, non possiede la stessa forza dell'Ordine.
    E allora ti piacerebbe proprio vederlo a cosa si può arrivare, cosa c'è oltre il limite dell'inaudito, fin dove ci si può spingere oltre la devastazione, scoprendo che esiste ancora una profondità, esiste ancora carne da macellare, nervi da tirare, vene da succhiare e masticare, fino ad arrivare alla vera conclusione, al reale fondo delle cose, che è solo l'annientamento. Chi ce l'ha questo coraggio? Quello di non risparmiare nemmeno i non risparmiabili, quello di chi non cede ad alcuna morale, nemmeno ad una ideologia. Non ce l'hanno nemmeno quelli che si vantano di essere terribili macellai, giustizieri o senza etica. Bugiardi, esiste sempre la contraddizione, e quello che ti vuoi vedere è come si supera, cosa vuol dire essere onesti fino in fondo con la propria natura, con la propria vocazione, il proprio credo. Puro, senza meccanismi, senza complicazioni che generino le deviazioni, l'eccezione. Assoluto.
    E Sirthareth ce l'ha questa vocazione, e questo basta a farti rimanere fedele a lui e alla sua parte. Vuoi solo vedere come fa, vuoi solo assistere alla sua mattanza.
    Resti con lo stesso sorriso cucito sulle labbra, anche quando si avvicina, anche quando l'eccitazione si mescola al dolore delle ciocche tirate e delle dita che scavano gli zigomi, e allora ti piace.
    «Dimmi che sangue vuoi.» quale deve essere versato, chi è l'eletto che deve immolarsi a qualunque sia la causa e l'altare che Sirthareth voglia erigere per la sua Giustizia. Perché se è così che devi dimostrargli la tua fedeltà allora così sia, nel modo migliore, nella maniera che ti piace di più.

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    Non lascia la presa si trova invece a stringerla un po’ di più, perché sopra tutto è questa la sua lingua. Non fatta di voce raschiata, ma di rantoli; non fatta di parole, ma di violenza. Sempre e comunque, come un inno iniziato e mai finito che è composto di tutte le viscere che ha preteso nel corso dei secoli. Le sorride, quel tipo di piega che nasconde sempre la bestia appena oltre la pelle, infilata a forza in un’abito che cambia volti, ma lascia sempre la stessa sete negli occhi. Immutabile, come un marchio da incidere in ogni suo gesto. Con la mano libera sfila la sigaretta in bilico fra le dita, la porta alle labbra per prendere un tiro che allunga solo per il gusto di farlo, senza annacquare il sapore ma ascoltando il vibrare perpetuo di ogni cosa. Lo lascia scivolare fuori con altra lentezza, contro il so volto, prima di gettare la sigaretta a terra curandosi a stento di spegnerla sotto la suola della scarpa. È una creatura di istinti virulenti, di concezioni che sfiorano l’ego nel farlo essere superiore a tante altre cose che popolano il mondo. È un moto di approvazione quello che passa sul suo volto, piegato ancora in quella stessa espressione che lascia nelle labbra e negli occhi quel senso inebriato di tutto il sangue non ancora versato. Quello che vorrebbe è tutto il sangue, perché è quello che vorrebbe suo padre, ma conosce l’importanza dell’attesa e della pazienza, di impeti che per quanto irruenti devono arrestarsi di fronte all’unica cosa importante: quella della fine. Un risultato che dopo tutto, riponga in cima ciò che è nato per essere lì, e tutto il resto a strisciare al di sotto. «Un giorno potrei chiederti il tuo, Gloiath» non c’è mai il tono di una minaccia nella sua voce, e adesso scivola bassa dalle labbra, come un graffio in gola. Il pollice si sposta appena per impuntarsi sull’angolo del suo sorriso, come fosse un punto da rimarcare. Uno di quelli che potrebbe distruggere se solo avesse il vezzo di farlo. «Per adesso, quello che voglio è quello di chi ci ha traditi» si tratta pur sempre di quello, una macchia nitida nella sua mente. Un fastidio, quando vorrebbe occuparsi di altro, pensare di nuovo a come portare Samenar fuori, libero, e prendersi tutto ciò che gli spetta. Tuttavia, deve prima occuparsi del Calvario, e di tutti coloro che sono insorti lì con una pretesa che non avrebbero dovuto avere mai. «Ma al giusto momento» piega appena la testa di lato, lo sguardo ancora premuto contro il suo volto come se così potesse scavare sotto la pelle, le ossa, e andare a fondo. Anche in quello c’è sempre una mano che si allunga, una pretesa che non si nasconde ma è perennemente manifesta in ogni suo tratto. «Desideralo ma non prenderlo, e quando arriverà il giorno, prendine più di quanto tu ne abbia desiderato» anche quella è una legge, quella che si alza e diventa un punto diverso, uno che affonda le radici in tutto quello che conosce. Uno che diventa lama, tanto quanto attesa. Una lama che resta ferma sempre fra le sue mani, che sanno come muoverla perché un taglio sia abbastanza profondo ma mai abbastanza da uccidere. Lo strazio di un desiderio negato non è diverso da nient’altro, e ogni cosa può essere mossa allo stesso modo, con lo stesso scopo. E il suo scopo è sempre e soltanto uno, non conosce altro.
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    Il sangue.
    Alla fine non è solamente un vezzo, un mero fatto materiale. Non è il colore in sé, non è la viscosità di un liquido piacevole e ambiguo, evocatore dei demoni più pericolosi, quelli dell'inconscio. No, è sapere di avere tra le mani qualcosa di vivo, di vita stessa appena sradicata, a scorrere tra le dita che hanno ormai pieno potere su di essa, inerme. Si tratta di questo, di vita fluida da osservare morire tra le proprie mani, sotto la propria lingua.
    «Quando verrà il tempo, al giusto momento…» ripeti le sue parole, «Ti porterò in fasci le loro vene e il cuore.» come un chirurgo attento a non recidere neanche un capillare, a conservare quel sistema perfettamente intatto. Un conoscitore furioso che prende la propria creatura e la spoglia lentamente di tutto, pelle, muscoli, nervi, svuotarli delle loro ossa. Buttare tutto, perché questo non serve, tutti gli altri succhi sono inutili. Vuole lasciare solo quelle, solo le vene che pulsano di battiti, gli interessa solo ed unicamente questo, tenere tra le mani l'oggetto vivo, il motore di tanto chiasso, che, nonostante sia stato privato di tutto, continua a fare confusione. E poi schiacciarlo.
    Che appena lo spargi il sangue si sporca, l'aria lo contamina, lo invecchia immediatamente, non è più sangue, muore, diventa scarto dopo pochi attimi.
    Ma no, no non sta a te schiacciarli, no, no, non sta a te spargere quel sangue, no, quello va al tuo signore, quello è solo suo. Non è la stessa cosa se lo fai tu, non è lo stesso tipo di festa.
    Di chi ci ha traditi.
    E tu te lo ricordi cosa significa essere traditi. Forse avresti dovuto dimenticartene, metterlo da parte insieme a tutte le altre cose terrene. Ma no, sei morta nuovamente proprio mentre ti sei sentita tradita, sul tradimento hai cominciato ad edificare, non te lo potevi dimenticare. Il tradimento è stato tue fondamenta, su di esso si è plasmato ed è nato Goliath, torturatore, giustiziere, con un potere di imporre il giusto e fare del male che Marigold non ha mai avuto.
    Ah è così diverso poi, è così diverso e inebriante passare dalla morte alla vita di nuovo, essere qualcosa che ti sembra di non essere mai stata. Perché non sei più Marigold, non sei più quella ragazzina tirata sotto dalla macchina, né quel mago nero che pretendeva di compiacere in tutto e per tutto i suoi genitori. Povera Marigold. Non provi pena per lei, lei si è data da fare come ha potuto in vita sua, è stata una creatura in fondo gentile, giusta, una che non se lo meritava di morire così, no. Marigold era una persona stimabile, provi rispetto per lei.
    «Se è il mio che vuoi adesso» gli dici ancora, stavolta sollevando una mano per stringere il suo braccio che tiene il tuo volto e scava tra i tratti, cerca gli spigoli delle ossa tanto da far sospirare.
    «lascia che serva al tuo progetto. Ti imploro
    Lascia che sia il suo a diventare arma e tenaglia per i lo loro nuovi amici.

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