Watergun

Matìas & Dave | Julliard | 9 Marzo

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    Ti sembra di dover chiedere il mondo a tutti, oggi. Di dover pretendere qualcosa che sia solo tua. Come lo spazio che esigi, come il voler rimanere da solo nella tua stanza, solo per poterti tenere la testa tra le mani e stringere fortissimo le tempie.
    Tutto questo perché a tuo fratello sta andando tutto male, e non puoi fare niente per aiutarlo. Non puoi correre da Grace perché ti ha detto che se la cava e tu, forse sei troppo bravo ad eseguire gli ordini. Ed hai anche il terrore di star soffocando troppo Dave. Gli sei piombato in casa per settimane. Da quando vi conoscete e vi frequentate avete passato più tempi nudi che vestiti, e va bene, dio se va bene. Almeno qualcosa che può risollevarti ce l'hai, anche nei momenti che tornano bui. Anche quando per respirare torni qui, nella tua stanza al buio. Non accendi la luce, la tieni spenta come quando ci nascondevi Grace. Poi Aggretsuko non sei più andato avanti a vederla, nemmeno con Dave.
    Stai aspettando e non è più una cosa che ti piace fare. Per questo non ti concentri sulla tua musica, anche se a breve comprerete una tastiera da mettere in casa di Dave, non ti senti come dovresti, sei scombinato, rivoltato un po' sottosopra, Titi.
    E non vuoi essere stronzo, perché Davy ti ama e tu lo ami, ve lo siete detti, lo senti come un punto fisso nel caos. Anche se sai che magari così potresti deluderlo, perché alla fine non sai più cosa sei per gli altri. Ti sei un po' perso, mh?
    Ti senti di respingere un po' tutti, ma solo per avere cinque minuti di vuoto e silenzio, così da poterti riprendere, da infilare nello zaino l'ultima maglia di Grace, che speri a Dave non dispiaccia se vuoi dormire stringendola un po', come fai quando stringi lui, quando ti rannicchi nel suo petto e ti fai cullare da un calore meraviglioso.
    Ecco si, Dave sa farti tornare il sorriso, e sai dirtelo che sei un idiota quando cerchi il silenzio e ne hai uno accanto che vale quanto miliardi di parole.
    Hai pianto giusto un po, ma ora che esci sei determinato a chiuderti la porta alle spalle e portare quella busta di dollari alla Rettrice. Sono gli ultimi risparmi, sono sei mesi di affitto della stanza per spostare il tuo esame finale a Dicembre, che ora non sei fantasioso, né un bravo studente. Ed eri qui per questo, no? Spostare la laurea e riprenderti un po' di cambi e di libri.

    Non eri qui per dare le spalle alla stanza e trovarti "A-Adam" ad un passo da muso. Deglutisci malissimo, resti immobile. E lui il fisato sul collo te lo fa già sentire. "Che fai?" tu l'hai lasciato. L'hai lasciato per Dave, e di certo non ti aspettavi tutto questo suo silenzio nei mesi successivi, ed ora capisci perché.
    Perché ti spinge con le spalle allo stipite. "Lo so che ti sono mancato, Mati" sfiata caldo, pretendendo un passo avanti.
    "N-no, vai via-... io sto con qualcuno, te l'ho detto". Ma lui sbuffa, ti sfiora i ricci, li tiene fermi tra pollice ed indice. "Ah si, il sordo che hai visto a Capodanno." "Si chiama Dave" ringhi veloce, sopra le sue risate, e ti scosti per andare via. "Si chiama rimpiazzo, e lo sai" Lo schiaffo gli arriva in muso. Scatti, perché nessuno può parlare di Davy in quel modo, anche se questo ti imperla gli occhi di nuovo. Ed Adam schiocca la lingua, con dolcissimo disappunto. "Lo so che ti servono soldi, te li do io" Esagera, Adam, lo fa da quando lo conosci trattandoti come fossi una puttana. E tu ringhi, incapace di lasciargli credere anche questo. E sbagli, Matias, così ti prende in contropiede. Ti ferma contro la tua stessa porta. Ti bacia bloccandoti le vie di fuga con le braccia.
    E tu davvero non lo vuoi. Non vuoi niente, con le labbra che tremano. Ed è un secondo in cui i muscoli ancora non si muovono, le sue mani ti afferrano per la nuca, strette, e poi per un fianco, e stringi i pugni. Mugoli di stare distante, serri le labbra perché la sua lingua non scavi, non ti ferisca. Anche se ti alza il mento e prova ad imporsi di più. Spingi i pugni lungo il suo petto, e fai forza quanto riesci per mandarlo via. Dovresti importi di più, Matìas, perché non lo vuoi baciare, ma sei così stanco, così triste e rovinato che pensi che tanto alla fine deluderai tutti. Perderai tutti.
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    Penso che per due come noi le cose debbano andare necessariamente solo ed unicamente in un modo: quello che mi prefiguro in testa senza mai star lì a chiederti conferma di ogni cosa. Perché mi è bastato poco per perderne l'abitudine. In effetti. Mi è bastato sentirmi a casa per comprendere come dovessero andare le cose con te e forse sbaglio, adesso, se nonostante la possibilità di lasciarti respirare nei tuoi spazi, mi dico che comunque dovrei essere in tua compagnia. Almeno un po', ecco, giusto il tempo di cui potrei aver bisogno per darti una mano. Che non voglio, diciamo, per alcun motivo al mondo, lasciarti a combattere con i tuoi pensieri. Che mi rendo conto, Titi, di come tu sia completamente sopraffatto, adesso, da qualcosa che per me è tanto lontana quanto intangibile. Mi dispiace, sai, non riuscire a capirci molto a volte. Avere sempre un po' paura nel farti una domanda di troppo. Il fatto è che non vorrei disturbarti. Non vorrei per alcun motivo al mondo essere di troppo. Sembrare soffocante come mi diceva fossi Louise. Lei ha sempre trovato fastidioso questo modo che ho di fare. Ma ti giuro, Titi, sono qui solo perché ho davvero voglia di aiutarti. Voglio portare le tue valigie fin in auto. Voglio tenerti la mano quando, uscito dall'ufficio del tuo rettore, non so, magari avrai bisogno di questo tipo di contatto. Alla fine è bello, no? Ci siamo sfiorati per così tanto tempo in questi giorni che adesso quasi mi fa strano sentirmi le mani libere dalla tua presa. Voglio le dita intrecciate alle tue. Voglio sentirti tanto vicino da non aver bisogno di occhi per tenerti sott'occhio.
    Mi tremano un po' le gambe quando ci penso. Perché è normale, immagino, volerti tanto bene da voler essere con te quanto mi è possibile e se non sono a lavoro, insomma, perché mai dovrei restarmene a casa a girarmi i pollici quando potrei respirare la tua stessa aria? Voglio vederti fare le cose che fai sempre, insomma, non mi metterei mai in mezzo, non ti disturberei. Vorrei solo guardarti e rendermi conto, sempre, che non hai davvero bisogno di me. Però voglio essere lì, insomma, qualora invece ne avessi il bisogno. Perché così è Thomas e così sono venuto su io. A Louise queste attenzioni non sono mai piaciute, ma Tom dice che le persone non sono tutte uguali e se tu non mi dici nulla, insomma, questo sta a significare che ti vado bene per quello che sono, giusto?
    E poi voglio proporti una cosa: so che dovrei utilizzare la passaporta di Thomas solo in momenti di bisogno, ma voglio farti conoscere casa mia senza doverti costringere ad un viaggio tanto lungo. Insomma, magari non ti senti ancora pronto a lasciare New York per così tanti giorni. Magari se è per una sera sola, insomma, mi diresti di sì.
    Penso a questo, sai, mentre mi inoltro alla Julliard e inizio a cercarti. Certo, se ti scrivessi sarebbe decisamente più facile, ma voglio farti una sorpresa. Voglio trovare la tua stanza, affacciarmi dalla porta e dirti che, sì, insomma, sono qui se hai bisogno. Perché ti amo e i fidanzati fanno questo.
    E sono anche facilitato, insomma, una tua amica - credo sia una delle tue amiche - sa dirmi subito dov'è che si trovano gli alloggi. Quanto è stata gentile! Non so come ma, insomma, mi ha subito riconosciuto. Mi sento quasi famoso. Mi viene da ridere se ci penso. Per questo salgo le scale saltellando. Faccio due gradini alla volta col rischio di prendere male la mira e slogarmi la caviglia. Ma sono navigato: mi sono sempre mosso tanto. Thomas ne ha cuciti di lembi di pelle aperti in due.
    Però sai, quando vedo quel tipo su di te mi viene da sorridere di meno. Non so nemmeno cosa mi viene da pensare o cos'è che poi, alla fine dei conti, muove i piedi in avanti. Almeno di un altro passo.
    Scusa, lo so che non è compito mio questo. So che non dovrei farlo senza chiederti il permesso, ma mi rendo conto di non poter più fare alcun passo indietro. No, insomma, ora posso solo che andare avanti. Che continuare a tagliare lo spazio che c'è tra di voi. E ti spingo, Titi, ma non per farti male. Non ci faccio nemmeno caso. No. Questo mi esce spontaneo, solo perché con l'altra mano sto spingendo via lui. E cerco di frappormi tra voi. Alla fine devo difenderti io, no? Funzionano così i fidanzati. Lo guardo. Tu non vedi come, credo, ma lo guardo, lo fisso malissimo e con una mano gli chiedo cosa stia facendo. Anche se non mi esce con la voce, no, il mio è solo un gesticolare nervoso: un tirar su di dita che poi sfociano in un'altra spinta ben assestata contro il suo petto. Poi lo colpisco in faccia con un pugno. E quando le nocche colpiscono, non so, io finisco per non veder più niente. Vedo solo ciò che mi sembra giusto. E adesso, non so, sento quel tremore nello stomaco che mi dice che è ok, che è così che funzionano le cose quando si ama qualcuno e quando, qualcun altro, cerca di portar via questo grande amore.
    E non ti guardo, Titi, non riesco a concentrare la mia attenzione su due fuochi differenti. No. Io ho bisogno di vedere questo ragazzo. Di rendermi conto di come la mano colpisce.
     
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    La senti a malapena quella mano che si insinua tra la tua camicia e la tua pelle. Lo rivivi nella testa, come un pensiero che vuoi cacciare via. Che ti fa stringere gli occhi, quasi pregandolo che si sposti, che ti lasci in pace. Perché per lui non avresti più niente, e neanche sai quanto Mariah sia appena stata super gentile con Dave. Oh, lei lo adora. E lo sai perché. Sai che i tuoi amici lo amano - e a volte per questo ti odiano - perché ti sta rimettendo a nuovo, ti sta facendo tornare felice, ma di una felicità vera e pura.
    Non come Adam, che è sempre Adam, e per quanto può valere, la odi da morire. Odi il modo in cui ti ha trattato per mesi, come quel piccolo prodigio, il suo trofeo con gli amici, il suo vanto anche se poi valeva solo per mettersi in luce.
    E quanto stupidamente pensavi di valere per lui. Tanto che un po' Dave ti ha spezzato il cuore, mostrandosi com'è che si guarda davvero qualcuno che ci interessa. Dave ti ha fatto capire senza bisogno di parlare, che cosa volesse dire amare qualcuno esattamente per com'è, ed avere quella sensazione dentro che richiede di metterlo su un piedistallo. Ma stavolta non perché si valga di meno, ma per salirci assieme, ognuno fan dell'altro. Questo è l'amore giusto.
    Non Adam che sorride quasi soddisfatto, o almeno ci prova, prima che qualcosa - colpendo anche te - finisca per togliertelo di dosso. Lo fa in fretta, e tu ad occhi chiusi lo riconosci. Ne senti il profumo, quasi il ringhio di corde vocali che non vengono usate. Ma prima di capire, prima di tutto, trattieni il respiro. Che la spinta ti ha fatto grattare il viso contro il muro, tanto da lasciarci qualche rivolo di sangue.
    "Dave?" mastichi sfiorandoti la pelle.

    "Oh, eccoti" miagola Adam, alzando le braccia per fare un passo indietro. Non sa, Dave, quanto sta alzando la voce per farsi sentire da chiunque possa affacciarsi al corridoio. Vuole testimoni. Si pulisce le labbra davanti a lui, come se baciarti fosse stato tanto brutto quanto bere qualcosa di troppo amaro.
    Ma Adam è un problema, e tu lo sai, Titi. Lo sai quando sei più basso dietro Dave e trattieni il fiato. Lo senti, lo senti tantissimo il colpo che gli sta per partire e conosci Adam abbastanza da sapere che farà la merda.
    E tu Dave, così, non l'hai mai visto. Ma non hai che gli occhi velati e per uno stupido istante gli lasci fare quello che vuole. Tu vuoi che Adam la paghi e per quel minuto infantile sei sicuro che debba comportarsi così qualcuno che ci tiene a te come ci tiene Davy. Qualcuno che ti ama, che anche tu per lui forse avresti fatto lo stesso. Perché anche Grace lo avrebbe fatto.
    "Cristo" Adam sputa sangue, tu sgrani gli occhi. Allunghi una mano per trattenere Dave. E poi diventano due, e non lo sai come si fa, in parte hai paura che ti spacchi il naso indietreggiando con in gomiti. Ma lo stringi in vita, lo abbracci cercando di bloccarlo così.
    Perché Adam non risponde ai pugni. Non lo fa - e tu lo conosci tanto da saperlo - perché gli serve un alibi. Qualcosa per dire che Dave è impazzito e lo ha attaccato dal nulla, qualcosa che dimostri che non ha fatto niente di male, che può denunciarlo e togliergli tutto.

    "Dave no!" sibili, pregandolo, che dall'abbraccio allunghi una mano fino a stringergli un polso, statico e fermo come una roccia, anche se tremi sulla sua schiena. Qualche porta si sta aprendo, ma lui non può sentirle.
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    No Titi, no, no, io non sono una persona violenta. Non lo sono mai stata. Non ho mai alzato una mano addosso a qualcuno tanto che lo so, sì, com'è che si faranno violacee queste nocche. Io non so picchiare le persone. Non so nemmeno come si debba lanciare un pugno, né in che modo bisogna farlo per colpire in determinati punti. Non sono così. Non sono nulla di cui preoccuparsi, nessuno di così cattivo o spaventoso. Quindi ti prego, ti scongiuro, non avere paura di me. Pensavo semplicemente che dovessero andare così le cose tra di noi. Che, insomma, ci fosse bisogno di arrivare alle mani per difendere questo amore. Che quel ragazzo, ecco, non credo abbia il diritto di toccarti in questo modo. E forse non è nel mio diritto prenderlo a pugni ma lo faccio. E scusa se non ti sento quando mi chiami. Se non sento nemmeno lui quando palesemente grida. Non sento nulla adesso, nemmeno le tue mani che mi tengono. Nemmeno il tuo corpo che si fa vicino forse con l'intento di calmare il mio. Ho i muscoli troppo tesi, sai? Li sento che vibrano talmente sono tirati e scusa, scusami davvero se non ti do retta. Se oso un passo in avanti quasi col rischio di trascinarti con me. Se oso spintonarlo di nuovo, se c'è una parte di me che cerca una sua risposta. Un affronto altrettanto fisico. Che se ha sfiorato te, Titi, allora perché non può toccare anche me? Non capisco perché se ne resta lì. Perché non lotta per te se è da te che è venuto. Se è te che ha mostrato di volere.
    E se non molli la presa. E se lui torna, io sono pronto a colpirlo di testa. Perché sento di volergli far male, anche se so bene come presto me ne pentirò. I sensi di colpa arriveranno coi lividi. Lentamente, ma continuando a far male fintanto che non li manderò giù. Fintanto che non capirò come razionalizzarli. Ma non ora, insomma, io non sento niente ora. Ma non ti strattono, non ti spingo di nuovo via, non tu che sei ciò per cui mi batterei a vita.

    "Vattene via."
    E se mi blocchi le mani allora è solo così che posso parlargli. Solo con questa voce del cazzo che posso imporgli le mie volontà. Gli dico di andarsene, di uscire da questa stanza, con occhi che si fissano suoi suoi, che sono indagatori. Con una voce che cerca stabilità nei suoi toni troppo alti. Nella sua dialettica meccanica.

    "Adesso!"
     
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    Li sento i tuoi muscoli, Dave, ma ti prego, ti prego fermati e basta.
    Ecco tu vorresti saperglielo dire così bene, Titi, ma invece dalle labbra non ti esce niente, e forse un po' la presa la molli, lo lasci lentamente andare, ma solo perché magari Adam se la merita una lezione. Perché metà di quelli che si sono affacciati adesso, avrebbe voluto fare la stessa cosa di Dave, molto tempo prima e per altre mille ragioni.
    Ma tutti trattengono il fiato, mentre Adam sorride nel vedervi così. Nel vedere come tu sia debole, Matìas, come tu sia in parte ancora suo - o così gli pare massaggiandosi le labbra ora macchiate di sangue. Il suo, per vostra sfortuna. Un figlio di papà come lui non può che tratte il meglio da una situazione così.
    E tu sai anche perché non risponde, sai che lo provocherà di più. Perché Adam non sa come si parla a Dave e tu speri che il tuo ragazzo abbia conosciuto abbastanza stronzi in vita sua da farci il callo. Da sapere come difendersi anche se in parte vorresti essergli da scudo umano. Che ti va bene se lungo il collo il sangue un po' scende. E' solo scena, non ti sei fatto così male, basterà disinfettare, no?
    E più Dave spinge, più Adam ride, gli mostra i denti arrossati ed allarga le braccia. Gli ringhia di farsi sotto con gli occhi gelidi che si ritrova in viso, quelli verso cui punti i tuoi anche adesso. Perché lo odi. Ma lui non ti calcola, non l'ha mai fatto.
    Ma poi ti fermi anche tu, con il cuore in panne, quando senti di nuovo la voce stonata di Dave. E ti sembra solo così dolorosa da ferire, così forte da distruggere. Da portare il silenzio in corridoio, che quelli che ridono li fulmini tu. Tu che non ne puoi più di trovarti in situazioni in cui non hai idea di cosa fare e come, di dove muovere un passo.

    Adam fa un passo avanti. Poi un altro, si indica le orecchie con un sorriso di scherno, pronto a ricevere il colpo peggiore, come se davvero non cercasse di fare altro. E tu lo schema lo vedi. Tanto che - stupidamente - preghi Dave in un modo che non potrà mai sentire.
    "No no no, Dave andiamo via." gli strattoni un polso, in ansia, con il cuore in gola. Perché Ads avanza. E stavolta le parole le scandisce bene. "Dave no, no no, no adesso andiamo via ok? Ti, ti porto via io. "

    "Scusa, non ti sento, che hai detto?" Adam parla. Il mondo si ferma, la tua, di rabbia, monta ancora più alta come l'insofferenza.
    "Cristo, BASTA!" Ti senti urlare, ma Adam ride. Lui guarda solo Dave, come si guarda un cane in vetrina, una bestia curiosa dietro le gabbie. "Non lo senti, vero?"
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    Dovrei ripensare alle parole di Thomas. A tutte quelle volte che, invitandomi a sedere dinanzi a lui, si riempiva la tazza con un po' di centerbe e per gioco, ne versava un po' - allungandolo con l'acqua - anche a me. Dovrei ripensare al suo sguardo, che è sempre stato un misto tra il preoccupato e il dolce. Un po' come se volesse dirmi in quel modo che a me ci teneva, un po' come fossi davvero figlio suo, ma che comunque, nonostante l'apprensione, non sapeva davvero come fare il padre.
    Dovrei ripensare a tutte quelle volte che mi ha detto di calmarmi. A tutte quelle volte in cui mi ha dato ragione, ma che nella ragione, comunque, ha trovato il motivo di un insegnamento. Che sì, ha senso sentirsi arrabbiati, non è sbagliato, ma può divenirlo, sì, se con la rabbia finiamo per tirar fuori parti di noi decisamente spiacevoli.
    Me lo ha sempre detto, Tom, che la violenza non porta a nulla. Non alla comprensione, almeno. E io non sono mai stato una persona violenta, Matìas. Non so per quante volte ancora continuerò a ripetertelo, a ripetermelo. Ma è vero, è così: io non sono cattivo. Sono forse troppo sensibile. Thomas diceva anche questo. Ha sempre detto che a me le cose arrivano diversamente e che forse potrebbero farmi più male di quanto, invece, facciano a lui. E no, non avevo mai immaginato che potessero andare proprio in questo modo.
    Ma io devo reagire, Matìas. Devo farlo. Credo ne valga del mio onore o di qualcosa che vagamente ci si avvicini. Credo di non poter fare altrimenti. Perché diciamo che non mi riesce, ecco. Non so tornare indietro adesso. Non so nemmeno guardarti senza percepirmi strano abbastanza da sentir la bocca asciutta.
    Non so bene com'è che funzioni l'adrenalina o chi per lei. Insomma, non sono sensazioni che posso vantare di provare ogni singolo giorno. Non sono così, sono migliore di questo e magari un giorno riuscirò a dimostrartelo. Magari non sarò costretto a portare quest'onta a vita. Lo spero, Matìas. Lo spero con tutto me stesso. Anche se si tratta semplicemente di una frazione di secondo. Anche se, ecco, a volte tendo a affollare troppo la testa. E lo colpisco. Insomma, io mi tiro in avanti quanto basta per mirare alla sua testa con la mia. E non mi frega di quanto possa far male. Non mi importa nemmeno di esser visto. Perché ecco, tra tutte le cose a cui posso pensare, a questa non ci penso affatto. Non so soffermarmici.
    E se cerchi di fermarmi, io parto come un toro con gli arti che mi restano. E lui deve star zitto, Titi. Perché anche se non lo sento io so accorgermi di quanto sia uno stronzo.
     
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