Sailing Against the Tide

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    Mi ritrovo immerso nel bagliore del tramonto, il sole che si tuffa nell'orizzonte mentre la luce dorata si fonde con l'atmosfera notturna. Ho appena trascorso un pomeriggio travolgente nel mio appartamento a Brooklyn, in compagnia di una bionda focosa, le nostre passioni intrecciate in un turbine di desiderio e piacere. Ma ora, mentre il cielo si tinge di sfumature di viola e rosa, so che devo lasciarla di punto in bianco. «Cazzo, sono davvero in ritardo, devo proprio andare ma tu fai pure con calma.» Mi scuso con un sorriso affascinante e un fintissimo ma efficace accenno di rimpianto. Ma è davvero tardi e ho un impegno che non posso eludere. Il locale notturno che gestisco attende la mia presenza, richiedendo la mia dedizione per organizzare una serata che non potrà deludere le aspettative dei miei ospiti. Mi preparo indossando jeans e t-shirt nera e mi dirigo fuori dall'appartamento lasciando Britney, Beverly, Brittany... insomma la bionda focosa, alle prese con il recupero della sua lingerie sperduta chissà dove tra le lenzuola scure. La mia anima si perde tra le strade di New York, immergendosi nella frenesia che permea ogni angolo di questa metropoli travolgente. La città è come un fiume in piena, inesorabile nel suo scorrere incessante, una sinfonia di luci, suoni e movimenti che si intrecciano in una danza ininterrotta. Mi ritrovo a passeggiare per le strade affollate, il cuore palpitante al ritmo della metropoli. Le persone si affrettano da una parte all'altra, immersi nei loro affari, le menti che brulicano di idee, di progetti, di ambizioni. Ogni angolo della città vibra di energia, di possibilità infinite che sfilano sotto i miei occhi come le immagini sfocate di un caleidoscopio. I grattacieli che sfidano il cielo sembrano toccare le nuvole stesse, mentre i clacson dei taxi echeggiano nelle strade, riempiendo l'aria di un'armonia caotica. I bar e i ristoranti sussurrano promesse di scoperte culinarie, di nuove avventure gastronomiche che attendono solo di essere gustate. I negozi sfoggiano vetrine scintillanti, invitando i turisti a entrare e a sognare di poter far parte davvero del tessuto della Grande Mela. Ed è proprio in questa frenesia che trovo la mia ispirazione, il mio impulso vitale. La vita a New York non conosce pausa, non concede tregua. Sento l'adrenalina pulsare nelle mie vene mentre mi avvicino al mio amato locale notturno. Le luci al neon che adornano la sua facciata brillano come stelle nel cielo urbano, annunciando l'inizio di una serata indimenticabile. Le porte si aprono davanti a me, rivelando un'atmosfera carica di eccitazione e preparativi. Il suono della musica di sottofondo mi accoglie, come un richiamo magnetico per le anime in cerca di divertimento e di evasione. Saluto i miei collaboratori con un cenno di testa, il mio sguardo che si posa su ciascuno di loro, riconoscendo il valore e l'impegno che mettono in ogni singolo dettaglio. Sono la mia squadra, le pedine preziose che danno vita al mio visionario gioco notturno. I camerieri sono intenti a disporre con cura i tavoli, creando un'atmosfera accogliente e sofisticata. Il barista si dedica alla sua postazione e il DJ seleziona con cura le tracce musicali, creando l'armonia di suoni che accompagnerà la notte. Ognuno di loro è un tassello indispensabile nel puzzle che si compone per rendere ogni serata speciale. Mi guardo attorno ma non vedo Ondine, la ragazza che ho deciso di assumere la settimana scorsa, dopo averla sorpresa a frugare nel guardaroba. Che cazzo fai, coglione!? Mi ero detto, riflettendo sul da farsi. Non so perché, ma invece di chiamare la polizia e mettere fine alla situazione, ho deciso di fare qualcosa di diverso, di rischioso. Ho offerto a quella ragazza un lavoro, assumendomi un'enorme responsabilità. È un gesto che va contro il corrente, lo so, ma è così che sono fatto. Amo agire in modo imprevedibile, rompendo le regole stabilite. C'è qualcosa di liberatorio nell'andare controcorrente. Non mi piace seguire le convenzioni, preferisco tracciare la mia strada, anche se ciò comporta dei rischi. Mi sento vivo quando sfido l'ordinario, quando faccio le mie scelte indipendentemente da ciò che la società si aspetta da me. «Qualcuno ha visto Ondine?» In attesa di una risposta da parte di qualche collaboratore, afferro il cellulare, notando con malcelato fastidio la notifica della bionda che aveva iniziato a seguire il profilo del locale su IG.
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    Ondine Verbinsky
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    eroinomane tossica
    Era una giornata come davvero, davvero tantissime altre. Solo che mi trovavo a New York.
    Dopo essermene andata da Los Angeles sono stata nuovamente tra la Francia e la Russia, ma anche se sapevo fossero tutte e due casa mia non mi sentivo più accolta come prima. Giudizi, pietà... Non ne potevo più. In America ero sempre riuscita a ripulirmi almeno un pochino, ma soprattutto ho sempre trovato gente che credesse in me per davvero. Poi, ogni volta, riuscivo a rovinare tutto. La costante ansia di non essere abbastanza, la paura di far cadere gli altri con me.
    Avevo bisogno di cambiare, di nuovo.
    Non era facile uscire da quel tunnel infinito, oscuro, ripido e affollato. Perché era così che mi sentivo quando non parlavo, quando bevevo e mi bucavo. Affollata.
    E pur di far stare in silenzio quelle voci, quei pensieri, quelle grida mi fiondavo in quella sensazione di vene calde, dove senti bruciare il sangue, dove senti la mente svanire nel nulla.
    Fa paura all'inizio, a metà la ami e verso la fine la odi... Ti odi, ma come puoi stare senza?
    Durante la mattina di un sette luglio decisamente troppo caldo per i miei standard, decisi di prendere il mio zaino pieno di tele, pennelli e carboncini. Avevo bisogno di qualche spicciolo se non era per la droga, almeno per un panino... E New York costava davvero tanto per le mie tasche. Ma c'è da dire che le persone non hanno paura di una ragazza esile come me e quindi non si preoccupano se cammino troppo vicino a loro o se per sbaglio gli sbatto addosso.
    Però, non sempre mi andava bene... Una sera, una settimana prima ero stata beccata. Io mi fidavo dei camerieri, invece è proprio quando meno te lo aspetti che ti fregano.
    Dicevo, quella sera avevo trovato questo locale decisamente non nel mio stile, ma sicuramente dello stile di chi in tasca ha almeno centocinquanta bigliettoni.
    Mi hanno beccata perché semplicemente avevo bevuto un drink in più, so bene che bisogna agire a mente lucida per certe cose, ma quella sera avevo così tanta sete.... Il proprietario, visino d'angelo non ha chiamato la polizia solo, forse, per sentirsi meglio con se stesso. In realtà gliene sono molto grata, però se voleva potevo anche offrirgli uno scambio sessuale, ci provai anche, ma decisamente non ero il suo tipo. Uno come lui va alla ricerca di modelle, di donne con una quarta di seno e il culo perfetto. Non una come me che a momenti non sta nemmeno in piedi. Certo, nemmeno lui era esattamente il mio tipo, ma tutto fa buon brodo quando cerchi di non finire per la terza volta in carcere.
    Comunque avevo preso questo impegno, e come continuavo a ripetermelo continuavo anche a dimenticarmelo quel giorno.
    Avevo trovato così tante persone da ritrarre e quella mattina avevo trovato anche un buon taglio di ero da farmi, ero la persona più leggera, più spensierata che potesse esserci su quel prato.
    Solo che il tempo in quello stato vola, davvero svanisce come qualsiasi problema.
    Così, iniziai a correre con lo zaino sulle spalle e arrivai al locale, entrai dal retro e sentii lo chef insultarmi, io feci lo stesso. Ho sempre saputo quanto gli chef fossero permalosi e se la credessero. Solo loro potevano insultare? Beh, non hanno mai lavorato con Ondine.
    Iniziai a litigare con lui, ovviamente.

    " Ne t'avise! Non è un mio problema se sei ignorante e non capisci il francese!"
    - Questa è la mia cucina!-
    Gli puntai il dito contro: "La tua cucina? Amico stai calmo sei solo uno di quei tanti frustrati che cerca piacere nell'usare un coltello e condire delicatamente un'insalata! Connard!"
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    Mi trovo qui, lo sguardo apparentemente fisso sul cellulare, con una miscela di emozioni che mi travolge. Non riesco a spiegarmi cosa mi spinga davvero a dare a Ondine questa possibilità, a offrirle un lavoro nonostante il suo atto inqualificabile. È un gesto che sfida la logica e la prudenza, ma dentro di me c'è qualcosa di più profondo, un istinto che mi spinge a seguire la mia intuizione. C'è il desiderio di andare oltre le apparenze, di vedere al di là dei suoi errori e delle sue azioni discutibili. Forse è per via della mia natura ribelle, di sfidare le norme e cercare la bellezza nell'imprevedibile. O forse è solo per appagare il mio ego. Non lo so ma Ondine rappresenta tutto ciò che non rientra negli schemi, negli schemi che la società cerca di definire come appropriati.
    Quando l'ho scoperta nel guardaroba, il mio primo istinto è stato sicuramente quello di denunciarla, di mettere fine alla situazione in modo pulito e conforme alla legge. Ma qualcosa mi ha trattenuto, qualcosa dentro di me che vede oltre l'atto stesso. Forse è il suo sguardo, il modo in cui ha affrontato la mia ira con una determinazione quasi sfacciata. C'è un'ombra di sofferenza nei suoi occhi, un bagaglio di esperienze e di battaglie che mi colpisce. Che probabilmente condividiamo. Non riesco a spiegarmi perché ho deciso di correre questo rischio, di mettere a repentaglio la mia reputazione e la mia sicurezza. È come se percepissi in Ondine qualcosa di speciale, una potenziale forza nascosta che può emergere. La decisione di assumerla non è stata facile da prendere. Devo fare i conti con il giudizio degli altri, con le domande e le perplessità dei miei collaboratori. Ma in questo momento, tutto sembra svanire, tutto si dissolve di fronte all'impulso che mi spinge ad agire diversamente. C'è qualcosa di potente in questo atto, qualcosa che va oltre la logica e le convenzioni.
    All'improvviso echeggiano le urla provenienti dalla cucina. I toni accesi e gli insulti si mescolano nell'aria, rompendo l'armonia che ho cercato di creare per la serata in arrivo. Mi basta un attimo per capire che devo intervenire, placare quella lite che minaccia di degenerare e danneggiare l'atmosfera del locale. Senza esitare, mi precipito verso la cucina, i passi rapidi risuonano nel corridoio. Apro la porta con decisione e mi ritrovo di fronte a Ondine. Il suo sguardo ribelle e la lingua affilata non mi sorprendono, ma è evidente che l'atmosfera tra lei e lo chef è tesa. Gli sguardi di entrambi si scontrano, carichi di sfida e animosità. Mi avvicino con calma, cercando di riportare un po' di serenità nella situazione. «Basta, ragazzi, calmatevi», dico con voce ferma ma pacificante. «Siamo qui per lavorare, non per litigare come dei bambini.» I miei occhi si posano prima sullo chef, poi su Ondine, scrutando quella complessità che emana dal suo sguardo. Non riesco a spiegarlo, ma c'è qualcosa in lei che mi attrae, una profondità nascosta che mi intriga. Nonostante non sia il mio tipo di donna, riconosco una sorta di connessione, un'empatia che mi spinge verso di lei. Mi rivolgo a lei con calma. «Ondine, vieni con me nel mio ufficio.» dico, cercando di comunicare fiducia e apertura. La mia voce trasmette autorità ma anche una nota di comprensione, consapevole dei demoni che ognuno di noi può portare con sé. Mi avvio verso il mio ufficio, senza voltarmi per controllare se Ondine mi stia seguendo. Abbiamo bisogno di un luogo tranquillo per discutere e trovare una soluzione. E comunque lo chef è sempre stato un vero coglione e non gli avrei dato la soddisfazione di continuare a torturare l'ultima arrivata.
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    Ondine Verbinsky
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    Come dei bambini, sì, forse mi stavo comportando come una bambina. Di certo nessuna persona intelligente si aspetterebbe qualcosa di diverso da una che viene beccata mentre cerca di rubare solo trenta dollari. Fossi almeno riuscita ad intascarmi qualcosa..
    Ren mi invitò con molta sicurezza a seguirlo, mentre lo chef sembrava sentirsi colpevole più di me, borbottava qualche parola di scusa mentre palesemente a me con gli occhi continuava ad insultare. Feci andare avanti il capo e mentre lo seguivo alzai il dito medio verso il mio acerrimo nemico del momento.
    Camminai con passo stanco verso il suo ufficio, dormire al parco non era stata una grande idea per la mia schiena, ma per la mia mente sì: mi rilassava sapere che affianco a me qualche uccellino o qualche anatrella si sarebbe appostata per rubarmi il poco pane che riuscivo a trovare. Ecco una delle poche cose per cui valeva la pena andare a lavorare lì era il cibo "gratis".
    Non era facile guadagnare per strada per cibo, ostello e droga, qualcosa dovevo sacrificare... Il cibo era la cosa più facile. Se trovavo qualche ragazzo molto gentile in ostello potevo fare il colpo grosso: sesso, droga, alcool e cibo, nulla toglie anche qualche ragazza. Le tedesche e le spagnole sono sempre molto altruiste.

    Ovviamente in quel breve tragitto mi ero già persa nei meandri della mia testa, dimenticandomi quasi perché stavo entrando nel suo ufficio. - ah già la litigata e il ritardo..- Sicuramente gli ero grata per quello che aveva fatto per me, ma la mia vita non era fatta per lavorare sempre agli stessi orari, con la stessa gente e soprattutto non in una cucina date le mie incapacità motorie di fronte ai coltelli. Ma non potevo sputare sul piatto dove mangiavo. Dopotutto mi era stato richisto di svolgere una delle mansioni più facili: fare da lavapiatti. Stavo facendo una gran fatica ad andare lì, ormai erano sere che mi stavo presentando, magari non puntuale, però mi facevo viva.

    "Senti, mi dispiace per il ritardo, ho avuto un con.. contra... empêchement.. come si dice.. beh un problema."

    Mentii spudoratamente, una delle poche cose che mi venivano meglio in quelle situazioni.
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    Con passo deciso, accolgo Ondine nel mio ufficio sedendomi dietro la scrivania, mentre ancora rifletto sulle ragioni che mi hanno spinto a concederle questa possibilità, nonostante il suo passato incerto. La sua presenza suscita una complessità intrigante, un'aura di mistero che mi affascina e mi costringe a indagare i motivi di questa attrazione. La luce soffusa della stanza sembra danzare sulle pareti, mentre quelle all'esterno continuano a colorare il cielo notturno di luci sfavillanti. Non posso negare di essere attratto dallo spirito ribelle di Ondine, come se il suo sguardo trasmettesse un'essenza di libertà che mi affascina. Siediti, Ondine. Le dico con calma, offrendole una sedia di fronte alla mia scrivania. Capisco che le cose possono mettersi in traverso, ma è importante essere puntuali al lavoro. Ci tengo a darti un'opportunità, ma ho bisogno che tu dimostri serietà e impegno. Mi perdo nei suoi occhi carichi di storie non dette. Le sue parole sussurrate, probabilmente un mix di verità e menzogna, risuonano nell'aria, eppure intravedo la vulnerabilità celata dietro il suo atteggiamento. Mentre ascolto le sue scuse, cerco di discernere ciò che è vero da ciò che è finzione, ma lascio che il beneficio del dubbio la circondi come una delicata scia di fumo. La nostra connessione, sebbene ambigua, si fa sentire come un richiamo impercettibile.
    Mi ritrovo in un bivio, combattuto tra il pragmatismo e l'istinto di dare a Ondine una chance di redenzione, di cambiamento. In cuor mio, so che non posso cambiarla, ma forse posso aiutarla a trovare una strada diversa, a esplorare nuove possibilità.
    Con sguardo sereno, accolgo le sue scuse con comprensione, lasciando spazio alla sua spiegazione. Rispondo con un tono calmo ma deciso. Dico davvero, posso capire che le complicazioni possano sorgere, siamo tutti umani, dopotutto. Ciò che conta è come decidiamo di affrontarle. Sorrido leggermente, cercando di trasmettere un senso di conforto. Se hai bisogno di parlare o di qualunque aiuto, sai che puoi rivolgerti a me. Mi fermo un attimo, cercando le parole giuste per esprimere il mio pensiero. Voglio che tu sappia che qui, nel mio locale, hai una possibilità. Mi alzo dalla mia sedia e mi avvicino a lei, provando a porre una mano sulla sua spalla con tatto. E poi, cazzo, credo che tu sia davvero sprecata come lavapiatti. La guardo negli occhi, cercando di farle comprendere che credo in lei, anche se tutto mi suggerisce di non lasciarmi travolgere.
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