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Archer/Tess | 25 Giugno | Casa di Tess

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    37– Weird Accent – Former DCMC – Man of Letters – Brother – Hakka – Spirit Perciever




    La costruzione di un'identità si basa su legami. La creazione di qualcosa che è ben diverso da quello che Archer conosceva prima dei sogni e dei ricordi. Prima che tutto quel vorticare continuo ed incessante di informazioni vecchie e nuove lui era stato un fratello. Dopo l'incontro con Rexana e l'inizio di quello che sapeva essere il suo risveglio aveva deciso di passare da entrambe le sorelle. La prima sarebbe stata Tess però. Prima aveva bisogno di qualcuno con cui ragionare e sapeva che Nova era la più dolce. Gli serviva mettere le cose in ordine, e Tess era in grado di farlo meglio di molti altri. Lei aveva avuto le visioni più incontrollabili e lei era quella che era riuscita a mettere tutto nel suo ordine.
    Ora Archer non era lo stesso di qualche giorno prima però. Le nuove informazioni e le visioni gli dicevano che era stato alto, qualcosa di ben più potente, quasi divino, un tassello in qualcosa di molto più grande. Aveva studiato in quei giorni, aveva fatto ricerche negli archivi, che però non davano troppe informazioni. Aveva scoperto di essere legato ad un Guanto motore. Aveva letto che il suo antenato, per così dire si faceva chiamare il primo alchimista, un'entità che preferiva ad ogni costo l'ordine e il rigore. Comprendere il senso di quello che la sua anima era stata era solo il primo dei passi che doveva fare in quel momento.
    Arrivò nel primo pomeriggio a casa di Tess, non sapeva bene cosa portare e quindi decise di portare delle gallette di riso al cioccolato, che lui stesso guardava con sospetto. Sapeva fosse un regalo gradito a Tess, ma lui le considerava una menzogna. Era abituato a portare regali alle sue sorelle, lo considerava un piccolo ringraziamento in anticipo.
    Bussò due volte alla porta. Archer sapeva che Tess era in casa, l'aveva avvertita appositamente prima. Non appena la donna avesse aperto la porta avrebbe provato ad abbracciarla, nonostante il caldo di quell'estate afosa.

    Archer
    Bishop.

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    i don't belong in the world, that's what it is. something separates me from other people.
    Sono notti che non dormo come si deve. Ma, beh, adesso ha un certo senso. Capisco Rex, comincio a capirla meglio di quanto non abbia mai fatto, almeno da questo punto di vista. Non pensavo sarei stata in grado, perché sono tante le cose a cui pensi prima che arrivi il giorno, suppongo, prima che tu lo veda negli occhi, un figlio. Mi piacerebbe pure dire di aver vissuto con la stessa contentezza anche tutto il resto, tutto il prima: un corpo che cambia, qualcosa che muta e prende spazio, e comincia a farsi sentire. Tenerezza, sì, ma a volte i pensieri sono più insistenti, e fanno più male, e allora si prendono uno spazio che proprio non meritano togliendolo a tutto il resto. Voglio dire che adesso in realtà non mi importa, che non voglio consumare il resto del mio cervello a rimpiangere ciò che non ho saputo accogliere. So già che mi ci perderei in quelle spirali, e un po' ad impedirmelo ci pensa da sola già lei, Nofret. C'è stato un momento, quel preciso momento, in cui, nonostante fossi circondata da mia mamma e dalle mie sorelle, ho capito che c'eravamo solamente io e lei al mondo adesso, e che non poteva che essere perfetto così, in qualsiasi cosa, veramente qualsiasi. Non la so descrivere una sensazione del genere. Non ho avuto neanche modo di confrontarmi con Rexana su questo, e forse vorrei farlo, già solo per dargli un nome, per sapere se non sono stata l'unica a sentirmi così, se in qualche modo adesso somiglio a lei o a Nova. Forse soltanto perchè ho il bisogno di parlarne, di dirlo, di metterlo in un discorso, di aspettare che siano loro a mettere insieme le esatte parole così che, ascoltandole, io mi ci possa riconoscere come se le sentissi e mi venissero dette per la prima volta in tutta la mia vita.
    Ed è così che, anche quando vorrei pensare e concedermi la tentazione di farlo più del dovuto, lei occupa ogni mio spazio vitale, mi strappa ogni respiro dal petto, ogni passo, ogni ansia, ogni sguardo se lo prende lei con estrema e naturale prepotenza. Ma si tratta di un'esaustezza che mi rende contenta, che adesso, nonostante tutto, in qualche modo mi rende pace.
    Non gli sarebbe stato difficile per Archer trovarmi comunque qui in questi giorni. Molte delle mie abitudini sono già inevitabilmente cambiate.
    Riesco a malapena ad aprirgli la porta.
    «Ehi! Vieni entra. Dammi cinque minuti.» gli sussurro, molleggiando di nuovo verso la camera e riprendendo a strofeggiare una nenia senza parole contro l'orecchio di Nofret che finalmente vuole cedere al sonno.
     
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    La porta si aprì e Archer trovò sua sorella occupata a fare quello che probabilmente aveva fatto da un bel po', tenere d'occhio ed accudire la piccola Nofret. Lei doveva essere il centro dell'attenzione, almeno per i suoi primi anni. Non era un compito facile prendere un figlio. Lo stava vedendo con tutte le persone intorno a lui. Prima Nova, poi Rex, adesso toccava a Tess il ruolo della madre. Sapeva bene però che le cose che doveva dire a sua sorella erano ben diverse da quello che si sapeva. Perchè sapeva che le sue visioni erano materia più conosciuta a Tess, e soprattutto, era giusto dire a lei che cosa stava succedendo, come aveva fatto anche con Rexana.
    Vedeva Tess stanca, ma non sembrava per nulla spossata da quello che le succedeva intorno, era comunque con una certa quiete e tranquillità interiore, che era la sua misura nel muoversi nel mondo.
    Dopo essersi assicurato che sua sorella fosse tranquilla avrebbe mostrato la sua idea di un piccolo snack dicendole a bassa voce e con un sorriso "Un tributo sacrificale per la neomamma". Una volta che fossero tranquilli avrebbe chiesto "Come stai? Com'è la vita dopo questo fagottino di pianti e gioie?" Il tempo per spiegarle delle visioni sarebbe arrivato dopo, il tempo per spiegare a Tess che aveva risvegliato qualcosa di più potente di quanto pensasse di avere poteva aspettare dopo che avesse compreso come sua sorella minore stava. Il suo legame al passato era quello con le sue sorelle e non quella conoscenza antica e pericolosa.

    Archer
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    Non pensavo sarebbe stato così. In realtà non ci pensavo affatto. Non ci ho pensato per tutto il tempo della gravidanza, così come non ci ho pensato quando ho visto Nofret per la prima volta. Nonostante tutto, nonostante il patto, il vincolo che mi lega, che ci alla divinità, nonostante il fatto che più volte durante questi nove mesi abbia pensato che fosse una sorta di trappola, una fabbricata da me stessa, l'ennesima per mettere in salvo i miei e per foraggiare il mio crudele bisogno di fare l'eroe, nonostante tutto la prima volta che ho visto Nofret ho semplicemente pensato che fosse giusta. Giusta in tante cose. Non era del mondo, non era una Bishop, non era di - nemmeno so se mi è lecito pensarlo - non era di Ra. Era semplicemente mia. Forse per poco tempo, forse soltanto in quell'istante, però era uscita da me e mi andava bene, mi bastava, era decisamente più che sufficiente. E continuo a pensare che, alla fine, se ho lei, anche soltanto per poco, anche soltanto una parte di lei, non ho bisogno di altro. Ho bisogno solamente di lei. Non c'è uomo, non c'è entità divina che possa sostituirla, e credo che neanche Ra me la toglierà veramente del tutto.
    Per questo capisco anche l'attaccamento di Rex ad Arkell, quel cordone ombelicale che non riesce a rompersi e rimane un legame invisibile, viscerale, che lega il figlio al buio uterino della madre. Non mi piacciono gli stereotipi, le semplici e banali affermazioni o supposizioni di fronte ad una che diventa madre per la prima volta. Ci sono cose che non si possono spiegare, e che tirano fuori una sorta di possessività primordiale di cui no, non mi vergogno.
    «Grazie, Arch.»
    Gli prendo il pacchetto dalle mani, giusto per leggere alla svelta le etichette e farmi venire la giusta fame.
    «Più impegnata.» ma basta poco per dedurlo, forse l'aspetto meno curato, o meno del solito almeno, i gesti veloci delle mani che sistemano, rassettano, cercano con nervosismo i tasti del baby monitor che mi ha dato Rex quando è nata Nofret e ho dovuto accettare di farmi spiegare tutti i tecnicismi del caso.
    Vorrei spendermi in qualche parola in più con mio fratello, ma resto pur sempre un oracolo, o qualcosa in più. Così come l'ho sentito per Morgan, adesso lo sento adesso, come ogni altra volta. E non posso ignorarlo: è come un richiamo, come un arpione che mi prende alla nuca, o un fumo leggero che entra nelle narici e desta i pensieri del cacciatori.
    Allora sollevo gli occhi e lo guardo col silenzio di chi legge la Polvere di quelle scie divine.
    «Qualcosa è cambiato, Archer.»
    In lui. Non è lo stesso. È come se già lo sapessi.
     
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    Come sempre la vista delle sue sorelle poteva dimostrarsi incredibilmente attenta a dettagli che non erano conoscibili ai più, figurarsi ad Archer che, dopo una vita con solo i suoi di ricordi, si trovava con altri pensieri nella mente. Avere sorelle oracoli rendeva la cosa anche più complessa. Perché sapevano bene che cosa succedeva, ma non nei dettagli infinitesimali di quello che circondava il problema.
    "Dritta al punto, come al solito" disse senza neanche un istante per stupirsi. Sapeva che era così ed in parte lo ringraziava. Detto questo per un secondo rimpianse di averle dato la possibilità di notarlo senza che lui potesse introdurla.
    "Mi sono capitate delle visioni, e mi capitano sogni. Ne ho parlato prima con Rex e quel giorno ho avuto una visione più importante. Ho solo ricordi poco specifici, ma credo di essere un mago molto antico" disse con un tono di voce neutro. Si era preparato il discorso, aveva deciso di essere il più possibile neutrale nei toni e nella sua solita musicalità perché sapeva che sarebbe intervenuta l'emozione. Lo disse come se fosse la cosa più normale del mondo, perché per il momento voleva che lo fosse. Il guanto Motore, l'energia che tutto permea, la possibilità di mettere una parte di sè in un oggetto, la sua gioia a riguardo per il piacere di un processo incredibilmente complesso.
    Erano cose nuove, ma così antiche da trascendere il tempo.
    "Il nome Xoya del Guanto motore, ti dice qualcosa?". Il nome che aveva sentito rivolgersi nelle visioni dai suoi amici, o erano colleghi, oppure fratelli? Non sapeva bene come incanalare quei nomi e quella fratellanza in modo ben chiaro. Legami che erano di natura strana e legavano i destini con nodi che non erano decifrabili a tutti, ed in particolare a lui che il futuro aveva deciso di lasciarlo da parte per concentrarsi sull'ora e su quello che si può fare.

    Archer
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    «Sì.»
    Quel nome non mi è sconosciuto. Sì, me ne sono accorta, l'ho sentito, come sentii Morgan quando strinse quel patto che gli tolse l'anima: chiaro, netto, un profilo delineato. Non si trattava, in quel caso, semplicemente di un'aura diversa, era un buco, una voragine, qualcosa che mancava e che lasciava in lui uno spazio drammaticamente vuoto, impossibile da ignorare. Nel caso di Archer per certi versi è lo stesso: è un'anima però di una forma diversa, di un peso, una materia nuova, eppure sempre la stessa. Come un oggetto cangiante, un ibrido perfettamente fuso, evoluto, un uomo cresciuto, nuovo, eppure perfettamente riconoscibile.
    Xoya. Raktaneon lo ricorda. Anche Volontà.
    «Non è solo Rex. Lo siamo anche io, Nova, Layla.»
    Solo che con loro il legame era diverso. Con loro Raktaneon si assicurò di potersi ricongiungere, sia per sangue, sia per volere proprio e manipolazione.
    Mi destò un attimo, sospesa su quel pensiero, di fronte all'immagine diversa, rinnovata, della sua anima e degli echi che essa emette. Gli indico con un cenno il divano, perché non è una cosa che voglio ignorare questa. Come potrei del resto. È qualcosa che mi stupisce ma, in un certo senso, non mi lascia sbalordita. È piuttosto come se un pezzo del puzzle fosse tornato al suo posto, come una cosa che doveva essere così da sempre, e mi rallegra, mi restituisce una sorta di pace viscerale, antica, al punto che non so dove finisce la mia e comincia quella dell'anima che vive in me. Anche se ormai ha sempre meno senso provare a fare una distinzione.
    «La prima è stata Rexana che è entrata in contatto con la reliquia, poi è successo a tutte noi. Ma poi sei tornato, e ha svegliato anche te.»
    Il pezzo che torna al suo posto. Archer che ritorna, Xoya che si risveglia. Ho provato per tanto tempo a cercare di convincermi che esistesse davvero la casualità nella nostra vita di Oracoli e di veggenti, e forse ora ho capito perché in realtà per noi fosse come tutto già scritto. Ma non è un peso adesso.
    «Sono anime, molto antiche. Tu non sei lui, ma la sua anima ha scelto ed è nata con la tua. Per questo possiedi i suoi ricordi. E riaffioreranno, lentamente, a mano a mano saranno più chiari, credimi. Il fatto che già tu conosca il suo nome e la sua creazione è abbastanza.»
    Non è un caso neanche che siamo tutti quanti Bishop. Raktaneon si è preoccupato di portare con sé i suoi, ma forse è semplicemente il naturale ordine delle cose che tutti, in un modo o nell'altro, trovino la strada per incontrarsi di nuovo.
     
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    La prima parte di riconoscimento fu quella più utile e più rassicurante. Archer prese un respiro in più dopo quella consapevolezza che si frangeva contro di sè, quel sì che confermava di non essere solo, o meglio di non essere solo in due.
    Almeno erano in famiglia anche per questo nuovo e strano dettaglio che era l'essere anche qualcosa di ben più antico. Quella presenza e quelle informazioni erano un qualcosa di rassicurante, però. Gli permettevano di avere delle basi, la possibilità di imparare e condividere quello che stava vivendo con qualcuno che aveva più conoscenza di quello che gli stava accadendo, che era molto buono. Perchè le cose condivise erano migliori di quelle affrontate nella solitudine e nella poca consapevolezza.
    C'era potere nei nomi, e lo sapeva fin troppo bene lui. Lo sapeva che nel sapere il nome di quella parte di sè era qualcosa di incredibilmente potente nel momento e nel modo giusto.
    "Ok, quindi siamo un po' tutti negli uomini di lettere ad essere maghi con anime antiche, figo" disse, per cercare di stemperare la sua ansia.
    "Il fatto che ci siano già state un po' di visioni e sogni credo sia positivo" perché era positivo che erano tante, giusto?
    "Tu chi eri, sei... insomma, chi è lo spirito con te?" era difficile definire come rappresentare quella complessità con le parole, perché non riusciva a trovare le parole adatte a quello che pensava a quel legame che c'era sempre stato e solo in quel momento era ricominciato a tornare in modo significativo, che si era svegliato dal lungo sonno.

    Archer
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    «Beh… figo. È una cosa più grande di noi, Arch.» mi accomodo meglio, sbuffando leggermente. È che non credo si possa ridurre a questo, ed è vero pure che sono troppo suscettibile in questo periodo. Forse per Nofret, forse per le cose che non devo rivelare, forse per il futuro che ci attende ma che non mi viene ancora rivelato, forse perché cerco ancora, disperatamente, di tenere ogni singola cosa insieme, ma più ci provo più si aggiungono tasselli che complicano il puzzle, più viene aggiunta una trama nell'arazzo di cui non ho chiaro il disegno, se non solamente in piccole porzioni però slegate. Ed è questo, credo, uno dei grandi problemi della mia esistenza: sentire di non riuscire a riconnettere niente dei grandi o piccoli mondi dentro i quali vivo. Speravo che con la rivelazione della mia anima tutto sarebbe andato al posto giusto e si sarebbe verificata per me una sorta di epifania, di rivelazione, ma non è stato così.
    Lo so che posso suonare, dura, severa, ma forse la si può chiamare più legittimamente apprensione. Perché Archer ne ha passate troppe ed io sono diventata sospettosa di qualsiasi cosa, a maggior ragione adesso che c'è Nofret. Perché ci siamo passati, ci sono passata anche io e l'ho fatto a modo mio, dopo un viaggio difficile ma che mi ha rimescolato dentro. Le cose per me non si sono rivelate con chiarezza, non almeno come lo hanno fatto con Rex o forse lo faranno con Archer. Le mie erano mescolate alle visioni dell'Amduat. Per capire chi fossi mi è servito tempo, perché la memoria di Raktaneon funziona esattamente come una tela, è tutto tranne che lineare: perfettamente geometrica, sensata se ne cogli la matematica perfetta, ma è circolare. Dove finisce ricomincia ma non nello stesso punto, e il suo viaggio si è incrociato con il mio appena compiuto e trascritto. Perciò non credo di poter stabilire se sia positivo o no; le visioni di per sé, da che sono nata Oracolo, non sono mai buone o cattive, a volte presagiscono benedizioni a volte tempi maledetti, e il nostro compito è solo quello di guardare. Non possediamo neanche il vantaggio del tempo: a volte arriviamo troppo tardi, a volte troppo in anticipo, a volte vediamo quando non dovremmo vedere. Non sono nostre le regole, e ci sono piani che non sono affatto come suggerirebbe la logica umana.
    Alla sua domanda mi prendo qualche istante di silenzio. Cerco con la mano il ragno sul petto, quasi fosse già lì la risposta, e in effetti lo potrebbe essere.
    «Si chiamava Raktaneon, l'aracnomante, il proto-oracolo.» e forse anche per questo lo sento così vicino. Condividiamo un destino affine io e lui, e forse il mio essere Oracolo è solo la diretta conseguenza, il completamento di quella che era stata già la sua natura, la sua vocazione.
    «Leggeva il futuro e le verità attraverso le tele di ragno. Rivelano più di quanto si pensi. È lui che si è preoccupato di riunire le anime di chi gli era vicino, cioè quelle da cui sono nate Nova e Layla.»
    Tutti gli altri, a parte Rex, onestamente penso ci sia qualcosa che li avrebbe comunque legati oltre il tempo e lo spazio, indipendentemente da quanti fili di ragno avrebbe potuto stringerli assieme fin nella tomba e nella Polvere.
     
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    Lo sente quel tono più severo. Sa che lei parla con esperienza e con lo stesso peso di quelle parole che toccano dentro con dolcezza. Perché nulla è mai evidente con le sue sorelle, destinate a vedere a pezzi il futuro fino a quando non si cristallizza. Perché lo sente quel tono preoccupato e lo apprezza più di quanto non voglia ammettere. Alla fine è sua sorella minore, ma lo ha sempre trattato come un fratello piccolo.
    E forse gli piaceva, perché evidentemente aveva più esperienza in quel campo.
    "Scusa per quel figo, non sapevo come esprimerlo meglio" rispose cercando di stemperare la tensione.
    Perché sapeva che la preoccupazione ed il suo essere severa era fatto con le intenzioni migliori.
    Era attento ad essere di supporto a quella visione che era sempre parziale, sbagliata e non sempre puntuale e che spesso si traduceva nella realtà anche a causa del loro intervento. Perché le visioni delle sorelle erano sempre giuste, tranne quando erano solo una parte di quell'arazzo.
    "Sono felice almeno di non dover subire del tutti gli effetti senza conoscerli, come sempre voi siete un passo avanti e mi spianate la strada" e lo apprezzava, davvero, perché era la cosa che sapevano fare bene da sempre.
    Il piano era quello di sempre. Proteggere e capire per non essere di peso, perché quella conoscenza poteva essere utile se sfruttata.
    "Almeno sappiamo che anche io sono nella famiglia anche in questo, anche io ho questa grande anima dentro di me da sempre."
    Poi sorse un'altra curiosità, perché alla fine era curioso di sapere cosa ne pensva Tess che era sempre così enigmatica: "come l'avete vissuta voi, quando vi è successo?" Perché quello lo voleva sapere, ma nascondeva male uno dei suoi timori, quello di non essere più se stesso, di non essere più Archer e di essere solo Xoya, perché non poteva essere altro, forse.

    Archer
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