Osservavo il cellulare che reggevo in una mano, rileggendo più volte il messaggio che mi era stato da poco arrivato. La luce blu dello schermo si rifletteva sul casco bianco, che in quel momento celava alla vista degli altri la mia mascella serrata dal risentimento.
Quel figlio di puttana.
Sapeva che mi doveva i soldi che mi ero sudati nell'ultima gara, e non solo mi aveva fatto attendere più giorni di quanti ne potessi tollerare, ma aveva trovato un subdolo modo per farmeli ottenere non senza qualche piccolo intoppo.
Gideon non rendeva mai le cose facili, e vederci costretti ad attenerci ai suoi giochetti del cazzo lo compiaceva più di una scopata.
L'Output era forse la peggiore discoteca della città. Costruita su uno striminzito fazzoletto di terra, si basava su rigidi principi e regole ferree che facevano passare la voglia di entrarci anche all'essere più festaiolo di questa terra. Per dirne una, gli scimmioni all'ingresso era molto selettivi nei confronti di noi uomini, vietavano l'accesso a chi non si vestisse in un certo modo, a chi avesse un doppio taglio di capelli e soprattutto a chi si presentasse senza essere "accoppiato" a una donna. Fu proprio l'infrangere di quest'ultima regola a costarmi l'allontanamento dall'Output per un periodo temporaneo. E ora Gideon aveva avuto la brillante idea di organizzare un incontro proprio laddove ero considerato una specie di fuorilegge.
Ma che mi sorprendevo a fare? A quel figlio di puttana non bastava tenerci in pugno, doveva anche stuzzicarci sapendo che non potevamo, non dovevamo controbatterlo. Ci sguazzava dentro questa consapevolezza.
In poche parole, senza una ragazza non sarei potuto entrare e non avrei ricevuto i soldi che mi spettavano.
Con la fronte corrugata sondavo la rubrica sul telefono da cima a fondo, in cerca di un nome femminile che potesse aiutarmi ad aggirare questo piccolo "problema" che Gideon mi aveva forzato ad affrontare. Ma gli unici nomi che riuscii a scovare appartenevano alle ragazze che facevano parte della mia banda, i Blackhawks. Se mi fossi presentato con una di loro, Gideon non avrebbe perso occasione per ridermi in faccia, per considerarmi un debole che aveva preferito la partita più sicura, giocata in casa.
"Non riesci neppure a trovarti una pollastrella per entrare in questo cesso di locale? Dovrei esporti al circo, altro che sulle piste."
E io questa soddisfazione non gliel'avrei data neppure da morto, a discapito dei soldi di cui avevo disperatamente bisogno. Con il lavoro in officina riuscivo a mettere qualcosa via, ma non abbastanza da poter saldare il conto con il proprietario di casa.
Senza Yoon accanto, gestire le finanze si rivelava un compito difficile per me. Non sapevo che pesci pigliare e rischiavo di restare a secco per qualche conto sbagliato.
L'amarezza cresceva dentro di me e si mutava nel sapore della bile in bocca. Mi stava salendo su la nausea perché non mi ero mai sentito così solo come in quel momento.
Venivo continuamente attorniato da volti amichevoli e sorridenti, ma nessuno di questi mi avrebbe teso la mano e sollevato un po' del peso che mi gravava sul petto per farmi tornare a respirare.
L'unica persona che poteva farlo ora era distesa su un lettino d'ospedale, circondata da macchine e medici che lavoravano senza sosta per tenerla ancora ancorata a questo mondo.
Allontanai tempestivamente i pensieri angoscianti sul mio migliore amico e tornai a guardare il cellulare che stringevo tra le mani, come se fissarlo ostinatamente potesse far apparire magicamente un nuovo nome in rubrica.
Nel frattempo, una figura femminile mi passò davanti, alla quale prestai attenzione solo quando un rumore secco e improvviso echeggiò per tutto il parcheggio sotterraneo e semideserto dell'ospedale. D'istinto sollevai gli occhi su di lei, mentre sotto il casco le mie labbra si allungavano in un sorriso.
Non mi ci era voluto molto per riconoscerla, dopotutto era trascorsa pressappoco una settimana dalla prima e ultima volta che l'avevo vista.
Osservandola, la lampadina sopra la mia testa si accese.
In silenzio, e furtivo come un gatto, sollevai il cavalletto della moto e la spinsi in avanti con le gambe per un brevissimo tragitto finché non l'affiancai.
"Non riesci a starmi lontana, eh, Doc?" Riuscii ad intercettarla in tempo, la mia voce offuscata dal casco spezzò il silenzio che regnava sovrano nel parcheggio, interrotto di tanto in tanto dal rumore metallico dell'ascensore che atterrava nel grigio abisso dell'ospedale o dal rombo di qualche auto che si allontanava.
Se si fosse voltata, avrebbe trovato un ragazzo su una moto bianca come la neve e il volto nascosto dal casco abbinato, eccetto per gli occhi scoperti dalla visiera alzata. Mi affrettai a sfilarmelo dalla testa e mettermelo sotto il braccio, ravvivando i capelli con la mano libera. Un gesto che ormai mi veniva in automatico e che spesso non mi rendevo conto di farlo.
"Programmi per la serata?" Non ero il tipo da convenevoli, quelli li preferivo lasciarli a più tardi. Al momento mi premeva l'urgenza di sapere se avevo davanti a me la persona giusta per lo scopo di quella sera. Avevo provato a ingoiarla, ma la nota di speranza nella mia voce non era difficile da cogliere.