cannot be said

Ray & Josh

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    Forse non ci ho pensato abbastanza. Ho messo le cose in borsa, ho infilato la tracolla e sono uscito, come se niente fosse. Anche quella sera al bar quando gli ho parlato non è che ci abbia pensato davvero. Il fatto è che Chrys aveva ragione. Quando Joshua Çevik canta sembra che la musica lo attraversi. C’è qualcosa che distingue chi come me sa intonare, e chi come lui sa emozionare. L’idea che mi ha dato quando l’ho visto lì, sul palco, è che voglia essere visto. E forse non centra niente con il successo, con il pubblico, nemmeno con la musica. Canta, anzi grida per essere ascoltato e non lo so da chi, o da cosa, mi è sembrato il destino, mi è sembrata la vita, qualcosa che è sempre lì davanti a lui, qualcosa che odia. Non lo so se è la verità, non lo so se in realtà l’unico che vorrebbe gridare sono io, ma di una cosa sono certo, non era lì da solo. C’era qualcosa con lui, o forse dentro di lui, qualcosa che so di conoscere bene. E quando l’ho visto sapevo di poter essere capito. Dopo l’esibizione ero su di giri, entusiasta, formicolante, forse era l’erba, forse la folla, forse l’alcol, forse persino Chrys, ma io ero certo che fosse stato quel contatto, come trovare d’improvviso qualcosa che riesce a toccarti ed elevarti e forse persino liberarti. Poi la notte è passata. Sono passati i giorni. Il ricordo si è fatto più flebile e adesso che sono davanti la sua porta mi sento un idiota. Non lo so proprio che cazzo credo di fare. Mi sono lasciato convincere dall’idea assurda di aver trovato chi potesse dare voce a quello che non riesco a dire. Si, ho pensato che gli spartiti che adesso mi pesano nella borsa potessero diventare qualcosa in grado di vivere al di là delle mie dita e così dirgli finalmente addio, chiudere questo capitolo, voltare pagina, suonare qualcosa di nuovo. Però, ora scopro che ho paura. E non ho assolutamente idea di che cazzo significhi. Mi dico che certi pezzi non sono ancora conclusi. Mi dico anche che se non farò sentire a qualcuno questi dannati spartiti continuerò a suonarli, ancora e ancora, aggiustando sempre cose più stupide ripetendomi che devo renderli perfetti, finché non mi faranno completamente impazzire. Io devo lasciarli andare. Devo darli a qualcuno, me ne devo liberare, cazzo. Non ne voglio più sapere niente. Così busso alla porta istintivamente, lo faccio ancora una volta senza pensarci, perché tanto sappiamo che è il mio pezzo forte. Prendo su un respiro e sfilo il pacchetto di sigarette dalla tasca. “Il tuo Mozart dei poveri è finalmente arrivaaato!” grido alla porta tanto per fare un po’ di rumore, “se sei con una groupie cerca di rimetterti almeno i pantaloni prima di aprire”, rido da solo al pensiero, anche se tutto sommato sapeva che sarei arrivato. Mi poggio allo stipite della porta quando finalmente trovo l’accendino per la sigaretta.
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    Edited by Moonage - 8/6/2020, 12:38
     
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    Se c'è una cosa che sa astrarmi dal terreno scivoloso su cui cammino ogni dannato giorno e permettermi di respirare, è la musica. Ed è solo lei, per quanto si possa immaginare che l'erba aiuti e che le ragazze con un buon temperamento, anche... è la musica l'unica con cui ho una relazione che coinvolge anima e corpo. Non mi sono mai chiesto cosa piaccia alla gente di quello che faccio, che suono o che canto, non so se sia il tormento che mi si legge negli occhi o la nota più bassa che posso raggiungere. So solo che funziona così; io canto, mi libero di tutto, svuoto ogni fibra di me, loro ballano, un po' si massacrano, cantano con me - e questo mi dà sempre dei brividi assurdi - e tutto finisce quando le luci si spengono. Poi torno a casa e sono già orientato al passo successivo, forse incapace di godermi il gradino raggiunto perché lo so che ce n'è sempre uno più in alto da scalare. Ogni cosa nella mia vita è una scalata e non c'è giorno in cui non debba guadagnarmi la sanità mentale e la pace con me stesso, anche se beh, quell'ultima non penso la raggiungerò mai. E' la fatica che si nasconde nel dolore che manda avanti la baracca, è la voglia che ho di poter sperare che basti una canzone a poter rimuovere la maledizione di Edie, e solo sapere che così non è annulla sempre ogni mio progresso. Il continuo girare di questa mostruosa giostra ogni tanto mi fa il piacere di rallentare - mai che si fermi, ovviamente - abbastanza da concedermi qualche tregua silente tra me e la ricerca che mi guida. Devo fare sempre e comunque un'enorme fatica a convincermi che non sto perdendo tempo prezioso se un po' di questo lo dedico alla musica, più che a me. Ed è anche per questa ragione che alla fine mi sono lasciato condurre da Chrys ed ho invitato Ray a casa mia. Non sono il tipo geloso che si impone sulla scrittura dei brani per la band, anzi. Non tutto quello che canto è scritto da me o da qualcuno di noi, capita ci siano buone idee in giro e che forse sia richiesto che i Morgana semplicemente le interpretino come sanno fare, o così penso. Non ricordo con estrema precisione cosa ci eravamo detti io e lui ma il mio calendario in cucina mi ha avvisato con un dovuto anticipo che avrei avuto un ospite e, così, niente groupies. Quando mi avvicino alla porta ho la netta sensazione di dimenticarmi qualcosa, perché veramente la sua faccia non mi è nuova e non perché sia venuto a vedermi a qualche concerto. Ma io non sono un gran fisionomista, potrei sbagliarmi. Comunque niente cancella il sorriso cordiale che gli rivolgo invitandolo ad entrare nel mio santuario decadente. «Ehi amico, vieni dentro... » gli faccio un cenno e prima di chiudere la porta punto lo sguardo dritto oltre lo spioncino della mia vicina di casa, perché lo so che quella vecchia controlla chiunque entri in casa mia, non so se sia una sua fissa ma so che io da vecchio mi farò profondamente i cazzi miei. «... che se resti troppo a lungo sulla soglia rischi incontri del quarto tipo in 'ste zone» che poi non è del tutto una balla, a ben pensarci. E niente, io non so a cosa sia abituato lui ma non mi pongo grandi problemi a fargli fare un brevissimo tour delle uniche due stanze che può vedere, perché per quanto si dica l'apparenza mi cambia veramente poco nella vita. «Non è un palazzo austriaco ma puoi accomodarti dove vuoi, e metti la tua roba dove meglio credi. Da offrire abbiamo un espresso che rasenta la decenza» si può quasi dire che io sia orgoglioso di aver capito, qualche tempo fa, come fare un caffè senza riempirlo d'acqua e sorprendentemente mi piace anche, all'europea... credo. Il dove vuoi può prevedere un salottino in pelle un po' sgualcito ma molto comodo, una poltrona più o meno simili, me ne intendo pochissimo, oppure due sedie in legno grezzo in cucina. Ho anche una TV che non si avvicina ai modelli migliori e poi ho il mio pezzo forte; il mio piano elettrico, credo sia la cosa che più mi piace di casa mia. L'ho preso ad un'asta tra le più becere ed ho passato settimane a rimetterlo a nuovo ed ora suona che è una meraviglia, per la gioia del palazzo quando mi dimentico di insonorizzare la stanza. Nonostante il degrado dei muri che si scrostano ogni tanto, io sono del tutto a mio agio e poi casa mia è comunque pulita, a quello tengo eccome, l'ho già detto che non sono un troglodita?
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    Edited by nocturnæ - 8/6/2020, 21:11
     
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    Non posso non lanciare almeno un’occhiata in direzione del pianerottolo, cercando di capire chi è che Josh abbia paura possa spuntare fuori. Dopo gli incontri del quarto tipo che ho fatto a casa di Chrys un’occhiata alle spalle me la do sempre. Personalmente se non si tratta delle gemelle di Shining penso di poter gestire qualsiasi tipo di vicino di casa. Forse però le cose sono più facili quando non sei ricoperto di tatuaggi e hai l’aspetto del bravo ragazzo, soprattutto con vecchiette impiccione e in generale padroni di casa puritani. A dire il vero questa cosa mi è sempre tornata utile. In ogni caso non me lo faccio ripetere due volte ed entro di filata perché non voglio creargli problemi e ho il vago sospetto di essermi già dato da fare al riguardo mettendomi ad alzare la voce. Ci impiego il tempo pratico di un girotondo per guardarmi intorno, la casa è piccola, ma sembra ci abiti da solo, una decisa controtendenza rispetto al mio spassionato odio per il silenzio e in generale la solitudine. Però, devo dire che è piacevolmente accogliente, dà l’idea di essere un posto piuttosto vissuto, come se in qualche modo l’avesse fatto suo. “Mai piaciuti i palazzi austriaci, tranquillo” è un commento distratto, buttato lì mentre lascio cadere la borsa. “Comunque un espresso che rasenta la decenza direi che è il mio genere preferito di caffè. Che era anche un po’ la specialità locale quand’ero in Germania”, tengo la sigaretta tra le labbra, così ho le mani libere per sfilarmi la giacca, chea lascio sul divano accanto alla tracolla. Vorrei direi che non ho puntato subito la tastiera, ma in verità è la prima cosa che ho notato quando sono entrato, non è che la stessi cercando, era lì in bella vista e ci ho buttato un occhio. Una signorina niente male. Figlia di un incrocio di vecchia generazione tra una semplice tastiera elettrica ed un sintetizzatore. Uno di quei gioiellini che vorrei avere a casa, ma non si contano il numero di pianoforti che vorrei. “Ma quant’è forte questa tastiera” mormoro tra me e me, e anche se rischio di fare la parte del solito fissato inizio a premere tutti pulsanti, alternando ogni volta il suono di un tasto diverso per sentire l’effetto di ogni filtro. “Anche se a pensarci dovevo aspettarmelo che ne avevi una, visti i tuoi pezzi dai l’idea di essere il figlio illegittimo di Gary Numan”, che in particolare all’inizio ci giocava parecchio con il synth. Tra l’altro è stato a Manchester quest’inverno e me lo sono perso. Essere sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato è un po’ la mia specialità. Alla fine scopro anche qual è il tasto per abbassare il volume tanto per non rischiare di dare fastidio già dopo i primi due minuti che ho superato la porta. “Dov’è che l’hai trovata? Sembra di vecchia scuola, ma è tenuta molto bene”, forse dopo quasi un mese passato a suonare il pianoforte di Chrys il peso dei tasti non è esattamente lo stesso, ma il modulo di sintesi è praticamente perfetto. Poi trovo quella distorsione tipo brass che andava fortissima negli anni ottanta. Non cerco nemmeno di non ridere guardando Josh dall’altra parte della casa, mentre intono il primo riff di note di The Final Countdown. Tengo il ritmo con la testa, ma la sigaretta si consuma velocemente e la cenere rischia di cadere per terra, quindi alla fine rinuncio e mi approprio del posacenere lasciato vicino al divano. “Va bene, direi che ho fatto abbastanza casino per adesso”, spengo la pianola ed è come se dovessi rinunciare ad un giocattolo, tipo un trenino, perché in verità non mi dispiacerebbe passarci qualche ora. Guadagno il mio posto davanti la cucina su una delle due sedie accostate al tavolo e torno ad osservare Josh. “Comunque grazie dell’invito, a stento mi conosci, potrei farti perdere un sacco di tempo, il che è principalmente la mia più grande paura in questo momento” il fatto è che fin quando si tratta di perdere tempo, parlare, suonare qualche pezzo e bere caffè sono praticamente il migliore sulla piazza, ma se poi si parla di fare qualcosa di pratico è lì che tendo a non eccellere. Forse il vero problema è che sono piuttosto incerto sulla qualità di quello che ho composto. Il che può sembrare una preoccupazione idiota, in fin dei conti non succede niente se non è utilizzabile, anzi potrebbe persino essere lui a darmi dei suggerimenti. Però il solo fatto di mostrargli il casino che sono davvero mi fa sentire messo alle strette. Forse, in effetti, davvero non ci ho pensato abbastanza.
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    Scritto nei miei occhi c'è un gigantesco : "fai come fossi a casa tua" che Ray sembra già cogliere al meglio, il che è un bene. Non sono così selettivo, questo ogni tanto mi viene ricordato da chi mi sta accanto, se si tratta di aprire la porta di casa mia. Però non è che io abbia cose di valore inestimabile che possono essere rubate tanto facilmente, e di certo se qualcuno distrugge qualcosa non cambia granché lo status attuale. Tutto quello che conta per me è in me... e a volte anche su di me, se si pensa a quanto inchiostro ho addosso. L'unico oggetto materiale a cui davvero tengo è proprio il mio strumento, la piccola ma intensa valvola di sfogo che mi concedo, e sapere che attira l'attenzione mi fa comparire un sorriso più scaltro e fiero in volto. L'orgoglio non lo so celare bene, e neppure lo stupore quando mi viene detto che Ray è stato in Germania. Viaggiare è una cosa che mi piacerebbe molto fare, magari proprio in tour con i Morgana's, e sicuramente porterei Edie con me se dovesse accadere - anche a costo di rapirla contro la sua volontà, più o meno, ma questo è molto meglio io non lo dica ad alta voce. «Ahi, se è così che la metti, amico, devo ridimensionare quel decente perché non so se sarà tanto paragonabile a quello a cui eri abituato» alzo le spalle ma non ho il tempo di andare effettivamente in cucina perché quella che è iniziata come una chiara attenzione di Ray verso il mio piano, è diventata presto l'immagine di lui che prova qualche nota. «A ben pensarci, mio padre un po' gli somiglia...» e ci penso davvero anche se mi avvicino a braccia conserte per capire cosa sa fare o dover vorrebbe andare a parare. Io che suono anche i pianoforti che trovo nelle stazioni dei treni, non posso non provare una certa empatia con la ricerca che sta facendo della giusta tonalità. E tendo l'orecchio, perché me lo chiedo da qualche minuto cosa sia davvero venuto a fare qui e se sia uno scrittore, o un musicista o entrambe le cose. Che se ne intenda più di un comune novellino, non ho dubbi. «Bella eh? La svendevano per pochissimo ad un'asta qui vicino, l'ho presa qualche settimana fa. Ci ho impiegato un po' a rimetterla in sesto, dovevi vedere le condizioni di merda in cui era... ma adesso direi che posso essere soddisfatto.» Alzo le spalle, anche se lo racconto come si racconta di un salvataggio di un randagio per strada, perché in effetti un po' un salvatore mi ci sono sentito. E' quando parte The Final Countdown che mi ritrovo a ridere anche io perché suona esattamente come dovrebbe nelle menti di tutti, grazie alle meraviglie della tecnologia applicate ai classicismi. E mi viene un po' l'istinto di prendere una sedia e far partire un'improvvisazione a quattro mani, ma lo lascio fare un po' da solo perché sento che ci sarà tempo per queste cose, anche se già mi formicolano le dita. La musica chiama musica, inevitabilmente. «Nah, sono abituati a sentire ben di peggio, alcuni di loro probabilmente dovrebbero ringraziarmi invece che battere con le scope sui muri.» Anche quello lo penso, se immagino le vite piatte che si passano i vecchietti intorno a me. Torniamo in cucina, per quella che immagino sarà una pausa molto breve prima di tornare là dove siamo attirati entrambi. «Mh? No, non mi devi ringraziare», ci tengo a specificarlo mentre mi azzardo a preparare davvero l'espresso che gli ho offerto e che ora non posso rifiutarmi di sottoporgli, «Non sono Billie Joe Armstrong, in tour, ho sempre tempo per la musica e per chi ha qualcosa da dire...» C'è una battuta di fondo, ma la realtà è che non sono così famoso da non avere tempo per parlare con nessuno, ed anche se la ricerca sui Maledictus occupa l'ottanta percento dei miei giorni, ho dovuto mettere un freno alla mia irruenza, perché la corruzione possa realmente creare una connessione con me. Non mi sono ancora abituato all'Onice oscura che ha sostituito il mio primo catalizzatore, e che mi guarda dall'anello che porto con l'oscurità che la contraddistingue, ma quando sarà saprò da chi andare. «Allora, cosa cerchi di preciso? » Lo so che la domanda è generica e che il borbottare della caffettiera non aiuta, ma quello dovrebbe essere il punto, no?
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    Non riesco a non esaltarmi quando penso che Joshua ha tirato fuori questa tastiera dal nulla e poi se l’è rimessa a nuovo da solo. Una cosa che mi è capitato di fare con un paio di harley nel corso degli ultimi anni ed è stata la cosa più bella e appagante che abbia mai fatto in tutta la mia vita. Ma non l’ho fatto da solo, mi hanno insegnato, seguito ad ogni passo, suggerito e forse quello è stato un altro aspetto impagabile. La possibilità di lavorare con qualcuno che mi guidasse, capace di rimettere a nuovo qualcosa che altrimenti sarebbe stato buttato via. Da solo probabilmente non sarei riuscito a concludere proprio niente, come ogni altra cosa, la scuola, il conservatorio, il lavoro, invece Joshua ce l’ha fatta e non con una vecchia motocicletta, ma con una tastiera, che ha bisogno di più delicatezza e ingegno, tempo. Ed è una cosa che so per esperienza perché a Berlino ho seguito un corso per imparare ad accordare i pianoforti e ho rischiato seriamente di perderci il senno. Forse mi sto montando la testa, ma se scoprirò che Joshua ha un fan club probabilmente mi unirò per diventare una delle sue groupie. La cosa ironica è che probabilmente Chrys ne fa già parte, forse dovrei essere geloso, ma in verità lo capisco. Ad ogni modo cerco di non pensare alla sua impresa per non tempestarlo di domande, così da sembrare quantomeno una persona educata, sebbene non mi astenga dall’esprimere la mia ammirazione con un fischio che fa tanto muratore molesto a lato della strada quando passa una bella ragazza in minigonna. Ottima tempistica, molto divertente, ma pessima esibizione di maschilismo tossico, il che mi porta a chiedermi se si può essere considerati politicamente scorretti riferendosi ad una tastiera come ad una donna. Ora che ci penso lo faccio anche con le moto. Mi accomodo meglio sulla sedia, tirando fuori dalle tasche pacchetto di sigarette, accendino, chiavi e tutto il resto della robaccia che ci tengo infilata dentro. “Non sarai Armstrong, ma anche lui ha iniziato con i bar, oggi sei Josh, domani magari la stella dell’hard rock, chi lo sa” un po’ ci scherzo, ma a dire il vero un po’ invece ci credo davvero e non solo perché lo spero per lui, ma anche perché mi sembra il tipo che è in grado di emozionare le masse. Farebbe faville in uno stadio. Faccio cadere la cenere nel posacenere che ho lasciato definitivamente sul tavolo. Straordinario come in un attimo sia precipitato da folli stadi gremiti di gente ad una glaciale sensazione di panico. Cosa cerco? Beh. “Bella domanda” sorrido cercando di eludere il vuoto totale che si è impadronito improvvisamente del mio cervello. Proprio nel momento migliore, come sempre. Fisso il mozzicone di sigaretta che brucia l’ultimo tratto di tabacco ancora disponibile. Incredibile come certe cose divengano estremamente interessanti quando proprio non sai cosa dire. So che una via di mezzo tra il mutismo e un fiume di parole sarebbe in effetti la scelta migliore, un politico ”ho scritto qualcosa di interessante volevo fartelo sentire perché mi piace il tuo sound”, che dà tanto l’idea di uno che crede in se stesso, sa quello che dice e non ha perso la testa quando lo ha sentito cantare. Solo che c’è molto di più. E non so quanto gli interessi saperlo. “Guarda, ti dirò la verità, mi voglio liberare di questi pezzi”, mi rendo conto che detta così può non sembrare esattamente una cosa con un senso. Preferirei potesse leggermi la mente e capire cosa voglio dire così potrei togliermi il problema di trovare un modo per spiegarmi, che è praticamente la cosa che faccio peggio in assoluto. “Io suono nei jazz club, mi piace lo swing, mi piace il funky, il blues, mi piace improvvisare e farlo per divertirmi. Questi pezzi, invece, non solo non li ho mai suonati davanti a nessuno, non sono… divertenti, mi ossessionano, lo fanno da anni. Sai cosa vuol dire che ogni volta che sei da solo suoni sempre le stesse cose? è come una cosa che cerchi ostinatamente di portare a termine, ma il traguardo ogni volta si allontana quel tanto che basta da darti l’idea di non aver fatto nessun progresso”. Spengo la sigaretta sul fondo del posacenere e ne tiro fuori una nuova dal pacchetto. “Guardo questi pezzi e vedo solo i difetti, i limiti, le dissonanze, gli errori, però non riesco a smettere di suonarli. E credo che il problema sia che non sono pezzi qualsiasi, ma sono parti di me e della mia storia a cui non riesco a dare un senso e più non ci riesco e più vorrei solo… liberarmene, ma non lo posso fare se non gli do… un senso”. Praticamente un cane che si morde la coda, il cane più fastidioso e molesto che sia mai esistito sulla faccia della terra. Accendo la seconda sigaretta stringendola tra le labbra un po’ più forte di quanto vorrei. Cerco di mantenere la calma, un respiro profondo e alla fine riesco ad espirare una nuvola di fumo. “Ma se ho imparato una cosa è che non sono bravo a fare le cose da solo. E l’altra sera mi è sembrato che tu capissi certe… certe cose”, si era trattato più di un’intuizione, che di una verità oggettiva, potrei persino essermi sbagliato e alla fine potrei scoprire che Josh non riesce a capire di che parolano i miei spartiti. “Ho pensato che valesse la pena fare un tentativo, ecco tutto”, alzo lo sguardo che fino ad un secondo prima tenevo basso, sinceramente terrorizzato all’idea che stia pensando di aver fatto entrare in casa un pallone gonfiato. D’istinto sorrido cercando di sdrammatizzare, tornando subito a guardare il clipper azzurro che ho ancora tra le mani.
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    Spero di non aver risposto troppo repentinamente, mi hai beccata in un momento in cui avevo del tempo! ^-^
     
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    Io non discrimino i generi musicali, perché anche se all'apparenza a volte diametralmente opposti, sono tutti fatti della stessa sostanza: note. Note su un pentagramma o direttamente nella mia testa, che permettono alle mani di scivolare tu tasti, corte, o stringersi attorno a bacchette di legno e quant'altro. Non schifo nulla che riguardi la musica e devo ammettere che a volte sono proprio i classici ad emozionarmi più delle cose che canto sul palco. Ovviamente la priorità c'è l'ha il rock perché penso sia l'unica base, in tutti i suoi possibili sottogeneri che sappia darmi il giusto "via" per gridare al mondo tutto quello che ho dentro. Non è l'unica cosa che suono ed un po' mi distraggo, lo ammetto, quando Ray mi parla di quello che suona e di come lo fa, perché forse qualche tratto comune l'abbiamo. Papà, ad esempio, quello che somiglia a Gary Numan, mi chiede spesso di suonargli qualcosa, a volte so che è per alleviare il caos che gli bombarda la testa ed io lo faccio con piacere ed è in genere sul blues che mi focalizzo. Posso farlo anche senza spartito, lasciando sia la mia mente a guidarmi insieme al desiderio di risollevargli il morale e mi convinco anche di riuscirci di tanto in tanto. I pezzi che ossessionano penso siano il mio forte e non fatico ad immedesimarmi in quello che dice il mio ospite, anche se per me forse è molto più facile liberarmene quando ne sento il bisogno. Non che il processo di creazione sia semplice, quando scrivo impiego ore di rancore, rabbia, dolore, e sangue buttati perché tutto sia perfetto e brutale come deve - e perché sono un po' un precisino del cazzo - ma la liberazione che segue il poterli cantare ripaga di tutto. Ancora di più se quel che esprimo ha senso anche per chi mi segue o mi ascolta. Annuisco quindi, soppesando le sue parole in testa, mentre gli riempio una tazzina candida di caffè bollente. «Ti seguo...» non penso gli serva che io lo dica, ma mi arriva davvero sulla pelle la frustrazione che sembra provare. E forse un nodo di un problema credo di averlo individuato. Me lo prendo il tempo per mettere ordine nel casino che è stato lanciato sul mio tavolo con una facilità allucinante, e lo faccio per rispetto e perché non voglio essere il saccente di turno che crede di avere la soluzione per i problemi dell'universo. Anche perché, cristo santo, se lo fossi Edie ora sarebbe libera. Mi tocca comunque il fatto che in qualche modo Ray pensi che io possa capirlo, o che lo abbia intuito - magari sentendomi cantare - perché non è una cosa che mi aspetto di sentire tutti i giorni. «Amico, questo mi sembra il modo migliore per iniziare...» e glielo dico sinceramente, mentre lascio che quella mistura bollente di chicchi macinati e un goccio di latte mi riscaldi anche l'anima, e mi dia la sveglia di cui ho dannatamente bisogno oggi. Tamburello con le dita sul tavolo, e qualche anello stride; tutti rumori a cui sono abituato ed a cui non faccio ormai più caso. «Sono un perfezionista del cazzo, anche se probabilmente non è la prima cosa che si può pensare di me, e credo tu abbia ragione quando dici che serve anche un esterno al tuo lavoro. Non penso avrei mai fatto uscire niente di mio se non avessi deciso di affidarmi anche alla band, ma questo non vuol dire che non sai quello che fai, ma che non potrai mai essere oggettivo con le tue creazione, né nel bene, né nel male...» Ci sono cose di cui parlo, nelle mie canzoni, che sono avvolte in pesanti metafore per forza di cose, eppure lo so di cosa mi spoglio esattamente quando metto piede oltre il primo gradino e mi avvicino al cono di luce che mi viene dedicato. «Stai parlando con uno che dell'"essere troppo severi con se stessi" ne ha fatto una professione, quindi non posso dirti che sbagli se cerchi un secondo parere...» ok non è il miglior caffè di sempre, ma ci posso fare il callo se lui non me lo distrugge dall'alto delle sue conoscenze. E' sul comprendere le cose che un po' rifletto su, anche in maniera evidente, perché leggere il brano di qualcuno, immaginarlo in mente o anche solo interpretarlo - soprattutto se più intimo che frivolo - richiede una buona dose di sensibilità per l'artista che si ha davanti e questo vuol dire riflettere prima di parlare. «Ti darò una mano, sperando ti serva sul serio, se per te sono un peso posso provare a prestarti la mia voce o quello che ti serve, possiamo vedere gli arrangiamenti che non ti convincono... Non hai mai pensato di cantarli su un palco, ad uno dei vari open-mic in giro per la città?» In effetti io ho cominciato seriamente proprio così, ma è vero, e lo riconosco, che a volte tra comporre e cantare c'è molta differenza e c'è chi può riuscire a fare solo una delle due cose. «Però ti avverto, io tutto quello che so l'ho imparato da solo, ho fatto qualche lezione ancora al liceo, quindi forse posso imparare qualcosa anche io oggi!» Devo metterle le mani avanti, ne va della mia integrità, non voglio pensi che io sia chissà quale guru. Alcune cose forse le posso sul serio capire meglio di altri, ma i tecnicismi estremi fanno poco per me.
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    Ti ripago facilmente della tua stessa moneta. :P
     
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    Per la verità si capisce da subito che Joshua è uno che non lascia niente al caso. Basta prestare attenzione ai dettagli, il modo in cui tiene pulita la casa, anni luce da come viviamo io e Rafe. Ma riguarda anche cose più rilevanti, ad esempio com’è affiata la sua band. I loro pezzi hanno quel genere di limpidità che ti arriva al petto senza fare troppi complimenti. Sembra un’armonia naturale, come se non potesse essere altrimenti, ma potrei scommettere che è il genere di cosa a cui si arriva solo dopo ore e ore di prove. Per questo non mi lascia sorpreso scoprire che è un pignolo “del cazzo”, come dice lui. Dev’essere una sonora spina nel fianco per gli altri membri, anche se penso gli vogliano assurdamente bene. Non è la prima volta che mi trovo a rimpiangere di essere più un lupo solitario che un animale da branco, è successo anche con Jude, forse i licantropi come lei si guardano le spalle più in senso stretto, ma una band è comunque come una famiglia. Così annuisco, senza togliermi un mezzo sorriso dalla faccia, perché un po’ mi fa sentire imbarazzato essere in quella situazione. Mi mostra il fianco, mi dice che non c’è problema, che non sono l’unico e una parte di me, invece, vorrebbe solamente cambiare argomento. Eppure è anche come se mi levasse un peso dalle spalle. Mentre parla continuo a non guardarlo giocando piuttosto con l’accendino tra le dita della mano libera, lo faccio scivolare tra il pollice e l’indice premendolo ogni volta contro la superficie del tavolo. Alcune cose che dice non riesco a farle mie, perché davvero ho quasi sempre fatto le cose come venivano, senza pensarci veramente, se fossi stato più severo con me stesso avrei cercato di mantenere degli standard più alti, invece di comportarmi come se niente di quello che facevo fosse sbagliato, senza mettere mai nessuna scelta in discussione, anche solo prendere in considerazione l’opinione di qualcun altro. Me ne sono reso conto nel modo peggiore e una volta aperti gli occhi a quel punto ho scoperto di aver fatto solo stronzate. Sento che sto di nuovo scivolando nel mio personale buco nero, ma per fortuna il discorso di Josh cambia e torna sul pianoforte. Mi riporta al presente con l’assurda idea di mettermi su un palco a cantare qualcosa scritto da me. Scoppio a ridere, scuoto la testa in modo fin troppo teatrale, ma è davvero impossibile che una cosa così succeda. “Apparte che non ho la tua voce, ma poi sono più uno di quelli che suonano i propri pezzi per una persona sola, e l’unica per cui vorrei farlo credo non sia più interessata”, che è la cosa che mi fa più ridere, perché è di un’ironia sconfortante, l’emblema del mio disagio esistenziale per eccellenza. “Comunque non ti preoccupare, quando parlo di tecnicismi mi sento sempre un fesso, quindi meglio così” senza contare che molte cose non saprei proprio come spiegarle. Prendo un’altra boccata dalla sigaretta prima di spegnerla nel posacenere e provare l’espresso. Il sapore è stretto e intenso, lo preferisco dolce, ma praticamente è la prima volta che ne bevo uno da quando ho lasciato l’Europa quindi amaro a suo modo è più onesto. “Niente male, Çevik. Davvero niente male. Canti, suoni, fai il caffè, non ti manca niente. Io a stento so fare i biscotti con l’impasto preconfezionato e di solito ci metto dentro l’erba quindi alla fine hanno comunque un gusto di merda”. Prendo un altro sorso prima di decidermi di alzarmi svelto “rimani qui, aspetta”, torno al divano, afferro la borsa e devo rigirarla un paio di volte per trovare le cinghie e slacciarle. Tiro fuori il satanico malloppo di fogli che mi perseguita anche nei miei incubi e così sfilo le prime pagine, fin troppe, del pezzo che mi dà più problemi in assoluto. Quando torno al tavolo ho il cuore che suona come un tamburo fino alle orecchie, credo di dimenticare persino come si respira perché ogni volta che cerco di prendere aria, praticamente sembra che non ne venga giù niente. Provo a lisciare la carta stropicciata in malomodo sulla superficie del tavolo, la matita è sbiadita qui e lì e in generale è un casino, da guardare, da leggere. Però, il titolo è sempre lì, Ophelia. “Questo pezzo è praticamente l’essenza di tutti i miei mali” lo dico ridendo, perché probabilmente da questo momento in poi non saprò più trattenermi dallo spingere Josh al suicidio e sono sicuro che ci metterò praticamente tutte le mie forze. “Prima che te lo suono ti voglio dire delle cose”, ecco appunto. Devo trovare un modo per raccontarglielo senza sembrare che stia per suonare unq ualche tipo di marcia funebre una strappalacrime su un amore perduto. Perché a conti fatti è sempre quello. “Sei mai stato arrabbiato?” lo domando a bruciapelo alzando gli occhi nei suoi, sento pressante la sensazione che si aspetti qualcosa di straordinario, una promessa che ho il terrore di non riuscire a mantenere. Per questo ho bisogno che capisca, in qualche modo, non so come. Devo farglielo capire. “Però, ascolta, non arrabbiato che esplodi e poi dopo passa. No, intendo arrabbiato costantemente, perché sei convinto di aver subito un’ingiustizia, come un torto a cui non puoi rimediare, perché non hai avuto la possibilità di provarci, di lottare per sistemare le cose. E magari si, sei incazzato per quello, sei incazzato, che so, con il destino, ma in verità sei incazzato più con te stesso, perché è solo colpa tua se le cose sono andate come sono andate, perché non hai saputo fare di meglio, non hai saputo essere migliore”. Una rabbia che sento premere anche ora, una rabbia che mi basta pensarci un solo istante ed eccola che salta fuori, dolorosa come sempre, come se niente possa cambiare, non importa il tempo che passa, lo spazio che metti tra te e lei. Non funziona niente. “E allora fai quello che farebbe chiunque altro, accetti dei compromessi, dei compromessi assurdi, che sai che non ti stanno bene per niente. Anzi più ci pensi a quei compromessi e più ti incazzi, perché sarebbe bastato che un solo dettaglio fosse andato diversamente. Però, non puoi perdere la pazienza, perché quel compromesso è tutto quello che hai. E non lo puoi perdere. Per nessuna cazzo di ragione al mondo. Così ami quella persona da lontano e impedisci alla rabbia di toccarla, per non rovinare tutto”, devo abbassare per forza lo sguardo, sento che il cuore nemmeno mi sta nel petto perché ha deciso che questa storia non gli piace per niente e intende protestare pulsando direttamente alle tempie, per spingerti a nascondere di nuovo tutto sotto il tappeto e smettere in fretta di pensarci.
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    So cosa vuol dire suonare per qualcuno, e che quel qualcuno non voglia più permetterti di farlo. Solo che nel mio caso c'è una sostanziale differenza: sono stato io per primo a decidere di smettere, e non è una decisione di cui mi pento. Non ci vuole un legilimens per capire che invece a Ray le cose siano andate peggio del previsto, e mi chiedo se non sia questo che l'ha portato da me più di tutto il resto. Commentare qualcosa del genere per me è quasi impossibile, io sono quello che ti dà la pacca sulla spalla - se siamo in confidenza - o che annuisce, comprensivo, perché sono l'ultima persona in questo fottuto universo a poter dare un consiglio su argomenti simili. Evitare i tecnicismi, invece, mi solleva un po' di più perché quando si è dipinto come Mozart ho pensato subito che avesse più cose da insegnare lui a me, che il contrario. Batto due colpi sul tavolo per far scendere il liquido che si incastra nella sigaretta elettronica, non ho palle di cambiarla, mi ci sono affezionato. Finché il trucchetto funziona va bene così. Ha anche un valore sentimentale se ci penso bene, ci sono le iniziali incise dei Morgana's ed è nera, e penso sia evidente che quello è il mio colore preferito. Una piccola nuvola di vapore al mentolo entra in contrasto con l'odore intenso dei chicchi macinati. «Me lo posso aprire un bar in Germania?» lo chiedo mentre tengo stretto tra i denti il beccuccio trasparente.Non so sia la caffeina che entra in corpo come un missile e si piazza direttamente nelle vene come le peggiori droghe in mercato, o il fatto che stia andando a prendere quelli che sono i suoi spartiti, ma mi metto dritto sull'attenti. Distacco la schiena dalla sedia ed ho già i gomiti che poggiano sul tavolo e le dita che si intrecciano. Non la sfioro l'idea che possano non interessarmi, perché la mia curiosità verso la musica è sempre e costantemente come quella di un bambino in un parco giochi. E sì, sto anche studiando il tipo di comunicatore che penso Ray possa essere e ne vedo parecchia di confusione. Oh non che io abbia qualcosa da recriminare agli altri, sono il primo che per far uscire l'oscurità l'ha abbracciata e se l'è portata a letto. Vedo che il contatto visivo non è il suo forte e non insisto sulla cosa, in fondo è della sua musica che dobbiamo occuparci ed io sono proprio l'unica persona al mondo che vorrebbe mettere a disagio qualcuno. Lo so bene cosa vuol dire essere osservato contro la tua volontà e non penso potrei mai stare dall'altra parte di questa barricata. E così lo aspetto, aspetto i suoi tempi perché non c'è fretta anche se continuo a credere di non averlo convinto che non sarà una perdita di tempo per me. Forse perché la parola "tempo" mi provoca i crampi ogni volta che mi circonda e sempre meno spesso li riesco a nascondere. So quanto dovrebbe essere lungo uno spartito e quindi la mia attenzione viene presto calamitata dal plico di fogli che regge tra le mani. Ce ne sono troppi. E' facile rimuovere ogni giudizio dal mio volto perché divento molto analitico quando si tratta di rimettere mano ad un testo o una partitura. Ophelia, comunque, è un bel nome. Un altro sbuffo di vapore per poco non mi si incastra in gola quando mi chiede se sono mai stato arrabbiato. Vorrei citargli una frase di Bruce Banner, perché io sono sempre di fondo una continua alternanza tra l'essere incazzato come una bestia e la depressione, con qualche sprazzo di stupida felicità che cerca di prendersi i suoi tempi quando anche glieli nego. E invece sto zitto, perché voglio capire a cosa punta esattamente. Ed è quando capisco di cosa si tratta che le cose un po' degenerano, che il mio volto diventa una maschera di pensieri devastanti, che le parole di Ray vorticano in mente come una fottuta nenia assurda. Sei convinto di aver subito un'ingiustizia, incazzato con il destino, perché non hai saputo essere migliore? e avanti così, ed i miei occhi saettano da lui ai fogli che sono ancora stropicciati, perché lo so che in molti cantiamo e suoniamo le stesse cose, ma cazzo lui mi sta facendo l'agopuntura dei miei fottuti problemi. Il mio compromesso è in bella mostra in quell'anello centrale sulla mano destra, mi ricorda che ho scelto la via delle ombre per trovare quello che nessuna luce è mai stata in grado di darci; la salvezza di Edie. Ma cazzo, Ray mi sta ammazzando. E lo sta facendo con una precisione che non riesco a nascondere, tanto che quando finisce non ho una parola sensata da dire, sono troppo sconvolto. Mi rendo conto di star stringendo troppo la sigaretta elettronica perché questa si spegne con un "biip" che non sento. Le coincidenze possono anche capitare, ma io una cronistoria così precisa difficilmente l'ho letta, qualcosa che potesse essere direttamente cucito sulla mia pelle da quanto è tristemente vero. Sono un po' paranoico se mi chiedo se mi sta leggendo nel cervello? L'ultima parte ci differenzia abbastanza, perché io non potrò mai guardare mia sorella da lontano per non ferirla, perché so che allontanandomi la distruggerei, e così sarebbe se fosse il contrario. E lo so che devo dire qualcosa anche se il mio sguardo dovrebbe riuscire a parlare da solo. «Ehm.. si, più o meno ci hai preso» che minchia altro posso dirgli? «So molto bene di cosa stai parlando» continuo, provando ad astrarmi anche se ho già la gola secca. Mi lascio andare di nuovo sulla sedia, e riaccendo la sigaretta. In volto una sola domanda. Chi cazzo sei?
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    Avrei voluto temporeggiare ancora un altro po', ma questa cosa doveva venire fuori e non si poteva più contenere. Ti consiglio di sentire il pezzo fino alla fine prima di continuare a leggere, non è una grande composizione, ma emotivamente ti prende molto e potresti trovarci qualcosa anche tu.
    Scusami se il post è lungo, le mille cose che avrei voluto scrivere ho provato a riassumerle meglio che potevo, spero che qualche emozione sia riuscita a raggiungerti! Sarebbe la cosa più bella per me ^-^



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    Ryan Wilson
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    Quando la sigaretta elettronica suona, un bip tranquillo che spezza un silenzio attonito, di quelli che pesano, pieni di attesa, istintivamente alzo lo sguardo per capire che cazzo è stato. Non sono sicuro di sapere perché la gente dovrebbe fumarsi quella roba, sarebbe più comprensibile smettere di fumare e basta. Ma forse sto solo dirottando i pensieri su una cosa idiota, lo faccio sempre, tant’è che a dire il vero di cosa fumino le persone non mi importa gran che. Torno a guardare i fogli senza incrociare il suo sguardo, annuisco. “Bene”, ma non sono convinto, perché non credo che le parole siano davvero in grado di spiegare. “Beh è più o meno è quello che ha portato a questo pezzo, non saprei proprio in che altro modo dirlo. Ne fossi capace forse avrei scritto anche un testo, ma mi sembra che le parole non siano mai quelle giuste, o le note, anche. Forse è per questo che è interminabile” sorrido ironicamente sventolando i fogli come per mostrarglieli, ingialliti, spiegazzati, una storia confusa che non riesco a raccontare. Troppi dettagli, troppe contraddizioni, troppi sbagli, ho provato a metterci ogni cosa, ma sembra che niente basti. “La lunghezza non è l’unico problema”, mi lascio andare sullo schienale della sedia. Il resto dei problemi Ivanov, la mia insegnante di composizione, quella che mi ha fatto amare i pianisti russi, li noterebbe immediatamente. Saprebbe anche come dirlo in modo più tecnico, ma sono contento di scegliere parole più mie. “Manca di melodia. Insomma quando componi suoni su tutta la tastiera, note alte, note basse, le alterni per non annoiare. Si suppone che una persona sia così, momenti felici, tristi, nervosi, eccitanti e via dicendo. Io invece, suono o da un lato della tastiera, o dall’altro, non riesco mai a conciliare le due cose e questo pezzo più di tutti ne è la dimostrazione”, forse con lo swing si nota di meno ed è lì che mi nascondo meglio, suono sul registro alto e sembra che non abbia nessun problema al mondo. Ma d’altronde anche le armoniche di una corda tendono sempre verso l’alto, esistono solo armoniche superiori ed è esattamente lì che voglio vivere, sempre. Invece quando sono solo cado su registri più bassi, ritmici e pulsivi, nervosi, arrabbiati, quelli che incalzano e non lasciano spazio all’armonia. “Vieni ti faccio sentire” finisco svelto il caffè e mi alzo meccanicamente, allontanando la sedia dal tavolo con un rumore che trafigge il silenzio fastidiosamente. Mentre cammino verso il piano cerco il tono più sereno possibile. “Ovviamente io ti faccio sentire l’idea, mi basterebbe anche solo partire da questa e scrivere un pezzo del tutto nuovo che ne conservi l’anima, non c’è problema”, va bene tutto pur di arrivare al momento in cui potrò mettere la parola fine a questa storia e bruciare questi cazzo di fogli, dimenticarmi tutto. Mi siedo alla tastiera lasciando sul leggio gli spartiti, anche se non ne ho bisogno davvero perché conosco ogni passaggio meglio delle mie tasche. Tutto procede con estrema lentezza. Accendo il piano. Regolo il volume. Schiocco le dita per trovare il là adatto a creare una barriera sonora intorno a noi, così da non dover scatenare i colpi di scopa dei vicini. L’ho sempre detto, la telecinesi è la branca migliore della magia. “Ha un ritmo molto veloce, perché mi piace correre, però lo possiamo rallentare”. Faccio qualche scala per riscaldare le dita, è una di quelle cose che mi fanno sentire stupido a farle davanti agli altri. “Si divide in due parti sostanzialmente, che si ripetono un paio di volte con qualche variazione”, perché in fin dei conti è un pezzo che si è stratificato su se stesso, con il passare degli anni ho scavato più a fondo e ogni volta si è aggiunta una tonalità nuova, una combinazione diversa. “Poi c’è la conclusione, che non è proprio una conclusione, anzi sembra quasi un pezzo messo lì per dire basta. E poi d’improvviso non mi rimane più niente da dire. Abbasso lo sguardo sulla tastiera e per iniziare con il primo accordo devo solo pensare a quando ero al circolo di magia nera. Quando le cose erano andate più veloci di quanto potessi controllare. Quando ho barattato me stesso per una famiglia. E non mi importava di tutti quei cazzo di discorsi di merda su potere ed eredità. Non mi importava di niente, perché ero improvvisamente a casa con la mia famiglia. C’erano voluti anni, ma finalmente ero arrivato. Pensavo che fosse il periodo più bello della mia vita. E invece no. Invece nemmeno per il cazzo le cose erano come pensavo. Le cose erano peggiori, la corruzione si è infilata sotto la pelle e ho aggredito, distrutto, combattuto, ho ignorato il male per poter andare avanti, ho nascosto i problemi per conservare quel sogno. E giorno dopo giorno Isobelle mi sfuggiva dalle mani. Lei sembrava essere lì, proprio davanti a me e mi sono illuso che fosse sufficiente rimanere immobile per non rovinare tutto. E il presagio di quello che è successo si nasconde nei tasti che suono con la sinistra, ma a destra ci sono le combinazioni più complesse, ci sono le sfumature più belle, i giorni con lei, quei momenti che mi hanno fatto credere che tutto andasse bene. Ed è raccontandomi questa stronzata, chiudendo gli occhi e ignorando il resto, che ho lasciato che accadesse. La rabbia è in quelle note, in quel senso di colpa atroce, famelico, insaziabile. Sono stato io a spingerla da quel figlio di puttana. Io che l’ho ferita, allontanata, abbandonata, io che l’ho fatta sentire sola, io che l’ho fatta sentire in pericolo. E poi, quando ho avuto paura. Quando ho avuto più paura che in tutta la mia vita. Quando ho temuto che mi stesse abbandonando. Le ho messo le mani addosso. Ho messo le mani addosso ad Isobelle. Io non troverò mai le parole per dire quanto sia feroce l’odio che provo per me stesso. Non c’è un fondo, non c’è un limite, non c’è niente di me che riesca a sopravvivere ai confini della mia colpa. E la cosa che mi ferisce più di ogni altra è che lei non si è mai arrabbiata. Non mi ha mai urlato contro, non ha mai provato a farmela pagare, non ha mai voluto che mi scusassi. E' solo andata via. Quasi se lo aspettasse che fossi un mostro. Quasi sapesse fin dall’inizio che io non sono capace di controllarmi, non sono capace di amare, non sono capace di rimediare. Lo ha semplicemente accettato, quasi fosse lei l’unica da biasimare per essersi fidata. E la odio per questo. La odio perché è stata capace di tradirmi sempre. È stata capace di conservare quella cazzo di fede per impedirmi di chiederle di sposarmi. Ha scopato quella merda di Ezra, dando per scontato che come sempre avessi scelto di abbandonarla. Perché per te le mie promesse non valgono niente, per te sono solo capace di abbandonarti, non sono mai stato capace di fare altro ai tuoi occhi. Non è vero Isobelle? Sono solo le scelte sbagliate che ho fatto, giusto? Tutto il resto non ha importanza, non conta niente, forse nemmeno te lo ricordi. E poi ti sei scopata Noah. E avrei accettato anche questo. Avrei accettato anche lui perché io ti amo. Ma no, tu mi dovevi lasciare, perché? Perché non ne potevi più? Perché era più facile non parlarne e decidere per entrambi? Cosa cazzo ti è passato per quella testa? Io ti odio, Isobelle. Ti odio perché non mi hai mai dato nemmeno una volta una speranza. Ma odio sempre più me stesso. Perché ho dato per scontato troppe cose. Perché ho dato per scontato che mi bastasse amarti e non importava quante stupidaggini facessi, ero convinto che tu ci saresti sempre stata, anche se non mi hai mai detto “ti amo”. Io non ci ho creduto nemmeno per un secondo che non mi amassi. Ho pensato che avessi paura. Paura di lasciarti andare, perché da qualche parte nella tua anima c’è una voce che ti dice che non puoi fidarti di nessuno. Avrei voluto dimostrarle che si sbaglia. Non ho mai provato a spiegarti quanto ti amo, o perché ti amo, credevo non fosse necessario. Ora vorrei poterlo fare senza rischiare di distruggerti ancora una volta. È per te che ho scritto la parte più dolce di questo pezzo. C’è ancora la paura dentro, ma gli arpeggi e tutta la tenerezza sono per dirti che ti amo, la melodia è lenta per prendermi il tempo di spiegarti che sei bella e quando dico bella dico capace di accendere una luce nelle persone, ma soprattutto dentro di me, l’unica che mi fa desiderare di essere migliore, migliore per te, per pan. Ed è pensando a voi che mi coglie per qualche istante un’assoluta dolcezza. Mi fermo, perché nemmeno la musica a questo punto è capace di descrivere il desiderio che provo nel potervi stringere. Eppure mi rendo conto che in me c’è una violenza che mi terrà sempre distante dalle note più dolci di questo pianoforte, distante da te. Ed è questo pensiero che mi riporta all’accordo più basso per ricominciare ad odiarmi. E precipitosamente ogni cosa si ripete senza che riesca a trovare una via d’uscita da questo labirinto. Una strada che ti permetta di amarmi di nuovo. E se tu non puoi amarmi. E se io non potrò più amarti. Che cosa resta di me? Solo l’odio? la rabbia? Sono davvero solo un mostro? Mi chiedo se posso essere amato e se sono davvero mai stato capace di amare. E' stata tutta solo una mia illusione? Se lo era allora io chi sono? E ora che suono l’ultimo accordo, l'accordo di sospensione di quarta specie con terza e quinta abbassate, quello che in parole umane ti dice che non è finita davvero. Ora che mi sono fermato e mi gira la testa e ho il respiro pesante. Ora che fisso la tastiera con la certezza che devo fare qualcosa, qualsiasi cosa. Distruggere tutto, amare chiunque. Non importa. Cosa dovrei fare di me stesso?
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    Edited by Moonage - 10/6/2020, 19:09
     
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    Non ho ancora smesso di guardarlo come si guarda un alieno sceso in terra, e lo so che è un po' da stronzi, ma fatico anche a riprendere in mano il mio cervello che ha deciso per conto suo di arrivare a conclusioni non proprio lodevoli. Lo so, cosa penso, perché sotto il tavolo la destra mi si stringe intorno al ginocchio e l'anello vibra; come fa a parlare di cose che così bene si adattano a me? E perché io ci ho visto passare la mia vita quando ha iniziato a parlarmi? Ok sono paranoico ma questo non evita che ci sia andato molto vicino al fuoco che mi divora e che per questo la mascella mi si serra quasi di scatto. Ci ha messo proprio una mano dentro. Non può non avere visto l'effetto che mi ha fatto quella premessa che di semplice non ha niente, e forse è proprio la ragione che lo ha fatto bussare alla mia porta. Ma io continuerò a non capacitarmene per un po'. Ho anche paura che la mia idea di essere un filino più astratto e non buttarmici dentro con tutte le scarpe all'inizio, sia pronta ad andare a farsi benedire. A Ray mancano le parole, ma per qualche momento mancano anche a me, tanto che mi limito ad annuire con un livello di comprensione che non pensavo di saper mostrare tanto in fretta, e che mi serve a mascherare il pugno allo stomaco che mi sono preso. «Mh-mm» Niente, ancora nessuna parola di senso compiuto, sono solo io che lo ascolto spiegarmi cosa non dovrebbe andare della canzone che ha scritto. Vedo in quello che dice quel senso di perfezione che ricerco ogni volta che metto a punto un testo e lo imprimo tra le note di un pentagramma; anche io impazzisco se qualcosa non mi torna, solo che a me alla fine le cose tornano... per Ray non deve essere sempre così. Dice che manca quella verve che può rendere uno spartito meno monotono, e questo lo posso capire, tanto che voglio sentire di cosa parla ancora prima che finisca di spiegarmi. Lo seguo appena si alza, però gli do anche spazio per accomodarsi sul serio a quello che è il mio posto quando non ci sono ospiti. «Vai...» e qualcosa la dico, ma non è che abbia bisogno della mia approvazione per iniziare a concretizzare tutti i suoi discorsi, ovviamente, e voglio sia così, che sia fluido lo spostamento sulla tastiera perché mi illudo che così potrà capirci qualcosa di più. Non capisco se tutte le mani avanti che mette siano perché creda che potrei giudicarlo troppo duramente o che altro, sì non che la mia faccia sia granché rassicurante, ho anche le braccia incrociate, ma sono concentrato su quello che vuole mostrarmi. Insomma; io ci sono. Un po' è estenuante attendere che davvero inizi a farmi sentire sta canzone, perché ha premesso talmente tante cose - su alcune delle quali di sicuro torneremo su - che inizio a pensare che ora capisco perché non ha un testo. Non sono uno psicologo del cazzo, eh, ma indubbiamente qui qualcosa non mi torna, e non è che sia negativa come cosa perché io sono l'ultimo che può dirsi sano di mente (e sono consapevole che la mia follia non farà altro che crescere). Quando davvero le note iniziano a scorrere, sono così concentrato che anche la mia espressione finalmente cambia. Non è la prima volta che mi si propone un pezzo che mi starà bene cantare, o una melodia su cui aggiungere la mia voce e quindi non sono proprio su un sentiero minato. Eppure, lo capisco da subito che il tormento è a due passi da me. Me ne accorgo dal terzo accordo che è troppo veloce, io ho fiato da vendere ma non così tanto, quindi sì noi la rallenteremo di qualche misura. I salti nel mezzo per tornare al punto di partenza mi danno già l'idea che quella più che un'affermazione sia una rincorsa. Una rincorsa estenuante che ti porta a sfiancarti finché non ti rendi conto che è solo la tua coda quel nemico immaginario; che sei tu. E si sta già ripentendo troppo, mi accorgo anche di questo prima di sentire le mie stesse mani implorarmi di mettermi a sedere e fermare quella scala nel mezzo che vale un assolo di tastiera. L'intensità di Ray mi fa quasi pensare che dovrò rimettere mano ad un paio di viti dopo che sarà andato via, ma non ci penso così a lungo da non ascoltare. E' frenesia quella che prende l'intero brano dopo quasi tre minuti. Mi lascio trasportare da tutto quello che ha detto e respiro solo quando rallenta di nuovo, e rallenta troppo, così tanto che lo leggo il dolore che ti porta a chiederti se non sia giusto fermarsi perché tanto è tutto fottutamente inutile. Ma dopo ti rialzi, con più rabbia in corpo di prima e vai avanti così in un loop che davvero diventa più minaccioso nel caso in cui debba finire. E' già troppo lunga, ma li individuo i punti che si ripetono e forse c'è davvero la base per muoversi. Mi piace il momento in cui sembra che il meccanismo si inceppi, quello deve restare anche se molto va proprio tagliato. Ora capisco, anche quando smette di suonare perché a lui sembri eterna; e difatti lo è. «Ok» annuisco dopo un respiro più profondo del dovuto, le mie dita già tamburellano sui jeans. Ho un'idea, ne ho più di una, e ci vado cauto perché non serve un musicista per capire quanto Ray ci abbia messo in questi minuti di suo. «Dobbiamo lavorarci, perché hai ragione... è troppo lunga, un po' troppo veloce se vogliamo delle parole che si possano capire e ... » ho detto che ci sarei andato cauto, ed il mio tono è particolarmente accondiscendente quando gli parlo «Posso?» chiedo allungando una mano sullo spartito che lui non ha avuto alcun bisogno di leggere. Se mi dà il permesso, appello velocemente una matita e afferro i fogli. Li leggo ripercorrendo i tratti, e mi impegno a cerchiare i punti più interessanti, quelli che devono assolutamente rimanere. «Il brano può funzionare, ma le tue premesse sono corrette... la mia impressione è che gli serva una regolata, prima di metterci un testo. Qui ci sono alcune ripetizioni, ma questo punto (0.49) è veramente buono e ci lavorerei per renderlo un assolo, mentre da qui (2.17) mi regolerei con il ritornello, che metterei proprio in crescendo, è più intensa questa parte di quelle frenetiche che seguono, questa potrebbe essere la realizzazione finale » Sono già entrato in modalità "correttore di bozze" e fatico a tirarmene fuori, perché se questa non è deformazione professionale io non so cosa sia. «E questa, invece, questo rallentare qui... potrebbe essere la fine del brano. (4.12) » sento di dovermi spiegare un pò meglio, e lo faccio. «E' bello che ci sia un rialzarsi, ma alla fine torni qui in un modo o nell'altro, e quindi penso che qui si possa andare in calando e lasciare che siano un paio di colpi di grancassa a dire che ti rialzi, sicuro» Non mi sento mai totalmente un cretino quando parlo di musica anche se so che tra musicisti ci si intende e che invece sembro veramente un nerd per gli altri. «Ci vuoi aggiungere altri strumenti?» Quello però avrei potuto chiederglielo prima.
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    Non c'è nulla di cui dovresti scusarti <3
    Come dicevamo, ora ci si dà all'immaginazione se non ci sono cover più lente XD
     
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    Forse nessuno potrà capire mai. Forse nessuno saprà mai cosa vuol dire sentire il sangue ghiacciarsi nelle vene ripensando al terrore che ho visto io nei suoi occhi. Sentirsi un mostro eppure sapere che c’è una fredda luce solitaria dentro di te, quell’unica piccola speranza che cerchi di proteggere persino da chi sei; un relitto perso dentro me stesso, nascosto dietro una maschera che non posso togliere mai. E allo stesso tempo mi ritrovo a credere di essere solo un pazzo che non potrà mai vincere questa battaglia. Una battaglia che ormai appartiene solamente a me. Una battaglia per riprendere i pezzi della mia vita e rimetterli insieme adesso che lei non c’è più. E solo la voce di Josh m’impedisce di sgretolarmi. Viene da una realtà remota, giorni e giorni distante dal momento esatto in cui tutto si è fermato, il momento in cui sono imprigionato da ormai quasi due anni. Mi passo una mano sulla faccia per scacciare via svelto tutto quello che ci potrebbe leggere dentro. Annuisco meccanicamente alle sue parole. Seguo con lo sguardo i suoi gesti, le sue indicazioni e ogni parola mi rende via via sempre più presente. E non posso non sentirmi di nuovo come un ragazzino che può lasciare i suoi problemi nelle mani di qualcun altro perché rimedi, o almeno lì aggiusti. Mi lascio portare in salvo come un randagio. Accolgo le sue indicazioni senza dire niente perché ho bisogno di affidarmi a questa sensazione. Lui sa cosa si deve fare. Sa come si possono sistemare le cose. Mi voglio fidare, voglio lasciarglielo fare, voglio che riscriva chi sono per rendere tutto questo disastro qualcosa che possa amare sentirlo cantare. Così seguo le sue mani muoversi esperte lungo i pentagrammi scarabocchiati. Poi quando cala il silenzio e mi rendo conto che vuole sapere la mia opinione, mi sbrigo ad annuire di nuovo, precipitoso, colto di sorpresa, entusiasta, ma decisamente ancora pallido come un cencio. “Si, si, adoro i bassi e le percussioni, la chitarra elettrica, tutto il pacchetto. È un pezzo che ha bisogno di quel genere di passione, che ti prende allo stomaco. Tipo Master of Puppets, per intenderci, cioè in verità sono arrivato a questo pezzo provando a farlo al pianoforte, senza sintetizzatori” in effetti le note sono arrivate mentre provavo a riprendere quel genere di aggressività incalzante, ma portandola ad una velocità senza regole, di quelle che non ti lasciano spazio per pensare, respirare, reagire in alcun modo. Perché il mio più grande rimorso rimane sempre l’impotenza. Se fossi stato più furbo. Più in gamba. Più bravo con la magia. Più forte della corruzione. Ed è con questo pensiero, continuando ad osservare le mani di Josh tra gli spartiti, strette alla matita, che noto uno dei suoi anelli. Io non ne porto e generalmente non gli avrei dato il minimo peso, se non fosse stato per quella pietra, più luminosa delle altre, scura come la pece, un buco nero dove anni fa ho permesso che venisse risucchiata praticamente tutta la mia anima. La riconoscerei tra mille. So che la mia espressione si fa più scura, non riesco a non prendere la sua mano nella mia per guardare meglio, per essere sicuro di quello che mi è sembrato di vedere per un solo istante. Non tutte le onici ce l’hanno, è come un guizzo che le attraversa rendendole vive. Mi scappa un sorriso amaro mentre lascio andare la presa, convinto che il mio gesto non gli sarà piaciuto per niente. Infilo una mano nella tasca del pantalone per tirarne fuori un piccolo sacchetto di velluto nero. Non dovrei portarlo con me, lo so fin troppo bene, se Isobelle lo vedesse chiuderebbe anche l’ultimo spiraglio che mi sta concedendo. Però non posso liberarmene. È l’unica eredità che Persephone, mia madre mi ha lasciato, tutto quello che ho della mia famiglia. Faccio cadere sul palmo la piccola pietra d’onice, che non ho mai incastonato in nessun gioiello come ha fatto chiunque altro, perché per me non è mai stata una cosa da mostrare, era solo un prezzo che avevo pagato. Basta guardarla per capire che non è come quella di Josh, almeno non lo è più da qualche mese. È più opaca, ha perso quella lucentezza, come fosse l’occhio guercio che in passato Tharizdun teneva puntato su di me, costantemente. “Si è spaccata, quando ho infranto il legame di sangue” la giro nel palmo per mostrargli lì dove c’era prima una crepa profonda, ma che ho fatto riempire d’oro, così ora c’è solo una sottile venatura frastagliata che riflette ancora la luce. Ho sentito che lo fanno spesso, per dare ancora più valore a qualcosa che si è infranto. Però, io non credo di averlo fatto per questo. Credo di averlo fatto per la stessa ragione per cui ho scritto questo pezzo. Trovare un rimedio. Uno qualsiasi. Uno che vada bene. “Sinceramente non mi importa se sei davvero un mago nero. Ognuno fa una scelta perché ha la sua ragione. La mia è stata per la mia famiglia”, tutte e due le volte. Sia quando ho accettato di diventare un mago nero, che quando ho deciso di non esserlo più. Chi mi ha tolto la corruzione continua a credere che non sarò in grado di rimanerci lontano a lungo. Ed è la cosa che mi fa più paura. Quell’istinto di distruggere che continua a chiamarmi, è sempre lì ed inizio a temere che non sia stata la corruzione ad avermi spinto a fare certe cose, non completamente almeno. Forse sono proprio io ad essere sbagliato. “Credi che i compromessi di cui ti parlavo… servano davvero a qualcosa? O mi sto solo illudendo? Illudendo di avere ancora il potere di cambiare le cose?”.
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    Dovrei essere quello bravo, io, a gestire queste situazioni, ma mi accorgo ben presto che non è così. Perché se si tratta di intercettare i miei pensieri, quello che sono o come nascono in me; è facile, mi conosco e tendo a non mentirmi. Ma quando sono gli altri che vanno letti, le cose si complicano, soprattutto se quello che mi propongono è così intimo. Ora, qualunque cosa potrà mai dire Ray, quella canzone è stata scritta per ragioni che forse neppure lui conosce, ed inizio a non essere sicuro che voglia solo che io la canti, che io gliene liberi. Mi ascolta, non mi corregge e per un attimo mi riporta indietro a quando facevo lezioni improvvisate al figlio dei vicini di casa, e non so quanto possa essere un bene. «Va bene... allora forse dovremo anche parlarne con la band, quando avremo finito questa bozza di modifica» la butto lì, tracciando altri cerchi intorno agli accordi più interessanti, ma immagino possa capirlo; anche se so come si compone una canzone, non voglio privare Ophelia di quegli aiuti che possono venire anche da Naomi, Hugo e Jack, che sono praticamente le mie ancore di salvataggio, le boe a cui punto ogni volta che una canzone diventa ossessione. Ed è evidente che Ray ha già superato quel punto e che mi stia chiedendo di fermarlo prima che si getti davvero dalla scogliera e che finisca per odiare quel brano tanto da volergli dare fuoco. Con il senno di poi, non penso avrei reagito diversamente alla sua ispezione del mio anello. So per certo che il mio sguardo è diventato incredibilmente indecifrabile, perché non mi è mai capitato di essere letto così attraverso il catalizzatore e so che la presa sul mio polso è parsa quasi bruciare, per me, e che quando mi sono ripreso la mano l'ho tenuta stretta con la sinistra, come se avessi ritrovato una mia preziosa proprietà dopo chissà quanto tempo. La mascella è stretta e gli occhi si abbassano verso l'anello che ha generato tanto interesse, ed il mio patto con il Diavolo, sostanzialmente. Una parte di me lo vuole già fuori da casa mia, ma l'altra osserva interessata l'onice spezzata che fuoriesce dal velluto. E' un brivido di gelo quello che mi attraversa, e non capisco se sia dovuto al fatto che temo di star guardando un mio possibile futuro. Ma la strada che lui ha smesso di percorrere è quella a cui mi sono appena affacciato, qualunque cosa sia successa nel mezzo non deve e non può distrarmi. Ne ho tante di cose da dire, e molte non sono così gentili, ma non riesco a muovermi. Sono paralizzato dall'ansia che mi avvolge il cuore e lo stringe in una morsa che non ha alcun senso al momento, che non so decifrare. Il colpo di grazia, però, me lo dà il riferimento alla famiglia, che mi stampa l'immagine di Edie trasfigurata direttamente davanti agli occhi, che si assentano. Ci sono cose di cui non parlo, sia perché quel che è mia sorella deve restare un segreto racchiuso all'interno di una strettissima cerchia di persone, sia perché non voglio che le mie motivazioni vengano esposte così su un piatto d'argento. E continuo a non dire niente, a tenermi per me quel che è il percorso che ho scelto, il mio abbracciare le ombre ed iniziare a percepirne le graduali conseguenze, sempre più forti e sempre più trainanti. «Ci sono risposte che vanno cercate negli angoli più bui.» sono le prime parole che mi escono, dopo un silenzio che si è appesantito con i compromessi e le richieste. Io non so cosa Ray voglia sentirsi dire e forse non è quel che sto dicendo, ma non voglio pensare che il motivo per cui sto agendo sia lo stesso che ha guidato lui verso un evidente vicolo cieco. Se è tornato sui suoi passi è perché non ha trovato quel che andava cercando, e questa è la cosa che mi spaventa di più al mondo. Non dirò mai, nemmeno se succedesse, di aver compiuto uno sbaglio perché lo so che la magia nera è l'unica che non ho ancora esplorato ed è già l'ultima spiaggia che non voglio vedere come tale. Ultima, è una parola così dura che non posso sopportarla. «Non lo posso sapere » Non lo voglio sapere «Qualunque cosa tu abbia fatto, devi solo chiederti se ne è valsa la pena. » Ammetto, perché so che per ora e per sempre, per me sarà così. La determinazione mi brucia gli occhi mentre li riporto sulla mia onice, quella che brilla incastonata nell'argento, quella che forse dovrei decidermi di portare al collo se non voglio passare altri momenti a cercare di giustificarmi con me stesso. Io per Edie darei tutto, anche l'ultima goccia di sangue che mi resta in corpo, non c'è niente che possa farmi pensare che non ne varrà la pena ed adesso non voglio pensare neppure che possa essere inefficace.
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    Non ammetterò che i maghi neri per me non sono un problema. La sola idea di essere così vicino ad uno che potrebbe benissimo essere allievo di Persephone mi pesa nello stomaco come una palla di ghiaccio. Vorrei sinceramente che non fosse successo. Forse avrei preferito non essermene reso conto perché il senso di allerta adesso rende tutto più difficile. Anche se ho cambiato nome, identità, tutto nella mia vita pur di non finire per essere associato di nuovo a quel mondo, il pericolo di finirci di nuovo immischiato è sempre presente e la mia più grande paura. Non per me, mai per me, ma per Isobelle e Pan. Eppure, non posso togliermi dalla testa la certezza assoluta che Josh non sia una brutta persona. Ho conosciuto maghi neri che hanno fatto a pezzi ogni essere vivente che gli è capitato a tiro e ho incontrato maghi neri che invece sono finiti per distruggere se stessi per gli altri. Non ha alcuna importanza a che razza di schieramento appartenga, perché è solo un costrutto sottile che vuole semplificare in una linea netta cos’è giusto e cosa sbagliato, quando in verità dipende solo dalle persone. E nemmeno da quello che fanno perché ho preso parte ad azioni della congrega che non mi hanno mai rappresentato davvero. A me perlomeno importa cosa c’è più in profondità e forse si, forse non conosco Josh che da pochi giorni, ma per certe cose mi basta anche solo un attimo. E voglio credere che sia vera la sensazione che lui cammini al confine, in quella zona grigia che appartiene solo a chi ha capito che luci e ombre fanno parte di un gioco che è impossibile da vincere se ci si schiera. Quindi anche se ho sinceramente una paura fottuta di aver fatto la mossa sbagliata con lui e che sia stata sbagliata anche per me, per quello che ha cambiato tra di noi e quello che adesso gli ho mostrato di me, forse da un punto di vista molto strano è stato un bene. Perché in verità mi fido più di prima. Non pretendo di capire com’è che funzioni la fiducia, in particolare la mia che l’ho sempre riposta nelle persone sbagliate, ma continuo a volerci provare. Mi fido e basta. Al solito, però, mi sono spinto troppo in là, non perché non avrei dovuto mostrargli la mia onice, ma perché ho pensato di porgli l’unica domanda a cui nessuno può rispondere, sperando che lui invece per qualche assurda ragione potesse. Le cose che però decide di dire, il modo in cui lo fa, cauto e in un certo senso attento, mi spinge a distendere le labbra in un sorriso appena accennato. Credo di avere ragione. Credo che Josh abbia buon cuore. Mi auguro che la corruzione non lo distrugga come ha fatto con me. Vorrei dirglielo, ma credo che ormai se ne sia reso conto, è impossibile non farlo. Spero solo che non lo neghi a se stesso troppo a lungo, come ho fatto io. “Sai che ti dico?” faccio saltare l’onice e poi la riafferro con la mano per infilarla di nuovo nel sacchetto di velluto. “Io farò in modo che ne valga la pena” e a dire la verità non so se ci riuscirò per davvero, ma se mai sarà possibile riavere indietro Isobelle e Pan, in qualsiasi forma o modo possibile, ci volessero pure anni, al diavolo, ne varrà la pena. Una strada la troverò. La devo trovare. Faccio un respiro profondo e rimetto a posto il sacchetto nella tasca dei jeans. Prendo dalla borsa un plico di nuovi spartiti e una matita che infilo dietro l’orecchio. “Riscriviamo questo casino facendo i tuoi tagli, così poi possiamo lavorare su dei fogli scritti in maniera decente”. Mi metto all’opera piuttosto velocemente, cerco però di stare attento ad essere il più ordinato possibile, ora che dovrà leggerlo qualcun altro è il caso di passare per un pianista serio e non un David Helfgott durante una crisi psicotica. “Approposito, ho conosciuto il tuo pianista? Credo di essermi lasciato un po’ prendere l’altra sera e di aver alzato il gomito, quindi non mi ricordo bene cos’è che è successo dopo il concerto, se ad esempio mi sono presentato a qualcuno prima di sgomitare con le altre groupie per lasciarti il mio numero” in verità non ricordo nessuna sgomitata particolare, ma scherzare sul suo successo è un piccolo piacere che mi aiuta a smorzare i toni, non sono per niente bravo a reggere la tensione troppo a lungo, scado in una spirale negativa che porta quasi sempre ad un bicchiere di whiskey e il cornicione di un palazzo molto alto. “Spero non mi odierà per dover imparare questa piccola follia, se mai la suonerete ovviamente”.
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    Joshua Çevik
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    Che mi piaccia o meno, ora sono sull'attenti. Guardingo per più di una ragione, ma soprattutto perché non ho ben capito se ora Ray si stia pentendo di aver deciso di varcare la soglia di casa mia. Non posso rassicurarlo vantando di essere una brava persona, perché se anche al momento la mia fedina penale è pulita, non sono sicuro di quanto rimarrà immacolata quando avrò finito con la magia nera. Non la conosco la sua storia, non so cosa l'abbia portato - a parte il suo accenno alla famiglia - a fare il mio stesso grande passo nell'Ombra che ti avvolge come miele di puro veleno, e non so cosa gli abbia fatto prendere la decisione di tirarsi indietro dalla partita o dopo quanto sia accaduto. Di lui, davvero, non so nulla, ma non chiederò neppure di conoscere ogni suo pensiero o interesse, e non perché io sia un menefreghista, ma perché è me che devo tenere al sicuro ora. Ci sono cose che non posso vedere, o contemplare, perché mi è passato più volte per la testa di aver fatto una cazzata colossale i primi giorni ed i loop in cui sono entrato non li voglio minimamente rievocare. Ora va bene così, ora devo guardare nell'ombra che mi circonda e prendermi ciò di cui Edie ha bisogno, ad ogni costo. Perché lo so che non esiste privazione che potrà farmi più male di perdere lei, la mia famiglia. Lascio che si convinca che la sua scelta possa ora valerne la pena, perché non ho bisogno di scavare laddove so che non avrò quel che mi serve, o di cui ho bisogno. Annuisco e basta, sono sempre stato convinto che a farmi i cazzi miei campo cent'anni, ed è difficile io diventi così intimo con qualcuno da sapere tutto di lui, infatti ad eccezione della Band, di Chrys e della mia famiglia, sono pochi gli altri amici di cui so tutto o che sanno tutto di me. Soprattutto quest'ultimo punto è il focus principale. Sono ormai sicuro che la questione sia chiusa ora che l'anello spezzato torna in tasca e la mia mano libera da ogni presa. Anche se non mi è passata del tutto la sensazione che qualcosa manchi all'equazione, accolgo di buon grado il ritorno a concentrarsi sulla musica e lo aspetto mentre riscrive le parti che gli ho segnato. «Adam, dici? » suggerisco il nome del pianista in questione, anche se ammetto che a volte il dopo serata per me è un blackout quasi totale, e non sempre a causa di alcool o altro, è proprio che quando finisco di cantare io mi spegno, per un tempo che non so definire, perché ho liberato i miei demoni e quelli per un po' mi fanno la grazia di non tornare. «Credo potresti ricordarti di lui, più o meno ogni volta che suoniamo finisce per mordere una capsula di sangue finto ed il resto... beh se lo hai visto lo sai, sembra un vampiro uscito da un film di serie C » ma gli voglio bene, e lo ometto perché so che il mio tono un po' cambia quando parlo di questa mia seconda famiglia. «Comunque non preoccuparti, gli rompo talmente tanto i coglioni io che una canzone in più da gestire non sarà niente, vedrai. » E questa è la sacrosanta verità. «Invece...» che a sto punto dobbiamo arrivarci, «... cosa vuoi che esca dalle parole di Ophelia? » devo chiederlo prima id sparare a zero quello che la mia testa mi sta ossessivamente dicendo di scrivere.
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    Adam. Si, certo, mi ricordo del tipo che sanguinava come fosse uscito con una ragazzina al primo ciclo. No, dai, apparte gli scherzi, è stato forte. Molto scenico. Anche niente male se devo dire la mia, però su questo punto possiamo anche sorvolare, perché forse non è proprio il caso di aprirsi in commenti lusinghieri su com’era bravo con la tastiera e chissà su che altro è bravo a mettere le mani. Sorrido pensando a quanto riesco ad essere un pervertito in certi momenti. “Si, è vero, Adam. È bravo, sa come tenere il palco”, di solito i pianisti di una band rimangono in disparte e lasciano parlare la musica, ma lui invece ha saputo l’attenzione. Forse un po’ tutti in quel gruppo sanno come farsi notare quando sono sul palco, una cosa che a modo suo non è così facile, perché dividere la scena con Josh è difficile. Tende a catturare l’attenzione. Un po’ come tutti i cantanti, ma lui in particolare, poi forse con me molte cose si sono appigliate fino troppo in fondo. “Siete un bel gruppo”, la combinazione della voce profonda e rauca di Josh con le tonalità più basse e aggressive dei loro pezzi fa pensare a storie legate in qualche maniera alla terra, nel senso dei sentimenti più viscerali e passionali, fa pensare al sangue, in effetti. Adam forse ci ha proprio azzeccato. Pittoresco, ma azzeccato. Poi, mentre sto nel mezzo del nuovo arrangiamento, il primo di una serie di molti altri, almeno spero, Josh mi chiede le parole di Ophelia. Cos’è che voglio che ne esca fuori. Non voglio che ne esca fuori la rabbia, ma perché quello è l’aspetto che odio di più di tutta la storia, di me in generale, e l’idea che qualcuno possa vederla non mi piace. Però è anche vero che non sarò io a suonarla, non sarò io a cantarla, né tantomeno Isobelle verrà mai a sapere di questo pezzo, o lo ricollegherà al suo nome, quindi potrei pure lasciarmi andare. Solo che rappresenta una colpa, la più grande e non so se sono in grado di metterla in mostra in qualsiasi circostanza. Non voglio nemmeno che sembri una supplica, mi ricordo com’è che mi ha guardato quando ho provato a chiederle scusa. Come mi fossi rammollito, come non fossi nemmeno me stesso, ma un verme e mi chiedo se avrei fatto meglio a cercare di affrontare a testa alta ciò che avevo fatto. Però, la vergogna è un po’ come un pugno allo stomaco, non ti concede di tenerti in piedi, solo di piegarti su te stesso sperando che passi. “Vorrei sapere cosa dire, ma è un po’ il problema di tutta la storia. Non so cosa dire per spiegare” ci sono troppo dentro, troppe colpe e recriminazioni, troppa voglia di amare che non viene ripagata mai, e troppi tentativi di rimediare che non ho messo in atto per paura che non ne avessi il diritto, o che non fosse abbastanza. E poi il senso di essere stato messo al muro e la frustrazione per non avere una via d’uscita. “Non ho idea di che cosa voglio dire di preciso. Mi sento solo privato di un futuro, uno che potevo avere e che probabilmente non avrò mai perché non saprò rimediare. Forse perché non c’è un modo, o forse solo perché sono un vigliacco”. Sorrido di nuovo, ma questa volta in modo completamente diverso, sento l’amarezza colpire come una stilettata proprio all’altezza del petto, un dolore che prima o poi devo mandare giù perché se non vado avanti rimarrò incastrato per sempre. Forse semplicemente non credo di meritarmelo. Cerco di scrivere qualche altra nota, ma ogni volta diventa più difficile. Alla fine alzo lo sguardo e mi volto in direzione di Joshua, non lo guardo negli occhi, ma mi fisso sulle pieghe della sua maglietta, i suoi anelli, “Tu di che parleresti?”.
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