Because you cared

Josh & Lilian - 2 Gennaio

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    Aspetto, perché è quello che faccio sempre. Non sento Slater da un po', credo gli siano arrivati i miei messaggi, e questo basta a dirmi che se non è sceso dal suo trespolo oscuro vuol dire che il mio lo sto ancora facendo come dovrei. Sono quello che devo essere e per ora non posso fare altro, perché lo so dove puntano gli occhi dei Crain ed in effetti una parte di me non vede l'ora che bussino alla mia porta, così posso vedere in che pessima posizione possono nuovamente mettersi. Caiden mi ha già dato un'idea su come sia fatto, quali siano i suoi punti deboli ed è quasi troppo semplice giocare su leve che conosco perché in fondo abbiamo qualche passo in comune, anche se questo non cambia le cose. Quindi aspetto di capire qual è la prossima mossa da compiere, il prossimo turno di Faust di farsi un giro nella Dimensione Oscura, o in quella in cui vivo, perché lo sento come il mio sangue brama e freme, mi chiede di dargli qualcosa che adesso mi spezza il fiato quando mentre cammino lo sento come si agita se io mi incazzo. Ho bisogno di sfogare tutto questo, come magma nero che mi entra nelle viscere e poi devo sputare fuori in un modo o nell'altro. Sì, quella cazzo di meditazione sta un po' funzionando, ma è solo un accumulo che tengo in riserva per saper poi direzionare la mia cazzo di rabbia. Devo tirare i miei fili, questo mi ha detto l'ultima volta, Slater, e lo sto facendo e non ho da temere da questo, quanto più dall'attesa che mi snerva e che tengo impegnata conducendo la vita di facciata che devo fare purché la gente mi guardi abbastanza da vicino da non capirci un cazzo. Dovrei imparare a respirare meglio, e invece mi alleno con quello che posso e che ho imparato, soprattutto con l'Alchimia che sono tornato a maneggiare come si deve dopo il giro oltre la barriera. So che ho lasciato indietro qualcosa per poter, adesso, essere ciò che sono, ma sta bene perché non è una cosa di cui so sentire la mancanza. Il problema adesso è che la mia mentre è occupata, troppo occupata, perché anche mentre giro per casa, fisso il cellulare con insistenza. E' sul comodino in ferro, all'ingresso. L'ho tenuto lì per non riascoltare il messaggio di Lilian e sentire come si sia resa ridicola nella maniera più classica. O forse perché le sue parole hanno avuto un senso che mi ha messo addosso l'incapacità di rimuoverla dalla mia mente. Dovrei mandarla via dalla band, lo so. Ma cazzo lei funziona, alla gente piace, abbia due fottuti singoli che stanno vendendo ed è per questo che abbiamo anche un concerto a fine mese, uno di quelli veri. Non posso, ma vorrei poter non vederla mai più, accantonarla perché tanto è stata solo un fuoco che ha bruciato in fretta, un fiammifero che non ricorderò di aver nemmeno mai accesso. Seh, diciamo che me lo dico perché mi sta sul cazzo sapere che invece nn è così, che afferro il mio telefono e la chiamo perché era ubriaca e lo so che non sa badare a se stessa. E' una stupida, non sa non pretendere qualcosa ogni volta e non sa quanto cazzo mi costa preoccuparmi di lei quando non voglio farlo. Il problema è che poi il telefono suona a vuoto, ma sento la suoneria che fa eco al silenzio, fuori dalla porta di casa mia ed è palese che sto già calcolando un po' troppo, perché scatto verso la porta e la apro di colpo, sganciando la serratura molto velocemente. Mi aspetto di trovarla davanti a me, ed invece lo spettacolo è... pietoso. Biascica qualcosa dal pavimento, come se fosse incosciente, e sono quasi sicuro che lo sia. Ha bevuto, non devo nemmeno chiederlo perché si sente e sono piuttosto sicuro che la vecchia ci stia guardando, motivo per cui per prima cosa fisso quella fessura nella sua porta: che sia chiaro che adesso deve farsi i cazzi suoi, che i miei le piacciono anche troppo. Abbasso il tono, lascuoto con una mano sulla spalla mentre mi piego su di lei e con l'altra le sorreggo il mento. Ruoto il suo volto perché mi guardi mentre le parlo. «Lilian.. avanti, apri gli occhi.» Non sono gentile, non sono premuroso, sono già stanco di dovermi occupare di questo quando, anche avendone il tempo, non vorrei doverlo fare. La poca risposta che ricevo mi convince che non sa reggersi in piedi, e che no, anche se lo merita, non la lascerò a dare spettacolo sul mio pianerottolo. Prendo solo un respiro, uno che renda chiaro che mi girano già le palle a sufficienza per quello che sto per fare. Poi le faccio girare un braccio attorno al mio collo, prima di preparami a sollevarla. «Dai, ti porto dentro.» Ancora so usare il tono più duro che ho, perché è un cazzo di rimprovero questo, non certo un premio.
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    Ho un nuovo lavoro, uno di quelli che sanno farmi sentire realizzata. Ho persino un impegno da portare a termine, qualcuno a cui dover tener conto ed elementi da analizzare con una mente sicuramente più lucida, eppure non sono ancora felice.
    Oggi ho indossato i miei abiti migliori: Quelli che dovrei mettere ai concerti perché fa strano vederli addosso ad una giornalista che incrocia le dita affinché il proprio articolo venga letto più di quanto accade solitamente con l'oroscopo, eppure non riesco affatto a sentirmi in pace con me stessa. Non so nemmeno quale giorno dell'anno sia questo, in effetti: Ho sentito mio padre e Barbara solo per far loro degli auguri. Non so se si sono accorti del tono quasi rilassato della voce, il quale solitamente attribuisco il successo all'alcol, so soltanto che ho sentito mio padre ridere sottovoce ed augurarmi il meglio.
    Il meglio. Solo perché non sa davvero cos'è in grado di fare la figlia che ha cresciuto con ogni premura quando, lontano dalla casa in cui è nata, finisce per sentirsi un po' persa. Alla sua voce devo essermi aggrappata saldamente, tanto da riuscire ad addormentarmi solo dopo essermi ripetuta più e più volte le sue parole. Merito di meglio, anche se sto facendo di tutto pur di mantenerlo ben distante da me. Forse questa è solo una mia ripicca adolescenziale. Forse lo spirito della contraddizione è sempre vigile in me al punto da spingermi a compiere azioni che probabilmente in contesti diversi nemmeno farei.
    Forse sono ancora solo e soltanto la figlia di Walter Strickler, del quale nome nessuno leggerà in fondo all'articolo, né ne assocerà il volto quando Joshua lo urlerà al pubblico solo per permettergli di conoscere quella che doveva essere la sua famiglia: I Morgana's.
    Probabilmente sto solo pregando affinché torni da me qualcosa che preventivamente ho spinto via senza nemmeno accorgermi davvero di quanto sia stata forte la spinta. Per ovviare a questi tipi di pensieri, mi sono persino tirata su dalle lenzuola con una finta energia e guardandomi lo specchio, ho augurato al mio riflesso l'augurio di un buon anno nuovo, il quale ho rimandato a puttane prontamente la sera stessa.
    Ma non è vero che bere alle feste rende il tutto più divertente: Io non mi diverto o almeno, non sono riuscita a sentirmi come gli altri quando, dopo due ore di salti in pista ho deciso che quella musica mi stava troppo sul cazzo per poterla sentire ancora, anche se per pochi minuti.
    Forse bevo da due giorni, non in modo continuo altrimenti boh, sarei morta, ma quanto basta per ritornare a compiere i soliti passi che mi portano a salire le scale del suo palazzo per poi fermarmi davanti alla porta di casa sua. L'ho fatto anche ieri, quando i fuochi sono cessati e la festa ha smesso di piacermi. Ho saltato i gradini due a due, ho voltato l'angolo sul ballatoio poi ho bussato alla porta, ma nessuno mi ha risposto. Avrei voluto vomitare: Perché ripensare a quello che gli ho fatto riesce a contrarmi lo stomaco, eppure non l'ho fatto. Sono un disastro ordinato, pulito, di quelli che si possono lasciar sbrogliare da soli in un angolo: Che non serve intervenire davvero tanto, alla fine, ce la faccio sempre.
    Ho stretto il basso sul petto convinta che fosse il 3 gennaio e che fosse giusto, seppur non ci parliamo, andare a prenderlo per così avviarci alle prove. A piedi, ovviamente, perché ricordo di avergli promesso di non guidare. O di averlo promesso a me stessa. Così mi sono seduta accanto alla sua porta: Mi fanno ancora troppo male le gambe per poter aspettare in piedi e...forse ho chiuso gli occhi di nuovo.

    ''N-non sto dormendo.'' Tengo la testa nascosta tra le braccia: La posizione non è propriamente la più comoda che io possa assumere, ma è ciò di cui ho bisogno affinché nessun altro possa scorgere il mio volto. Non so perché, ma mi è sembrato di vitale importanza celarlo. Forse è a causa della sua vicina, alla quale devo persino aver detto qualcosa di sgradevole quando, aprendo la porta, mi ha risvegliato da uno dei miei micro-sonni. Fortuna che non abbia chiamato la polizia. Lo guardo con un sorriso stupido in volto, misto tra la contentezza e la vergogna di fargli sentire quanti bicchieri di gin devo essermi scolata prima di finire così...rilassata.
    Mi stringo forte a lui, un po' come devo dimenticare di aver già fatto tempo addietro, quando ero ancora sincera e non giocavo carte false col fine di mantener inalterate le nostre possibilità di avere una carriera ed un segreto il quanto più stabile possibile.
    ''Dobbiamo andare alle prove, Josh. Facciamo tardi.'' So camminare da sola! Dovete darmi la possibilità di farlo anche se poi cado e per ritirarmi su ci metto più del previsto. Dobbiamo andare in sala prove, devo fargli sentire la canzone che ho scritto per loro...devo far vedere a Jack quanto sia migliorata con la batteria rispetto a quando suonavo con i RAYS e la vita mi sembrava crudele solo con gli altri.
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    Sbuffo, sono insofferente e non ho la minima intenzione di far passare questa cosa come un complimento alla sua incapacità di regolarsi. E non che io non beva, cazzo se bevo, soprattutto in momenti di merda... ed in genere si può estendere la cosa ad un po' tutta la mia vita. Ma no, questa cosa è diversa e lei lo sa perché vedo che nasconde il suo volto prima di tornare ad non avere un neurone al posto giusto. Io non sono solo arrabbiato con lei perché sta facendo qualcosa di patetico, io sono incazzato perché deve lasciarmi in pace e questo credevo di averglielo spiegato abbastanza ebbene. Evidentemente ha bisogno che io glielo ripeta di nuovo ma stavolta mi concentrerò perché non perda di vista nessuna delle mie parole, ed ovviamente adesso non è in grado di capire proprio un cazzo. Ottimo. Ancora un sospiro che mi pesa come veleno bevuto come fosse rum. Ma a giudicare dall'odore, in questo caso è Gin quello che le esce dalle labbra in parole che non hanno senso nel premersi contro la mia giacca. Sarei dovuto uscire, invece non lo farò perché i programmi sono cambiati e non certo in meglio. Non mi do il tempo di chiedermi che cazzo le è passato per la testa o cosa stia dicendo, perché lo so già. La potenza inaudita dell'alcool, che poi è il motivo per cui adesso anche io mi sto provando a dare una regolata, è che ti rende privo di ogni blocco, ma se prima potevo ancora avere la sensazione che liberarmi di un demone che mi corrode fosse possibile, ora so che devo lottarci fianco a fianco e sono per forza sempre più ermetico. Qui però si parla di Lilian che non si regge in piedi nemmeno pregandomi, quindi non aspetto altro che il suo aggrapparsi a me e mi piego sulle gambe per tirarla su. Non pesa un cazzo, è anche fin troppo facile. E dovrei saperlo per tutte le volte che l'ho sollevata con intenzioni diversi, ora vorrei solo che questo contatto durasse poco, abbastanza per mantenere la mia fottuta espressione impassibile anche quando la metterò giù. «Smettila, non ci sono le prove oggi..» che è più un "stai zitta, fatti questo favore". Tenermela così vicina e rimanere fermo nell'idea di liberarmi di lei, è un po' più fottutamente complicato del previsto. Ma va bene, perché supero la porta e la sbatto alle mie spalle mentre la chiudo. Ho sempre qualche formula che tengo trai denti perché non passi niente oltre queste mura di cartapesta ed è l'unico sollievo che mi dà. Non avrei chiamato nessun rinforzo, posso cavarmela da solo con Lilian, è solo una sciocca ragazzina che ha sbagliato ogni cosa che poteva sbagliare. Mi muovo verso il divano, e mi piego quanto basta a lascia scivolare, aiutandomi quando le sue mani sono troppo strette a me perché si sciolga da sola la presa. Le tengo i polsi, li separo dal mio collo, e ancora no non ho alcuna pietà per la sua condizione. Non sono un cazzo di nessuno per dirle che non doveva ridursi così, se è questo che vuole può farlo quando cazzo le pare, ma non davanti alla porta di casa mia, questo non capiterà di nuovo.«Stai ferma, ti porto qualcosa per farti passare la sbornia. » E' un ordine che non le conviene trasgredire, anche perché non voglio portarla in camera e non voglio che cadendo da qualche parte mi rompa qualcosa... o che si faccia male, ma quest'ultima parte la soffoco prima ancora che esca. Perché io lo so quanto a fondo sono una testa di cazzo nel dirmi che sono stato in apprensione ieri per lei, nel saperla in questa stessa condizione, in un quartiere di merda come quello in cui vivo. «Immobile, Lilian.» Glielo ringhio in un tono basso che ancora non ammette repliche mentre recupero una cazzo di aspirina ed un bicchiere di acqua. In cucina so solo fermare le mani sul mobile, stringerlo e riversare lì parte della rabbia che mi monta in petto adesso. Merda.
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    Oggi non ci sono le prove. Perché oggi non è il giorno delle prove ma solo un giorno come tanti altri. Un giorno fatto di alti e bassi, dove l'unica cosa che mi resta di fare, prima che cada di nuovo la sera è cercare di far mente locale sui pro ed i contro delle scelte che mi viene facile compiere quando l'alcol non è mai troppo ma abbastanza affinché io non abbia più nulla a fermarmi. Non che faccia chissà quale cosa poi: Divento solo fastidiosa è appiccicosa, come evidentemente Joshua non vorrebbe. Me ne rendo conto dal modo in cui mi stacca la mano dal collo. Magari poi sono solo io ad esagerare ogni cosa, sta di fatto che mi basta questo per tornarmene in silenzio e lasciare che il culo mi scivoli velocemente sul divano. Cristo, finalmente tocco qualcosa di morbido. Quasi non mi sembra vero. ''Non sono un cane.'' Credo sia questa l'unica cosa che mi esce dalle labbra eppure suppongo di essere stata bravissima a dirlo a bassa voce, affinché fosse più un monito per me che qualcosa di rivolto a lui. Che una bestia un po' mi ci sento, specie quando scodinzolo come un bastardino felice alla sua vista. Che stupida.
    Non sono solo la figlia di Strickler adesso, ma anche la bassista di un gruppo del quale nemmeno ricorda il giorno delle prove. Mi chiedo se esista davvero per me un vestito che sappia calzarmi a pennello e non si riveli poi capace di scoprirsi nei punti più deboli, i quali colpire o sfilare per così mettermi fottutamente a nudo.
    Nel medesimo modo, mi domando se sono figlia di mia madre e se, seppur non ne ricordi alcun dettaglio, potrò diventare un giorno. Mi chiedo inoltre se Alice sarebbe stata una figlia sciocca come me e se, come sua madre, avrebbe amato la canzone che sto cantando nella mia testa. Poison di Cooper è solitamente il riflesso della realtà dei fatti ma adesso, sa rivelarsi l'unica cosa a cui aggrapparsi quando mi viene impossibile farlo con le parole di Josh, che gracchiano nelle mie orecchie e forse finiscono persino per farmi male.
    ''Ti chiederei giusto un caffè. Poi me ne torno a casa.'' Mi fa male la testa, ma se piego appena il collo all'indietro il dolore si affievolisce. Non voglio nemmeno starci in questa casa in effetti, eppure se ci sono giunta sarà per un motivo. Forse ho creduto, seppur per un minuscolo frangente di lucidità, di dover dire a Josh qualcosa. Ma non so bene quale.
    Porto le gambe al petto e lo aspetto. Non ho molto altro da fare e credo che andandomene non farei altro che l'ennesima figura del cavolo.
    ''Perché mi hai chiamata se non ci sono le prove?'' Non è una domanda alla quale penso prima di accorgermi di averla vomitata fuori nella speranza di poter udire forse una risposta quasi delicata di rimando. Non voglio che mi dica che gli sono mancata: Non ci spero, né lo voglio davvero. Voglio davvero che la sua sia stata una chiamata atta a discutere solo e soltanto di problematiche lavorative, nulla più, che di sentimenti stupidi come quelli che nutro io non so più cosa farmene.
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    Vederla così è deprimente. In altre occasioni sarebbe stato divertente, ironico, perfino imbarazzante se avesse iniziato ad elencare tutte le volte che gli altri non si sono accorti di noi. Ma oggi è tutto diverso, ogni cosa che poteva spingermi lì a prendermela tra le braccia per darmi il tempo di dimenticare la mia vita, è morta con le parole che mi ha rivolto. Non ci riesco, però, a non fare niente e forse non è solo un problema che ho con la mia vecchia rompi coglioni fuori dalla porta, è che non ce l'avrei lasciata in ogni caso, anche se non ci fosse stato nessuno in grado di vederla. E' per questo che la sbatto, alla fine, l'anta della mensola da cui tiro fuori quell'aspirina che mi è rimasta. Mi ha detto che la sto trattando come fosse un cane e penso sia il massimo del ringraziamento che avrò oggi, non che me ne serva. A me basta che riprenda coscienza di sé, che si renda conto di dove cazzo si trova e che giorno è oggi, e poi che se ne vada. Già, Lilian non è un cane. Lilian è una bambina che non ha capito quanto sia sbagliato giocare con il fuoco. Potevo anche dirmi che era colpa mia per non essermi fermato quando, cazzo, avrei dovuto, cioè già dopo la prima notte. Ma no, no adesso so che il problema è lei che nonostante tutto quando ha dovuto scegliere un posto in cui riversarsi, ha scelto il mio pianerottolo. Soffoco le sue parole con l'acqua che scorre dal rubinetto. Riempio un bicchiere e ignoro la richiesta di un caffè, si farà andare bene quello che intendo darle io perché proprio non ha alcun diritto di parola adesso. Solo che poi lo so che sono una merda con me stesso quando non posso smettere di sentire come la mia cassa toracica si restringa e la mascella si tenda in uno stringersi di denti che non affondano nella carne come vorrebbero. Sarebbe troppo facile se ora io le perdonassi tutto solo perché è fottutamente bella anche quando non sa come si chiama, o non capisce cosa le dico. E per un Çevic non c'è mai niente di facile, dovrà capirlo prima o poi. «Niente caffè.» Alzo di poco il tono, ma solo perché mi senta dalla cucina e perché un po' vorrei che lo sentisse nei timpani il rimbombo fastidioso della cazzata che ha fatto. Non sono qui per rimproverarla per aver bevuto, ora che a maggior ragione non dovrei avere niente che mi lega alla sua salute ed è bene così no? Un peso in meno. Un punto debole in meno. Invece ho il tono duro di chi è costretto a fare da infermiere senza volerlo e si è già rotto il cazzo. È per questo che appoggio il bicchiere dal contenuto effervescente sul tavolino davanti al divano e non mi siedo con lei. «Berrai questo» e' un ordine. Resto in piedi, indeciso su che espressione io abbia mentre la guardo e non so cosa dirle. Faccio anche per voltarle le spalla e togliermi la giacca perché ho già capito che non uscirò nell'immediato, e forse dopo non avrò proprio voglia di fare un cazzo di niente. Perché l'ho chiamata? La sento la sua domanda che si incastra tra le scapole e affonda in un punto che non vorrei esprimere. L'ho chiamata perché ero preoccupato, ovviamente, ma non nel modo in cui vorrei lo intendesse. Resta che però sono senza parole per quasi un minuto di silenzio. Ora il tono è di nuovo basso, ed io non intendo discutere con lei. «Ti ho chiamata perché ci servi nella band, e mi sembrava che stessi per fare una cazzata ieri notte. Solo per questo, lo sai che funziona così con me se sei del gruppo.» Funziona che ci tengo al fatto che i miei fili restino dove devono stare.
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    Una cazzata l'ho fatta, forse più di una se vogliamo considerare tutte quelle che in un certo senso mi hanno spinto nel punto in cui sono ora, piegata sulle ginocchia e con la schiena ricurva ad abbracciare un corpo che sa sentirsi ancor più vuoto e gracile di quella volta che, risvegliandomi nel letto di Nicholas, ho iniziato ad odiarlo. Non credo di essere mai riuscita a guardarlo davvero nelle sue nudità, tra curve che piacciono solo ad altri e lembi di pelle che nei momenti di crisi strapperei volentieri via, eppure in questi giorni passati con Josh qualcosa è forse iniziata a cambiare. Se prima ero estremamente accorta a ciò che avrei potuto concedere a Nicholas affinché modellando su di sé una pelle che un tempo era mia potesse non farmi male ma solo aiutarmi a scoprire ciò che, magari un giorno sarebbe potuto piacermi, con Josh sono finita a credere di poter probabilmente mollare la presa. Tanto che la prima volta mi è piaciuto così tanto da non riuscire a tornare indietro: Non ho mai mostrato a lui delle barriere che gli fossero impossibili da superare, perché semplicemente non c'erano. Dopo mesi passati a detestare dei fianchi solo perché qualcun altro si era premurato di stringerli con più forza rispetto a quella che vi avrei esercitato io, ho creduto di poter tornare ad apprezzare una carezza se quella sapeva provenire dalle dita di Josh. Ci ho creduto in un modo forse contorto, un po' come se senza volerlo mi fossi liberata di un peso che, non svanendo del tutto, sarebbe solo andato a pesare sulle sue spalle.
    Questo possiamo chiamarlo egoismo. Signori della giuria, io ve lo concedo. Non nascondo la mano che ha lanciato il sasso, né fingerò di non aver bramato così tanto un uomo al punto che, aprendomi a lui, ho finito per perdere di vista quello che poi si è avverato. Alice, per quanto io non sia affatto pronta ad avere un bambino, non è stata altro che figlia di un amore che stavo riscoprendo. Forse verso me stessa in quanto donna capace di provare degli affetti e dei piaceri che non trascendono del tutto la carne. Forse verso qualcuno il quale, guardandolo, non lo avrei mai considerato come un mostro.
    Ma questo non è bastato a tenerlo in vita o quanto meno a raccontargliene a lui come fosse qualcosa di facile da condividere: Joshua non sa nemmeno di Nicholas e non credo abbia senso raccontargli di lui, non dopo che è morto, non dopo che i miei pensieri sono stati confermati da ciò che ho scoperto sul suo conto.
    Mi chiedo sempre se, non sapendo della storia di Kali, avrei continuato a provarci fino a che dei suoi modi poi mi sarei innamorata un po'. Ho sempre considerato strano il suo modo di approcciarsi a quella che sarebbe potuta essere probabilmente una figlia per lui, eppure, come la sciocca che sono, sono stata portata a credere che fosse solo a causa di una mia insicurezza. Che vedevo del marcio laddove invece aleggiava la mia paura od immaturità nell'affrontare una relazione che, data la sua età, sarebbe potuta persino essere seria.
    Una relazione. Solo a pensare ad un futuro con lui mi viene da piangere.
    Non ha senso a dire il vero: Perché volendo avrei potuto alzare le gambe ed andarmene. Non ha senso perché ora lui è morto e, comunque, ero libera di scegliere. O almeno, sarebbe suonato così agli altri.
    La colpa, anche in quel caso, è stata mia: Perché se non avessi questo carattere del cazzo che mi spinge ad aiutare gli altri probabilmente non mi sarebbe mai saltata l'idea di poter vedere, in un giorno forse troppo lontano, una versione migliore di lui.
    Ma più le mie speranze venivano alimentate da segnali che probabilmente ho colto solo io, più finivo per abbruttirmi, consumarmi.
    Non so più cosa sia rimasto in me della Lilian che conoscevo, che gli altri continuano a credere di conoscere tutt'ora.
    Non so più quali libertà posso concedermi quando, per mantener inalterato un equilibrio che mi sembrava perfetto, ho finito per toglierne agli altri.
    Non merito di dirgli niente, in effetti. Né di chiedergli un caffè. Non merito nemmeno di metter piede qua dentro, né di sedere sul divano dove l'abbiamo fatto la prima volta e quella dopo ancora. Questa casa, nonostante il passar del tempo, profuma sempre di Josh.
    ''Ok...grazie Josh.'' Me lo faccio uscire a denti stretti mentre, tamburellando con le dita su una gamba, mi concentro sul loro ritmo affinché la mente non torni a formulare le sue solite congetture. Era così perfetto il tempo che passavo con lui da non capire cos'è che mi faccia più male di tutta questa storia.
    Comunque avevo ragione quando ho detto che non sarei mai stata una brava madre: A fatica riesco ad incarnare le veci di una brava persona. Non sono brava in nulla, in effetti: Né a salvare gli altri, né a salvare me stessa. So distruggere ogni cosa sulla quale metto i piedi e questo silenzio, beh, ne è la prova. Vorrei tanto che lui tornasse a guardarmi così come mi ha guardata quando, finta nella mia sicurezza, ho creduto di poter aggiustare ogni cosa.
    Perché sono così: Non so se esiste davvero un'alternativa a tutto questo, dove prendo coraggio e decido di distribuire il peso di una gravidanza indesiderata anche sulle spalle di Josh. Non so se esiste un mondo in cui, sedendomi a fumare accanto a lui, decido di raccontargli di quanto effettivamente, nonostante i cambiamenti positivi che ci sono stati nella mia vita, io mi senta comunque ancora a disagio. Perché ho creduto di poter amare qualcuno nello stesso modo in cui diceva lui di amarmi e poi gli ho sparato senza nemmeno sentirmi davvero in colpa quando, ad animarmi, c'era solo il desiderio di vederlo morto. Io l'ho illuso. Ho illuso me stessa e poi ho desiderato vederlo morire. Come può una come me essere una brava persona?
    Non so se esiste un mondo in cui Lilian Strickler riesce a comprendere di non potersi far carico di ogni cosa al fine di non essere MAI un peso per gli altri, eppure ora lo desidero così tanto. ''Sei stato previdente.'' Me lo faccio scappare un sorriso amaro: Tanto non ho più nulla da perdere, nemmeno quella dignità che deve essere fuggita via a gambe levate. ''Forse sono passata anche ieri.'' Negli ultimi giorni ho sognato più volte di venire a bussare alla sua porta, quindi, in realtà, non so nemmeno se questa cosa che gli dico sia la verità o solo il racconto di un sogno. ''Non me lo ricordo bene.''

    Sembra come se da tempo io non riesca più a sentire nulla: Né delle emozioni che sappiano mostrarsi intense, né del dolore vero e proprio che sappia farmi piangere senza fiato. Nemmeno quando ho abortito ho sentito qualcosa, né il dolore emotivo, né quello a cui uno è costretto post interruzione. Niente, come se non fosse davvero accaduto ciò per cui ero andata in clinica quel giorno. Persino quando ho incontrato Jack lungo la strada gli ho detto che stavo bene: Perché non sentivo nulla e questo doveva significare essere a posto. Farcela. Che tanto non avevo molto altro a cui pensare.
    Adesso però, mentre osservo la sagoma di Josh farsi meno nitida per la stanchezza, qualcosa la sento. Ma non credo equivalga a quello che, altre madri, devono aver provato.
    Ho bevuto il gin per questo: Perché più degli altri sa bruciarmi la trachea quando scende giù, fin nello stomaco. Ed ho sperato, forse in preda all'apatia, di voler pur sentire qualcosa che sapesse farmi contrarre i muscoli dell'addome con forza. Perché il dolore sarebbe servito a ricordarmi lo sbaglio. Le cicatrici, in fondo, servono a questo.
    ''Mi manchi.'' Non lo guardo nemmeno quando glielo dico, come se in realtà lui non ci fosse ed io stessi solo parlando con un silenzio che figuro essere lui. Come se stessi sola con me stessa, nella nuova casa che mi sembra così grande nonostante sia solo un monolocale. Come se non avessi più alcun freno e adesso, oltre al balbettino, mi esca solo una verità terribilmente scomoda. So bene, in effetti, come dovrei evitare frasi come queste: Sono cose a cui ho già pensato quando da sobria mi sono mostrata bravissima a cestinarle in virtù di una stretta che potesse in qualche modo protrarsi nel tempo: Perché ammettendolo a me stessa e poi a lui, non avrei fatto altro che allontanarlo, rendendo le cose decisamente più strane.
    ''Cazzo.'' Un altro risolino che si spegne subito: Devo essermi ricordata proprio di questo minuscolo dettaglio. ''...Lascia stare.''
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    Stringo i denti, nego ogni cosa che sappia dirmi. Non voglio che mi ringrazi. E' questa la cosa più triste, che non voglio lo faccia perché non sto facendo niente per lei che non avrei fatto per chiunque altro del mio gruppo. E' tutto normale, e non c'è altro. Ci sto provando, cazzo, a non darle di più a cui aggrapparsi perché ho una fottuta ragione quando dico che non se lo merita, non dopo quello che mi ha fatto. Non lo so cosa sarebbe successo se avesse abortito prima, quando ancora Faust non aveva un'identità ed io ero solo in preda ad ogni cosa la Corruzione mi sussurrava. O forse lo so ed è per questo che preferisco continuare a muovere passi lenti per casa mia, pur di non doverle dire che è perfino stata fortunata. Ti senti fortunata Lilian, mh? Lo senti adesso come sarebbero potute andare le cose se non fossi stata così stronza? Ogni minuto che passa respirando qui dentro è un minuto in cui vorrei che se andasse e che sapesse farlo sulle sue gambe, così non sarò io a doverla sorreggere ancora. «Bevi» Lo ripeto come una fottuta macchina, come un ordine che non ha proprio alcuna possibilità di ignorare, perché prima starà meglio e prima chiuderò la cazzo di porta alle sue spalle. A me non frega un cazzo di quello che pensa, non più, e sono un fottuto idiota perché per un attimo ci avevo persino pensato che, se fosse sopravvissuta, magari.. però no, sono stronzate che non sono fatte per me, giusto? Io sono quello che rimorchia nei fottuti bar perché non ho altro che debba ancorarmi qui. Che poi, chi lo sa quanto durerà il mio "qui". Alla fine Gretchen ha sempre avuto ragione, niente varrà mai più di Edie e di quello che abbiamo, non finché questa guerra non sarà finita ed allora potrò dirmi che sì, ognuno di noi avrà una vita. Ma a me piace, in fondo, quello che sono ora che posso stringere tra le mani un senso mio, ed è qualcosa che Lilian non potrà mai capire. Alzo gli occhi al soffitto e mi strappo un altro cazzo di sospiro dal petto. Previdente. No io non sono solo previdente, io conosco i miei cazzo di polli e forse ho capito lei prima degli altri, forse è per questo che fa quasi male. Non dovrei dire niente, e invece mi sento un cazzo di padre pure con lei, il che ironia della sorte è una bella sensazione di merda, sì. «Cerca di contenere le tue stronzate finché suoni con noi» stavolta lo ringhio da dietro le sue spalle, ma non sono sicuro di parlare solo per il gruppo. E poi lo so quanto sia una chiara indicazione quel "finché suoni con noi" perché non mi sono dimenticato che se la cosa diventerà insopportabile, lei sarà fuori dal gruppo.

    ''Mi manchi.''

    Ho avuto il tempo di appoggiare il mio fottuto chiodo all'appendiabiti ed è bastato per darle le spalle quando me l'ha detto. Il problema è che lo so. Era evidente da quello che mi ha cantato, in preda ad un evidente fottuto problema mentale. Io però non sono riuscito a non ascoltare ogni parola. «Lo so» Lei non mi è mancata, non a questo livello perché io so essere categorico e non-... e sono tutte stronzate perché finisce che invece un colpo mi prende fottutamente in pieno e mi costringe a reggermi con un po' più di forza al piolo in ferro su cui ho poggiato la mano. Cristo, Lilian, stai zitta.

    I wish I had summoned the strength
    to leave alone what I couldn't change

    Ah, se lasciare stare fosse una mia fottuta capacità, probabilmente adesso sarei la persona più felice del cazzo di Universo, lo sai? Lascia stare, Josh, non importa se tua sorella è maledetta. Lascia stare, Josh, non ti crucciare se potevi avere una figlia mai te l'ho detto tardi così non hai nemmeno potuto pensare che fosse una stronzata. Oh, e lascia stare Josh se Edie è rimasta incinta di quel fottuto bastardo del suo meraviglioso uomo del cazzo. Sì, perché impuntarsi, a te mica frega un cazzo delle persone? Dio, dovrebbe essere così, vorrei esserne capace ma poi, poi non sarei io nel fare questo. Nel portarmi velocemente davanti a Lilian e lasciarle uno sguardo è solo pieno di fottuta disapprovazione. Mi piego sulle ginocchia, voglio che mi guardi bene perché capisca cosa cazzo le sto per dire. Solo che non dico un cazzo, alla fine. Respiro male.
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    Edited by nocturnæ - 5/1/2021, 19:52
     
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    Da bambina nessuno mi aveva mai sgridata. Non al punto da farmi piangere. Durante l'adolescenza, poi, nessuno mi aveva mai messa con le spalle al muro al punto da farmi male, né ora, che sono forse adulta e per questo soggetta a ferite che sanno infliggersi solo a parole e non più con l'abuso di una violenza che va a ricercare nel silenzio la sua approvazione. I tempi sono cambiati eppure ciò di cui ancora ho bisogno, più di quanto potrei confermare, è proprio di essere messa con le spalle al muro. Di nuovo, di continuo, affinché possa un giorno entrarmi in testa la lista delle giuste regole da rispettare per un quieto vivere in questo mondo. Eppure nemmeno Josh ci riesce, non quando nelle sue parole gelide finisco per ricercare la crepa entro la quale intrufolarmi col fine di restarmene lì, buona e al caldo in un continuo crogiolarsi nella speranza che il passato possa azzerarsi e ricominciare tutto da capo.
    Da quel pomeriggio, ad esempio, quando stringendogli la mano sono riuscita a fargli i complimenti per ciò che era riuscito a metter su: Una band in cui avrei fatto carte false pur di riuscirci a suonare insieme. Mi era sembrato forse troppo bello essere riuscita a ritagliarmi uno spazio davvero mio quando Nicholas aveva provato, regalandomi quel basso, ad intrufolarsi anche in quello: Joshua ed i Morgana's sono stati e probabilmente sono tutt'ora, la mia isola felice. E se non propriamente un'isola un divano sopra il quale sedermi e far spazio a lui, affinché possa mettersi al mio fianco e li restare a scambiarci silenzi. Ma Josh non si siederà qui, non quando lo vedo bloccarsi e l'ultima cosa che mi viene in mente da fare è proprio bere l'aspirina che stringo ora tra le mani. Josh non si siederà ed io potrei persino rischiare di esser fuori dalla band. Ho un sobbalzo, che mi costringe a stringere la mano attorno al bicchiere quanto basta per lasciar scivolar appena qualche goccia lungo i suoi bordi.
    Mi risponde che lo sa ed io mi sento così stupida nell'essere stata così leggibile, al punto che quasi mi sembra di star qui nuda, ma senza provare le stesse sensazioni alle quali mi sono aggrappata saldamente quando, stringendomi a lui, mi sono fatta guidare lungo una danza che, ero certa, non mi avrebbe mai ferito sino a questo punto. ''Lo sai.'' Mi esce così flebile al punto da dubitare che possa essere davvero udibile anche a lui. Lo seguo con lo sguardo per così farmi un po' indietro e stringermi con forza contro la spalliera del divano.
    Non doveva saperlo. Non dovevo saperlo nemmeno io.
    ''Josh... ti prego.'' Non farmi sentire così in imbarazzo, ti prego. Non farmi ricordare quanto io sia in grado di disprezzarmi e così riscoprirmi inadeguata in scelte che faccio solo in fin di bene, anche se poi fanno male e di certo non risuonano alle orecchie altrui come atti pregni di coraggio. Non esiste alcun coraggio o almeno, non sono io ad averlo.
    Non ce la faccio a vedere questo volto contorcersi in questo modo, abbruttendosi e nascondendo un sorriso che in questi giorni posso solo ricordare. Anche se me lo merito. Lo so. Io merito tutto questo. Poso il bicchiere al mio lato solo per potermi così liberare la mano destra che avvicino in tua direzione. Strappamela via con forza, mordine ogni centimetro, ogni falange affinché io non possa sentirmi ancora libera di ricercare, attraverso i polpastrelli una pelle calda sulla quale posarmi in una carezza.
    Questa è solo una carezza, un movimento lento delle dita che vanno a cercare il tuo volto. Uno zigomo, una guancia e li vi ridisegnano con movimenti casuali lettere di un affetto che ormai nutro per te. Perché sono una sciocca e sapevo che sarei finita per provare questo quando, spogliandomi dinanzi a te, ho deciso di regalarti un corpo sfatto e pregno di cuciture.
    ''...scusa.'' Per averti mentito, per non essermi fidata di te, né di me, né di tutti gli altri che ho deluso col fine di guardarmi allo specchio è lì trovarvi una donna forte. Ma non sono forte, non quando mantenendo questa posizione, sento di dover nascondere il volto tra il braccio piegato e le ginocchia, affinché tu non possa vedermi piangere. Scusami per questo amore stupido, infantile, che aveva imparato a muovere i suoi primi passi proprio adesso, nella speranza di poter essere libero e stupidamente folle nella velocità in cui si era presentato. Scusami per questa carezza e per la mano, che come le lacrime, scivola giù, prima lungo la mascella, poi via da te.
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    Non sta bevendo l'aspirina. Indurisco il mio fottuto sguardo del cazzo che le pianto addosso. Non va bene se non fa come le dico, se non mi permette di controllare almeno questo. So che il modo in cui mi fa incazzare Lilian si può paragonare alla spina di una fottuta rosa, e si è spinta più in profondità di quanto pensassi per permettermi di estirparla in poco. Ma se pensa, in questo modo, di farmi cambiare idea sul fatto che abbia sbagliato totalmente, sta già commettendo un nuovo errore. E gliele vorrei dire queste cose mentre la guardo rovinare ogni briciolo di credibilità davanti a me comportandosi come un cucciolo bisognoso di attenzioni. Uno di cui non posso occuparmi. Non ho tempo, non ho voglia e non c'è spazio per lei ora. Forse ci sarebbe stato, sì.. forse avrei potuto considerare la nostra "cosa" da un altro punto di vista, se fosse continuata. Ma lei ha fatto un favore ad entrambi trovando il miglior modo di allontanarmi quando io avrei indugiato ancora su di lei per tutto il tempo necessario. C'è una grande differenza tra "Josh, ti prego" e "Ti prego, Josh". Ed a me non frega un cazzo di quanto stupida possa sentirsi, perché non intendo renderle morbido nessun atterraggio. Si è lanciata da un palazzo, è caduta, e adesso rimarrà lì perché non ho intenzione di fare il fottuto eroe della sua morale. No, Lilian, non funziona così. Una cosa però la devo dire, non pensavo avesse il coraggio di toccarmi di nuovo. E poi di chiedermi scusa. E giuro che riderei se non stessi così di merda adesso da sentire invece un punto che brucia in mezzo allo sterno. Scuoto la testa. Non l'ho perdonata, non sono in grado di farlo, non posso. Per questo mi muovo con lentezza, quasi non le sbatto le palpebre, mi limito a stringerle il polso con la mano così da allontanare la sua dal mio volto. Con l'altra riprendo il bicchiere e glielo metto davanti di nuovo. Insisto sull'unica cosa su cui riesco ad insistere, quella che non prevede che io parli sul serio di niente. «Ti ho detto di berlo.» Tanto perché capisca che non intendo ripercorrere nessun fottuto passo. Se solo il suo piangere così non mi provocasse nulla, sarei dannatamente felice. Invece riesco a sentirmi una testa di cazzo anche quando sto facendo la cosa più giusta. Però non voglio nemmeno scappare dalle cose che mi sembrano ingestibili. «Non piangere» perché non ti servirà. Lo tengo sospeso tra noi questo, che tanto mi si legge negli occhi anche se sono sicuro che invece a qualcosa potrebbe servire. Cristo, perché una fottuta cosa nella mia vita non può essere semplice? Perché non riesco a sbatterla fuori da casa mia senza chiedermi dove andrà dopo? Perché non sono riuscito a leggere il suo delirante messaggio e bloccarla? Perché diavolo non l'ho cacciata via dal gruppo quando anche solo vederla è come una passeggiata sui chiodi a piedi nudi? Mi rendo conto adesso che ho ancora il suo polso stretto in mano, ed è nemmeno una presa che sa farsi di marmo, è solo un modo che ho per fermarla, come se in fondo la volessi qui. Ma io che cazzo voglio alla fine non lo so. La mia vita ha deviato così tanto dai miei cazzo di pensieri che adesso ogni cosa è tutto e niente e non c'è un punto che possa dirsi fisso. Apro le dita, lascio la presa, sono stanco.
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    Edited by nocturnæ - 7/1/2021, 22:39
     
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    L'unico modo che ho per uscire indenne da questa situazione è bere, anche se non ciò che ho bevuto in questi ultimi due giorni. Bere nella speranza che la nausea mi passi, così come ho sperato che passassero la tristezza ed i sensi di colpa. Bere solo perché è lui a dirmelo e sembra dannatamente convinto di ciò che sta facendo. Allora lo assecondo perché sembra tenerci come se ciò fosse l'unica cosa che ci resta da condividere: Solo questo, una premura che forse non è davvero tale e che nel momento esatto in cui viene pronunziata si trasforma in un ordine. Un ordine e basta.
    Mi tiro su solo per questo allora, per lasciare che la medesima mano che lo ha accarezzato vada a stringersi forte attorno al bicchiere. Non tremo più, almeno, anche se sento il volto congestionato dal pianto. Devo sembrargli così stupida adesso, eppure questa è l'unica cosa della quale riesco a non preoccuparmi. Avvicino la bocca al bicchiere ed il primo sorso che mando giù quasi mi fa salire il vomito. Ma non mostro nulla, se non la determinazione nel finire velocemente il contenuto affinché, con esso, finisca in un'istante questa situazione. Come se mi bastasse battere forte le ciglia per ritrovarmi altrove, magari a casa mia e scoprire, così, di non essere mai uscita dalla mia stanza, non davvero almeno. Sorseggio il contenuto senza mai staccarmi da esso per prendere aria: Tanto non mi serve davvero, non in questi secondi che sanno somigliare ad un'eternità. Quest'aspirina non sa di niente: Scivola giù come fosse semplice acqua, una cura placebo che dovrebbe in qualche modo convincermi che le cose andranno meglio. Una cura che forse serve solo e soltanto a lui affinché possa credere ancora per un secondo di avere totale controllo sulla situazione. Ma ne dubito: Non possiamo davvero credere di poter qualcosa contro l'insensatezza dei sentimenti, almeno dei miei.
    L'ultimo sorso scivola giù con difficoltà: Non tanto perché sento di non farcela quando perché sento di non star più bene seduta su questo divano.
    ''Ora posso andare a casa...'' Glielo ricordo o comunque lo esorto a cacciarmi via, che tanto è inutile condividere la stessa aria quando dinanzi a noi tiriamo su barriere inespugnabili. Non ha senso restare qui in posizione d'attacco se poi nessuno dei due si decide a sferrare il colpo di grazia ed io, almeno, di difendermi non è ho più la voglia. Sto solo aspettando di vomitare sangue un'ultima volta.
    ''Ciao Josh, grazie per l'aspirina.'' Struscio una manica contro il volto prima di tirarmi su. Non dico queste parole per mostrarmi a lui passivo-aggressiva, quanto perché sento davvero il bisogno di ringraziarlo per questa premura alla quale l'ho costretto senza chiedergli nulla. Così come l'ho costretto ad accettare un vuoto che solo adesso sa corrodermi l'addome come se fosse l'ansia e la tristezza a contrarlo e null'altro. Nessun grumo di cellule trascinato via dall'assunzione di un farmaco che velocemente si premura di ripulire ogni cosa. Niente.
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    «No» Ma assolutamente no. Lilian non va da nessuna parte, così come non le faccio la fottuta grazia di non guardarla mentre si deprime rendendosi una matassa di vestiti e lacrime. La prima cosa che so fare è dirle di no: a cosa? A qualsiasi cosa abbia in mente. No, al venire a casa mia da ubriaca. No, al venire a casa mia. No, all'idea del cazzo che possa esserci qualcosa di più dopo che lei ha fatto quello che ha fatto senza dirmi niente. Sì, io le cose me le lego al dito, sono fatto così, c'è solo da abituarsi o togliersi dal cazzo. Facile, no? Ah, "no" anche al pensiero che adesso le cose andranno migliorando, perché da come la vedo possono solo prendere una piega di merda ed a quel punto a che pro impegnarsi? Non basta che beva e poi se ne vada, l'aspirina ha un tempo che serve perché faccia effetto e sono le fottute basi.. solo che mi preoccupa. Alla fine lo so che sono preoccupato perché non si sta curando di sé, in nessun modo. Ed io sono uno stronzo perché non ho pensato a lei. Alle ripercussioni di quello che ha fatto, al discorso della "madre" e tutte le puttanate che mi ha rifilato ma a cui probabilmente non crede nemmeno lei. Deve tornare in sesto per il concerto, questo mi dico quando nel vederla alzarsi lascio un sospiro che svuota i polmoni e la fermo per le spalle. Non sono gentile, pianto le dita affinché si renda conto che quando dico che non si muoverà, non lo farà. Non intendo ferirla, non le farò del male perché non sono una merda e non ho bisogno di essere Faust adesso, con lei o con chiunque finché Slater non mi chiamerà e le cose andranno avanti. «No» Lo ripeto, perché cazzo non so dire altro che questo e tenerla in modo che non sappia decidere di avere libero arbitrio in questa cosa, l'ha perso quando mi ha costretto a portarcela dentro a forza, e quindi può mettersela via. Solo che abbasso il tono nel farmi vicino, abbastanza che posso sciogliere una presa, ma solo una, e sistemarle i capelli che si sono incastrati lungo il profilo del volto. Non la guardo negli occhi non subito. «Non fare questa cosa, Lilian. Non cantarmi canzoni da ubriaca, non pensare a me in questi termini, non fa bene a nessuno dei due.» Continuo a tenerla ferma, tanto che la seconda presa scivola sui suoi fianchi e lo so cosa mi spinge, ed è che vorrei spogliarla subito, togliere tutte le stronzate che sta indossando e prenderla così, sul divano come la prima volta, oppure trascinarla in camera e fingere che come stronzata sarebbe recuperabile, che potrebbe andare bene. Ma qui parte della colpa è mia, non ho fatto attenzione e lei non ha retto, forse sono io che l'ho spezzata e non so ancora pensarlo come un effetto collaterale, non così presto. E' così che mi avvicino, e stringo i denti perché ogni fottuto centimetro che guadagno è spazio che le tolgo per dimenticarsi di me, che poi è l'unica cosa sensata che dovrebbe fare. Io non sono un fidanzato, non sono un padre e, cazzo, non sono quasi una persona sotto moltissimi aspetti. Io non sono disponibile per niente, e quasi per nessuno, quindi perché cazzo non la smetto di avvicinarmi. C'è qualcosa che devo dirle ed è come un flusso di coscienza che quasi riverso su di lei con un tono talmente basso da sentirmi un fottuto idiota del cazzo, come sempre in fondo. «Mi dispiace, avrei dovuto pensarci prima anche io» sono cose che sanno anche i ragazzini. La accarezzo lentamente, per tenermi occupato.
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    Non lo so cos'è che vuole da me. Non so qual è il motivo che lo spinge a cambiare repentinamente i suoi piani al punto da accorciare una distanza che egli stesso aveva frapposto tra noi - anche giustamente, aggiungerei -.
    Non so cos'è a passargli per la testa quando a bere sono stata io eppure adesso, tra un'emicrania e l'altra, riesco comunque a fare il conto di ciò che potrebbe succedere se, alla sua presa, io mi lasciassi andare come se fosse tutto ok.
    Ma tanto non sarà ok nulla, non per sempre, non quando ormai non ho più modo di nascondere a nessuno quale sono i sentimenti a muovere questa testa che viaggia e sulle sue congetture si aggrappa saldamente ramificandosi. Non ho più modi, a me conosciuti, con i quali celargli me stessa.
    ''No.'' A cosa, io mi chiedo. No alla merda che ci siamo a modo nostro lanciati contro. No a questo bisogno atavico di inginocchiarmi solo per chiedere scusa perché sì, questi sensi di colpa mi stanno mangiando viva. No a questo affetto che nutro e che lui, come già sospettavo, si premura di confutare, di allontanare via prima che possa in qualche modo far danno. Mi andrebbe anche bene in effetti: In fin dei conti mi ero premurata di rimanerne a debita distanza ed il fatto che alla fine non ci sia riuscita, beh, rende tutto ancor più stupido.
    ''La canzone non era...'' Per te. Ma tanto a chi la do a bere? Chi potrebbe mai credere a parole del genere quando gli sguardi evitano accuratamente di non incontrarsi mentre delle dita, le sue, infrangono velocemente delle regole non scritte invadendo degli spazi tanto privati?
    Eppure non gli direi mai di non toccarmi, non quando sa farlo diversamente da come mi ha stretta prima, evitando che fossi io, di rimando, ad accarezzargli delicatamente il profilo.
    ''Me la farò passare. Come passerà la sbornia.'' Perché mi accorgo di essere ancora sotto lo strato invitante e accogliente dell'alcol. Lo sento dal modo in cui vorrei essere stretta ancor di più, conscia che il dolore potrei non sentirlo affatto. Ma l'unica cosa che posso fare è chiudere gli occhi ad una carezza che sa così tanto di casa da non volermi più far andare via. Anche se dovrei e sì, so che è così che dovrebbero necessariamente andare le cose. Mi limito giusto a scuotere la testa perché no, non lo accuserei mai di qualcosa che è partito principalmente da me, da una mancanza di comunicazione e l'idea che, per una sola notte, le cose non sarebbero andate davvero così. ''A-avrei dovuto continuare a prendere la pillola.'' Tale affermazione sa bruciarmi in gola così come vi è sceso giù il gin. Perché è davvero per una sciocchezza che ci ritroviamo così e per l'inesperienza che mi ha portato a dubitare delle mie libertà di scelte. ''Avrei dovuto pensarci io...'' Vorrei tanto aggrapparmi a lui così forte da non lasciarlo mai, eppure mi forzo affinché il corpo non compia davvero un passo lontano da questo posto: Né verso la porta, né verso di lui, anche se sento ancora la sua mano bruciarmi contro la pelle in una carezza che resta mia, mia soltanto. ''...Mi sei troppo vicino perché io possa iniziare a farmela passare da ora, però.''
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    Anche se annebbiato dal Gin, mescolato da un senso di stanchezza che ne rallenta i movimenti, il profumo di Lilian è davanti a me. Ed è a questo che non resisto quando le mano che ho sul fianco preme appena sotto la superficie di un tessuto che non frena le mie intenzioni, e già non mi basta. Lentamente mi concentro sulla zip della giacca che abbasso anche solo per trovare la sua pelle che sfioro come se non avessi aspettato altro per giorni. Non lo so che cazzo mi passa per la testa, o forse lo so così bene che non intendo dirlo a voce alta, meno che meno a lei. E' sempre questa "ultima volta" che porto scritta in ogni incisione sotto pelle e che spinge a prendermi quello che voglio davvero senza pensare a quello che accadrà dopo perché in genere per me, "dopo" non c'è proprio niente. Esiste un adesso in cui lei ha fatto la mossa sbagliata ed io gliela sto facendo pagare, giusto per farle capire che istigarmi così è sbagliato, deleterio e non è qualcosa che vorrà fare di nuovo. Ed invece poi penso che questo suo fingere di non aver capito sia solo più eccitante di prima. Più di quando l'ho tirata a me con la scusa di chiederle di mostrarmi molto di più, e più di quando mi ha pregato di scioglierla tra le mie braccia. Adesso voglio solo che sia rovente come non lo è mai stata e questo perché deve capire dove sta sbagliando, deve allontanarsi da me. Non ci prova nemmeno, e quando inizia a dire che quella canzone non era per me, sorrido. Non è mai stata in grado di mentire, anche se mi ha nascosto molto bene una cosa tanto importante come la sua gravidanza, ma forse era solo perché non la stavo guardando per davvero. Le sfioro il collo con un respiro che è solo aria che scivola in un incavo che è nato solo per farsi vedere da me. Me la farò passare, mi dice. «Brava» è la mia sola risposta, soffiata così quando non la lascio andare, quando l'altra mano ancorata ad una carezza scende appena lungo il collo pallido e si ferma in una pressione che la avvicina di mezzo passo a me. Sono ancora molto, molto incazzato con lei, mi brucia come una fottuta fiamma perenne il modo in cui mi ha escluso da una decisione che prevedeva anche me e no, non le permetterò di farlo mai più, anche se questo vorrà dire tenere un occhio anche su di lei quando non ho tempo per pensare ad altre persone nella mia vita. Le sfioro le labbra, solo per sentire come sappia restare lì ancora, sempre. Premo ogni mia intenzione sulle dita con cui la stringo appena di più e vorrei essere in grado di farle male perché ha superato troppe barriere, troppe linee fottutamente rosse e troppi segnali allarmanti, ma non lo faccio, non fino a spezzarle le ossa. Punto gli occhi su di lei un solo momento, perché all'improvviso per un attimo non mi frega un cazzo di chi sia la colpa, anche se mi dirò sempre che non è solo sua. «Hai ragione» sono troppo vicino perché si dimentichi di me adesso, e questo non sa fermarmi dal compiere la distanza che manca a non averne più nessuna. Non so essere dolce in un bacio che le divora le labbra ed è solo una fottuta premessa di quello che voglio da lei adesso, perché la avvolgo con un braccio e me la tiro contro ogni tessuto. Voglio che mi preghi ancora.
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    Potrei allontanarmi: In fin dei conti non c'è davvero nulla a trattenermi qui se non un senso di appartenenza che finisce per accendersi ogniqualvolta Josh si sforza di annullare le distanze che frapponiamo tra di noi anche quando la volontà richiede tutt'altro.
    Potrei andarmene, se ciò non fosse tutto ciò che per giorni ho ricercato nella speranza che una presa come questa potesse in un modo solo suo cancellare ciò che già c'è stato e così indurci a ricominciare daccapo. Ricominciare, laddove non esistono cicatrici invisibili ad ergersi come montagne dinanzi ai nostri musi. Ricominciare, come se ci fosse stato davvero qualcosa e non solo uno scambiarsi forse troppo appassionato di pelle e sudore. Di strette, che si fanno salde senza che sia davvero qualcuno a costringerle ad affondare le unghie sotto la pelle.
    Dovrei andarmene, perché non esiste davvero futuro in questo, se non un'ennesima presa che finirà per farsi così leggera al punto da vedermi fuggire via. Seppur quando sarà troppo tardi.
    Vorrei urlare a Josh di prendere una decisione che sappia essere una e basta. Vorrei allontanarlo in una spinta: Premere con forza il palmo delle mani contro il suo petto per spingerlo via: Perché volerci in questo modo non ha senso, non quando a reclamare certi baci è solo la rabbia che sa mischiarsi perfettamente ad una delusione che volente o nolente ci portiamo addosso come una seconda pelle.
    Vorrei urlargli che basta così, che non c'è bisogno di farmi contenta quando a conti fatti sembriamo solo e soltanto il giocattolo dell'altro.
    Vorrei tante cose, eppure oggi non riesco a realizzarne nemmeno una, non quando al suo bacio ricambio senza probabilmente sforzarmi di farmi lontana, di tenerlo a bada. Mi era mancato così tanto da non riuscire a voler prendere aria quando, con avidità, mi faccio stringere per stringerlo a mia volta, in punte di piedi che si contraggono solo per darmi qualche centimetro in più ed in mani che tornano ad incastrarsi dove sanno star bene: Tra i suoi capelli.
    ''Non è giusto però.'' Glielo soffio nella bocca, un po' come se vi fosse una continuità dalle sue labbra capace di ricollegarsi saldamente alle mia. Non è giusto questo bisogno che mi prende alla gola e fa sì che la necessità di sentirlo mio venga in primo piano al cospetto di tutto il resto. Non è giusto un cazzo, così come non è giusta una fine, né la stupidissima promessa che ci facciamo di essere forti abbastanza da sapere quando tagliar corto. Consci poi di fallire. Le mani si infilano sotto la maglia, o almeno cercano uno spiraglio affinché ogni altro lembo di pelle entri nuovamente a contatto, come la prima volta. ''Vattene da qualcun altra, Josh. Io farò lo stesso.'' La mia è solo una menzogna, perché che lui lo abbia compreso o meno, so essere testa dura anche in questo e di certo non ho alcuna intenzione di rimpiazzare la sua presenza con quella di qualcun altro. Non lo sogno nemmeno. Eppure sono convinta che entrambi forse meritiamo di meglio, un po' come deve avermi fatto capire lui poco fa: Lui merita qualcuna che non gli menta mai, nemmeno in questo modo. Perché non è giusto e nessuno merita davvero questo. Io, d'altro canto, merito una stabilità che non so darmi nemmeno da sola. Ma sono un'ipocrita e questo ormai lo abbiamo compreso bene: Perché più mi convinco di doverlo allontanare, più mi riscopro legata a lui al punto da poterne condividere la stessa saliva, lo stesso sangue.
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    Io, questo "non è giusto" so solo strapparglielo dalle labbra con un respiro che è già incastrato nel suo. Semplicemente so che non mi allontanerà. Non ci proverà nemmeno perché non lo sto facendo io, che invece spingo più avanti ogni intenzione perché niente le faccia pensare che sarà diverso. Rispondo solo così, come se trascinarla per qualche passo non bastasse mai a dirmi che dovrei fermarmi. E dovrei, ma cazzo non frega niente di non prendermi questo adesso. Questo che non ha un nome, e non ha un'identità o niente che sappia dirmi che non è giusto. Lo è quando trattengo le mani su un corpo che mi è fottutamente mancato per settimane. Lilian, non c'è mai un cazzo di giusto e prima lo imparerai e meglio sarà. Vorrei dirglielo, ma so che invece glielo farò solo capire perché con le parole non sono mai stato così bravo, e lei non saprebbe accettarle. So anche che le sue dite oggi non intendo fermarle, ma le aiuto, me la porto più vicina che ancora non le lascio spazio per alcun respiro. Non sono mai gentile, ma adesso lo sono ancora meno nel premere in profondità e bloccarla su di me solo con una mano quando l'altra già la aiuta a sfilarmi il maglione. Do un tempo al gesto, al fiato corto che mi prendo, e poi è ancora solo lei che vedo. «Smettila..» Non me ne frega un cazzo di farmi nessun'altra domani, nemmeno lei, io non ho spazio per questo in me, non quando ho la fottuta fine del mondo a cui pensare e poi c'è Edie ed il casino che stanno facendo i Crain e... mi fermo. E' un blocco, dura quanto un ringhio che le premo sul collo per nascondere l'esitazione che mi ha fatto mancare un battito di lucidità. Le trascino un bacio che lentamente, esasperato, evolve in un morso che le lascio vicino alla clavicola, ho già una mano che sposta il tessuto. Tu non vai da nessuna parte, ed è una fottuta verità con cui la lego di più, come se anche lei potesse scivolarmi dalle dita come ogni cazzo di cosa nella mia vita. Per l'ultima volta e per l'ultima sera, voglio dirmi che non sarà così e che ancora saprò mettere in pausa tutto. La sollevo, ho bisogno di sentire che si aggrappa a me, così potrò allungarmi oltre il divano, e fermarle la schiena sullo stipite della camera.
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