N
on aveva alcun dubbio che non l’avrebbe seguito. La morte è una poesia che in molti riescono a sentire propria, ma il dolore altrui generato per mano di un creatore che vi si erge al di sopra come una divinità, invece, è incomprensibile se non per il suo stesso Dio. Non capisce e non capirà mai. Samuel spera come un bambino, nella condivisione della comprensione, ma è qualcosa a cui invero si è già arreso quando l’unico mondo in cui si sentiva a suo agio, era quello all’interno della sua mente; allora la speranza diventa una malattia fittizia che serve a sorreggere la base di una maschera di apparenza che venga accettata più facilmente. C’è stato un momento in cui ha accettato, senza tanti dolori, che avrebbe dovuto nascondere e creare qualcosa di più piacevole per gli altri. Non è mai stato un peso, soltanto una necessità, ma nonostante questo si è abituato a recitarla in ogni momento. Sempre la stessa farsa, perpetuata nel tempo, anno dopo anno, rifiuto dopo rifiuto, fallimento dopo fallimento. Rovine che non sono mai tali perché un fallimento, un rifiuto, è soltanto lo sbaglio negli occhi di qualcun altro. Dėlïshk parla con parole insensate: le strade portano sempre da qualche parte, alla loro fine per l’appunto; la sua è filosofia fanatica di una religione che idolatra idee vecchie come il creato. Lui è proprio la sabbia di cui tanto parla e nel cui nome giura, antica e depositata inutilmente come cenere, sul futuro che nasconde. Negli occhi di chi non è capace di osservare più in la della propria cerchia di pensieri inculcati da maestri delusi da sé stessi, che non hanno altro che le loro parole ormai decadute, morte. Lo osserva muoversi, osserva le sue mani, anch’esse perdute in una vecchiaia specchio della sua mente. La vecchiaia non è sempre sinonimo di saggezza, quanto più di arretratezza. Si chiede come gli sia potuto accadere e pensa a proprietà uniche di luoghi in cui l’estinzione è già arrivata, fa il suo corso, invecchia il mondo e la terra, invecchia gli insediamenti umani e invecchia gli umani stessi riducendoli ad un mucchio di inutilità. È appropriato per Dėlïshk. Probabilmente ha viaggiato tanto quanto lui nella metà dei suoi anni. Potrebbe strappargli i ricordi, oltre ad Al Sura, perché i ricordi sono identità e crede che sia questo il concetto più spaventoso per uno schiavo che si è riscattato, o almeno, così pensa di aver fatto. Un marchio come unico ricordo e tutto il resto cancellato, il suo voto di testimone per questo e altri mondi. Soffoca una risata stringendo le labbra e assomigliandole una sull’altra, gli concede del silenzioso rispetto fasullo, per il suo lutto. Non trae nessuna gioia, come nessuna sofferenza o pentimento, ma non correggerà il ragazzo su questo punto. Dopotutto, i sentimenti e il come, perché, in che modo provarli, sono solo convenzioni sociali. Si teletrasporta dopo qualche istante passato ad osservarlo.