Pumpkins scream in the dead of night

Caleb\Isaac - Pittsburgh (Sharp House) - 13 Ottobre

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    Queste quattro mura decadenti. Lo pensa in un primo appoggiare del piede oltre l'ingresso. Non gli è quasi mancata questa casa, la "dimora degli Sharp" o come la si vuole chiamare. Tappezzeria, addobbi inquietanti e qualunque cosa la renda perfetta per questa stagione. Bello eh, ma no. Tuttavia ci si è spinto per necessità. Il tour ci è passato davanti, quasi, e beh non sa ammettere di sentire un po' l'assenza di Juno farsi pressante. Forse perché potrebbe spuntare fuori da un momento all'altro con una piazzata delle sue su come siano sbagliati i valori di Caleb, o forse perché sono gemelli. Un legame innegabile. Purtroppo. Sospira, anche se si, le vuole bene seppur sia matta. Completamente corrosa da ideali che lui non appoggia. Troppo stretti. Ragion per cui vorrebbe passare inosservato. Spinge le dita sulle superfici dei mobili. E' via da due mesi, ed è stato particolarmente difficile nutrirsi come deve lui. Tanto che sente lo stomaco ribollire, la febbre farsi strada tra le tempie insieme alle emicranie che ha nascosto per settimane. Semplicemente tutto esplode non appena si chiude il pesante portone. «Juno?» sobbalza un attimo nel chiamarla, ha bisogno di assicurarsi che non sia in casa, o non così vicina da sentirlo. In fondo è un approfittatore, lo sa bene, ed è qui per tornare in forma e ripartire. Morrigan che si è sempre curato di loro, non ha mai fatto mancare l'appoggio che serviva a tenerli in piedi, sì, ma niente di più. Non è stato un padre quando il loro è morto. Né ci si è sentito Caleb nei confronti di Juno, che ha saputo solo vedersi allontanare, impazzita lentamente.
    Appurato che non c'è, si fa largo tra la cucina ed il salone, roteando lo zaino con le poche cose, stracciate, che si è portato in tour. Alcune deve averle rubate a Joshua, altre a chi si offriva gentilmente di fargli compagnia la notte. Con un tonfo si lascia cadere a sua volta, scomposto, su una poltrona in pelle, quella più vicino alla libreria. Con la punta degli anfibi sfiora perfino un paio di volumi, con quel sorriso sbagliato ed incivile che si apre in volto. Se mi vedesse Morrigan. Non è poi una richiesta, anzi, eppure si compiace di aver partorito un pensiero simile. Ancora le gambe si allacciano una sull'altra, sopra il bracciolo, e la schiena che punta sull'altro, la piega in basso. Così può vedere il mondo capovolgersi e sembrare improvvisamente migliore. Meno sensato, quindi più facile per inserirvisi. Il sangue gli andrà velocemente al cervello, che già alcune vene pulsano lungo le tempie, ma non gli interessa, potrebbe chiudere gli occhi e rimanere così a prosciugarsi ore, con quel raggio di sole tiepido che gli scalda il ventre sotto la maglia a rete. Casa non è così male, in fondo, oggi.
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    Edited by nocturnæ - 18/10/2021, 15:28
     
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    qualche mese che non torno qui a Pittsburgh. L'ultima volta è stato per assicurarmi che Tyron avesse fatto quanto gli avevo chiesto, e se fosse tornato illeso. Mi sono occupato di coprirlo per qualche settimana, giusto per essere certi.
    Tyron ha fatto la cosa giusta, esattamente come gliel'avevo chiesta. Non è stato un lavoro pulito, affatto, poteva essere fatto decisamente con molta più accortezza e risparmiare delle sofferenze ad un innocente, ma lo ha fatto. L'ho detto, ho dovuto uccidere in vita mia, e forse la maggior parte delle volte non ho dovuto macchiarmi le mani per farlo. Restano comunque morti di cui mi faccio carico personalmente. Io le ho patrocinate, ed io ne sono responsabile. Se c'è qualcosa di cui mi dispiaccio è soltanto aver causato del dolore ad un bambino. Un bambino innocente, destinato a diventare e crescere esattamente come i suoi genitori, ma pur sempre un bambino ancora senza responsabilità dei gesti della sua famiglia. Ma non ho lasciato niente al caso, non ho lasciato niente veramente neanche al giudizio di Tyron, niente che, conoscendolo, non avessi già preventivato. Sapevo perfettamente che sarebbe potuta finire così. Non ho niente contro i Cacciatori, il loro stile di vita, il loro voto. Non sono contro nessuna fede che preveda lo sterminio di creature, come non sono neanche favorevole a chi chiede preservata la propria diversità, anche la più letale. Non mi interesso di queste cose: sono secoli che queste fazioni si fanno la guerra con mille volti, mille nomi, senza riuscire mai veramente a rompere questo equilibrio di forze. L'ho visto molte volte, sotto diverse fattezze. Non mi importa che fossero Cacciatori in quanto tali. Mi interessava solamente sapere dove si fosse posato il loro sguardo, e non volevo lo facesse troppo nella mia stessa direzione. Sono azioni che danno risultati visibili sulla lunga durata, ed è così che più mi piace agire, a meno che qualcosa non richieda un intervento più incisivo. E sono tre secoli che gioco sulla lunga durata, tempi dilazionati che finalmente sembrano dare alcuni frutti, qualcosa inizia a muoversi. Che sia stato giusto o davvero necessario arrivare a tanto per qualcosa di all'apparenza non così determinante? È stato necessario, e questo mi basta. Non voglio pensare nemmeno che la loro vita valga meno della mia o di quella di Eliza. Non ha senso per me fare questo tipo di ragionamento. Ad un certo punto cominci a dare importanza unicamente a ciò che per te è importante, e il tuo giudizio col tempo non può fare a meno di diventare parziale.
    Direi una bugia inutile se dicessi a me stesso che non li sto utilizzando. Non li ho presi sotto la mia ala, non come avrei dovuto e vorrebbe la "dolcezza" del termine stesso. Non l'ho fatto neanche in memoria di mio fratello, dal cui sangue così lontanamente discendono, e a volte mi basta solo guardali per averne la prova. No, non si tratta del fatto di avere di fronte agli occhi dei ragazzini mentalmente labili. Dovrei averne compassione, ce l'ho in un certo senso. Non sono pronto a mandarli al macero. Provo pietà per loro, per ciò che hanno fatto credere loro di essere almeno. Se c'è qualcuno da incolpare quelli sono i loro genitori, nonni e bisnonni, che hanno fatto loro credere di essere ancora degli Sharp. Non c'è traccia di alcuna maledizione in loro, ma la usano naturalmente come giustificazione per le loro scempiaggini, esattamente come il loro parenti hanno fatto e hanno insegnato loro a fare. Sono nati così distorti che per loro appare naturale. Ci provano a stare al mondo, esattamente come fa Caleb, e ci riescono, ma non perché comprendano davvero quale sia la loro dipendenza e se ne vergognino, quanto piuttosto hanno capito come il mondo è fatto, cosa accetta e cosa no, e semplicemente si comportano come camaleonti ma senza mettersi in discussione. Non ci arrivano a quel pensiero, si fermano molto prima per qualche sorta di deviazione mentale che ha impostato da sempre il loro pensiero. Credo che l'unico ad averne veramente avvertito il dissidio sia soltanto Tyron, e lo ha semplicemente risolto dandogli un senso irreversibile, sentendosi così a posto con sé stesso.
    In effetti bisognerebbe averne solamente compassione.
    «Bentornato, Caleb»
    Lo so che non gli apparirò come una presenza così gradita, ma i convenevoli vengono sempre ad un punto presto o tardi.
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    La cosa bella di essere sempre l'ultima ruota del carro, quello da cui ci si aspetta una delusione, è che Caleb è abituato agli sguardi di disapprovazione che gli percorrono la schiena. Si arrampicano lungo le vertebre e quasi gli danno quel senso di sicurezza che lo fa sentire al proprio posto. A suo agio con l'essere sempre meno di quanto serve. Mai abbastanza utile come Tyron, mai a poter fare cose che siano di valore per una famiglia in cui, di fatti, non crede. Poi ho anche un quantitativo di sfiga che non si spiega. Respira, ancora capovolto, ed un po' il sangue gli dà davvero alle testa, tanto che - non è come farsi una canna di quelle buone - un po' smette di ragionare a dovere. Non che sia mai stato una cima. Caleb è intelligente, ma non si applica, non alle cose per cui poi avrebbe un buon riscontro. Ha attacchi di panico che tiene per sé quando tutto sembra ben più grande di quanto sperato. Vuole il mondo, ma se poi lo ottenesse non saprebbe che farsene. Vuole essere riconosciuto, ma senza avere addosso il peso di aspettative e responsabilità. Un servizio facile per un piatto indigesto. Che quando vede le scarpe del suo "tutore", per un attimo non ci fa caso, non riconnette i neuroni in tempo.
    E quando lo fa, beh. «Oh cazzo Morrigan!» si mangia le parole nel soffocare un respiro che gli blocca i polmoni, e finisce per tossire sonoramente in salone. Rimettersi in piedi gli provoca un giramento di testa che lo lascia frastornato qualche istante, il tempo di tenere gli occhi chiusi e calmare il reflusso d'aria prima che sia troppo tardi e debba ingoiare pure quello. «Ehm, sì, scusa.. ciao» che bisogna sempre scusarsi con Morrigan, per una ragione o per l'altra. Anche solo per non essere mai degno. Seppur Caleb sia abituato, come dice sempre, è anche vero che un po' riesce a vergognarsi di quel che è. E' un modo che hanno le guance di arrossarsi velocemente, per poi maledirsi e tornare ad essere più sicuro dell'identità che ha assunto negli anni. «Grazie» aggiunge, mellifluo senza però ricomporsi del tutto, ha solo alzato la testa, che ora appoggia alla poltrona, ed ha ritirato i piedi perché non arrivassero più a lasciar fango sulla libreria pregiata. «Non rimango a lungo» tiene a specificare. Sì, Morrigan, mi tolgo presto dal cazzo ok?
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    ''Puddin!'' La sua è una voce cristallina, di quelle che riempiono le case e non tanto perché queste sono metaforicamente vuote, quando perché i suoi decibel sono decisamente alti. Non ha mai capito perché suo fratello non avesse mai suonato per o con lei, ma su questo è comunque riuscita a passarci più volte sopra quando, agitando una mano in sua direzione, lo ha lasciato andare per il mondo con la speranza che, almeno fosse lì per divertirsi.
    La si sente scendere le scale con velocità. Non correndo laddove l'è stato insegnato di non correre onde evitare di inciampare e rovinarsi le calze, ma accelerando comunque un passo che risuona nei tacchetti delle scarpe tirate a lucido. Perché è in tiro anche oggi, se così può esser descritto un dolcevita tenuto ben stretto nella gonna a balze nere. E profuma del medesimo profumo aranciato che usa anche Caleb: Quella è probabilmente una delle poche cose che sa ricordarle quanto in realtà il suo gemello non sia poi così distante da lei. Nemmeno quando è verso l'Europa, nemmeno quando fa quelle cose che a lei non piacciono. Perché ne fa molte ultimamente ed il modo in cui è stato ritratto nei giornali per giovani non è che renda Juno particolarmente orgogliosa di lui. Vorrebbe non fosse messo in luce per il suo modo di vestire o per il fatto che probabilmente è uno dei musicisti più giovani e disadattati del 2021, eppure questo è ciò che è Caleb e lei non può che sforzarsi di accettarlo quando, poggiandosi contro l'uscio della porta, guarda prima Morrigan e poi riserva a lui un sorriso.
    ''Sei tornato presto.'' Ed è sinceramente felice di vederlo, anche se non si sono sentiti affatto in queste settimane e questo deve averla resa un po' più restia nei suoi confronti. Che lui non è come Tyron: Non mostra il suo stesso tipo di devozione ed è distante quanto basta per indurla a credere che forse c'è davvero qualcosa di sbagliato in loro. Qualcosa che però non ha mai intenzione di approfondire più del dovuto. Si stacca dal muro solo per corrergli letteralmente dietro la schiena e stringerlo in un abbraccio che resta sospeso tra un respiro e l'altro. Non sa dargli un bacio sulla guancia che sappia di ''bentornato'', già quel gesto è tanto. Eppure resta così, per un istante che profuma di normalità e quindi, per loro, di finzione.
    ''Ci hai portato qualche pensierino da fuori? Un post di Joshua, ad esempio.'' Dondola nella stretta ''Abbiamo qualcosa della caccia di due giorni fa nel frigo, se hai fame.'' Poi lo sguardo le ricade su quello di Morrigan e allora si tira su, sorridendo anche a lui ma con espressione più modesta. ''Resti a cena con noi, vero?'' E non lo chiede a Caleb, la quale risposta da già per scontata, bensì al suo tutore.
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    aresti i tuoi fratelli contenti.» sono le ultime parole lasciate guardandolo darsi quel minimo di compostezza di fronte a me, come fa un ragazzino di fronte ad un adulto. Non ho bisogno di imporgli chissà che cosa, neanche guidato da una volontà silenziosa, ma so di avere un ascendente. So di non essere ignorato, e perché penso ne abbiano bisogno. Penso non siano dei ragazzini viziati che del compiacimento o delusione degli altri non sanno che farsene. Penso gli sia mancato quel qualcosa che li ha resi così inconsapevolmente dipendenti dall'approvazione di qualcun altro. Potranno dire il contrario, ma è molto spesso questo quello che trapela dal rispetto o dal timore verso una figura maggiore.
    So di poterli per questo gestire come meglio dovrei o potrei credere, come ho fatto con Tyron. Credo ci siano cose che Tyron non abbia ancora raccontato ai suoi fratelli, e non sento spetti ancora a me di farlo. È una cosa rimasta tra me e lui, e so di aver fatto leva proprio su quel cardine, su quella sua diversità ricercata rispetto ai fratelli che un po' ho finito per alienarsi il loro affetto. Come se si fossero traditi a vicenda: lui cedendo al richiamo della bestialità e loro non riuscendo a comprenderlo come in fondo lui vorrebbe. Basta poco per sondare questi sentimenti: basta smuovere la terra, togliere la polvere con un palmo e scoprire che al di sotto la superficie sulla quale si è deposta è quella di uno specchio. Si assomigliano nello stringere i denti, hanno un filo comune che intesse trame diverse, ma che li riconducono tutti e tre sotto la stessa natura, quella imposta proprio da ciò che adesso manca e fa chinare loro il capo anche di fronte a me.
    Sono Venus e Oliver Sharp, che li hanno lasciati troppo presto, quando ancora non erano usciti dal nido e, nell'esserci rimasti per troppo tempo senza aver saputo imparare a volare, adesso hanno le ali fragili. Vivono di equilibri facilmente infrangibili, di linee di demarcazioni troppo sottili dove da una parte e dall'altra ci stanno solo le soluzioni più estreme.
    Nel vedere saltellare veloce Juno giù per le scale par di vederle quelle ali grottescamente mal piegate.
    «Volentieri.» le rispondo quasi sussurrando, come se rimanesse tra me e lei, sciogliendo l'espressione in un sorriso morbido, chinando il capo su una spalla, rivolto verso di lei. Un ringraziamento, una concessione fatta dolcemente ad una bambina.
    «Come è andato il tour?» chiedo ancora a Caleb, perché resta ancora palpabile la sua improvvisa tensione.
    Non ho mai preteso di insegnar loro niente, se non come gestirsi da soli un'esistenza nella quotidianità, come adattarla a tutte le loro specifiche peculiarità. Ma se dovessi eleggere un grande insegnamento di vita sopra gli altri, scelto unicamente per loro, sarebbe quello di tenersi stretta la famiglia.
    «Avete qualcos'altro in dispensa? Ci ha pensato Tyron?» aggiungo spostando subito l'attenzione.
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    Belli i colpi bassi, vero Caleb? Dice che farebbe felice i suoi fratelli, Morrigan, tanto che per un secondo il ragazzino non fa che guardare l'ex tutore e chiedersi se invece non sarà l'ennesimo momento per allungare piano quelle redini che lui, Caleb, è convinto di aver staccato alla base. Certo, e nel dirlo si stringe ancora a Juno, che resta la sua àncora. Anche se le hanno lavato il cervello e più resta e meno sarà facile, un giorno, tirarla via.
    No, poi non lo farebbe davvero. Se Juno è felice, lui è felice per lei. Triste si, ma felice. Ha senso no? Forse. Ci si è stretto veramente tanto, a lei, in un sorriso pieno e perfino commosso, che si può dire tutto di Caleb ma non che non ci tenga da morire. E' la sua sorellina, di due minuti più giovane e .. beh, il resto è solo nel cuore dei gemelli che batte sotto i vestiti. Affossa il viso vicino alla guancia, la tira su un pochino fino a sollevarla da terra per un giro completo sulla sua schiena, prima di farla scendere ma comunque stretta. "Pumpkin.." le sorride, piano. "Certo che sono tornato presto, ti pare? Mica so starti distante io" un po' a sottolineare che non solo gli è mancata, ma nemmeno lei si è forzata tanto di andare a trovarlo. Sul regalo invece si trattiene qualche istante, giusto a darle l'idea di non averne nessuno, quando invece stringe tra le labbra un "dopo" che la rassicuri.
    Per quanto si conoscano da anni, con Morrigan, Caleb è sempre in soggezione ed un po' a disagio nel comunicare davvero con Juno quando c'è lui ad osservare e, boh, monitorare?
    "Ehm.. si.. si certo che resto, pensavo di stare qui un paio di giorni in verità.." A ricredersi, che non sa quanto Tyron sarebbe realmente felice, già. E' sempre più ingessato quando parla con il padrone di casa, con gli occhi che si abbassano quasi remissivi, la gola che incastra nodi che poi scendono a fatica.
    Gli fa un po' ribrezzo il modo in cui quei due si parlano, come se in fondo fosse così pronto a portargliela via e.. e lei è la sua Juno, mica può perderla del tutto. Ha un brivido, allora, che tiene ben nascosto dietro le iridi di Venus.
    "Molto bene" sorride, piano, infastidito da un modo che non dovrebbe vederlo interessarsi.. che lui le sue cose vuole tenerle per sé, non ama che se ne parli ma.. ma non può farci niente. E' solo ansia, Caleb, fattela passare. "Se continua così.. beh c'è la possibilità che.. che ci sia qualche data in primavera. In Europa" ecco l'ha detto e non doveva, non voleva, gli è drenato con precisione chirurgica, tanto che guarda Morrigan per leggergli in volto una qualsiasi reazione. "Ty.. Ty è qui?" lo chiede a Juno.
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