[ luglio 1943 ]
Scrivo su questo diario affinché i ricordi di quei giorni non siano per me solo fonte di insonnia. Non lo faccio per raccontare a qualcun altro della vita che abbiamo vissuto a Buchenwald. Anzi, forse è persino pericoloso tener scritti tanto dettagliati di quegli anni, eppure se non fossi qui a metter nero su bianco mesi, date come queste, probabilmente faticherei persino a ricordare ciò che sono. Sono passati solo settantanove anni, all'epoca ne avevo a malapena quarantadue ed ero lì, strappato da casa mia, da ben un anno.
Un anno sembra poco se messo a paragone con quelli che riusciamo a vivere al giorno d'oggi. Ma lì, quando la speranza ha iniziato sin da subito a farsi meno per tutti noi, un anno ci sembrò esattamente uguale ad un'intera vita.
E la nostra ci stava passando davanti agli occhi così velocemente, seppur nel susseguirsi dei suoi giorni tanto uguali, da impossibilitarci nel trattenerla più a lungo che potevamo. Non eravamo in grado, non agli occhi dei nazisti, di batterci per qualcosa di tanto meraviglioso.
Ma fu proprio in quell'anno che conobbi Patrick. E Patrick non fu nulla di buono.
La Forschungsgemeinschaft Deutsches Ahnenerbe e. V. fu instituita lo stesso mese, ma ben otto anni prima. Fu il 1 luglio del 1935 quando Heinrich Himmler, Herman Wirth e Walter Darré decisero di fondare la Società di ricerca per l'eredità ancestrale. E proprio allo scoccare del suo ottavo anniversario, Patrick si fece vivo nei nostri dormitori. Era un giovane
talentuoso come tanti altri ariani vicini alle attività di ricerca per i tedeschi. Io ero solo uno scultore di gesso, ma fu proprio l'amore che nutrivamo nei confronti dell'arte ad avvicinarci.
Io, inizialmente, non ebbi il coraggio di ritenermi più fortunato di altri. Per mesi Patrick venne a trovarmi di notte solo per passarmi del pane, avanzi che per il suo
addestramento non riusciva a mangiare e che di conseguenza, rifilava a noi con il pericolo di esser scoperto.
Io ero solo un uomo adulto dipendente dalla carità del suo aguzzino. Lui era solo un ragazzino al servizio di un paese, di un folle.
E tutti noi sapevamo, seppur per vie indirette, che in Germania i piani del Führer erano destinati a qualcosa di tanto grande ed incomprensibile. Nessuno di noi si rese davvero conto, se non con l'avanzare delle voci e degli anni, di ciò che stava succedendo negli altri campi di lavoro.
Così, mentre Josef Mengele faceva proprio il nome di
Angelo della morte - a causa dei suoi studi svolti nel campo di concentramento di Auschwitz - Patrick ed altri suoi commilitoni, si addestravano a Buchenwald in quello che si credeva essere l'esercito più potente di Hitler e della Germania Nazista.
[ Gennaio 1944 ]
Non ci era dato sapere, per cause di forza maggiore, chi fossero quegli
ospiti che, insieme a noi, soggiornarono nel medesimo campo per tutti quei mesi. D'altro canto la vita per noi non era facile. Non c'era più una vita, né un Dio al quale stringerci disperatamente. Molti di noi persero la fede, altri,
semplicemente, morirono. Ed io divenni un traditore. Per i miei fratelli, per Patrick, tanto che quando giunse il mio turno, di morire, nessuno ebbe la forza di dire qualcosa. Ricordo che ci guardammo, noi altri, quando stringendomi per un polso, Patrick mi trascinò fuori dalla catapecchia in cui speravamo di riuscire ad andarcene nel sonno...se riuscivamo a dormire.
Ricordo che gli dissi di aver fame e che per la prima volta, dopo tutti quei mesi passati a stringerci attorno ad un tozzo di pane raffermo, lui non mi guardò. Alla fine il concetto fu semplice, arrivò a tutti, persino a me, nonostante lo compresi tardi. Doveva uccidermi perché qualcuno aveva parlato, ma era stato clemente: Gli aveva lasciato una possibilità.
Allora come io avevo fame, lui aveva sete. E compresi troppo tardi di cosa si riferisse quando, braccandomi contro il selciato ricoperto dalla neve, mi strappò via la carne dal collo.
Quando muoio il mio corpo smette di funzionare e si arresta. All'improvviso o gradualmente il mio respiro si arresta e il mio cuore smette di battere. La morte clinica. E poco dopo, direi cinque minuti dopo, le cellule del cervello muoiono. Ma nel frattempo, in questi minuti, forse il mio cervello produce una certa quantità di DMT, la sostanza psichedelica prodotta quando sogniamo.
Quindi io sogno.
Sogno più di quanto abbia fatto prima, perché viene prodotta l'ultima scarica di DMT tutta insieme ed i miei neuroni sono molto attivi e vedo lo spettacolo pirotecnico dei miei ricordi e dell'immaginazione... e così faccio un trip. Letteralmente un trip, perché la mia mente ripercorre i miei ricordi a lungo e medio termine ed i sogni si mischiano ai ricordi. E cala il sipario. Il sogno che pone fine a tutti i sogni. Un ultimo grande sogno mentre la mia mente svuota i silos missilistici e poi...non esisto. L'attività cerebrale cessa e non rimane più niente di me. Niente dolore. Niente ricordi, nessuna consapevolezza di chi ero o...del male che devo aver fatto a qualcuno.
cit. Midnight Mass
[ Febbraio 1944 ]
Scappai che gli Americani ancora non erano arrivati. Scappai che a morire furono dei miei compagni: non i nazisti che ci avevano braccati come bestie e costretti alla vergogna per tutti quegli anni. Scappai che la sete fu paura e quella paura incolmabile. Così grande e spaventosa che quando arrivai, in frenesia, ai confini di Erfurt, mi ritrovai a contemplare la morte con rabbia e disperazione. Ma fui trovato da Patrick. Ed io lo odiai, d'altronde non fu facile capire che la sua, seppur disperata, seppur terribile, fu proprio l'ultima possibilità che aveva di
salvarne almeno uno. Nessuno avrebbe immaginato che l'attesa ci avrebbe risparmiati. Nessuno, non quando la Germania ancora credeva di poterla vincere la
sua guerra.
Allora vivemmo in isolamento per un intero anno. Lui mi ha insegnato a cacciare senza dar nell'occhio e a gestire quella stessa sete che,
quella sera, lo sopraffò. Ad oggi ancora fatico a guardare a quei giorni con la gratitudine di chi si rende conto di essere un sopravvissuto. All'inizio non lo ero, nemmeno quando gli Americani ed i Russi liberarono i campi di sterminio. Non lo divenni nemmeno negli anni a seguire. Fui una bestia, al pari dei miei carcerieri e questo, Patrick, probabilmente non lo comprese.
[ Aprile 1960 - Marzo 2022 ]
Per quindici anni viaggiammo in lungo ed in largo alla ricerca di luoghi in cui stanziarci, ma comunque non restare più del dovuto. E mentre i generali nazisti facevano altrettanto, scampando il giudizio di chi, a Norimberga, li considerò criminali di guerra, noi vivemmo la nostra eternità nel rispetto di quelle vite che, un tempo, fummo costretti a strappar via. Io ripresi a scolpire e per anni, Patrick, non volli più vederlo.
Ad oggi giustificherei questa distanza con la convinzione che non esiste, non per noi almeno, che di umanità tratteniamo solo il sangue delle nostre vittime, quel bisogno di cingerci tanto da alleviare l'ineluttabilità della mortalità. Non abbiamo il bisogno di amare, di dar vita ad altra vita. Allora restiamo viaggiatori sempre al limite della stanchezza di un mondo che muta e che nel farlo ci perde tra la sua gente. Ho vissuto da solo per così tanto tempo che immaginarmi al suo fianco, ad oggi, mi sembra quasi strano. Magari è solo impossibile. Magari qualcuno lo ha trovato ed ucciso prima che potesse farlo con me.
E questi anni sono tanti da farsi perdonare. Suppongo che sia proprio questo eterno vagare la punizione per la nostra condizione. Un rosario che non si consuma nello sfregare delle sue pietre. Una strada che si intreccia all'infinito tanto da farci perdere il punto di partenza.
Ma io non ho intenzione di dimenticare. Per questo scrivo su queste pagine le date che hanno significato la mia ascesa all'inferno. E ricordo di te, Patrick, che sei stato padre e salvatore al pari del Cristo. E non ti rinnego, non ti dimentico. Anzi, io ti perdono, ti assolvo per i miei fantasmi. Ti assolvo da ogni peccato. Perché peccando hai adempito al disegno del Creato. Perché peccando, hai fatto del bene.