Bloody Valentine

Caleb & Grace | Place de Grève, 31 gennaio 2022

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    Tremi per un freddo che per giorni hai smesso di percepire. Come se il corpo soggetto alla pressione dell'aria non fosse il tuo o qualcosa di cui potertene occupare apertamente. Tremi perché la terra, contro il fianco, non è comoda. Perché sei nudo, forse e questo ti spinge a curvare il corpo in avanti. Pieghi la schiena per coprirti un istante. Nascondi i genitali agli altri, gli occhi non li apri nemmeno un secondo. Hai le ossa che fanno male, perché nel permetterti di tornare la tigre ha comunque voluto lasciare segno del proprio passaggio. Tanto che ti senti indolenzito, un po' come se fossi stato rannicchiato all'interno di una scatola. In punizione, in prigione, nella speranza che potesse arrivar qualcuno a tirar su il coperchio della gabbia. Ti senti come se avessi corso per miglia e miglia, ma sempre nello stesso posto, sempre nella stessa direzione. Ed i respiri che adesso si regolarizzano un po' ti costringono i polmoni. Tossisci appena, ma come impulso dei muscoli. Come se dovessi davvero liberare i polmoni da qualcosa. Come se avessi una palla di pelo bloccata in gola. E ti fai piccolo sì, quasi minuscolo. Perché nel dormiveglia del tuo risveglio, che ti costringe con la mente vigile dopo giorni passati a galleggiare nella nebbia, senti comunque la sua presenza.
    Che è solo una convinzione che finisce per incastrarsi nel tuo cervello. Un tarlo che non si libera della certezza e che ti fa accorciare distanze in un istante con la serenità di chi sa di star facendo la cosa giusta. Ti è mancato tanto, anche se dubiti, adesso, che la tigre sapesse provare sentimenti del genere. Ti manca dal momento in cui ti rendi conto di averlo lasciato di nuovo da solo. Di non esserti controllato abbastanza da restargli accanto. Allora la sua vicinanza la pretendi ora. Lo fai avvicinandoti a quella che sembra essere l'unica fonte di calore presente nelle vicinanze. Senti persino le fiamme del suo respiro. Lo riconosci, sai dall'odore che ha che è il suo. Perché i suoi battiti son diversi da quelli degli altri. Perché i suoi respiri, appunto, lo sono. Lo riconosceresti a distanza. Forse saprebbe farlo persino la tigre.
    E ti stupisce, per un certo verso, ritrovarlo proprio lì con te. Non ti chiedi come abbia fatto ad entrarci e a restare senza che nessuno si sia opposto tanto da legarlo fuori i cancelli del circo. Non sono domande che senti di volerti fare, non quando l'unica cosa che riesci a fare è cercare l'incastro perfetto per la tua testa. Contro il suo petto, contro le sue braccia. Che le apra per stringerti. Che ti accolga totalmente.
    Che ti stringa, di nuovo, perché hai freddo, freddissimo, ma sei troppo stanco per dirglielo.

    Io ho bisogno che qualcuno abbia bisogno di me, ecco cosa. Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca.━━━━━━

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    Non ha dormito, non ha mangiato. Non si è alzato. E quando la tigre si è addormentata, allungando la zampona verso di lui, Caleb le si è fatto vicino, così da farsi scaldare dal corpo del felino, così da sentirsi protetto. Illogico, irrazionale e stupido. Ha pianto per ore, in silenzio.
    Però non ha comunque chiuso gli occhi, li ha tenuto aperti al punto che, adesso, bruciano. Adesso ha un velo che gli rende difficile cogliere i movimenti. Ma prima.. oh, prima di questa tigre si è studiato ogni centimetro. Dai punti in cui le striature nere si incastrano ha capito che sono una diversa dall'altra. Magari all'inizio sembrano fatte con lo stampino, ma non è così. Più lontane sono dal collo e più si fanno larghe, forse - come dicono i documentari - perché si possano mimetizzare meglio. E lui a questo ha dovuto pensare per non tremare per ore. Quasi un giorno, forse un giorno e mezzo.
    Non si è fatto portare via neanche per sbaglio, neanche quando ci hanno provato più intensamente, perché lui non se ne può andare dalla sua tigre, non quando sa che deve tornare. Deve. Deve. Deve... ti prego, ti prego cazzo.
    Si è anche studiato la cicatrice, odiandosi per non essere in grado di curarla, non bene come sa fare Froy. Perché il suo sangue non si tocca e quello degli altri non lo può manipolare. Perché è un cucciolo di erba cattiva lui, non uno di quelli tutti splendidi rivestiti d'oro. Caleb ha un mantello d'ombra ma non è Batman neanche lontanamente.
    Piccolo, allora, sospira. Lo fa fissando il vuoto oltre Grace, perché così almeno non piange. Almeno non fa nulla. Neanche vive, resta in una bolla che non gli fa vedere il cambiamento. Non gli fa capire subito che il muso viene sostituito da un visino pallido e stravolto, sul quale la cicatrice svetta ancora.
    Ci mette un po' a realizzare che il corpo ricoperto di peluria arancione è tornato quello che tanto ama, sotto forma di cubetto di ghiaccio.
    Allora è veloce, una scossa, è un respiro che prende all'improvviso, quando Grace lo abbraccia, e lui per rimando è già lì a stringerselo, come se non avessi mille chiodi in gola. Neanche si preoccupa di come gli brucino gli occhi, che tornano presenti ma già super umidi. "Ehi, E-elsa.." perché è gelido.
    Si piega su di lui, lo sente quanto adesso abbia la pelle ghiacciata e ci mette un secondo a sfilarsi mezza giacchetta e mettergliela sulle spalle. Ha la voce spezzata ma non gli importa, non se il suo Grace è di nuovo qui. Non lo sta sognando, vero? Voleva chiamarlo Scar, c'era l'imbarazzo della scelta, ma invece non dice proprio niente altro. Piega la testa finché le labbra non arrivano a scaldargli il collo, in un bozzolo di tepore che avrà comunque durata breve. Ma almeno un po' è suo.. "Scusami" pigola, lento. Ma Grace non sa di cosa perdonarlo ancora, Caleb non l'ha detto... e neanche ci riesce subito: è impegnato ad abbracciarlo con una mano sola, l'altra è al petto, costretta.

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    Edited by nocturnæ - 25/2/2022, 19:45
     
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    Potresti evocare Loki, lasciarlo svettare sulle vostre teste. Caldo, dolce come un camino acceso in sottofondo. Vi sembrerebbe di essere stretti su di una poltrona comoda in quel caso. E lui si muoverebbe attorno a voi, non delicato come una fiammella flebile a danzare sul palmo della mano, ma saltellando, agitato, felice, forse perché contento di saperti di nuovo tra gli uomini, laddove potete sentirvi e continuare a giocare insieme.
    Potresti chiamarlo, basterebbe solo quello, ma sono poche le parole che riesci ad emettere adesso e nessuna di queste sa davvero fare la cosa più utile e sensata. Sei uno stupido, Grace Moore. Un ragazzino viziato che se ora ha bisogno di sentire il corpo del proprio fidanzato contro di sé allora va a cercare quello. Perché ti dispiace, ma questo lo sanno tutti, di aver deluso per l'ennesima volta le sue aspettative. Per averlo costretto a qualcosa che non capisce ma che, proprio per te, si sforza di interiorizzare. E no che non sei abituato ad un amore del genere. Che certe cose ti sembrano così belle da non crederci mai a pieno. Mai a fondo, mai come dovresti.
    Quindi sì, potresti chiamare Loki, ma il nome che ora ti si incastra tra le labbra è quello di ''Cal... '' Che ti fa rilassare i muscoli sotto il calore della sua giacca, che ti fa respirare per un istante il suo odore. L'aria che vi circonda.
    ''Puzzi un po'.'' Ti esce così, stupidamente, ingenuo. Come se non ci riuscissi mai ad esser serio, a soddisfare quella tristezza che ti prende alla gola, ma che, come sempre, cerchi di scacciar via con un po' di ironia, anche se forzata. Che non puoi permetterti di essere triste, di rivelarti capace di appesantire la sua. Non puoi permetterti di affossarlo così, non tu che ti sei promesso di salvarlo. Di renderlo felice sino alla fine.
    ''Scusami tu.'' E lo dici sgusciandogli contro che nemmeno ti rendi conto della mano costretta al petto. Lo risali, appena, nudo se non fosse per la sua giacca. Lo fai per lasciargli un bacio che non deve essere dei migliori, ma che sentivi di dovergli dare già dalla prima boccata d'aria.


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    C'era un libro, di cui non ricorda il nome, che definiva quelli come lui: "cuccioli d'uomo". E niente ricorda Caleb più di questo, quando si è stretto alla tigre pregandola di non portarsi via Grace, e adesso che il suo corpo umano e gelido gli si preme contro, sembra che bruci direttamente nell'anima.
    Caleb non dorme da trentacinque ore. Non mangia da trentasette ore. Non beve solo da due ore, ma perché per grazia divina ed affetto immotivato, qualcuno gli ha allungato una bottiglietta di acqua per assicurarsi che almeno non si disidratasse. Giorno, notte, non è cambiato niente. Si accorge solo che è buio, e per questo Grace deve avere freddo. Allora certo che lo stringe, non mica fare altro. Non ha letteralmente potuto fare nulla di diverso dal giocare con la tigre, rincorrersi nei pochi metri che avevano. Trattenere le lacrime nel cacciar via le idee trattenute fino a quel momento, spingersi ad atterrarla su un fianco per grattare la pancia. Affezionarsi a qualcosa che non potrà odiare, perché questo cucciolo non ne ha la forza, non può. Anche la tigre è parte di Grace, e lui ha già deciso che non la lascerà quando non tornerà più umano. A costo di tenerselo in un metro di caravan, di portarselo in giro ovunque, o di viverci in gabbia. Sempre. E forse sempre con la speranza di assistere al ritorno all'umanità.
    Ma tutto questo ha reso Caleb anche un cucciolo d'uomo, stanco, stremato. Che non lo sente il diritto di dirgli che vorrebbe dormire, che è bellissimo che sia tornato ma le alternative sono due: o dorme, o piange fino a dormire per lo sfinimento. Non è sicuro che piangere sia giusto, sia onesto. Io volevo solo...
    Allora si fa coraggio, trattiene gli occhi lucidi dietro le palpebre, trattiene il respiro in un soffio che vibra insieme alle labbra. Trattiene ogni cosa per sfociare in una smorfia leggera che dovrebbe sembrare una risata, che si lui puzza, sono anche trentasette ore che non si lava, ma non sa riderne davvero.
    No, perché lo spavento che ha provato è incastrato tra le costole, pressa il petto come una morsa dentata.
    "No.." un soffio, uno che stavolta nell'aprire le labbra, tradisce quella tristezza che gli prende come un mare calmo di dolore. "... non è colpa tua, forse non dovevo portarti li.. magari ti ha.." Magari le cose belle non si possono fare, Caleb, no? No.. Placa il fremito in quel bacio, da cui prende tutto, anche l'agonia di non sapere se sia giusto ora, se vada bene, che non ha la forza di niente altro, che le braccia hanno i muscoli che vibrano di stanchezza.
    Caleb che sa piangere in un bacio, che sa stringere gli occhi e separarsi di due millimetri per rivelare un singhiozzo che gli rompe il fiato, e spacca qualcosa al centro del petto. Forse una costola, forse una certezza. "Andiamo.. a-.. andiamo... a.. a casa.." lo prega ad occhi chiusi, perché sono respiri con cui si trattiene, perché l'ha già mostrato a tutti come sia debole, un disperato che non sa che fare e forse sono stanchi tutti di vederlo così. "Mi sei... io.. non.." stringe i denti, che stare lì adesso è dolore, è il ricordo di come sperava finisse la serata: si Grace nudo nel suo letto, ma non ci dovevano arrivare in quel modo.

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    Non vorresti vederlo così. Percepirlo triste, impaurito. Soprattutto non quando per una volta senti di essere tu quello ad aver bisogno di una mano. Una sola, qualcosa che ti sappia sostenere, rimetterti in piedi, ma giusto per quei due minuti di cui hai bisogno per tirar su anche lui. Che vi date una mano a vicenda voi: Che se si rialza uno allora deve farlo a prescindere anche l'altro. Non esiste che Caleb resti nella terra, che sia solo senza di te. Allora ti scosti di nuovo, anche se lui il bacio lo ricambia con stanchezza. Ti sposti di lato solo per far pressione con le ginocchia e tirarti così su. Una mano la stringi attorno al suo polso. Fai risalire le dita solo per incastrarle nelle sue. Non ti va di lasciarlo andare, nemmeno per lavarsi o dormire.
    ''N-no.'' Non deve iniziare ad incolparsi, non ora, non in questo modo. E tu lo sai bene come reagendo così non potreste andare da nessuna parte: Perché le trasformazioni peggioreranno. I tempi di attesa si dilateranno sino a scomparire del tutto. E non perché tornerai, no. Perché semplicemente rimarrai una tigre e Caleb non potrà farci nulla.
    ''Sì, va bene, sarebbe meglio.'' Il nodo che senti in gola non si scioglie, non si nasconde, non ci prova nemmeno. Che deglutire non serve a nulla se non a ricordarti che ti senti soffocare e che se non fosse che puoi respirare anche dal naso, forse soffocheresti davvero.
    Lo tiri su, piano, sfruttando il suo peso per tirar su persino te stesso e lo fai stringendoti di nuovo a lui, che non vuoi che ti vedono, anche se ormai tutti, qui, conoscono le tue nudità. Non vuoi che Froy si renda conto di quanto tu stia male o che Ozzy possa intercettare Caleb e prendersi cura di lui meglio di quanto possa farlo tu. Ti senti così geloso, adesso, così arrabbiato con te stessa da non riuscire nemmeno a guardarlo Caleb.
    ''Mi sei mancato anche tu...'' Balbetti, anche se non ne sei certo. D'altro canto non hai pensato a nulla durante la trasformazione. Credi sempre sia come dormire. Dormire tra suoni ambientali bellissimi. Dormire nei migliore dei modi. ''Che....che cosa hai fatto al braccio?'' Poi è istintivo, ci arrivi portando la mano all'occhio che ancora brucia. ''Cazzo...'' Trattieni un singhiozzo. ''Piccolo...piccolo.'' Non volevi anche fargli male. Non fisicamente almeno. Ma sei una tigre ingestibile e forse la cosa migliore che potrebbe capitare al biondino sarebbe proprio quella di perderti. ''Scus...'' Ma a cosa serve? A nulla ormai. Batti la mano contro la cella, aspetti che arrivi qualcuno ad aprirvi.

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    Si odia, Caleb. Ora che non ha la forza in nessun senso di accogliere Grace come meriterebbe. Che quello che si è immaginato per tante ore era stato un bacio come quelli dei film stupidì. Romantici fino alla nausea. Immaginava che lo avrebbe aspettato con un sorriso, forte come chi sa dire “bentornato a casa” e giura, lui giura che ci ha provato.
    Ma poi le ore passavano. E Grace non tornava, e al tigre voleva giocare, voleva leccargli il muso fino ad arrossarlo, solo per tenerselo li. E gli occhi continuavano a riempirsi di lacrime, tanto che lo sa ne ha avuto il ricambio solo perché Froy gli portava da bere, e poi anche qualcuno altro.
    Se volesse ricordare quelle ore, sentirebbe che qualcuno aveva anche provato a parlargli, a dirgli che in qualche modo c’era solo da aspettare e allora che senso aveva farlo in gabbia? Visto che era lì, non poteva fare un giro per il circo e conoscere l’ambiente?
    Ma se uno è testardo, c’è poco da fare, innamorato tanto che la paura di perdere Grace non appena avesse voltato le spalle lo stava opprimendo. Doveva esserci per quel “Ciao” che voleva sussurrargli. Magari anche come quei seduttori da telenovelas, giusto per farlo ridere, per alleggerire qualcosa che non sa mai essere leggero.
    Ha sbagliato a credersi più coraggioso, più invincibile. Più come è apparso Froy ai suoi occhi, anche se li ha chiusi quando ha abbattuto la frusta sulla tigre.
    E non ce l’ha fatta. Non ha calcolato la stanchezza, ha solo preso le sue ossa e le ha fatte tirare su dall’altro. Da chi ha bisogno del suo amore e della sua maledetta comprensione.
    Invece, a peso morto, Caleb circonda le spalle di Grace con il braccio sano. “No… no è colpa mia.” Non vuole che si scusi per quella ferita, si rimarginerà. E si, si che è colpa di Caleb. “Tu.. me l’avevi detto che non dovevo restare solo con lei” non lo sa se Grace ricorda. Fin dove si spingano gli attimi di coscienza prima del vuoto. Se rammenta le lucciole che gli hanno circondato la testa, o gli occhi del suo ragazzo brillare per essere riuscito in una sorpresa e poi aver fallito tutto il resto.
    Voleva solo che qualcosa andasse bene, che lo rendesse felice. E si, gli tremano ancora le labbra quando avvicina al fronte a Grace. Chiude gli occhi, respira in frammenti mentre attendono che la gabbia si apra, per andare ovunque non ci siano altri occhi, perché lui no regge più, e per questo si sente uno schifo. “Ma io.. volevo lasciarti da solo.. ho sbagliato io..” un sibilo colpevole, ammette in quelle sue lacrime che cadono pesanti al suolo, macchiano il fieno di cui sono ricoperti i suoi vestiti. Stringe - o ci prova - la giacca sul corpo di Grace, così da coprirlo.
    “Pensavo di.. di essere più bravo” stringe le palpebre, si impone di chiudere i dotti così, perché adesso solcherebbero solo incisioni già passate. Binari già scritti, Grace non merita la sua tristezza quando gli ha promesso che sarebbe stato forte. Diavolo, molto più forte di così! Le ginocchia tremano. E' bello che sei tornato forse trema proprio tutto. Anche la voce. Anche il pavimento. Anche lo sterno. Anche l’anima.
    Strappagliela via, Grace; tienila tu perché lui non è ancora grande abbastanza.

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    Non gli rispondi. Affatto, a nessuna delle cose che ti dice. Non lo fai. Nemmeno in un sospiro, nemmeno in uno sguardo che sa imperlarsi agli angoli degli occhi. Neanche le batti più le ciglia: Per lubrificare l'occhio ti limiti a fissare una parte e poi l'altra del terreno. Avanti ed indietro. Prima tocchi i piedi, poi la sabbia, poi di nuovo i piedi, poi di nuovo la sabbia. Ma resti in silenzio, quello religiosissimo che si interrompe solo in un mugugno quando è Leroy ad aprir la gabbia per voi perché Froy non c'è, Froy ha da fare le sue cose, e tu lascia capire agli altri che è meglio che non facciano domande. Non oggi almeno, non quando c'è piccolo da far dormire, a cui badare affinché non si annichilisca del tutto. Affinché la paura non prenda il vostro posto. Prima il tuo, poi il suo. Che ve lo si legge negli occhi stanchi com'è che state. Anche se i tuoi sono più aperti dei suoi, anche se nei tuoi ancora si può sperare di veder qualcosa.
    E non sai cos'è che intende lui per casa: Non credi che la sua roulotte sia qui. Allora segui una strada che già conosci. Lo trascini grattando coi piedi nudi contro la terra. Che non è bello camminare scalzi, ma tanto ormai non senti niente. Non hai sonno, ma sei stanco. Lo sei nel trascinarti Caleb contro come fosse uno zaino per la scuola. Il tuo tesoro più prezioso.
    ''Già.'' Ti sblocchi solo dopo. Solo quando siete di nuovo da soli perché nessuno vi ha seguiti verso la tenda ed in più questa è vuota. Froy non è nemmeno qui, non ti ha aspettato questa volta. Allora sorridi a Caleb, lo fai portandolo vicino al letto per iniziare a spogliarlo delicatamente dei vestiti che porta. Piano piano. Che non vuoi fargli male al braccio. Non vuoi infierire su quella che già sa essere una tua opera astratta: Il motivo per il quale dovresti iniziare a vivere da solo. Ad abituartici. Così non fai male a nessuno. Così al massimo fai male solo a te stesso.
    ''Ci ritorniamo a vedere le farfalle...'' Quelle, sì, perché delle lucciole non ricordi nulla. Di quando hai iniziato a star male hai probabilmente rimosso tutto. Oltre lo splendore raccapricciante delle morpho blu non c'è stato niente. Niente che non fosse poi il buio che ti sei portato dietro per giorni.
    ''A...'' Ridi per il nervoso, triste, rammaricato per cose che non dovrebbero nemmeno far così male. ''A finire un appuntamento.'' E lo dici con la convinzione che quasi non vi conviene più programmarne. Perché quelli sul momento, un po' come il capodanno, sono i migliori. Sono quelli dai quali non ci si aspetta nulla, ma che a modo loro, poi, finiscono per darvi tutto.
    ''Vieni... abbassa la testa e la schiena che te la sfilo...'' Ti riferisci alla maglietta che tieni ben salda tra le mani. Così stretta che le nocche quasi impallidiscono. ''Hai messo su altri centimetri mentre ero via?'' Sorridi, cerchi di farlo sorridere a sua volta, che il tuo cucciolo deve star bene. Deve cavarsela sempre. ''Ti...ti ha medicato bene, Froy?'' Ma non ce la fai a staccar lo sguardo da quel braccio. Non ce la fai a staccarvi del tutto l'attenzione. A far finta che sia davvero tutto passato e che magari no, non c'è alcun bisogno di ripetergli di nuovo le stesse cose. Martellarlo, come se non fosse già stanco di star sveglio ad aspettare te.

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    Ed allora è il silenzio che lo inchioda, che gli scava dentro una cava di sensi di colpa. Non c'è scusante, non c'è frusta, non c'è neanche quella parola di Froy, quel "non è colpa di nessuno" che lo rincuori. Nulla.
    Spegne i fiati quando gli aprono, non guarda in volto nessuno, non ne ha la forza. Non vuole vederli spiarli tra le tende, chiedersi che ci faccia lui ancora lì, o come mai Grace non l'abbia già mandato via. Lo meriterebbe.
    Non vuole che sappiano quanto è stato un codardo che ha voluto tenersi la tigre per sé, che non ha avuto voglia di parlare con nessuno. Come fosse un'attrazione lui stesso, è rimasto in gabbia e contro ogni senso non gli è presa mezza spinta a socializzare. Nada. Non ha neanche risposto ai messaggi di Juno, zero assoluto, sparito per tutto il tempo in cui è scomparso Grace. Ed il telefono si è scaricato, non ha ascoltato musica, neanche quei toni bassi di Joshua che lo calmavano di tanto in tanto. Ha sentito solo il respiro della tigre, come unica canzone, un sottofondo che non ha permesso a nessuno di tirargli via.
    Mortificato, fa quello che gli dice. Si siede, si piega, si lascia spogliare in mezzo a brividi di stanchezza, ed uno sguardo che non sa alzare da terra, e poi incastra sulle bende rosate. Non le ha cambiate, ha solo trovato la forza di fermare il sangue, perché smettesse di prosciugarlo. In una cosa, almeno, è stato bravo.
    Si lui vorrebbe tornare a vedere le farfalle, ma sa che non succederà, che non vorrà rivivere con terrore il momento in cui poi dopo tutto si ripiega, come un loop che lo vede sbagliare sempre.
    ''Hai messo su altri centimetri mentre ero via?''
    Dovrebbe ridere, oh se gli piacerebbe, e dirgli che li ha messi in punti dove non batte il sole, magari farlo anche con quel piglio che finisce sempre per vederli rotolare nudi a terra, ridendo come stupidi ragazzini. Perché sono, stupidi ragazzini.
    E invece Caleb ha il magone di nuovo, ha un modo che lo fa indietreggiare tra le lenzuola, scivolare via da Grace, ma non lontano, no perché lo vuole stretto a sé. Gli piace, allora, infilarsi sotto le coperte e ripiegarsi, pianissimo, su se stesso. "Non.. non è stato lui..." a medicarlo, pigola piano, incassando il petto, imponendogli di stare fermo. "Il mio sangue non si può toccare... è corrotto" ancora, un soffio lento, uno che prende Grace per i polsi e lo invita, dolce e stanco, a sdraiarsi davanti a lui per l'ennesimo: "non vai via, vero?"
    "Resti finché non.. mi addormento?" quelle labbra che si muovono piano, quella supplica negli occhi. Resti?

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    ᗷOYᔕ ᗪO ᑕ(ᕼ)ᖇY(ᔕ)
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    Non lo puoi nascondere quel brivido, il medesimo, a distanza di settimane, che sa prenderti nel sentire ciò che sta per pronunciare. Che la sensazione è la stessa, ti sembra di esser davanti a qualcosa di grosso. Qualcosa che anche se non vorresti sentire sicuramente sarà lì, pronto ad attraversarti prepotente. Senza grazia, perché le verità non se ne rivestono. Non sono ballerine alla Scala, non sono modelle ad una sfilata al Met Gala.
    Allora non esistono dolcezze in grado di mitigarla. Non ci riesce il tuo metterlo a letto come fosse un bambino, né quel riporre, stanco, i suoi abiti logori su di una sedia.
    Respiri piano in risposta. Lo fai mandando giù l'aria come a voler riempire i polmoni quanto più ti è possibile. Lo fai perché poi trattenere il respiro ti richiede una certa concentrazione. Una coordinazione tra muscoli e sentimenti che non riesci a concederti adesso.
    Vorresti chiedergli tante cose adesso, ma non ci riesci. Pensi che rivolgerti a Froy, non appena lui si sarà addormentato, forse è la cosa migliore che puoi fare. Anche se forse hai capito a cosa si riferisce, ma dopo aver saputo del cannibalismo, beh, magari cose del genere non fanno poi così tanto effetto. Se non fosse che così si innalza il rischio di perderlo per sempre, forse non ti sentiresti nemmeno preoccupato.
    ''Certo che aspetto con te.'' Lo dici dolcemente, strofinando i piedi contro il tappeto giusto per toglier via un po' di terra. Lo fai conoscio che le lenzuola domani andranno cambiate e forse date alle fiamme.
    Lo fai sapendo di voler star stretto nonostante ora ti vien facile fare molta più attenzione al suo braccio. Che brutta ferita devi avergli fatto per averlo fatto sanguinare così. Sei un fidanzato terribile.
    Ti infili così al caldo, che è così bello da farti sospirare di piacere. Chiudi gli occhi per un istante mentre con la mano ti fermi lungo una sua guancia. ''Allora...sì.'' Deglutisci ''Buonanotte, piccolino.''

    Io ho bisogno che qualcuno abbia bisogno di me, ecco cosa. Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca.━━━━━━

    Gray Moore
    maledictus ━ circense━ prostituta ━ ftm ━ kentucky accent
     
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    𝔅𝔩𝔬𝔬𝔡 𝔄𝔫𝔱𝔥𝔢𝔪
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    Dormi, Caleb. Chiudi gli occhi. Fidati. Questo risuona nella testa come una litania. L’ululato del vento contro le fronde dei salici.
    Ma lui di chiudere gli occhi ha paura: come quando ne aveva a casa, a Pittsburgh. Quando Venus doveva prenderlo in braccio anche se le sue gambe erano già tanto lunghe da ripiegarsi malamente tra le mani.
    Succedeva quasi per tutto, anche per un litigio stupido con Juno o perché Tyron non voleva ascoltarlo e si pavoneggiava di cose di cui Caleb aveva paura. Si sentiva un fallimento, e quando poi cercava conferme in Oliver, questi lo guardava dall'alto al basso, in una forma di "arrangiati e cresci!" che al piccolino di casa ha sempre fatto più male che bene. Allora cercava le gonne di mamma, stringeva finché lei non aveva pietà ed allora gli placava il pianto dondolandoselo in veranda. Era un momento tutto loro, uno che crescendo ha sviluppato un vuoto dentro il biondino. Un vuoto tra le iridi nocciola, che pur cercandola, ora una madre non la trovano più. Si evolveva, la loro cosa, e quando non è stato più così piccolo da stare sulle ginocchia, allora Venus lo abbracciava, dolcemente, gli appoggiava la fronte in petto, gli accarezzava il viso e ripeteva sempre le stesse parole. A lui, legato all'acqua indissolubilmente. "La tempesta è passata, amore mio"
    Non era mai vero fino in fondo, ma a lui importava il tono, la voce, quell'ampolla che tiene a ciondolare in alcova perché lì sa che nessuno gliela porterà via.
    Adesso però mamma non c'è, e lui non sa sentire il coraggio di far fronte a tutto quando la stanchezza gli chiude le palpebre. La tempesta è passata. Ripete, prendendo fiato.
    Deve solo chiudere gli occhi, un'operazione resa semplice dal peso abnorme delle palpebre sonnolenti. Ma chi gli assicura che se stacca le iridi in fiamme da Grace, lui non torni tigre quando le ritrova? Chi gli placa quel battito ansioso in petto? Chi gli dice che non ha sbagliato tutto un'altra volta? Nessuno.
    Quindi compie un atto di coraggio, respira, si concentra sulla voce di Grace, di nuovo umana, di nuovo calda anche se dal corpo gelato. Si appoggia piano con la fronte, espira e lascia che sia l'automatismo a chiudergli gli occhi quando la carezza sfiora la guancia. La sola cosa che fa, è però stringere la mano del suo ragazzo, la prende e la piega trai cuscini, per assicurarsi che resti, che non menta mai.

    If you tell me you're leaving, I'll make it easy
    It'll be okay. If we can't stop the bleeding
    We don't have to fix it, we don't have to stay. I will love you either way. There's nothing more painful━━━━━━━━━━━━━━

    caleb sharp
    mago nero ━ bassista ━ cannibale ━ nomade di strada ━ maledetto
     
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