Slowly walkin' down the hall

Edric & Yaacov | Chiesa itinerante di San Giovanni, Underground - 16 Marzo

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    Cammino da un po', da fottute ore e adesso sono stanco. Stanco di correre, grato perché almeno so dove si trova Alice, so che posso raggiungerla. Ma ho fame, ho sete, ho tutto quello che non dovrei avere, incastrato ben bene negli occhi.
    Ho questo senso di vuoto che mi pesa addosso. Ma ce la faccio. Certo, devo, non è che io proprio abbia alternative. devo raddrizzare la schiena, muovermi nel silenzio confuso di questi tunnel, del disagio che si sposta accanto a me.
    Il mio Bronx era inarrivabile. C'erano notti in cui neanche noi potevamo metterci piede, perché i corrotti erano troppi, e ci si muoveva in squadroni. Io, poi, giravo lì per trovare chi ancora voleva liberarsene, per incontrare gli occhi sinceri di persone troppo piegate dalla corruzione, già pronte a farsela strappare di dosso.
    Perché non sono un Legionario, non andavo ad uccidere, solo a salvare. Cazzo il colmo è che adesso sento di avere io il bisogno di essere salvato. Accolto per un secondo in un posto che mi è familiare solo a metà.
    Da noi questa chiesa non c'era. Non in questo punto, almeno.
    E si, ci arrivo che ancora all'interno sento il vociare dei cori. Inni sussurrati con una fede a volte cieca, a volte consapevole. La mia non ha mai vacillato, neanche quando Chrys era al suo limite, quando in fondo ho creduto in me più di lui. Quando lo imploravo in ginocchio di ritenermi valido abbastanza da aiutarlo. Che, scioccamente, pensavo tenesse alla mia vita.
    Già, la mia fede, che stringo tra le dita in quegli anelli sotto il tessuto. E quando le porte si aprono, mi faccio da parte, mi premo contro il muro in mattoni e gesso, ad occhi chiusi, quasi non esistessi.
    Il flusso di gente non mi interessa, non devono vedermi, non qui. Non sono al punto in cui non credo più nei miei principi. Solo non capisco perché cazzo devo essere messo alla prova così tanto. Perché, Dio della Luce, mi hai portato qui?
    Stavo recuperando la mia sicurezza, stavo tornando Edric, non Coniglietto, non Eddy, nulla che non fosse la parte migliore di me.
    Ma poi l'ho rivisto. E lo rivedrò e so che farà meno male con il tempo, ma adesso. Adesso è un dolore che non posso esprimere diversamente. Non quando ciondolo piano lungo la navata, ci sono ancora poche candele accese. Non mi accorgo del prete, non amo chi intercede per me, non so neanche se qui mi sentirà il mio Dio, o si sentiranno solo i miei passi stanchi. Neanche arrivo a metà, che una mano mi serve per reggermi ad un banchetto.
    "D-date asilo qui.. è vero?" Non lo sto chiedendo a nessuno, o forse alla figura scura che mi gira intorno, anche se ho gli occhi chiusi. Anche se mi sento perso più di prima, come se varcare questa soglia mi avesse tolto il resto delle energie. Li alzo piano, gli occhi, su di lui.

    Ci sono cose che non so e che non sai spiegarmi. Ma dici che il silenzio a volte limita gli sbagli. Ma tanto tu lo sai che tenendomi piu stretto. Puoi riuscire a sentire le cose che non ti ho mai detto ━━━━━

    edric çevik
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    Se tu avessi la possibilità di raccontare una storia, una qualsiasi, dinanzi ad una platea di persone pronte ad ascoltare solo te, cosa racconteresti? E perché proprio questa? Ti sei mai chiesto, in tutta la tua vita, che non è mai breve, né così lunga, cos'è che ha mosso per tutto questo tempo la tua voce? Qual è la volontà che ti si incastra nei denti, che muove i tuoi passi e che sa rivelarsi così forte da trainarti nel futuro? Perché vivi? Di cosa di nutri mentre lo fai? Respira.
    Ho riscoperto la parola quando tutto il resto mi era sembrato perso, distante. E l'ho fatto dopo aver ceduto il piacere tra le mani di chi mi era stato carceriere. Ad ogni tocco, ad ogni contatto, anche quello più futile, ho riscoperto l'uso della prosa e della poesia.
    Io ho perdonato Patrick ed è proprio per questo, forse, che ho ripreso a scrivere e a leggere e a provar quell'amore che sa impregnarmisi nelle ossa. Quell'amore che smuove ogni mia lettera, ogni mia frase.
    Quindi se lo chiedessi a me, ti risponderei che ti avrei raccontato di quella volta che ci siamo guardati e che lui, mosso dalla pietà, mi ha donato parte del suo pranzo. Un tozzo di pane che visto da occhi distanti non sa di nulla, ma che per me, in quel preciso istante della mia vita, fu tutto.
    Ed io il suo cuore l'ho ingurgitato. L'ho fatto mio affinché si incastrasse laddove era stato strappato a me. Che per anni non ho parlato, per anni non ho sentito più niente. Ed in quei momenti la poesia mi era mancata, le vostre storie mi erano mancate.
    Chiedimi, dunque, qualsiasi racconto: Non mi fermerei, non ti frenerei. Che se sono qui, uno dei tantissimi motivi a smuovere la mia eternità, forse è proprio questo. Ho bisogno di raccontare, di ricordarvi che esisto. Di ricordarvi che esistete e che seppur per un abile scherzo della natura, della piramide alimentare, siete utili. Siamo tutti utili a qualcosa.
    Allora sorrido a chi ricambia il mio sguardo e lo congedo con un cenno della mano, uno di quelli semplici, tirati su a dita fragili, morbide. Saluto chi sono certo che tornerà e dico addio, a chi dalle mie parole non ha tratto la forza di raccontare la propria storia. E solo quando la chiesa è quasi deserta che mi concedo un attimo di respiro. La cassa toracica non si comprime solo perché ci sono io, là dietro, a muoverne i fili. A simulare un movimento che verrebbe naturale se solo respirassi. Adesso si alza ed abbassa perché quando tutto è oscuro e le sole candele illuminano, io mi spoglio delle mie vesti. Ed assaporo gli odori rimasti impregnati nelle pareti, laggiù, sopra ogni panca. Così scopro te. Che sei passato inosservato, che ti sei mescolato alla folla.
    ''Asilo?''
    Profumi di terra e rabbia. Di volontà strappate e speranze dissolte. Profumi di umiltà e perdono, di perdita e tenacia. Profumi di tutto ciò che spaventa, che incita la rabbia, la manipola, la sfrutta a proprio piacimento. Profumi di un odore diverso da quello degli altri, che è buono e fortunato, perché adesso, per tua fortuna, io non ho sete.
    Ed io non abbandono chi ha bisogno di un letto. Chi è troppo stanco per avanzare, chi la vita vuol lasciarsela indietro. Io non abbandono chi ne ha bisogno, chi come me ha perso la fede e vacilla, disperato, in attesa di un conforto. Non ti abbandono, ragazzo, non quando i tuoi occhi pregano senza che tu sia lì a genuflettere le ginocchia.
    ''Venga.''
    Ti tengo una mano, ma non mi avvicino più di così. Non voglio che tu la stringa, voglio solo che tu possa sfiorarne la punta delle dita per tirarti su e farti strada laddove ho bisogno di guidarti. Senza pretesa, senza alcuna forza. Che non sono qui per strapparti via dai respiri. Sono qui per accarezzarti piano.
    ''Mi sembra affamato.''
    Se potessi raccontarmi una storia, una di quelle che tutti starebbero ad ascoltare a bocche chiuse, quale storia mi racconteresti, ragazzo?

    Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga.━━━━━━━━━━━━━━━

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    Io lo so, perché su quella mano mi fisso tanto. Che negli occhi non so guardarlo, giusto per non sentire il peso di non essere riuscito neanche a rimanerci, a Villa Sinister.
    Quella casa che non è mia, per quanto lo sia stata a lungo. E mi dispiace, Ma Chère, non ho visto se c'erano le nostre rose. Ormai gli chiedo perdono per ogni cosa, per ogni mossa che faccio. Come se dovessi rassicurarlo che non è per il suo male, non lo è mai.
    Sono stupido, lo so, uno sciocco che si era tirato su in qualche modo e che ora, ora fatica anche se davanti ha una strada nuova.
    Ma sono bravo, cazzo, mi sono liberato di lui alla fine. Torna solo quando sono stanco, quando chiudo gli occhi, o quando me lo vedo davanti e questo. Beh questo cambia molto.
    Non era un'eventualità reale su cui ho meditato.
    Abbiamo simulato un colloquio che non avrei più potuto avere con Chrys, ma sapevo solo come avrebbe risposto il mio. Non questo, non quello che sembra il più sano di ogni variante, sempre quello di quando avevo vent'anni.
    Quanto fa male.
    Tanto che una sola parola accogliente, suona come casa. Come essere all'Ordine, circondato da chi mi ama almeno un po'. Da chi mi vuole lì e non mi manda via perché lo spavento.
    Allora davvero mi fisso su quella mano, mi impongo un respiro, perché aspetto il momento giusto. Neanche mi passa l'idea che Chrys abbia mentito e mi abbia mandato qui solo perché lontano da casa sua.
    La stringo, piano, come farei con Soul, perché mi fido. Nella stanchezza, cedo a tutto, perfino al nodo in petto che si riempie di aghi, di dolore lancinante, ma lo ignoro. So che è il mio bagaglio, so che posso farcela perché sono qui per Alice, per portarla a casa. Per farla vivere bene. Anche con me, che se non posso più amare, almeno amerò lei di quell'affetto che si ha in famiglia. Le è mancato, lo so.
    "I-io-" ho fame, ho sete, ho tutto. Ma sono soprattutto stanco di lottare contro un qualcosa che mi ha buttato a terra, ho bisogno di .. neanche lo so definire. "Mi basta un letto, davvero" anche se a dirlo gli sfioro le spalle con il respiro, che forse vado troppo veloce. Vado sempre così veloce. Ma lui è alto, lui ha la presenza di chi sa davvero accogliere randagi per strada.
    Non voglio che mi dia del "lei", non ha senso, dovrei farlo io, che non ne ho la forza. Io che chiudo gli occhi perché "...solo per stanotte" vorrei fosse una promessa credibile. Grazie
    Che dentro queste mura mi sento al sicuro, protetto, tanto che le dita le intreccio, le stringo piano. Da quanto, nessuno mi toccava così? E perché ci sto pensando adesso? Perché qui? Perché ho bisogno di una forza che mi distrugga?

    Ci sono cose che non so e che non sai spiegarmi. Ma dici che il silenzio a volte limita gli sbagli. Ma tanto tu lo sai che tenendomi piu stretto. Puoi riuscire a sentire le cose che non ti ho mai detto ━━━━━

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    Mi ricordi la Germania, Buchenwald, i suoi capelli ossigenati stretti sotto il berretto militare. Laccati di gel, profumati di colonia. Un odore pungente, di quelli che ti si tirano su sin dalle narici. Le sue dita erano stecchi di ghiaccio. Oggetti inanimati a cui stringersi sembrava inutile. Non concedeva quel tipo di contatto lui, seppur mi venisse facile cercar un punto contro il quale esercitar la forza per tirarmi su.
    Mi ricordi la speranza, in questo istante, la mia, quella che avevo allora, di potermi salvare laddove la morte non lo permetteva. Ed i tuoi balbettii divengono miei nell'istante in cui accetti il mio aiuto e lo fai nel medesimo modo in cui lo feci io.
    Mi ricordi me, soprattutto, più di Patrick ed i suoi occhi azzurri così caldi, come il mare che non ho più avuto modo di scorgere. Ricordi la giovinezza che si spezza, che si frantuma nella presa. Anche se stringendoti mi rendo conto di volerla preservare. Istintivamente, in un attimo di commozione che però non si lascia intravedere da un corpo che resta statuario, freddo come le mura di questo posto.
    ''Venga.''
    Te lo sussurro a voce bassa, non perché debba essere un segreto: Questa chiesa non parla, questo Dio non giudica, è lì perché lì deve essere. Perché altri, guardandolo, devono trovare in lui un punto di riferimento. In me, così come ti è stato consigliato di fare. Così come vorrei facessero anche tutti gli altri.
    E ti sollevo, quanto serve, per permetterti di camminare anche se su una mia spalla. Che sei stanco e questo lo noto sin da subito. Me ne rendo conto dai respiri che si fanno veloci, dal bisogno che hai di soddisfare la fame e la sete con un po' di aria in più.
    Ed io so cos'è la sete, so bene quanto male faccia, quanta pena porti con sé.
    ''Andiamo in stanza, così le preparo qualcosa.''
    Non è accondiscendenza la mia, solo pietà, solo delicatezza. La stessa che Patrick a proprio modo ha riservato per me, educandomi a questo. Alla forza di aiutare l'altro anche quando si sa di incarnare l'opposto. Come la perdizione, la mostruosità.
    Per questo ci spingo verso il retro, laddove un corridoio stretto lascia affacciare qualche stanza chiusa. Ne scelgo una, una qualsiasi, perché per me, da anni, non esistono letti su cui riposare, né sonni in cui permettermi di sognare. Che se potessi farlo, forse, sognerei di nuovo la Germania, i suoi capelli ossigenati laccati all'indietro, il suo tono di voce così duro, incomprensibile.
    La porta si apre in uno scatto, poi cigola appena, ma solo per un istante. E la stanza non è grande: c'è solo un letto qui, una scrivania, una finestra che da sull'esterno ed un lavandino. Sembra una cella, ne sono consapevole, ma è sicuramente qualcosa di più comodo di Buchenwald.
    ''Venite, sdraiatevi pure.''
    E non sono un cameriere, sono solo un uomo vile, una bestia.
    ''Vi prendo dell'acqua e della frutta.''
    Che contengono zuccheri, che potrebbero ridarti il colore. Perché mi sembri affaticato, sfiancato.
    Qual è la tua storia, ragazzo?


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    Mi ricorda l'Ordine. Dalle vecchie travi, alla navata non troppo ricca, quanto basta a dirmi che non sono poi così lontano da casa. Mi fa trattenere un sospiro lento, uno che lascio forse troppo vicino a questa toga nera.
    Credo di essere questo, alla fine, senza la pretesa di poter avere il coraggio che aveva Josh. E questo posto, queste celle, sono così simili che ho paura di chiudere gli occhi. Ho paura che mi ricordino di lui, che io mi aspetti - come già sta accedendo - di vederlo mettere un piede fuori dalla sua cella. Quando ancora ci addestravamo, e gli dava fastidio stare tanto lontano da Lilian ed Alice, dalle sue donne. Allora veniva da me, anche a luci spente, giusto per farci compagnia.
    Alla fine anche se si parlava solo delle diversità dei nostri gruppi, si parlava di noi. Di me, che l'ho sempre preso come esempio, e di lui che mi ha sempre protetto ma lasciandomi diventare l'uomo che volevo diventare. Che anche quando Chrys diventava pesante, e provavo a nasconderglielo, lui lo sapeva ma non emetteva giudizi. Mi lasciava scegliere, perché ogni decisione dipendesse da me. Che io poi me ne pentissi o meno e "parte della crescita" e mi manca.
    Dio, mi manca da morire.
    E magari sono così sciocco da credere, inginocchiandomi, stringendo le mani e gli anelli, di poter parlare ancora con lui. Di sapere cosa mia avrebbe risposto e dialogare da solo con quella parte di Joshua che mi è rimasta dentro, che scorre nello stesso sangue condiviso.
    "Edric.." sussurro, che non lo voglio spezzare il silenzio dei nostri passi, anche se mi sono appoggiato troppo e forse peso anche su di lui. ".. mi chiamo Edric" che non è saggio, perché forse dovrò cambiare nome, qui, non lo so.. cognome di sicuro, ma non importa, non voglio alcuna riverenza.
    Mi faccio spazio solo perché qualche passo posso muoverlo, anche solo per restare seduto. Non giudico una stanza quando può essere l'unica cosa che ho qui, ed è solo per stasera.
    La mia Villa, d'altronde, l'ho abbandonata quando si è chiusa ed è bruciata in silenzio per giorni. Inestinguibile. Il fuoco si è mosso appena Mordin è stato giustiziato. Ed io.. beh io mi sono detto che era il suo volere, portarmi via quello che restava di noi, fino in fondo. Senza darmi modo di tornare, di salvare qualcosa. Io l'ho condannato. L'ha detto anche questo Chrys, e così ho meritato di non potervi più mettere piede.
    Forse ho troppa fame per fermarlo una seconda volta, quindi annuisco e basta, lento, nel voltarmi verso di lui. Grato che qualcosa sia in grado di tenermi stabile, anche se non so per quanto.
    Non riesco a sdraiarmi, non posso ancora abbassare la guardia, tengo i gomiti fissi sulle ginocchia e ricaccio indietro ogni accenno di quelle lacrime di stanchezza, che finiscono solo per colorarmi lo sguardo. Uno che punto in basso.
    Questo non è il mio culto, ma il Dio della Luce non si allontana così tanto dalla loro idea di divinità e non credo vi siano culti migliori di altri. E' il bene contro il male. E basta.
    Ci lascio cadere la testa, tra le mani, finché non torna. "Grazie.. davvero è anche troppo" bastava un letto.

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    Ho questa immagine in testa di noi due giù ad Amsterdam. In quel monolocale preso in affitto su di un negozio di liquori malmesso. Eravamo in periferia perché lì si cacciava meglio. Laddove le Vetrine non erano come ora, ma solo un buco in cui perdersi quando si faceva buio. Eravamo artisti o almeno é questo che andavamo a raccontare in giro, quando il vino non era vino ma il sangue di chi al bagno del peggior bar si lasciava svenire lungo i water. Ed era inebriante quel sangue alcolico. Il nostro after, l’unico modo che avevamo per fingere divertimento così come sapevano intenderlo gli altri.
    Ho questa immagine del sole che filtrava dietro le tende scure, quelle da cui stavamo a distanza, ma dietro il pulviscolo atmosferico che le attraversava ostinato, immaginavamo mondi e colori diversi. Alla fine il mondo non lo abbiamo mai disimparato, solo imparato a guardare con occhi diversi. E tu lo facevi coi miei, forse, così come io cercavo di farlo coi tuoi.
    Ho questa immagine di te, incastrato in quella piccola vasca da bagno che avevamo, quella con le zampe da leone, che mi lavi la schiena. E lo facevi piano, con parsimonia, quasi non volessi per alcun motivo scorgere altre macchie di sangue pronte a screziarmi inaspettatamente la pelle. Eravamo dei maniaci del controllo, forse tu più di me. Ma questo perché io ero un romantico, la vittima con te soldato.
    E la caccia non mi é mai piaciuta, nemmeno quando ti sforzavi di renderla quasi divertente, nemmeno quando effettivamente ridevo. Ridevamo molto insieme. Anche se tu eri un soldato ed io una vittima.
    Ricordo troppe cose, purtroppo, e questo perché le ripeto ogni giorno. Nei sogni che non posso più fare, nelle delicatezze che riservo agli altri. Come con questo ragazzo, che mi ricorda te, anche se é solo uno Yaacov ferito, uno Yaacov diffidente.
    É solo che, giusto adesso che ci penso, nel riflesso delle candele, sembra quasi avere i tuoi stessi occhi.
    Edric.
    Ripeto, come se nel farlo potessi risentire il tuo. Edric, Patrick. Mi piace il mondo in cui suonano sulla mia lingua, il modo in cui si troncano. Come fossero anche loro dei segreti. Che forse non é tanto distante da ciò che siamo stati per tutto questo tempo.
    Ho questa immagine di te sdraiato su un letto come questo sul quale lo faccio sedere. Come se stessi dormendo, ma in realtà eri solo ferito. Ho questa immagine di me che me ne vado, della nostra Pietà rimasta incompiuta nello studio. Ho ancora l’odore di quella casa addosso.
    Che coincidenza avervi qui, allora.
    Sorrido piano, ma solo perché a me i significati intrinsechi nei nomi piacciono. Ed Edric é un bel nome, uno di quelli che richiama al Dio di questo posto. Uno di quelli che si da affinché i propri figli possano beneficiarne la fortuna.
    Lo abbandono solo per un istante, uno di quelli di cui ho bisogno per raccattare ciò che ho a disposizione. Frutta, ad esempio, che va solo scelta e capata.
    E mi fa così strano sai? Aver di nuovo qualcuno in queste mura. Qualcuno che dormirà con me, qualcuno a farmi compagnia.
    Nessun ringraziamento…
    Poso il tutto sulla scrivania al suo fianco.
    Il mio nome é Yaacov.
    Aggiungo all’ultimo, in ritardo, quasi come se fossi perso tra i pensieri. Che forse é vero, in parte. Non é una bugia.
    E lo pronuncio che la mia é una carezza che fisicamente non concedo. Nemmeno quando mi sembra stia piangendo ed il mio posto resta sempre quello sulla sedia accanto al letto.
    Avete fatto un lungo viaggio?
    Chiedo solo questo. Solo perché sono un appassionato di racconti.



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    So bene come si richiama la calma, come si stringe la pace interiore per poi richiamarla ma.. ma non lo faccio. Non riesco, ora che l'ho visto io non posso.
    Come non voglio che questa reverenza, gentile, si incastri in testa come un loop. Neanche all'Ordine, neanche quando ho dovuto affrontarli tutti a testa alta, mi è stato dato. Mi serve tornare lì, al punto in cui Soul ha tentato di affiancarmi ed io l'ho scostato, ringhiando per la prima volta in vita mia. Dal dolore. Si.
    Ma ora ricordo bene ogni passo, da una cella come questa al corteo di saluto per la sua anima. Ho pregato che non lo facessero, perché un era stato Chrys ad ucciderlo, ma Joshua era di alto rango, era uno dei migliori e neanche io avrei potuto evitare che lo onorassero.
    Lo ricordo il silenzio al suo funerale, all'addio dei candidi, quando il coro ha smesso ogni nota perché nessuno si aspettava andassi. Che potessi reggermi in piedi, tra loro, percorrendo la navata fino ad appoggiare la mano sulla bara, di legno pallido.
    Solo io mi sono incolpato, so bene che nessuno di loro lo avrebbe fatto, neanche Alice a cui ho tolto un padre perché non ho fermato Ma Chère in tempo. Gliel'ha portato via, come l'ha fatto con me.
    Quindi si, Yaacov, ho fatto un lungo viaggio.
    Forse eterno per come posso vederla, ora che gli poggio piano una mano sul ginocchio, così vicino alla ricerca di un supporto, quasi ossessivo.
    "Ti prego.. dammi del tu.." mi esce, lento, che neanche rialzo lo sguardo, come se cercassi un padre in grado di punirmi, quando neanche il mio l'ha mai fatto.
    E' indegno il brivido che sento nel percepire il mio nome in bocca d'altri. Non quando è stato supplicato, da chi preferiva restassi, e pianto da chi non mi ha visto per quasi un anno. Non se ero abituato a Zio Eddy, O solo Eddy. Non se poi "Coniglietto" è un sussurro acido alle mie spalle.
    Mi manca tutto.
    E mi manca troppo.
    Più di quanto so che meriti, più di quel tremore che mi è preso quando sono arretrato, un piede più lontano da Villa Sinister, che non è mia. Non lo è mai stata, neanche quando me ne ha dato le chiavi.
    "Molto lungo.." spiego, lentamente, quasi credendo di poterlo dire, di poter spiegare qualcosa che invece non dirò. Lo devo mantenere il mistero sulla mia provenienza, anche perché ho in mente di ripartire molto in fretta.
    Nell'ammettere quel poco che mi esce dalle labbra, so anche come non farò niente di diverso per mandarlo via, non se lentamente scivolo in ginocchio, piegato davanti a lui, a chiedere forse perdono per.. per qualunque cosa. Anche per non essere forte abbastanza. Lasciando che così sappia nascondersi il mio viso, piano, nel cacciar via questi demoni aggrappati alla schiena. Silenzio.

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    Non ho bisogno davvero di domandare certe cose. Non quando so di come l'uomo sia per natura un viaggiatore. Che è qui, quando vuole, ma sa essere anche altrove. Viaggio anche io, Patrick. Lo facevo già prima di conoscerti, quando affacciato alla finestra di casa mia, guardavo Charlotte uscire sul vialetto per prendere il giornale. Ed era bella ed io pensavo al nostro matrimonio, anche se senza figli, anche se il mio cognome sarebbe morto con noi. Immaginavo lunghe passeggiate in montagna anche se non ci siamo più andati. Immaginavo il suono dei passeri, il canto delle volpi anche se fuori hanno iniziato a sovrapporsi solo i rumori degli spari.
    Viaggiavo anche quando ero con te, all'inizio. Quando mi accarezzavi con la punta delle dita e la tua pelle era gelida. Allora io pensavo agli inverni freddi di Lipsia. La neve sul tetto di casa mia, che per tirarla giù rischiavo sempre di rimanerne sommerso. Il sole che la baciava ma non era così forte da scioglierla. Ed io non ho mai sciolto te, nemmeno quando eravamo alla pari. Nemmeno quando alla tua forza corrispondeva la mia. A pari merito.
    Per questo, forse, tornare a leggere la verità dietro le sfumature dei suoi occhi sa esser doloroso. Lo è a prescindere da ciò che racconta. Lo è anche se non parla. E così era Vince, così erano tutti gli altri che qui sono venuti per raccontare una storia. O per provarci, almeno, come io cercavo di parlarti di ciò che ero prima di conoscerti. Anche se non riuscivo a parlare, anche se la voce, forse, l'ho recuperata troppo tardi. L'ho scoperta che avevo paura ne avessi già abbastanza di me. Delle storie descritte a metà. Dei silenzi stordenti.
    E scosto lo sguardo, lo faccio perché un uomo che piange, se non lo si può stringere, nemmeno lo si guarda. Non lo si carica di un peso che non si può distribuire sulle spalle di entrambi. Non si viola un momento tanto delicato. Ed io sono già di troppo. Lo sento nei muscoli delle gambe che spingono affinché io torni in piedi. Anche se non lo faccio. Anche se resto.
    ''Va bene, Edric.''
    Un sorriso, una carezza lungo la spalla che trattengo per me. Mi formicolano le dita, ma è solo memoria muscolare. Un ricordo lontano, una mattina di giugno tu mi hai accarezzato nel medesimo modo. Inaspettato, perché non sei mai stato morbido abbastanza per accettare tutto questo. Un amore che ha mosso prima te che me, ma che nel farlo deve averti ferito per anni.
    Ed io ero di schiena. Io non dormivo, fingevamo solo di farlo, di essere come tutti gli altri. Di sopperire la sete a letto quando diventava fastidiosa ma a noi conveniva cambiar città. Di nuovo, per l'ennesima volta nell'arco di pochi anni.
    Poi siamo scivolati dal letto così come io scivolo dalla sedia. In ginocchio. L'uno dinanzi all'altro. Ci siamo guardati negli occhi per un istante. Mi hai chiesto di perdonarti senza farlo davvero. Io ti ho perdonato senza dirtelo. Così come perdono questo ragazzo e lui forse lo fa con me.
    Sento un formicolio sulla spalla. Ma nessuno la sta toccando.
    ''Non devi inginocchiarti a nessuno, Edric. Benché meno a me.''
    Perché io in Dio non credo più. Io non venero più nessuno. Non prego, non ho speranze.
    ''Il viaggio che ti ha condotto qui dev'esser stato pesante. Te lo si legge negli occhi. Ma non è questo ciò che ti aspetta. Non il freddo del pavimento, non le ginocchia arrossate. Qualsiasi cosa tu abbia fatto resta fuori da qui.''
    Azzardo un movimento: Due dita sotto il mento. Per alzargli il viso, per ritrovarci per un istante con gli occhi fissi in quelli dell'altro.
    ''Potrà entrare solo quando ti sentirai di parlarne con qualcuno. ''
    Un sorriso compassionevole. Scosto la mano, ho già osato troppo.
    ''Allora io sarò qui, di nuovo.''

    Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga.━━━━━━━━━━━━━━━

    monsignor yaacov
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    In ginocchio ci sono sceso tante di quelle volte da sapere quanto male faccia. Per tutte le volte che ho pregato che Chrys si fidasse, che accettasse il mio aiuto perché non era qualcosa che potevo imporre.
    In ginocchio per tenerlo stretto a me, agganciandomi alle gambe come se il mio problema fosse la distanza fisica. In ginocchio quando litigavamo fino allo sfinimento, quando mi trovavo senza fiato e, nel tornare, ero così stanco da piegarmi al suo volere.
    Tutto pur di sentire ancora le sue mani passarmi trai capelli. Anche se poi esagerava, anche se poi mi imponeva di aprire le labbra, e ci spingeva dentro tutto. Così forte da farmi credere che non avrei potuto respira, soffocato dal suo bisogno di avermi.
    Di farsi dire che era così che funzionava l'amore, che ancora lo volevo. E dove altro potevo andare? Io, Ma Chère, l' amato con tutto me stesso.
    L'ho amato quando non voleva essere amato, in quei momenti di lucidità in cui mi diceva di andare via. L'ho amato quanto non avrei dovuto, quando così mi ha reso cieco. Mi ha raggirato per averla vinta e poi, quando ci è riuscito, mi ha strappato il cuore e se l'è portato nella tomba, a morire con lui.
    E rivederlo dopo questo addio, è stato la fine. La fine di un'era di dannata stabilità, la fine di un punto aperto al cuore. Che io non posso smettere di volerlo vedere, di cercarlo. Anche se devo. Se sono qui per Alice, e per lei resto in basso. Resto fermo, con le dita che fanno poca presa dietro le ginocchia di quest'uomo. Che mi ha accolto nella casa del suo Dio, come ho chiesto ed ora non sta ancora andando via.
    Non lo so, ho bisogno che qualcuno più in alto di me mi dica che va bene, che sono stato bravo comunque, che posso prendere fiato e posso fare tutto ciò che devo.
    "Io.." e non è vero che non devo scendere in ginocchio, devo farlo continuamente per sentire ancora qualcosa.
    Ma tremo, dio, tremo così piano che sembrano piccole scosse alla colonna, che mantengo quando poi gli occhi li devo alzare per forza. Tengo il muso fermo quando mi tocca, quando lo solleva per rafforzare un concetto.
    Perché l'ho ascoltato, le sue parole sono giuste, ma stasera non è una buona sera. Ed era tanto che non succedeva così forte, con una potenza che mi fa tremare la gabbai toracica. Dico che è vuota, perché il mio cuore è morto con Chrys, ma invece io lo sento chiaro e forte, che batte anche adesso. Forse un po' più di prima.
    Lo accetto.
    Annuisco, pianissimo, lasciando che il viso scivoli dalla presa, sedendomi sui talloni. "Ok.." che è come dirgli che ha ragione quando non riesco a parlare. Quando la notte sarà difficile comunque, anche se sono un guerriero, se la mia mente è forte ed il mio cuore è debole.
    Debolissimo. Abbasso il viso, respiro?
    "Solo per una sera... ma andrà meglio" e lo sto dicendo a me, che se ora Yaacov uscisse, continuerei a dirlo comunque, come un mantra.

    Ci sono cose che non so e che non sai spiegarmi. Ma dici che il silenzio a volte limita gli sbagli. Ma tanto tu lo sai che tenendomi piu stretto. Puoi riuscire a sentire le cose che non ti ho mai detto ━━━━━

    edric çevik
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    A volte spero di vederti entrare per quella porta. Anche se quella porta ha infissi diversi ogni anno. Anche se a volte non la si trova o quando la si fa, la si riscopre pesante, inamovibile.
    A volte spero di vederti tra l'altare e l'abside. Come se la luce non fosse più per noi motivo di dolore e ci spettasse, di diritto, restare lì, nel bagliore che si espande attraverso i mosaici e crea giochi di luci magici.
    Come quei cocci di bottiglia che appendevano ai soffitti di notte. Laddove la tenda ci ha nascosti al mondo, dove ci ha difeso dalla sua natura più sincera.
    E ti ho sempre sognato, sai, danzare tra i cocci del nostro passato. A brillare tra lame affilate, appuntite. Come appuntita fu la tua spada e la spada fu la tua parola.
    Che ho imparato la tua lingua già da prima che fosse strano farlo. E nei tuoi silenzi ho nuotato. Nudo, inerme, fino a che non ne ho fatto una vocazione e per lunghi anni sono rimasto lì a guardarti, ma senza dire mai nulla.
    Schadenfreude, come gioia più bella, perché seppur non venivi dal cuore, al cuore sei comunque giunto.
    Ed il mio, all'inizio, batteva forte come quello di Edric.
    ''Andrà meglio.''
    Modulo la mia voce alla sua, come una canzone che richiede un certo controcanto. Un coro di chiesa che si sperde lungo le navate. Che resta vento. Leggero, caldo quello d'estate.
    Mi alzo dalla sedia solo per spostarla e mettermi in ginocchio così come lo fa lui. Siamo pari, vero, Patrick? Siamo uguali seppur diversi nei bisogni che animano la nostra esistenza e questo Edric deve capirlo perché è un concetto fondamentale. Resta alla base di qualsiasi rapporto sociale.
    E non ho problemi, sai, a piegar le ginocchia in questo modo. A lasciarmi sottostare. A chinare il capo nel medesimo modo in cui lo fa lui. Così come ho fatto con te per anni.
    Allungo una mano, aspetto che me la stringa piano. Che si alzi con me. E se non lo farà non importa: Resterò lo stesso, un istante. Solo per liberare le labbra di una pesantezza che me le contrae. Solo per scacciare le tue terminologie dalla mia lingua. Un respiro. Anelo il silenzio. Come quello che c'era in casa nostra, quella in Olanda, ad Amsterdam, sopra il negozio di liquori giù nella periferia. C'era sempre uno strano silenzio lì.
    ''Y'hi ratzon milfanekha A-donai E-loheinu ve-lohei avoteinu she-tolikhenu l'shalom v'tatz'idenu l'shalom v'tadrikhenu l'shalom, v'tagi'enu limhoz heftzenu l'hayim ul-simha ul-shalom.''
    Inizio a sussurrarla piano, seppur questa non sia una delle preghiere trascritte nei testi sacri. A te l'ho recitata così tante volte che adesso, forse, ne avresti persino la nausea. Ma resta un ti amo esplicato attraverso la fede. Un buon augurio per il viaggio che avremmo compiuto a breve. Un arrivederci a quella vita che avevamo avuto modo di far nostra solo per un brevissimo lasso di tempo.
    '' V'tatzilenu mi-kaf kol oyev v'orev v'listim v'hayot ra'ot ba-derekh, u-mi-kol minei pur'aniyot ha-mitrag'shot la-vo la-olam. ''
    Mi chiedo sempre se le nostre strade si siano separate proprio perché ho smesso di pronunciartela. Di sussurrartela piano con le labbra a premere sulla schiena. Lente, sicure. Che non ho mai avuto dubbi con te, non negli ultimi anni della nostra convivenza.
    ''V'tishlah b'rakha b'khol ma'a'se yadeinu v'tit'nenu l'hen ul-hesed ul-rahamim b'einekha uv-einei khol ro'einu. V'tishma kol tahanuneinu ki E-l sho'me'a t'fila v'tahanun ata.''
    Mi chiedo sempre, davvero, se la causa del tuo abbandono sia stato io. Se la causa della mia fuga, sono stato io. Ma siamo insicuri, Liebe. E la nostra condizione non muta la psiche. La rafforza solo, la calcifica.
    ''Barukh ata A-donai sho'me'a t'fila.''
    Li alzo solo ora gli occhi. Quando la nenia si interrompe ed io mi rendo conto, forse, di non aver mai dato fiato ai polmoni, nemmeno per finta. Come se immergendomi in queste parole io abbia totalmente scordato cos'è che sono.
    ''Questo è l'augurio per il tuo nuovo viaggio, Edric.''
    Glielo spiego perché l'yiddish del Siddar ashkenazita non è di facile comprensione, seppur abbia la propria origine laddove sei nato anche tu.

    ----------------------------------------

    Possa il tuo Signore nostro Dio e il Dio dei nostri antenati condurci alla pace, per guidare i nostri passi verso la pace e per farci raggiungere la meta desiderata della vita, della felicità e della pace. Ci ha salvati dal nemico, dalle imboscate lungo la strada e da tutte le punizioni della terra. Benedici il nostro lavoro e donaci gentilezza, grazia e misericordia nei tuoi occhi e negli occhi di tutti quelli che ci incontrano. Ascolta la nostra umile supplica che sei Dio e ascolta le nostre preghiere. Benedetto sei tu, o Signore, che ascolti le preghiere.

    Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga.━━━━━━━━━━━━━━━

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    Mi ricordo dita incastrate trai capelli, a tirare fino a far male. E' quello che il mio corpo si aspetta, anche se nessuno mi tocca da più di un anno. Se ci hanno provato, si, ma senza nessun risultato, perché se la violenza non arriva, io la aspetto.
    Lo faccio anche con le ginocchia a terra, a volte perfino di più. Perché Chrys è stato una lama tagliente, una ruota continua a scavarmi nello sterno e adesso che non potrà esserci mai più, io non so darmi pace. Lo cerco in mani altrui, lo cerco tra le fughe di malta nei pavimenti in roccia si una chiesa. Lo cerco lungo le palpebre che chiudo a volte con la speranza di riaprirle e scoprire che è solo un sogno. Un incubo durato incredibilmente a lungo.
    E per un dannato attimo, quando l'ho rivisto in piedi, ho creduto di essermi finalmente svegliato. Sciocco e stupido, con un dolore di nuovo atroce, quasi fosse morto ieri.
    E invece lo so che non è così, so che la mia vita è andata avanti, facendo della sua morte una ragione in più per seppellire il cuore ed impedirgli di battere. E non me l'hanno davvero lasciato fare, perché così sarei stato preda facile della corruzione. No, io ora so che il cuore deve battere. Forte, continuamente, cosicché io possa dimostrargli che so a chi affidarlo adesso, e fino ad allora, non mi privi del calore del sole, della luce, di quello che ho sempre amato fare.
    Ed è quindi aspettando il dolore, che non arriva, che mi accorgo di quella mano tesa per me. A dirmi che non posso essere più sciocco di così, e che a me non è consentito soffrire al punto da vivere l'immobilità. Io vado avanti, e nel farlo cerco un contatto che ho lasciato morire con te, Ma Chère, che non mi perdoneresti mai per quello che sto pensando, per come vorrei che la fine del mio dolore fosse l'inizio di un altro.
    Che una preghiera è sacra, indipendentemente dalla religione, sento solo che viene dall'anima, per questo lascio una mano a lui, e con l'altra faccio presa per rialzarmi.
    Non importa che io non sappia che significhi, resta un calore che per poco, sa darmi pace. Sa farmi chiudere gli occhi nell'abbandono della forza, in una forma di canto che raschia a fondo i polmoni ma poi ne estrae solo un respiro più calmo.
    Mi calma, quest'uomo di chiesa, ed io non ho bisogno d'altro adesso, che di impormi un sonno tranquillo, nella fiducia che non mi accadrà nulla stanotte.
    Mi stringo a parole a cui non voglio rispondere, per non spezzarne la sacralità, anche se per un secondo la mia aura ha tremato nel ricercare la sua. L'ho frenata prima che potesse trovarla, perché lui non è un Cantamorte, né un membro dell'Ordine che saprebbe ricambiare.
    Però ha compiuto un miracolo e qui, per un secondo, mi fisso a guardarlo. Mi hanno insegnato a ringraziare, ma non so più farlo a parole, me le ha tolte tutte.
    Lascio andare la mano, piano, me la riporto al fianco. Eppure gli respiro così vicino che posso vedere solo il nero del vestiario, tutto intorno, e con la coda dell'occhio quel colletto bianco. Il suo collo, non è teso come il mio, come la vena che pulsa lenta.
    Profuma d'incenso e rassicurazione, di una forza che non deve esprimere apertamente, è un potenziale solido che lo lascia in piedi. E' come sono stato io fino a ieri. "Buonanotte, Padre"
    Si dice così, anche se per un secondo ho immagini diverse che mi strappano il sonno dagli ansimi, e le tengo strette con me, nel respiro che freno quando il mio non è altro che un sussurro innocente.

    Ci sono cose che non so e che non sai spiegarmi. Ma dici che il silenzio a volte limita gli sbagli. Ma tanto tu lo sai che tenendomi piu stretto. Puoi riuscire a sentire le cose che non ti ho mai detto ━━━━━

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