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Edric/Yaacov | Chiesa itinerante di San Giovanni | 23 Aprile /notte | Contenuti sensibili

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    C'è la luna che si riflette in un punto dell'altare, ed io non lo so, resto solo qui a guardarla. Che mi sono fatto strada nella navata solo cercando di non pensarci. Di non piegarmi al suo volere, a te, Ma Chère che resti in ogni mio passo. Che più mi avvicino a qualcosa e più vuoi farti vivo. E ti ho cercato, cazzo una vita. Ti ho pregato, ti ho amato, cazzo se ti amo anche adesso. Ti ho dato il mio cuore e l'hai portato con te nella Luce. Ma io non posso venirci adesso... lo capisci? Ti prego, perdonami!!
    Che se mi stringo a questo altare, impuro come pochi, è solo per una redenzione che non merito. Lo so come si attacchi piano al centro del petto e poi, con artigli, tiri via tutto, come se così io sapessi spogliarmi di una colpa. Ed è che lo faccio per rivestirmi di un'altra.
    Magari sbagliando riavvolgerò il tempo, e tu non morirai. Magari sbagliando tu non verrai corrotto, e più danni saprò fare, più correrò contro i confini di un amore che non esiste e più vedrò te rientrare in casa, rialzare la nostra Villa. Rianimare Joshua, non ucciderlo. e non me ne frega niente se nel luogo più sacro che conosco, finisco ad arrancare sul marmo. Che la luna investe me, e va bene così, penso. Perché le mie colpe sono troppe. Da un bacio che ho voluto, ad uno che ho bramato, da quel corpo che mi sogno se chiudo gli occhi più intensamente. Dal fatto che non sa essere di passaggio, come non lo è Yaacov.
    Allora chino la testa, cerco un perdono che nn esiste. Che mi stringe un ringhio che fa arrancare dita oltre il gelo. Che non lo sento quando arriva.

    "Perché non mi ami più"
    Che cazzo dici?
    "Coniglietto, dove sei?"
    S-sono qui.. sono sempre qui..
    "No, io non ti vedo"
    Ti.. ti prego guarda meglio, amore mio..
    "Non vuoi che ci sposiamo?"
    Chrys.. tu sei..
    "Morto? Perché non puoi amarmi se muoio?"
    N-no.. ma io..
    "Ma tu, Coniglietto.. mi stai dimenticando?"
    No, no Chrys mai... mai!

    Ma tu parli, poi smetti, mi confondi, mi uccidi e mi lasci morente. Che le braccia tremano, il fiato è corto. Il capo chino, gli anelli che dondolano e si abbattono sul costato come lame. Perché? "Yaacov.." che puoi avere il passo felpato, ma ti sento, ti chiamo, un po' forse ti invoco e basta. "..sei tu?"

    Ci sono cose che non so e che non sai spiegarmi. Ma dici che il silenzio a volte limita gli sbagli. Ma tanto tu lo sai che tenendomi piu stretto. Puoi riuscire a sentire le cose che non ti ho mai detto ━━━━━

    edric çevik
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    Edited by nocturnæ - 23/4/2022, 08:05
     
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    La Giustizia è rappresentata da una bilancia. E la bilancia rappresenta l'equilibrio. Il continuo oscillare alla ricerca della perfezione. Ma se non si pone attenzione su ciò che si va a posare sui suoi piatti, allora la bilancia pende dall'una o dall'altra parte. Non resta immobile nel mezzo, non trova il suo equilibrio. Se l'uomo, dunque, fosse buono, così come si presume spingano le parole di Dio, allora sarebbe un piatto solo a pesare più dell'altro. E pendendo da una parte sola, allora non potrebbe mai parlare di equilibrio. Non si potrebbe prendere in considerazione il senso di giustizia. Per questo, per far del bene, c'è sempre bisogno di un po' di male e viceversa. Come lo yin e lo yang del taoismo. Per questo, quando fiuto la sua presenza laddove le navate si stagliano gentili sino all'entrata, lascio che un sorriso meschino vada a colorare il mio volto pallido. Anche se lo sento, indistintamente come effettivamente non ci sarebbe nulla per cui sorride. Ma non solo adesso.
    Per questo spengo ogni espressione sul mio volto e lo faccio premendo i piedi nudi contro l'alabastro degli ultimi scalini che portano all'altare. Una lastra del medesimo materiale su cui la luna si tuffa sorda, fiduciosa.
    E lo guardo, lo respiro ad occhi chiusi. Che questa chiesa la conosco più del mio stesso corpo. La conosco così bene che non ho bisogno di vedere dov'è che vado quando lo supero e mi fermo proprio dinanzi a lui, dall'altra parte dell'altare. Che siamo la bilancia. Insieme, siamo la giustizia. Ed io so sentirmi in pace solo in questo istante. Nel momento esatto in cui prendo coscienza di come abbia aspettato questo per un tempo infinito.
    ''Dipende.''
    Ed ho un'ironia che porto con me anche quando non ce n'è bisogno. Che il mio forse non è solo un sorriso di assenso che si stende pacifico lungo il volto, ma una vera e propria esortazione a far di meglio. A fantasticar di più. Che lo so, conosco bene certe dinamiche, come in realtà io per lui finisca per essere sempre qualcos'altro di diverso da Padre Yaacov.
    Ma lascio scivolar le dita lungo la lastra sotto la sua testa. Ripercorro i fasci di luce che lo raggiungono, che gli si arrampicano come insetti lungo il viso, le mani, i capelli. E lo respiro, ancora. Che ho sete e non smetto di averne solo perché profuma di nuovo di polvere da sparo, di legno sul fuoco, di Morales.
    Faccio risalire le dita lungo il suo viso. Se fanno pressione abbastanza, magari riesco a scoprire un lato del suo volto. Ho riaperto gli occhi solo per guardarlo, per vedere se riesco a scorgere il modo in cui la luce della luna gli attraversa l'iride. Lo istigo, lo ridisegno, lo cullo come mi riesce.
    ''Vuoi avere Yaacov qui?''
    Che non è un modo per sgridarlo, per farlo sentire in colpa per essere stato via, per avermi lasciato da solo. Non punisco nessuno io, non lo voglio. Ma lui non può vedermi sorridere, perché mentre parlo faccio si che il busto si pieghi contro i gomiti, che mi abbasso, appena, quasi come per dispormi specularmente a lui. Non dico di comprendere a pieno l'odore dei feromoni, della paura, o di tutto il resto. Non dico di saper leggere dalla pressione sanguina la storia della sua vita, i suoi peccati o quel che è. Dico solo che odora di circo, di quel ragazzo che la domenica, ogni tanto, accompagna Moore qui senza mai sedersi tra di noi.
    ''O Morales?''
    La mano risale ancora, si incastra tra le ciocche dei capelli, ricerca il collo tra l'indice ed il pollice. Sento il cuore battere da lì.

    Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga.


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    Cazzo. Lo sento quando la chiesa sa piegarsi al tuo volere, Yaacov. E' forse per questo che sono ancora qui. Che curo i tuoi fiori, che accolgo il tuoi fedeli, che sistemo con te ogni cosa, che mi rendo utile. Per questo: per vederti muovere qui, perché sei una creatura sanguinaria, perché ti nascondi dietro un abito che indossi alla perfezione, ma in fondo hai un cuore nero come molti di noi. Tu non illudi che la vita sia qualcosa di accettabile, ed anche se io voglio crederlo, poi ho bisogno della frusta se sfido i confini così tanto. So che Chrys mi punirebbe per questo, ucciderebbe Oswald e dopo spezzerebbe me, ma giusto per imprimere il concetto che sono suo. Ma tu.. tu lo faresti? Non ucciderlo, se puoi.. ma punire me. Puniscimi, Yaacov, che sentire la tua voce è una scossa che mi attraversa l'organismo. Bevimi, Yaacov, non hai sete? Che il mio corpo reagisce al tuo, che se mi sfiori ho più brividi di prima, che ho resistito alla tentazione più forte, ma non sono stato bravo, neanche capisco cosa mi stai dicendo. Ne percepisco il tono trai respiri, ed allora si che vorrei già affondassi, che mi strappassi dal cuore l'assurda idea di poter fare davvero ciò che voglio. Seppur voglio anche questo: te. E voglio troppo, come il vigliacco che sono.
    E ti guardo quando lo vuoi tu, e ti ascolto se parli, e li tengo aperti gli occhi, anche se la luce di taglio fa male. Ma mai quanto vorrei me ne facessi tu. Che ho peccato, padre, infinite volte. Ho peccato quando il mio cuore ha cercato Oswald, ho peccato volutamente dimenticandomi chi sono e perché sono qui. E peccherò di nuovo, quando vorrò farlo ancora. Allora frenami, ti prego. E se non riesci, almeno puniscimi. Fallo ti prego. Fallo che ho i brividi quando le dita premono lungo il battito che ti lascio sentire, come a farti spazio sul mio collo. Che tu possa bere da me, come vuoi, senza un freno reale. Che io resisto, Yaacov, sono bravo almeno in questo.
    "Chi?" lo sussurro, che mi togli il fiato se mi tieni fermo così, che già fremo, già percepisco il bruciare interno di ogni organo. E vorrei saper andare a fuoco, continuare con te quello di cui non posso godere fuori. Che non posso permettere ad Oswald di avermi ancora, non così in fretta, non in questo modo, ma io ne ho bisogno, ho bisogno di troppe cose. Ho bisogno di te, adesso. Anche se tu sei rituale, calmo, dannatamente forte. Per questo, forse, spengo la sua voce nella testa, le spengo tutte, anche la risata di Os, verso cui non so girarmi adesso. "Yaacov.." e ti chiamo, lamentoso, come se tu non fossi a due centimetri da me. Che provo a sfiorarti, tenerti i fianchi, scavarci dentro, tirarti a me. Staccami i polsi, tagliami le mani. "Perdonami.." non farlo, cazzo.

    Ci sono cose che non so e che non sai spiegarmi. Ma dici che il silenzio a volte limita gli sbagli. Ma tanto tu lo sai che tenendomi piu stretto. Puoi riuscire a sentire le cose che non ti ho mai detto ━━━━━

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    Le dita risalgono il collo lente, lentissime. Sono come gocce di rugiada che picchiano piano i petali e lo stelo di un fiore. E lui, con la sua leggiadria è un fiore meraviglioso. Lo è più di te, Patrick. Lo è involontariamente, senza prefigurarsi come tale o costringersi ad una posizione diversa. Lo è nell'incoscienza delle sue azioni, anche se prega per il male ed il male giorno per giorno lo avvolge. Ne strappa via, di tanto in tanto, dei petali. Come con le margherite al suon del m'ama o non m'ama. Ed anche tu, forse, lo ameresti del medesimo modo in cui lo amo io. Come fratello di tanti altri fratelli. Come figlio fatto di sangue e vita. Il mio stesso sangue, quello di cui ho bisogno, di cui mi nutro. Io ho bisogno di Edric, Patrick. Ne abbiamo bisogno tutti.
    Per questo lascio che mi afferri, che mi parli mentre io faccio altrettanto e spingo le dita lungo le sue spalle. Lo afferro lì, lo tiro sull'altare così. Piano, delicato, come se volessi mettere in mostra, davanti a Cristo, il suo corpo perfetto, marmoreo come le statue nello sgabuzzino. Come gli altorilievi che si affacciano dalle colonne. Che ci guardano muti.
    ''Il mangiafuoco.''
    Rispondo pacato, spingendomi in avanti come per farmi più vicino. Tanto quanto basta per strusciare il muso contro i suoi capelli, vicino la carotide. Pulsa, il suo sangue fluisce velocemente. Il suo cuore, le sue pulsioni, tutto lo spinge ad un continuo ricircolo. E lui è così giovane, è così perfetto.
    ''Che non è riuscito a spegnere il tuo, questa sera.''
    Che non è l'odore del sesso quello che sento. Nessuno ha profanato questa casa, per oggi. Nessuno lo ha ancora fatto, non al mio cospetto. Per questo lo tiro ancor di più verso di me, quasi come se sull'altare ci salissimo assieme. Sotto la luna che gli bacia la pelle, che gli respira sulle ciglia lunghe.
    ''Edric''
    Modulo il tono di voce sul suo. Spingo le labbra tra i capelli, lungo la mandibola, fin sotto il collo.
    ''Dimmi per cosa.''

    Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga.


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    Ed io sento ogni cosa, amplificata, dallo scivolare lento sul marmo gelido, scaldato a malapena da me.. alle dita che mi sposti contro, piano e sicuro, che non ti stai tirando indietro. Tu non lo fai mai, Yaacov. Per questo ho bisogno che anche adesso non ci sia modo di frenare i tuoi impulsi, li voglio bere fino all'ultima goccia, per discolparmi così vigliaccamente. E sono uno stronzo, Monsignore, mandami via, dimmi che non è ciò che si chiede al loro Dio. Al mio, e quello che tu non hai, in cui neanche so se credi. Tu sei il tuo stesso Dio, un potere superiore, una forza imposta dalla crudeltà. E ti tengo contro, di più, nel sentire come si sciolga il cuore, lento, come pensare ad Oswald ora sia sbagliato. Eppure lo faccio. Il mangiafuoco. "Ah.. Lui.." in un sospiro che già spezza il primo ansimo a metà, senza pietà. Lo senti? Senti che ha acceso lui il fuoco? Che lui è la brace sotto le mie fiamme, anche se cerco i tuoi occhi, anche se deglutisco piano, come se non potessi più farlo, se le tue mani fossero tanto rigide da spezzarmi il collo in due. Che lo vedo, Oswald. Un presenza appena fuori dalla porta, nella mia testa, lo vedo fermo, immobile, pallido. Non venire qui, Os, torna a casa. Torna dove vivi, torna con il tuo gruppo e non cercarmi, ti prego, non sono degno di niente. Non mi vuoi davvero, non mi vuole nessuno. O forse tu si, Yaacov? Per bere, per dissetarti del mio orrore, che non so provare quando sono dipendente da un morso che devi affondare nella carne, già adesso.
    Tienimi così vicino, quando piego il collo, te lo espongo alla luna perché non.. "No.." no non ho potuto estinguere il mio fuoco, non era giusto, non era così che doveva andare. Ma non mi sento in difetto, tanto per lui, quanto per il mio giuramento.. il mio patto. Che distruggo con te perché hai la forza di distruggere me e somigliare al Chrys degli ultimi mesi. Ma Chère..
    Lo senti il gemito che mi sfugge quando il corpo trema? Quando le tue labbra passano lente, scivolano, ed io confondo immagini nella testa, ti prego usa la forza che hai per spegnermi ogni energia, distruggimi Yaacov, non merito altro. Non merito che tu mi chieda il perché, anche se poi so risponderti, con queste mani che spogliano me. Sono l'offerta, il sacrificio, il debole. Il vigliacco, l'egoista. E no, io non sono un angelo.
    "Perché-..." inspiro, ma faccio fatica, anche quando le dita passando dall'alto al basso. "-.. perché non so smettere, perché ne voglio ancora.. ne voglio sempre.." da te. "Perché.." dita che ti stringono più forte. "Dimmi che hai sete.." bevi da me, spegnimi, ti prego.

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    Ed io ho sete. Ho sempre sete. La ho quando posso scegliere se controllarla o meno. La ho ogni volta che lo vedo e so di poter cedere. Di avere il suo permesso, come fossi una bestia addomesticabile, come se lui, nonostante le apparenze, fosse il mio padrone. Quello che tiene le redini e che lo fa donandomi tenerezza e compassione in cambio di violenza e fame. Ed io cedo. Io non posso oppormi a questo. Perché noi siamo parte di una bilancia. Parte di un tutto che funziona così, che va avanti solo così. E tu lo sai bene, Patrick, che questo è il solo ed unico modo che abbiamo per fidelizzare le vittime. Per tenercele vicine e cullarle, come in quelle notti in cui sei stato tu a cullare me, e, approfittando della mia devozione, mi hai ferito. Ma d'altronde anche il Cristo ferisce così. La vita, nei suoi lembi più docili nasconde le lame, spade acuminate pronte a nutrirsi del nostro sangue. Ed io sono lama, Patrick. Lo sono come te: Lama tagliente che nelle carezze ricerca il consenso per l'omicidio. Una stilettata dritta al cuore affinché rimanga pulsante solo e soltanto per un unico individuo.
    E mi piace, purtroppo sì, mi piace il modo in cui lui si modella alle mie esigenze e non oppone mai resistenza, non nel modo in cui saprebbe risvegliare la bestia. E lei dorme, si acciambella nel mio stomaco.
    ''Non sono io a doverti perdonare, Edric.''
    Una ricorrenza, la presa di posizione più sincera che io possa concedergli. La verità, quella che potrebbe portarlo lontano da me, ma della quale non mi sento di privarlo. Perché sono un mostro, sì, ma un mostro giusto, un mostro addomesticabile. E lui lo fa, lui mi tiene fermo per il collare. Mi sposto solo perché me lo concede. Perché stringendomi mi chiede di essere stretto, di essere trascinato sotto il mio peso. Piccolo, così fragile, così sicuro di sé. Ed è morbido tra le mie braccia, liscio, levigato come pietra. Tanto che ne accarezzo i fianchi nudi da voltarli. Perché voglio la sua schiena: La linea dritta della colonna vertebrale. Il rigonfiamento delle scapole. Le sue piccole ali d'ossa. Un bacio, che è più un assaggio, glielo lascio lì.
    ''Ho sete...''
    Glielo dico, mi ha chiesto lui di farlo, come se volesse dell'ulteriore sincerità. Come se ciò servisse a sancire il nostro patto. Un accordo che resta scritto nella carne, nei pantaloni che tiro giù lentamente nonostante la frenesia stia prendendo il sopravvento. Che sento il suo odore da qui. Da dietro la pelle. Edric è velluto, è seta. Il bacio risale la nuca, si ferma poco sotto i capelli.
    ''Ti aspettavo.''
    Premo i suoi fianchi verso il mio corpo. Lo stringo, lo spingo in me affinché possiamo diventare una cosa sola.

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    Devo solo spegnere un ricordo, un sapore da tenere sulle labbra. Che non posso davvero cancellare, che lo sento ancora se le stringo. Anche se non te lo dico, ma lo sai già, è per questo che mi volti, Yaacov? Perché non vuoi guardarmi oggi, neanche lo merito, e mi sta bene. Mi sta bene lasciare che siano le tue mani a guidarmi, che mi indichino dove andare, cosa fare. E fallo tu che non voglio avere l'onere di farlo io. Non voglio svegliarmi da un sogno e rimettere piede in un incubo, lo capisci?
    Perdonami, se poi finisce così, che ansimo piano quando mi baci, quando mordi ed ancora lo fai senza i canini. Ma io aspetto loro, dio, li bramo anche nel luogo più sacro. Ormai io non ho niente che sappia dirsi tale, mi è morto tutto, e non posso, non posso vivere quei brividi che mi date voi, sulla pelle. Tu in un modo, lui nell'altro e... e Chrys che se chiudo gli occhi si arrampica come te. Anche se le tue labbra sono diverse, a volte la pressione sulla mia pelle è la stessa. Allora se davvero riesco, gli occhi li chiudo di più e mi lascio andare. Rilasso ogni muscolo, non oppongo resistenza, se non nel momento in cui sa essere una sorpresa.
    Che se hai sete allora so che non mi stai per assolvere da nessun peccato, che mi farai scontare ogni pena, ogni respiro spinto contro qualcuno di diverso.
    Morales.. è il suo cognome, vero? Di Oswald.. si forse ti stavo ascoltando, anche se so sentirle le tue mani che mi tirano, so sentire il modo in cui sai farmi stare zitto, ed al contempo mi lasci parlare. Qui, il primo ansimo è sempre il mio. Il primo moto che arrossa le guance. "Si? Cazzo.." che è talmente flebile da somigliare ad un sussurro, un piccolo gemito che rimbomba per tutta la chiesa, per la sua navata, per le statue e le iconografie. La protezione, l'odio, il rancore, il dolore. Tutto, da me devi poter bere ogni cosa. Che ne reggerti, nel tenerti con me, affondo le dita nel marmo, schiaccio i polpastrelli aderendo come posso, che io non ho niente a coprirmi adesso. Non da te. Meriterei di essere solo un punto esposto, carne da macello. Anche se poi è dolce il modo in cui ti parlo, che mi rialzo, mi oppongo solo perché mi ricorda troppe cose. Cose belle, quel sentirmi braccato perché desiderato al punto che si è pronti a farmi male pur di avermi. Spezzami, Yaacov. Distruggimi, te ne prego. "Bevi.. da me.." che neanche mi esce, se non in quel soffio di un respiro che è gelo contro ogni superficie, perché tu sei freddo, la chiesa è fredda, il marmo lo scaldo con il mio corpo. "Ti prego.." e tu mi aspettavi, ed io aspettavo questo da te. Bevi, e fammi male, e dammi quella sensazione che puoi solo tu, che è il tuo veleno e la mia dedizione.

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    Mi riservo di una violenza che è solo veicolo di soddisfazione. La mia, la sua, perché da quel che ho sentito in questi giorni ho compreso come Edric non sia fatto solo di purezza. Di quell'animo pallido che gli rimbomba in petto come fosse un fascio unico di luce. Una luminescenza tutta sua, come se fosse egli stesso, appunto il sole. Ma il sole illumina e al col tempo brucia e lui fa lo stesso. Mi logora la pelle, mi dilania la psiche. E lo fa ricordandomi te, ricordandomi me, in un vorticare incessabile di sensazioni a cui non so sottrarmi. Perché è sempre la prima volta e ad ogni affondo, ad ogni spinger di lingua lungo la sua pelle, io ricordo te pronto a sorreggermi i capelli. A scostarmeli dalla fronte affinché non si incollino sul viso per il sangue.
    Il suo sangue. Dio mio, perdonami, ma il suo sangue è così buono, così mio che quasi mi sembra di riuscire a pomparglielo da me lungo le vene. Di alimentarlo io. E magari in parte è vero. Lo è quando inizio a spogliarlo e nel farlo spoglio anche me. Che dio può starci a guardare, se vuoi: Non c'è niente di impuro qui, niente di sbagliato, niente di ingiusto. Non lo sa essere quando lui ansima. Quando io, preso dalla medesima sensazione, ansimo a mia volta. Come con le carezze che mi davi tu. Come con il coraggio che infondevi tu.
    E allora infondo a lui la medesima grazia. In affondi che sono solo il baluardo di quest'ennesima unione. Due corpi che si alimentano divenendo uno solo. Uno e perfetto. Uno e trino, che qui con noi ci sei anche tu. Ci sei sempre, Patrick. Sei sempre tra queste lande spoglie. Tra questa cristianità assente, fittizia, macabra.
    ''Sh...''
    Il mio è un sibilare all'orecchio, un bacio che ricerca il lobo, un sussurro che si rifà dolce lungo il collo, un primo morso, leggero. Trattengo solo la pelle per arrossarla un po'. Per giocare, sì, più con me che con lui. Che mi testo, mi porto allo stremo da solo. E lo faccio fintanto che lo stringo contro il petto. Che il suo mi piace perché è liscio come il mio. Non ha imperfezioni, è di fattura umana. C'è dell'arte nella sua vita. Nella sua nascita. La sezione aurea parte dal suo cuore. Parte del suo naso, dal suo ombelico.
    Ma il sibilo diviene un ringhio. Ed io la sento la bestia come fa fuoco e fiamme nel mio petto. Come si batte affinché io risalga e nel farlo mi spinga sopra di lui. Questo meraviglioso fanciullino pallido. Diamante della vita, di tutto ciò che ci circonda.
    Premo il suo corpo contro l'altare che le spinte si intensificano. Ma non forte com'è che accade con te. Mi contengo, quando si tratta di lui. Quando so che i miei movimenti svolgono una sola ed unica funzione. Qualcosa che funziona, che stimola l'adrenalina è tutto il resto. Io mi drogo di lui, dell'entusiasmo che gli riempie i polmoni, che lo tiene saldamente sull'attenti. Il mio piccolo soldatino. Ed affondo solo così nel suo collo. Portandovi una mano sotto affinché pieghi la testa contro di me. Affinché io possa lambirlo nella sua totalità ed il sangue gli scivoli piano addosso. Lo ridisegni sino a terra. Lungo l'altare.

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    Ti chiedo perdono, se per un attimo ho creduto di saper ancora che cosa dirti, di poter avanzare pretese a voce che non siano animate dal corpo. Il mio, che si modella come lo vuoi tu. Mai restio, in cerca in vece di una forma d'amore che profuma di sangue, che ti bagni le labbra, che ti ricordi perché mi sopporti ancora qui. A muovere i miei passi nel tuo mondo, il tuo regno. La tua non è una vera religione, è un credo, molto simile al mio, ha solo fondamenta diverse. Come le tue dita differiscono da quelle di Chrys, o Oswald. Come i tuoi respiri siano gelo dietro il collo, ed io mi spinga in avanti. E non per scappare dalla tua presa, non posso, tanto che mi ricade il muso più in basso, che scopro il collo al tuo continuo ricercarmi in baci che mordono. E lo faccio perché è una fatica che si nasconde nei gemiti, la mia, che muove solo parte del mio corpo. E non me ne vado, resto alla tua portata, mi incastro dove vuoi, anche quando il marmo lascia lividi, quando preme tagliente sulla carne, quando il suo angolo finisce lungo l'interno della mia gamba, e preme lì con costanza. Io, Yaacov, ti posso dare questo: questa mia variante, questa mia richiesta costante di un perdono di cui non so averne abbastanza. Che se torno qui, se torno a cercare il tuo respiro, il tuo fiato, le tue labbra, con dannato e stupido coraggio, è perché almeno in parte i miei bisogni li conosco. Mi stupiscono quelli che non percepivo di avere, ma non nascono con te, loro vivono nella polvere da sparo.
    E non mi serve chiederti di scoparmi di più, di farlo più forte, che basta tu prema in affondi più mirati per togliermi ogni forza, per farmi vibrare le costole al passaggio con la tua mano, che mi tieni giù al freddo. Ed io ci resto, ad occhi chiusi, godendo di ognuno di quei maledetti centimetri che guadagni in me, che mi sento solo muovere e con te, come una cosa sola, come una macchina perfetta. Nella trepidante attesa di un morso, di un affondo diverso che riapra quel solchi che portano il tuo nome: la forma perfetta dei tuoi canini. Ti prego, affondaci dentro come riesci, Yaacov, prenditi il sangue marcio che mi parla nella testa. Prenditi ogni cosa, ti supplico, e resta con me, non arrabbiarti se sono io che vado e vengo.
    Che quando sento la tua mano, allora sospiro, il cuore pompa più sangue, ti risponde, mi risale le vene fino al punto in cui affondi. E fai male, oh Yaacov fai male anche quando ci provi ad usarmi delicatezze che non voglio. E quando lo fai, le mie labbra si aprono senza che ne esca niente se non suoni strozzati. Perché non devi fermare niente, né il modo in cui il tuo corpo mi cerca, nel il modo in cui ti disseti adesso. La presa gelida sul collo mi uccide, come il calore del mio sangue che, in fiamme, ridisegna fili neri incisi sotto la pelle, li lascia brillare. Attraversa i precetti dell'ordine, le iniziali della mia famiglia, il simbolo dei miei ideali. Di più.. è questo che vorrei gemere quando non ho parole che spezzino la tua sacralità, solo un movimento che sia sincrono al tuo, che mi lasci respirare dalla bocca, come riesco, quando le energie lentamente si distaccano, mi indeboliscono, e più lo fai, e più ne voglio. Vai più a fondo.

    Ci sono cose che non so e che non sai spiegarmi. Ma dici che il silenzio a volte limita gli sbagli. Ma tanto tu lo sai che tenendomi piu stretto. Puoi riuscire a sentire le cose che non ti ho mai detto ━━━━━

    edric çevik
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    La scena è sempre diversa, anche quando porta i vessilli di una forza è prima di appartenere a me è appartenuta a te. Si oscura ed illumina ad ogni movimento di ciglia. Che gli occhi li chiudo quando mi convinco di dover dar sfogo a tutti gli altri sensi. Al gusto, ad esempio, all'udito, al tatto. Che sono tutte cose che in contesti come questi si amalgamano alla perfezione. Lo fanno in virtù della caccia che è istintiva, anche se ha fatto tutto lui: Un coniglio che si tuffa nella trappola da solo. Che il dolore lo ricerca. Quel crack delle zampine tra le tenaglie. Quel sangue che lo abbandona, che lo rinnega. Un coniglio che conosce il suo posto, la sua fine più dolce. L'unica a cui può aspirare davvero. Come una pecora nel suo recinto, che guarda fuori in attesa dei lupi. Siamo tutti parti di una catena, di un cerchio perfetto ed io sono il dominatore, la belva che troneggia sopra tutti, che si lascia illuminare dalla violenza e della pietà si riveste. Come un manto, come una camicia di forza.
    E non sento più nulla adesso se non il lento ed inesorabile scorrere del suo sangue. Giù per la mia gola ad inasprirne la voce. Viscoso tra le dita. Lascio impronte del mio passaggio lungo l'altare. Il marmo si imbratta di lui, della sua vita a me così cara. Ansimo, basta poco per far sì che la bestia vada in frenesia, che prenda posto di tutto il resto. Della passione, del raziocinio, dell'amore.
    Allora spingo, la lingua preme contro la ferita. Succhio piano il nettare della sua esistenza. Ciò che lo rende così caldo, così vivo, così invidiabile. E le labbra si arrossano, così come i sul collo che stringo piano ed il suo petto, dove ho lasciato scivolare il pollice sporco del suo sangue. Una croce astratta, la ferita al costato di Longino.

    Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga.


    monsignor yaacov
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    E mi lascio guidare dal modo in cui il mio corpo cede al tuo. Che sotto le tue prese io febbricito, non mi capacito del modo in cui ti ho trovato. Più crudele, più violento, tu sai punire Yaacov, ed un po' finisci per somigliargli. Tanto che all'ennesimo morso, la mia testa scatta di più verso di te, indietro, a lasciarmi andare del tutto. Che il sangue è vita, la mia, la tua, forse anche la nostra. E vorrei che, bevendo ogni cosa da me, potessi bermi anche i peccati, quelli originali e quelli di cui mi sono macchiato lasciandoti in attesa. Che lo so, da quando ci sono io gli altri ti piacciono di me. Tu aspiri alla purezza del mio sangue, a come si rigeneri in fretta solo perché sia per te una fonte inesauribile. Potrei avvelenarlo, Yaacov, potrei rendertelo mortale, e forse dovrei. Dio, se fossi un bravo Legionario io lo farei. Ed invece resto a chiederti un perdono che non esiste, solo perché tu possa negarmelo. Perché quando poi ti scatta la frenesia lo fa anche in me. E più sangue più togli, e più le spinte mi uccidono in gemiti che salgono ed imbrattano questo altare più del mio stesso sangue. Che le tue mani non le vedo, ma le sento, ed il modo in cui mi tengono... Sii la mia gabbia dorata, Yaacov, tienimi come in un recinto, come si fa con un animale domestico. Lasciami spago solo per togliermelo, che è adesso che io sono finalmente vivo. Quando tu esageri e mi porti al limite, prima ancora che la mia energia arrivi al punto da impedirmelo.
    E' la lotta costante tra sfinimento ed orgasmo, che se il secondo non arriva prima, allora il primo prende il sopravvento ed uccide ogni altra sensazione. Ed io vivo al suo confine, quando .. "Cazzo.. Yaacov.." in qualche modo provo a portarti alla ragione, ma solo perché il mio piacere è talmente intenso che potrebbe finire in un secondo, se non fosse che mi sto controllando, e faccio quello che tu non fai. Mi ribello. Alla presa sul mio ventre, premo la schiena contro il tuo petto, la inarco per separarti piano, uso un po' di quella forza, che è la mera sopravvivenza. Anche se questo è il prezzo del mio orgasmo. "Fai piano.. ti-.. ti prego.." sfiato, lento, sciolto tra le tue mani. "Non uccidermi davvero..." quasi un sussurro quando la testa la reclino, te la spingo contro, ed una mano mi risale fino al tuo polso, quello che mi stringe in collo. Faccio presa lì, conficco piano le unghie nella tua pelle, senza quasi scalfirla. "Y-..yaacov, piano.." Gemo.

    Ci sono cose che non so e che non sai spiegarmi. Ma dici che il silenzio a volte limita gli sbagli. Ma tanto tu lo sai che tenendomi piu stretto. Puoi riuscire a sentire le cose che non ti ho mai detto ━━━━━

    edric çevik
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    Quattro orecchie ascoltano la sua voce. Una sola bocca ne recide la preghiera. Bacio per bacio lungo la sua pelle. Uno scandire diretto dei voleri. Un peccato che aggrava, che aggiunge peccati su di sé. E ne trasporta il peso lungo le spinte, oltre l'ansimare che si fa preghiera vera. Dove le ginocchia di Edric si genufletterebbero se potessero piegarsi, se non fosse premuto contro l'altare. Ma lui lotta, è per natura un lottatore, allora opponendosi alla bestia la incita a far di peggio, a premere le mani lungo i suoi polsi affinché tornino al suo posto. La dove devono stare. Stretti, immobili. Che a troneggiare su tutto non è il desiderio di un corpo, ma la sete, la disperatissima sete di cui mi lascio travolgere. Ed io non sento più adesso, ci sono altre orecchie che ascoltano per me. Altri occhi che guardano, che giudicano. Che fanno spazio lungo le sue gambe, tra le sue braccia. Affinché la sua fuga non avvenga nell'immediato ed il mio vuoto venga colmato nell'ennesima spinta che cerca il suo orgasmo. Perché il momento che vi sussegue è idilliaco, è perfetto per interrompere la caccia. Per farla mia. Totalmente mia. Voglio l'irrigidirsi dei suoi muscoli. Quei secondi in cui tutto si contrae ed il sangue mi schizza in gola sino a soffocarmi. Poi voglio la pace, la rilassatezza, ma se lui non può darmela allora io non so come placarla. Non so come star buono, come stringere di meno, come avere meno sete.
    Ed un ennesimo ringhio conferma quanto detto: Che non sarò pronto ad allontanarmi dal suo nettare nemmeno per un istante. Non quando lo sollevo di forza per stringermelo contro e posarlo a terra, lungo i gradini. A farlo sdraiare con forza lungo le mattonelle. Curvo, storto, a mia misura.
    Che le labbra da lui non le stacco, se non quando tocchiamo terra, le ginocchia si impuntano lungo i jeans ed un ringhio si fa basso lungo la mia gola. Fastidio, rabbia, io non conosco più queste emozioni.
    ''Edric...''
    Che è un vattene, un perdonami che però non so pronunciare. Che resta lì, immobile, nel viso che spingo nel tuo collo, a leccar via ciò che continua a fuoriuscire dalle ferire. Che ti pulisco come un animale.

    Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga.


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    Ed è un secondo, che divide Paradiso da Inferno. Uno solo, in cui il cuore sale in gola, una saetta tra le vene che tu mordi, che fai tue come hai fatto con me. Ed io lo sono, quando voglio esserlo, non riesco a dividere a metà la mia anima, è tutto oppure non è niente. Ed in questo mi lascio andare, alle tue mani, alle tue labbra. Bevi da me ogni cosa, ma ti prego non uccidermi. Ci sono ancora cose che vorrei fare, forze che ho bisogno di avere... una vita che non voglio somigli alla tua, quindi ti prego, ti prego Yaacov perdonami se non lotto più. Se quando la forza viene meno nell'orgasmo, viene meno anche il mio modo di muovermi contro di te. Mi fermo, mi imposto in un cuore che scoppia nello stesso momento in cui il tuo veleno arriva al suo centro perfetto. Yaacov, non uccidermi!
    Ma è tardi, perché il mio corpo ha solo una scossa, una tra le tue mani, quando lascio che la testa scivoli giù con te, contro il tuo petto, al sicuro in un modo in cui non può esserlo mai. E sto bene, ma sto male, mi hai prosciugato troppo, posso sentirlo nel modo in cui neanche i muscoli adesso rispondono, sono atrofizzati, fermi ad un volere tale per cui senza il tuo comando neanche si muovono al momento.
    Ed è colpa mia, che ti ho istigato, io che ho avuto ciò che volevo, no? Quello che meritavo, e forse neanche la sento la lacrima che scende quando gli occhi li ho ancora chiusi, quando ti stacchi piano da me, alla fine. E lo sento, che mi chiami, tanto che le palpebre si stringono un po'.
    Riesco solo in una cosa, tra un respiro mozzato e l'altro, che riprende fiato è difficile. Mi porto la mano destra alla ferita, nel farlo ti sposto piano il viso, in quel "faccio io, tranquillo" che ti devo, lascio che sia quella poca forza che mi resta almeno a richiuderla, nel brillare lento di una piccola luce bianca. "Va.." stringo i denti, piano, riapro gli occhi. ".. tutto bene" sfiato, lento. Che la mano sinistra è ancora stretta a te, ai punti casuali dell'abito che si raggiungere.

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    Comprendo i silenzi dacché ho smesso di parlare. Come quando ogni notte finivo per girarmi dall'altra parte del letto nella speranza di poter così fingere un sonno che per noi non sarebbe mai arrivato. Che non esistono momenti di pace in cui potersi tuffare. Niente da lasciar sparire dietro le ciglia. Gli occhi non li chiudiamo più da tempo. Restiamo sempre vigili nonostante qualcun altro sappia sempre prendere il sopravvento. Come la bestia, come il suo dolore che poi non è altro che la nostra sete. E non imparerò mai, forse, a far pace con me stesso quando mi stacco da questi corpi ed il loro sangue continua a grondare dalle mie labbra. Trattengo un respiro che lo lecca via dagli angoli della bocca. Un sospiro che non è mio, perché umano non sono più, ma che resta comunque figlio di ciò che sono, di un'abitudine che negli anni non ho perso. E mi stacco così, da lui. Che non so accarezzarlo, non quando è stato pasto ed io mostro. Non lo guardo nemmeno, non quando lui i silenzi non sa mantenerli, che li rompe sempre. Li macchi sempre con la sua meravigliosa presenza. Ho un'espressione che forse non posso nemmeno nascondere. Un cipiglio che mi increspa le sopracciglia, che mi contrae il viso.
    ''Bene.''
    Ripeto, gelido. Mosso da una rabbia che mi spinge a ringhiare anche quando non è più la bestia a farlo. Lo ripeto come per fissarlo perfettamente in testa. Che sta bene. Lui dice che sta bene, ma so perfettamente come questo non sia vero. Una menzogna, certo, a qui si appella nella speranza di potermi mentire senza che io me ne accorga.
    E lo afferro per i fianchi in un attimo. Che so caricarmelo contro le spalle anche se i pantaloni sono ancora sbottonati in vita. Che è più importante lui, forse, del decoro. Ringhio ancora, piano, lungo il suo orecchio.
    ''Così bene che ora riposi.''
    Un imposizione, la mia, che sento come io sia andato oltre. Come io abbia sbagliato, questa volta, ad assecondare i suoi capricci.

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