Dizzying Encounter

Mireya & Eme

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    E' un incontro importante quello di stasera. Ed ammetto di sentirne la pressione, non perché non penso di esserne all'altezza, ma perché so quanto questo conti per Rufus. Il nostro è stato un fidanzamento molto veloce, non che in fondo mi aspettassi diversamente. Ero già consapevole che avrei avuto un matrimonio combinato, e questo, nonostante non lo sia, ha una fragranza molto simile. Una tonalità già vista, ma con quel grado differente che cambia tutto. Ho deciso di sposare Rufus per ciò che rappresenta, per ciò che è nell'anima, nella profondità del suo essere. Ciò che io cerco e desidero, incarnato in persona. Ma non devo convincere solo lui. Ed è giusto così. In fondo per molti sono l'ultima arrivata, e potrei anche solo puntare alla sua posizione, senza però esserne degna. Questa serata serve proprio per costruire le basi su fondamenta solide. Eme, il primo passo, prima di tutti.
    Metto l'unico abito che abbia portato con me degno di questa serata, rosso scuro, intenso, che ricorda il sangue che così spesso noi vediamo e bramiamo. Ci siamo accordate in zona franca, fuori da Putnam, fuori dai soliti confini. Non ho ancora dimestichezza con le strade di New York, perciò faccio in modo di arrivare decisamente in anticipo, perché se c'è una cosa che odio, è il ritardo. Sussurro il nome falso che ho dato per la prenotazione, Suarez, giusto perché il mio accento mi tradisce prima di qualunque altra cosa. Ho già avvisato Eme del nominativo, una precauzione che ho sempre preso in Sud America, dove famiglie di creature potevano riconoscerti per la fama della tua famiglia, informatori che parteggiavano per la loro parte che potevano fotterti mentre nemmeno potevi accorgertene. Le abitudini sono dure a morire.
    Ordino un El Diablo mentre aspetto, ticchettando le dita sul tavolo, sicura che non avrò molto da attendere. Scommetto che questa serata non è importante solo per me.
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    Ci sono giorni in cui è difficile, particolarmente difficile. Lo è fin dal mattino, da che ti svegli.
    Prima ancora di aprire gli occhi senti come il tepore fatica a dissolversi, diventa piuttosto denso, come un mattone che si solidifica e preme sul petto, proprio al centro. E più rimani lì, e più preme e diventa pesante, ti vorrebbe alla lunga costringere a rimanere a letto e a rifugiarti in quel pensiero che ti fa allungare la mano a tastare l'altro lato del letto, e sentire, come ogni volta, che non c'è nessuno. E allora finisci a chiederti dove sia, cosa stia facendo, ma con ingenuità, fino a che non si fa largo un pensiero crudele torna di nuovo a ferirti dove ti fa più male. E ti chiedi se ci sia una soluzione. Se le cose debbano per forza andare così, se dipenda solamente da te, se non sia già troppo tardi. Troppo tardi. Ti chiedi se non abbia deciso tu, con il tuo orgoglio, la direzione di questa storia, e se ci possa essere una qualche forma di rimedio. La nostalgia è un male mortale. Più dell'orgoglio? A chi conviene cedere?
    E poi un pianto di bambino ti riporta alla realtà. Ti fa pensare "Oh, sì, è qui che sto adesso". Qui dove? In questa vita, in questi panni. Però a volte il passato non troppo passato prende il sopravvento, e allora fa male, è una spina sotto al piede quando cammini, è un rantolo dentro il cuore che non si esprime, non trova modo di sfogarsi, rimane lì e non piange, non urla, non fa niente, fa semplicemente male. Fa male pensare che non ti importi, fa male continuare a dimostrarlo e a dimostrare a te stessa che sai andare avanti. E il più delle volte non ci riesci, allora provi ad avere pazienza, sì, l'unica pietà tu concedi alla te più intima con cui bisogna avere molta pazienza, molta comprensione.
    Volevi conoscere Mireya. Non hai chiesto il permesso a Rufus come un capofamiglia lo chiederebbe ad un altro; del resto non avresti comunque mai avuto tu la voce in capitolo della questione fidanzamento. Sei semplicemente Emeraude, sua cugina, e le cose, sì, sono state abbastanza veloci anche per lui da metterti addosso la voglia di guardarla nel viso come si deve e vedere cosa ha negli occhi. Un po' stai proteggendo Rufus, sì, c'è molto probabilmente anche questo, dopotutto, dopo tutto quello che hai passato. Però sei contenta, anche se così sembra strano. Sei contenta, se non che abbia trovato l'amore, quantomeno che abbia trovato la sua strada. Non sono le promesse che ti ha fatto, fossi stata ancora una Foulger forse ti saresti presa il diritto di guardare Mireya con certi occhi, ma adesso no.
    Pensi al matrimonio, e se è contento Rufus allora lo vorresti essere anche tu, vorresti essere contenta fino in fondo, davvero fino al midollo, al punto di scalpitare per l'euforia, aspettare soltanto che arrivi il giorno. Ma c'è la ferita, la stessa, la solita amarezza di quando ti trovi a fare i conti dei giorni che sei da sola, a come, nel momento migliore, per te sia invece esploso tutto quanto con un catastrofico boom.
    Entri nel ristorante, guardandoti attorno. Dici il tuo nome alla ragazza del banco: sei capofamiglia da poco, ma non serve, è un nome che vale quanto basta.
    «Ciao.» la saluti prendendo posto sulla sedia di fronte a lei, al tavolo. Forse è persino fin troppo ben vestita, ma ammetti di non dover essere suonata così informale quando le hai chiesto se potevate vedervi.
    «Ti ho fatta aspettare? Scusa.» le dici notando il bicchiere di fronte a lei.
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    Ciao, no nessuna ritardo. Ho solo il vizio di arrivare sempre in anticipo. Vedo che accenna al drink. Ed un sorriso che cerco di nascondere si dipinge sul mio viso. No, stasera non bevo, stavo provando ad immaginare se lo avresti bevuto. So bene quanto questa serata debba procedere nel verso giusto, voglio che proceda per il verso giusto, ben conscia della posta in gioco. Inserirmi in questa famiglia, nei Foulger, non vuol dire aver solo l’approvazione di Rufus. In quanto sua promessa sposa, devo essere accettata anche da tutti gli altri, o il rischio di creare una frattura che destabilizzerà la famiglia è la cosa più concreta che mi viene in mente.
    Sei mai stata qui? Mi piace molto. Certo, forse un po’ lontano da quello a cui sono abituata, ma visti i chilometri che mi separano da casa penso sia inevitabile. Credo anche che questi cambiamenti sanciscano definitivamente il taglio con il mio passato. Grazie per aver accettata di organizzare questa serata. Ci tenevo molto. Gioco a carte scoperte. Nel corso degli anni passati come ambasciatrice per la mia famiglia in tutto il Sud America ho sviluppato diverse abilità, il carisma, il saper indossare una maschera, la finzione. La sincerità. In questo specifico caso ho deciso di adottare questo approccio, proprio per la persona che ho davanti e per il significato che ha nel rapporto con Rufus. Non posso risultare falsa o costruita davanti a lei, che ha troppo potere nelle sue mani rispetto al mio ruolo. Non ti nascondo che non so cosa aspettarmi, ma credo in fondo che non debba preoccuparmi. Mi dimostro sicura di me e soprattutto sincera nel dirle e quindi ammetterle la posizione che so ricopre.
    Nella mia mente si sta dipingendo un’immagine, una sfida a colpi di racchette di tennis, un botto e risposta continuo, colpi su colpi. Se sarà un’amichevole o una battaglia agguerrita questo è ancora da scoprire.
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    «Non sono una bevitrice abituale, ma lo apprezzo, grazie.» le rispondi, buttando un occhio sul bicchiere che ha di fronte. Già solo perché è complesso dedicarti a qualcosa che non siano i tuoi figli adesso. Non ti riesce capire di cosa si tratti, ma non è importante, comunque non lo rifiuteresti. E non si tratta di codici da rispettare, quanto più di semplice cortesia. È così che vuoi impostare questo incontro, senza troppe formalità, senza quelle, almeno, che si devono di norma ad un Foulger. O meglio, che uno sconosciuto deve ad un Foulger, perché una volta parte della famiglia ci si rende conto che si tratta solo delle mura di un insediamento ben fortificato. E poi vorresti ricordarle che non sei più una Foulger, che non è a te che deve quella forma di rispetto. Con te è un'altra cosa, prima ancora che essere una questione legata ai Kabakov, al nome che ti rappresenta adesso.
    Perché li riconosci i suoi. Sono codici, parole e movimenti soppesati per dimostrarsi all'altezza di qualche cosa. Non è con te che dovrebbe sforzarsi tanto di rimanere con la schiena dritta; dovrà serbarlo per qualcun altro, qualcuno come Anson. Perché se a te basta il giudizio di Rufus a lui no, a lui di certo non basta, e allora sì che le servirà avere la schiena dritta e la capacità di compiacerlo con le parole e le doti. Ma qui poi rimanete tra donne, e per te questa cosa vale di per sé abbastanza. Se non ci si sostiene, in questo mondo di uomini, dove andremo a finire. Banalmente. Ma sì, sai anche cosa significa essere donna in una famiglia come quella dei Foulger, o anche solo semplicemente in un mondo fatto realmente di soli uomini. Lo sai come ci si sente ad essere soli, già solo in questo. E se da un lato è una molla che sprona costantemente alla lotta e alla resilienza, dall'altra non ce la fa a rappresentare un vanto. Non serve che qualcuno ti ricordi come era quando c'era Andre ed eravate una famiglia. Non serve negare quanto ti manchi.
    «No, a dire il vero no. Ne ho solo sentito parlare.»
    Perché è difficile anche lasciare Putnam Valley ultimamente, e farlo ora, dopo i mesi passati a cercare fuori casa un demone, è diverso. È come se qui fuori non sentissi di avere un vero e proprio scopo. È inusuale rimanere con le mani in mano. È strana l'idea.
    Le accenni un sorriso in risposta.
    «Non lo so neanche io, in realtà.»
    Niente, vorrebbe risponderle. Non dovrebbe aspettarsi proprio niente. Non l'hai mai percepita la fama che, forse, ti precede, e sicuramente lo fa grazie a Rufus, non credi ancora veramente per altro, anche se le tue scelte hanno fatto discutere.
    «Ci tenevo solo a conoscerti. Niente terzo grado o quel che è. Non sono una Foulger.»
    Anche se fa strano dirlo, ed è ancora più strano sentirlo uscire dalla tua stessa bocca, pronunciato con la tua voce ferma.
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    Come me, anche tu vai diretta al sodo. Forse è meglio così, non è su basi di finzione e danze di parole che voglio porre il nostro rapporto. Per quanto le tue parole mi diano conferma di ciò, rimane il fatto che non posso esimermi dal considerarti una persona da conquistare, se non un’amica, un’alleata. So bene come funzionano le cose nonostante io non sia originaria di queste zone. Nel nostro mondo, quasi ogni cosa si assomiglia alla fine, salvo rare eccezioni. So bene il mio impegno verso chi andrà, chi dovrò conquistare. Da chi mi dovrò guardare. Ma trovo impensabile riuscirci senza costruire relazione stabili al di fuori di quella con il mio futuro marito. Anche solo per una questione di sanità mentale. Per questo mi esce automatico sorriderti, Eme. E’ esattamente il motivo che mi ha spinto a chiederti questo incontro, più informale che ufficiale. Di quelli in fondo ne ho fatti e dovrò farne molti altri. Spero di non averti creato disturbo facendoti uscire da Putnam Valley, volevo godermi un po’ la città. Conosco la tua storia, ed evito di toccare troppo apertamente quelli che potrebbero essere nervi scoperti; di contro però sei una madre e non è servito Rufus per farmi capire quanto possano significare per una madre.
    Nonostante tu dica che non lo sei, e i do ragione, so bene quanto Rufus tenga a te. Sono curiosa di conoscerne il motivo, lo ammetto. Il fatto che non solo la rispetti, ma ne tenga in considerazione l’opinione, ha aumentato la curiosità; scoprirne i motivi è diventato quasi quanto assaporare dopo tante descrizioni il nettare dolce di un prelibato frutto proibito. Arriva ora l’acqua che ho ordinato per me, un rapido cenno del viso a cortesia per il cameriere, evidentemente attento a non fare errori. E’ il genere di cosa che provoca in me ondate di soddisfazione: il risultato del rispetto che mostrano gli altri per chi sei.
    Vuoi rompere subito il ghiaccio con qualche domanda o prima ordiniamo?
    Rido, una battuta che lo è solo per metà; in fondo mi serve anche per capire i toni di questa cena, seppur informali, e la sua predisposizione. Se cordiale o guardinga.
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    «No, tranquilla. Passo già troppo tempo a Putnam Valley.» le rispondi facendole un cenno con la mano, scansandole quel pensiero. Che è vero sì, praticamente è diventato ancora più difficile uscire da Putnam Valley, e paradossalmente è diventato invece anche il momento in cui la tua presenza è richiesta più qui, in mezzo alla gente e agli altri cacciatori, che laggiù. E questo considerando soltanto il tuo essere cacciatrice e capofamiglia; l'essere anche madre di quattro figli poi non fa che rendere ancora più complesse e impegnative le cose. Ormai non ti è sconosciuto questo sentimento: la nostalgia persino per le fatiche di una volta, che in confronto a queste di adesso sembrano quasi nulla. Sì, in sostanza è tutto successo nel momento sbagliato, ma è anche vero che non potevi permetterti di aspettare che le cose "migliorassero" per prendere delle decisioni tanto risolutive e soprattutto stracolme di immediate conseguenze. Di tempo ne hai perso anche troppo. È solo che a volte non ti sembra di vedere il capo di tutta la matassa che è diventata la tua vita. Ti resta soltanto l'angoscia di star lasciando qualcosa da parte, involontariamente dimenticato, sommerso da tutte le altre preoccupazioni: che sia un figlio, o una responsabilità come donna sola e come capofamiglia. L'errore è potenziale e sempre dietro l'angolo.
    Anche di fronte a Mireya devi indossare la maschera, nonostante tu sia la prima a voler rifuggire le formalità. A volte la maschera serve semplicemente a te stessa, per saperti e fingerti in qualche modo stabile, sperando, alla fine, di crederci e diventarlo per davvero fin tanto che le forze ti tengono ancora in piedi. Però anche soltanto rimanere seduta, ad un tavolo, ad aspettare che qualcuno ti serva, adesso sembra una stranezza e al tempo stesso un privilegio. Uno dei pochi: non vuoi chiedere troppi favori.
    Poggi i gomiti sul tavolo, sporgendoti verso di lei e guardandola negli occhi. Per quanto dica, sta continuando ad essere tutto tranne che distesa. Per Mireya questo è ancora un incontro formale con qualcuno che, beh, non sa nemmeno cos'è che dovrebbe desiderare da lei.
    «Perché io e lui abbiamo avuto un'intensa, bruciante e passionale storia d'amore quando eravamo giovani.»
    E resti con la stessa espressione distesa, mentre osservi la sua e provi a decifrare un'emozione. Qualche secondo di silenzio, il tempo che il gioco faccia il suo effetto crudele, prima di rivelare la pantomima.
    «Carina, vero? Ti sei sciolta un po'?»
    Torni contro la sedia, allungando la schiena. Le sorridi: si deve togliere dalla testa il fatto che tu sia una sorta di… "idolo vivente" o di sfinge posta di fronte all'approvazione di Rufus. È un desiderio che comprendi, il vostro mondo, del resto, è tutto tranne che accogliente, la tua famiglia non lo è come vorrebbe far sembrare. Ma glielo hai già detto, non sei una Foulger, non più, nonostante il prezzo da pagare sia stato alto.
    «La risposta vera è: perché siamo praticamente fratello e sorella, nonostante solo i nostri genitori siano effettivamente cugini. Siamo stati cresciuti e addestrati insieme. Ci guardiamo le spalle a vicenda.»
    Il che, obiettivamente, forse incentiva la sua smania di volerti compiacere, ma questo non serve. Serve soltanto che sia convinto Rufus, nient'altro. Tu sei meno che accessoria a questa storia.
    Fai un cenno alla cameriera per farti notare.
    «Però va bene, se vuoi le domande allora eccotene una: da dove vieni di preciso?»
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