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Quincy/Maria | Penguin Random House, Broadway | 18/12/2023

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    Quincy Auberon Rowle
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    «Buongiorno» si avvicinò al bancone all'ingresso, con un sorriso cordiale. Le istruzioni per accedere alla parte magica erano state sufficientemente chiare, prevedevano un tocco un po' british che aveva apprezzato, doveva essere il retaggio della modernizzazione fatta dopo la fusione. Una fusione anche culturale, per così dire. «Dovrei incontrare il signor Bradley, della collana Mondi Immaginari» acuì il sorriso, compiaciuto dalla naturalezza con cui aveva vestito quei panni quasi da spia.
    L'addetto alla segreteria di ingresso, Herman, a giudicare da quanto recitava il cartellino, lo guardò confuso.
    «Ha un appuntamento?»
    Non era così che doveva andare.
    Si schiarì la gola.
    «Salve. Dovrei incontrare il signor Bradley. Il signor Bradley della collana Mondi Immaginari» alla reiterazione della parola d'ordine gli fu restituito uno sguardo piuttosto ottuso. Era "mondi immaginari", giusto? Forse mondi fantastici, o fantasiosi, qualche babbanata di quel tipo. Ma no, dubitava di essere stato lui a sbagliare, a prescindere da quanto intercambiabili fossero quelle parole.
    «Ho capito, signore, ma lei ha un appuntamento? Il signor Bradley sa che lei è qui?»
    Il signor Bradley non esiste, testa di legno. No. Via, doveva essere più calmo.
    Alzò la mano al portadocumenti in pelle, anche se con l'incantesimo illusorio che aveva generato per camuffare il suo abbigliamento magico appariva come una volgare tracolla da scrittore new age. Un po' come quei tipi insipidi che aveva visto girare lì intorno, come il giovanotto un po' tracagnotto seduto sul divanetto della sala d'attesa, per intendersi.
    Prese il suo biglietto da visita, sporgendolo verso l'ottuso quarantenne che ancora aveva un lavoro così umile come quello di un banale segretario. Neanche troppo sveglio, a giudicare dal fatto che si trovava ancora lì.
    «Sì. Ho un appuntamento» fece scorrere il biglietto sul bancone con un gesto secco, ma tutto sommato sapeva di star nascondendo bene quanto trovasse tutto una seccatura piuttosto... beh, seccante. Herman si piegò verso il piano di legno senza pensare di usare la mano per avvicinare meglio il biglietto ai suoi occhiali.
    «Quincy, che nome particolare. È comune dalle sue parti?» Quincy sapeva che intendeva la Gran Bretagna, il suo accento non poteva lasciare dubbi, né lui era intenzionato a farne emergere.
    «Non più di Herman» cercò di sorridere in modo affabile, anche se per un pubblico esiguo visto che il suo interlocutore stava scartabellando al computer.
    «Ma certo, eccola qui. Ma deve esserci un errore, con chi ha detto di avere un appuntamento? Qui non è segnato nessuno»
    Quando Herman lo guardò di nuovo, Quincy aveva accantonato parte del suo savoir faire per appoggiarsi sul bancone, con la mano che quasi gli copriva la bocca. Era un'attesa estenuante. Mai accaduto con le case editrici inglesi, ma chissà, magari era una coincidenza. Credeva così tanto nelle coincidenze.
    «Bradley. Mondi Immaginari»
    «Sì, non so nulla di quella collana, ma non le conosco tutte, non leggo molto... aspetto di vedere i film, sa, mi piacciono gli effetti»
    Quincy sollevò eccessivamente entrambe le sopracciglia, nella simulazione di un entusiasmo spropositato «Ma non mi dica!» qualsiasi entusiasmo sarebbe stato esagerato a quel punto, ma Herman doveva averlo colto solo a metà.
    «Un attimo che chiamo...» prese in mano la cornetta, ma una donna arrivò alle sue spalle, fermandolo. «Tranquillo, Herman, conosco io il signore, lo accompagno» la donna fece il giro della reception, andando ad accogliere Quincy e facendogli segno verso l'ascensore con un braccio. Lui prese il suo biglietto, salutando il segretario con un cenno appena.
    «Amanda è in malattia oggi, Herman la sostituisce. Mi dispiace, sarei dovuta essere presente al suo arrivo, ma mi hanno chiamato di sotto per un'urgenza» gli fece, appena furono abbastanza lontani perché Herman non la sentisse. Circa due metri, quindi.
    La donna chiamò l'ascensore e schiacciò con sicurezza un pulsante sotto il pian terreno tre volte.
    «Non si preoccupi, è un uomo simpatico» Quincy mentì, cercando di tagliar corto su tutti quei dettagli non richiesti. Doveva solo incontrare l'editor che avrebbe dovuto seguire il suo libro, non conoscere ogni singolo impiegato della Penguin Random House.
    «La prossima volta il problema non si ripresenterà» lo rassicurò la donna, nella discesa in ascensore più lunga della sua vita. Si consolò interrompendo l'incantesimo di camuffamento, così che nessun altro dovesse vederlo in abiti così babbani.
    «Miss Ruiz è già pronta a ricevermi, o mi sta portando nella sala d'attesa?»
    «No è libera. Siamo molto puntuali» oh, se n'era accorto. Puntualissimi.
    Il trillo dell'ascensore finalmente segnalò il loro arrivo, il piano riservato ai maghi si spalancò lì davanti. Luminoso, nonostante fosse sottoterra. La donna uscì per prima, e gli fece strada fino a una porta che portava il nome di Maria Ruiz, non dovevano essere in tanti lì sotto.
    Bussò, salutando la collega e annunciandole il suo arrivo.
    «Prego. La prossima volta la spediranno subito da Mr Bradley di Mondi Incredibili» gli disse facendo un occhiolino, come dovesse essere uno scherzo fra loro. Lui sorrise, senza aggiungere altro. Tanto più che l'aveva colto in fallo.
    «Lei deve essere Maria Ruiz» entrò nella stanza, indossando subito il suo sorriso più amabile, e allungando la mano destra, sprovvista di anelli, non appena la distanza fu tale da permettere le presentazioni. «Quincy Auberon Rowle, incantato».

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    Il suo piano principalmente, ma non solo, era diventato un fermento all'inizio, alla notizia dell'assegnazione del testo di un Rowle, e poi di nuovo in quei pochi giorni precedenti all'effettiva visita dell'autore. Come mai la felicità sul posto di lavoro si tramutava puntualmente in soffocamento senza che nessuno potesse farci niente? Era un passaggio meno strano e astruso di quanto si pensasse. La festa insinuata da una nota sinistra, portata dal rigore, oh il rigore, un richiamo viscerale, un appiglio per chi aveva artigli e voleva continuare a usarli con ogni diritto, artigliare dopotutto portava risultati, sempre, ma che ne era del resto? Se si accennava questa debole ma spontanea protesta ti guardavano esterrefatti, vuoti. Il suo capo era diventato una madre con la lente d'ingrandimento puntata su ogni aspetto organizzativo del matrimonio della figlia, difatti quel preciso giorno, era arrivata e aveva chiuso la porta in modo da mandare un loquace segno, se non per un "Non voglio il vostro stress" almeno per un più diplomatico "Ho bisogno di concentrazione". Era stato un successo vago, siccome la testa con la navata pelata nel centro aveva fatto capolino lo stesso, probabilmente comunque una buona percentuale di assalti era stata respinta.
    E anche in quel momento, per un paio di istanti alle spalle del Rowle, la porta discretamente si aprì e si schiuse alla pelata, giusto una parentesi a cui cercò di non inviare alcuno sguardo fulminante, appiattendo qualsiasi scintilla di dissenso dato che non era opportuno lasciare intuire ai clienti le dinamiche interne personali. Si sentì bisbigliare di voci prima che la porta si chiudesse ma lei cercò di smussarlo ricambiando la stretta e trattenendo l'attenzione di Rowle con un sorriso.
    L'ufficio era accogliente per il legno scuro delle librerie e della scrivania, per il preciso effetto di spaziosità e ordine e per quadri non invadenti nella grandezza né nei colori. Sulla scrivania un paio di pile di testi.
    «Il piacere è mio» con quella nota flessuosa della sua lingua d'origine. «Prego»
    Appariva rilassata mentre gli indicava di sedersi e si accomodava a sua volta, in verità era come una tessitrice che stesse tentando, senza muovere un muscolo, di cucire insieme due correnti ondose, quella della ragazza che era stata e che aveva una non precisa, ma abbastanza forte idea di chi fosse Quincy Auberon Rowle, e la corrente che sintetizzava le sue competenze come editrice le quali dovevano fluire liberamente in tutte le loro diramazioni che avrebbero dovuto calarsi come una rete sull'autore senza che questo sentisse il bisogno di divincolarsi.
    Conosco te e Raelyndra. L'anoressia di Raelyndra. Un pensiero-macigno, rapidissimo e densissimo, fatto scivolare in una piega delle labbra.
    Ovviamente, si era preparata. Ovviamente, il capo poteva tranquillizzarsi, ricordava che il compito dell'editore era far brillare un testo, dare anima e sangue perché alla pubblicazione, potesse vivere la sua miglior vita. Ricordò l'ombra del figlio Manuel che passava a notte fonda in cucina e incrociava l'ombra di lei, al tavolo con lo scritto di Rowle, la cucina come appoggio era una tradizione che risaliva alla Spagna.
    Aveva davanti un autore prolifico e affermato, presumibilmente sapeva quel che voleva. Forse, non una buona cosa.
    Sarebbe stato uno di quegli autori che chiamavano per non perdersi nessun aggiornamento, o per sciogliere le proprie ansie? Lei ancora sapeva poco persino su se stessa, in quanto la sua figura di editrice sarebbe in parte nata da quel primo dialogo, dalle reazioni e parole di Rowle e da ciò che avrebbe capito, e sfatato, di lui.
    Procedere con tentativi mirati.
    «Ha mai pensato all'eventualità in cui alla crescita della fama crescessero anche statura e fattezze? Nel mondo avremmo dei mostri.»
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    Edited by Pane&Marmellata - 5/5/2024, 22:43
     
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    Maria Ruiz. Che nome interessante. Più per l'associazione a un volto e a delle fattezze, collegamento che gli era mancato.
    Non badò troppo a quanto sembrasse nervosa nei primissimi secondi di quella presentazione, in fondo le persone lo erano sempre quando si doveva trattare con qualcuno che veniva, come lui, da un mondo del tutto diverso. Improbabile pure ne conoscesse le regole, non erano molti i rampolli di buon nome che andavano oltre l'indolenza di ripercorrere la stessa professione di facciata svolta dai propri avi, con l'intramontabile principio di pigrizia di chi non doveva lavorare davvero come tutti.
    Si accomodò, lanciando solo un rapido sguardo all'ufficio. Gradevole, peccava un po' di assenza di eccentricità, ma tutto sommato era piacevole. Si aspettava molto di meno, di solito le persone peccavano di buon gusto, era già difficile trovare qualcuno che fosse all'altezza della sufficienza, figurarsi così ardito da condire l'eleganza con l'eccentricità.
    La frase successiva gli fece però trovare tutta l'eccentricità che gli era sembrata assente nell'arredamento.
    Ah, quindi le avevano assegnato come editor una svitata. Non sapeva se prenderlo come un complimento - nel caso in cui la vena di follia fosse l'esuberanza di un certo talento - o come un'offesa. Che l'avessero preso abbastanza sotto gamba da rifilarlo alla signorina tenuta nello staff per qualche scintilla di pietà?
    «Devo ammettere di non averci mai pensato, probabilmente pecco un po' di prevedibilità» rispose con un sorriso cortese. Doveva ancora capire in che situazione si fosse trovato coinvolto, a quel punto.
    «Lei ci pensa spesso o la mia altezza le ha fatto da musa?» continuò con quella gentilezza di superficie che tendeva ad avere sempre nei modi, così da far apparire ancora più innocua la sua irriverenza.

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    Probabilmente, quello che sentì fu di essere "spedita" dietro il tavolo della sala radio. Nei panni di conduttrice radiofonica era più se stessa ma era anche di qualche gradino sociale più in basso per una percezione esterna, spogliata per quanto possibile di sofisticazione, nel bene e nel male.
    La cosa, di per sé, non fu un male. Le permise di vedere come Raelyndra non solo aleggiasse, ma s'imprimesse sul volto del Rowle come invischiandolo in uno schema di cause e colpe, schema in fin dei conti, campato in aria. In generale credeva di aver pensato a Raelyndra a sufficienza, e invece forse si sbagliava.
    Quei pensieri non erano per quel momento. Andava bene sondare il cliente, ma non trasmettergli un riflesso difensivo.
    Un breve interludio di silenzio, poi sorrise leggera, con un atteggiamento lievemente nuovo, come una teatrante che avesse rinunciato alla maggior parte degli oggetti di scena.
    Le mani incrociate basse sulla scrivania, muoveva appena le dita le une tra le altre.
    «Ha spesso a che fare con l'irriverenza?»
    La difesa tirata su non dipendeva solo dal passato. Aveva già le sue idee sul testo del Rowle e una parte di lei sapeva che quando le avesse esternate, sarebbe stato un momento delicato, che aveva naturalmente già affrontato con altri volti, storie e in altri luoghi, ma che comunque non poteva mai essere preso grossolanamente. E dopotutto, fare un lavoro cattivo o appena sufficiente non portava nessuna soddisfazione.
    La critica al testo aveva le sue basi e non restava che lasciarsi trasportare da una discussione degli aggiustamenti con l'autore. Quella parte era la più interessante e potenzialmente avvolgente che non le dava da pensare al di là delle scomodità insite nei rapporti umani acerbi. I pensieri, cosa del tutto scontata, andavano a scontrarsi con la parte più lastricata di ostacoli e che lei doveva dirigere. L'aspetto del libro, curato in ogni dettaglio. Distillare la formula dell'eterna giovinezza, questo il vero significato, questa l'arte reiterata e affinata e sempre sfuggente libro dopo libro, che poteva essere giudicata superflua o vana solo in un mondo in cui una cospicua fetta delle decisioni non fossero prese in base all'apparenza... Non il loro mondo.
    Un editore che sapesse fare il proprio lavoro doveva forse saper fare una sola cosa. A distanza di anni dalla pubblicazione le mani e lo sguardo che avessero ripreso il prodotto, dovevano sentire quel ritorno nostalgico e non alienante. Non nel lessico, non nel carattere, non nel formato. Un'intonazione decisa con il tempo presente che non stonasse evidentemente con i tempi a venire.
    Dopo il libro sulle più recenti scoperte sul comportamento della materia a livello subatomico che in pochi anni, per il suo stile, veniva scambiato per un libro di esercizietti di ginnastica, e dopo la strenua opera di mitigazione con l'autore sconcertato, aveva buone ragioni per voler essere cauta.
    «Signor Rowle, vorrei che mi dicesse cosa pensa del mio lavoro» disse, e dopo aver ascoltato la risposta avrebbe detto: «Bene, ora voglio che mi dica cosa pensa sia detestabile del mio lavoro, la prego» lo incoraggiò senza cambiare posizione.
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    Edited by Pane&Marmellata - 5/5/2024, 22:44
     
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    Era sorpreso, non poteva negarlo. L'ufficio poteva anche essere poco caratteristico per i suoi gusti, ma miss Ruiz pareva esserlo a sufficienza. Con il suo tocco ironico poteva capirlo facilmente, giusto perché capitava così di rado che trovasse qualcuno capace di rispondere a tono con la stessa sottile irriverenza. E poi era piuttosto compiaciuto dalla scelta di parole, gli piaceva sentirsi irriverente. Era un modo elegante per riconoscere brio, pure un certo cinismo, sicuramente una lingua affilata.
    «Se fa questa domanda potrei quasi pensare che non mi conosce» sorrise in modo affabile, in verità sospettava la signorina Ruiz avesse fatto bene i compiti informandosi su di lui già prima di quell'incontro. Una cosa che trovava se non altro di buon auspicio, pur se non aveva ancora avuto conferma.
    Quel clima gradevole gli permise di stare più comodo sulla sedia, dove incrociò le gambe con una certa rilassatezza. E quando le sentì porre una domanda tanto diretta non riuscì a nascondere completamente un certo sgomento, che se non altra trasparì da un preciso guizzo degli occhi.
    Una domanda molto diretta.
    Gli piaceva. Rifletté sul serio sul lavoro della donna, anche se ne aveva avuta un'esperienza a dir poco acerba. Almeno del lavoro di Maria Ruiz nello specifico, con altri editor aveva avuto a che fare più a lungo, anche se ne gli ultimi anni aveva lasciato ad Avonlea l'arduo compito di avere a che fare con certi avvoltoi.
    «Sono in generale diffidente verso la sua professione. Non nego di sospettare che alcuni, fra quelli che ricoprono il suo ruolo, leggano testi per professione ma non padroneggino l'arte di leggere i testi» e anche trasformarli. Nelle migliori condizioni, un editor sarebbe dovuto essere come un fabbricante di bacchette, magari non uno abbastanza raffinato da saperne inventare e creare da zero, ma quantomeno uno capace di prendere la materia prima e plasmare un catalizzatore dall'equilibrio perfetto. Purtroppo era uno scenario che non si verificava spesso, ma se fosse o meno quello il caso era ancora prematuro dirlo.
    «Non dico sia questo il suo caso, ma non posso nascondere che un pregiudizio iniziale ci sia». Giunse le mani davanti a sé, in quella posizione la sua cartelletta poteva stare tranquillamente ferma fra la coscia e il bracciolo della sedia, senza rischio che cadesse.
    E di nuovo, quel commento così serafico, appena un "bene" prima di tornare all'attacco, lo sorprese. Stavolta era sicuro di aver del tutto celato la sua reazione, perché si era predisposto piacevolmente a un certo stupore.
    Punti a suo vantaggio, nessun dubbio.
    «Vediamo, detestabile dice... mi sembra una parola forte» ripensò ai momenti in cui era stato piuttosto seccato dalle modifiche che gli avevano chiesto di fare a un testo, ma perlopiù era una questione legata alla persona, non all'intera professione. Il primo editor, Tillman, era un uomo privo di ogni lungimiranza, gli aveva suggerito di far prendere al libro una direzione del tutto assurda. E Brady, lui sì che era noioso. In quel caso erano state tutte correzioni di forma che servivano solo a rendere più banale ogni frase, a dare un generale sopore alla prosa che aveva trovato intollerabile. Non per niente in quel caso aveva rinunciato, finché non era arrivata Avonlea a fare da mediatore. E comunque, qualche commento assolutamente insignificante sulle cose che avrebbe dovuto cambiare nelle sue prossime pubblicazioni c'era stato.
    «No, non credo di trovare qualcosa di detestabile nel suo lavoro a prescindere».

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    Quante sicurezze sedimentate erano sedute su quella sedia davanti a lei, tante che un "comune mortale" non avrebbe sprecato tempo a enumerarle perché avrebbe perso il conto. Il suo cognome e la storia della sua famiglia erano come un titolo d'apertura brusco e invadente, che avvertiva di cose se non ambigue o estreme - almeno in passato era una macchia vera e reale ma chi possedeva larghe vedute era moralmente tenuto a coprire o gli occhi o quella macchia - quantomeno ingegnose con lo slittamento del termine sul morboso. Ma il Rowle era lì solo per il suo libro e lei era lì solo per il proprio lavoro e non per aggiungere grana personale ad esempio rispondendo con naturalezza alla sua prima affermazione e svelando che, in effetti, un po' lo conosceva e non per i canali che lui credeva, ma dalla scuola, mondo e periodo che molti vorrebbero sigillare in una scatola e dentro il proprio prototipo, il coagulo adolescenziale per molti inspiegabile e indigesto per tutta la vita. Scenario non comune tra gli avvantaggiati, e lo sapeva perché lei lo era stata, ma il Rowle non era stato sempre avvantaggiato, aveva scalato una china della storia che lo aveva tradito e gli si era rovesciata addosso, inoltre credeva che nella sua famiglia non esistesse qualcosa come l'adattamento fluido bensì solo quello di rocce contro rocce, dove i terremoti andavano taciuti. A dire il vero non vedeva niente di tutto questo, ed era una folle a pensare che fosse possibile a partire da, magari, delle occhiaie o uno speciale corruccio della fronte, ma la mente poteva fare giochi stupidi. Giochi sani nell'infanzia e patologici nell'età adulta; un bambino che guardasse per un'ora una noce andava bene - quando aveva colto il suo Manuel al parchetto di Madrid chino su quella noce, sopra la base di un albero mozzato tra i suoi cerchi vitali ormai bloccati, era stata persino fiera - quando era un adulto non molto. Dell'immagine del Rowle ragazzo non era rimasto quasi niente eppure era dentro di lui, leggermente la confondeva come un elemento fuori posto o un fantasma. Nemmeno da quegli anni passati riesumava segni evidenti su di lui, ricordava, forse, che sembrava più ricco di adesso, ma era facilmente spiegato: la maggioranza degli adolescenti di allora, nemmeno oggi si sognavano quel suo contegno, e a quel tempo in quel senso erano tali e quali a dei cavernicoli.
    Non era immune dalle voci e dalle storie, aveva scelto le storie in ogni sua carriera, e molte ne erano circolate, e incandescenti si attaccavano a forza. Non se ne faceva una colpa, ma soprattutto non si faceva una colpa del fatto che lui trasudava aria aristocratica e per lei l'aria aristocratica era, in buona parte, un miasma. Però c'erano il lavoro e Raelyndra che era quel peso enigmatico e critico che premeva sulla sua curiosità e, in un certo modo, la estendeva, quella curiosità cui lasciò inaspettatamente prendere il comando della conversazione nella sua parte successiva. Al riferimento alla sua conoscenza non era stata di marmo, un'esitazione tagliente le aveva attraversato volto e labbra, e non aveva risposto. Un vortice di condizioni attraversate, risalite, ecco ciò che intuiva su di lui e che la portava a riconoscergli la sua stima.
    L'ultima cosa che disse le strappò un sorriso che solidificò ancora di più un buon equilibrio. Ben detto. Quel suo pensiero capace di scremare avrebbe reso le conversazioni piacevoli.
    "Non escludiamo che troverà me detestabile, ma non sarà un problema" scosse piano la testa tra sé "Il punto è proprio che vorrei che me lo dicesse. Con gentilezza, se possibile. In fondo non sono fatta di roccia" una battuta, dopotutto aveva abbandonato suo figlio. "Voglio dire che potrei essere detestabile, perché non mi tratterrò. Con la dovuta gentilezza, ovviamente." Si mise più comoda sulla sedia corrugando appena l'espressione, le braccia allungate sui braccioli, aperta e attenta verso di lui. "Interessante quel che ha detto sull'arte di leggere. Non posso lasciar stare. Parla di arte in riferimento ai suoi metodi o alla sua potenzialità tra intimo e divino? Cos'è per lei? Se non vuole rispondere capisco, io non risponderei, ma può farmi un esempio che coinvolga qualcun altro."
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