Can you hear me Achilles?

Emeraude/Kieran | 20 ottobre | Putnam Valley

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    Era diventato strano il silenzio in questa casa. Irreale, segno di qualcosa di doloroso che se ne era andato e non sarebbe destinato a tornare. È stato insopportabile, per un po'. Necessario riempirlo, e ora che un po' ti sta riuscendo di nuovo, adesso è un tipo di silenzio diverso. Uno quieto, uno che al posto della rassegnazione ha portato, lentamente, una calma sospesa di indecisione, la semplice e tiepida consapevolezza dell'imprevedibilità degli eventi. Una strada senza fondo, una mappa bruciata, una meta cancellata dalle carte. Come la speranza - e se non la speranza almeno la fiducia - che dalle spine ci rinasca qualche cosa, qualsiasi cosa, senza la fretta di scoprire cosa. Come una pianta che non sente il bisogno di troppa acqua, che si è abituata a centellinare quella poca, certa, che le viene data ogni giorno, e cerca di imparare a non chiederne di più. Oh non è facile, non lo è per niente, non è neanche un progresso che va solo avanti, evolutivo, sempre meglio. No è un percorso naturale, a salti, scossoni, discese, e, quando uno ci stava sperando troppo, di nuovo salite che son quelle cose che ti scopri incapace di sanare o di superare, anche se lo vorresti tanto a volte semplicemente per smettere di soffrirci.
    I bambini, ormai sono quasi l'unica cosa oltre a questa casa. E c'è di più oltre al crescerli, al fare tutto per loro. Certo che c'è. Vorresti persino dirti che è finito il tempo delle barricate nelle quali proteggerli, e ci provi. Non è ancora facile. Forse stai cominciando persino ad accettare il tuo limite, e questo, stai scoprendo, aiuta te e loro. Anche se non è ancora facile. Non quando la tua famiglia ancora chiede di valutare se tu sia davvero all'altezza della tua indipendenza. Non quando sei tu che ti sforzi per dimostrargliela, per mostrare quello che è e vuole diventare Putnam Valley. Anche se una volta le cose erano diverse.
    Ecco, vorresti provare a non pensarci più. Per quanto difficile sia però cercherai, con il tuo limite, di fare questo sforzo.
    Avere contatti però con famiglie esterne, non americane addirittura - o francesi - è già un traguardo raggiunto senza tante altre raccomandazioni o passaggi di parola prima attraverso le bocche dei tuoi Foulger. È già qualcosa, anche se ancora ci sono stanze della tua casa-biblioteca, tremendamente caotiche: pile di libri ancora a terra che devono finire su scaffali ancora da riordinare completamente, da spostare da una stanza all'altra. Una discreta mole che pensavi di gestire in tempi più brevi, ma alcune pile sono ancora lì, dopo settimane. Le cose più rare e preziose disposte già con cura, gli oggetti meno pregiati insieme alla polvere.
    Forse non era questo quello che la famiglia Callaway, e Kieran Callaway, si immaginavano arrivando lì dall'Europa. Molto americano, sì, anche il caos senza un vero inventario a gestirlo. Ti ci erano voluti due giorni, infatti - contando solo i ritagli il tempo libero e disponibile - per trovare quello che ti aveva chiesto, e che avevi ingenuamente creduto di poter reperire con maggiore facilità.
    Bussi leggermente alla porta socchiusa della stanza, dove un'oretta prima, passando hai intravisto il suo profilo slanciato e curvo su qualcosa.
    «Posso?».
    Scivoli piano nella stanza accorciando la distanza e allungandogli il libro.
    «Meglio tardi che mai? Era esattamente in mezzo al caos che ho ancora da risistemare.».
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    Fin dove si estende la conoscenza umana e dove inizia il regno dell'ignoto?
    C'erano troppe domande che mi frullavano in testa, come una mosca che va a sbattere ciecamente contro il muro, e continuavo a sentirmi a un passo dalle risposte senza riuscire mai ad afferrarle.
    Ero praticamente immerso in un oceano di libri, ancestrale fonte di inimmaginabile ed inaudita ricchezza, eppure nessuno di questi si rivelava il giusto alleato per la mia crociata.
    In questo mondo ci sono cose che strisciano silenziose nell'ombra, di cui, per natura, sono destinato a restare eternamente all'oscuro. Cose che tuttavia sono costretto a strappare dalle tenebre e dalla ruggine del silenzio per esporle alla luce del sole.
    Mi era bastata una telefonata a cambiarmi tutto. Poche parole da mia madre e mi ero trovato catapultato in una missione la cui responsabilità non sarebbe dovuta ricadere su di me, ma che tutti concordavano fossi la persona giusta per portarla a termine.
    Che era scontato dovesse essere mia.
    Mio fratello aveva qualcosa che non andava. Qualcosa a cui non riuscivamo a dare una definizione chiara e distinta.
    Sin da quando ne avevo memoria Victor era sempre stato inconfondibile nel suo modo di essere e di fare, ma in lui c'era una nota che stonava, che faceva risuonare tutti i campanelli d'allarme nella nostra testa.
    Nei primi tempi ci avevamo chiuso un occhio o minimizzato la cosa, considerati i suoi trascorsi che bene o male finivano allo stesso modo: un assegno da staccare per comprare il silenzio di una compagnia indesiderata o per raffreddare il fuoco rovente che animava i creditori. A lungo andare, tuttavia, ci eravamo resi conti che non era uno dei suoi soliti capricci da sottovalutare.
    Non più.
    C'erano poi queste cose da gemelli a rafforzare questa supposizione: il filo invisibile che mi legava a Victor si tendeva nello spazio e vibrava, veniva tirato con forza quando uno dei due era sul ciglio dell'abisso.
    Avevo poi una strana sensazione che mi pungolava il petto e che mi era difficile da ignorare, perché era come una spina che mi trapassava lentamente lo sterno fino ad arrivare al cuore.
    Se un gemello si taglia, l’altro sanguina.
    Ma avevo bisogno di qualcosa di più di una semplice sensazione per rimettere a posto i tasselli.
    Un giro di telefonate e di strette di mano e i miei genitori mi avevano spinto sulla strada verso Putnam Valley: se le informazioni esoteriche sono ciò che cerchi, a Putnam Valley devi andare.
    Sulla causa dei comportamenti di Victor, più insoliti di quanto non lo fossero già, qualche vaga idea ce l'eravamo fatta, ma nessuno di noi aveva il coraggio di dirla ad alta voce.
    Mi sentivo terribilmente sbagliato, inadatto, ad assumermi il pieno peso di questa consapevolezza. Di tutti i Callaway presenti e di quelli che ci avevano preceduto, ero l'unico ad aver saltato il gene magico.
    La magia, ecco, la percepivo soltanto attraverso gli occhi e le bocche degli altri.
    Malgrado ciò non mi scoraggiavo. L'informazione poteva avere lo stesso potere di una formula recitata a memoria o di una runa incisa sulla pelle. Dovevo solo arraffarmela.
    D'altronde avevo il Signore con me, mi avrebbe guidato, accompagnato in questo percorso tortuoso che andava ben oltre i miei limiti in quanto magonò.
    Inoltre, non potevo soffocare il bisogno innato di aiutare mio fratello, nonostante tutto.
    Continuavo a sfogliare con delicatezza, quasi con una certa minuziosità, le pagine dei volumi che la biblioteca di Putnam Valley mi offriva. Pochi libri erano idonei allo scopo della mia ricerca, ma erano già qualcosa.
    Da qualche parte dovevo pur partire.
    Il lieve bussare alla porta mi fece sollevare lo sguardo dal libro e le immagini di miti, leggende e antiche credenze popolari vennero sostituite da una visione più riassicurante.
    La proprietaria di Putnam Valley era davanti a me, la mano protesa verso la mia direzione.
    "Questa è casa sua, non dovrebbe chiedere il permesso per entrarci." Le feci notare abbozzando un lieve sorriso a labbra strette, sfilandomi dal naso gli occhiali da riposo e chiudendo con l'altra mano il volume tascabile che avevo trovato per puro caso, sommerso com'era da una pila di libri che mi arrivava circa a metà busto.
    Mi mossi in avanti per prendere ciò che mi stava porgendo, e nell'atto le nostre dita si sfiorarono. Fu un momento troppo breve per indugiarci su, ma abbastanza lungo da sapere che le sue mani erano calde, al contrario delle mie.
    "La ringrazio, Emeraude." Sollevai a mezz'aria l'oggetto che le avevo chiesto qualche giorno fa, il cui titolo inciso nel cuoio diceva: "Storie di Esorcismi: dal Vaticano ai veggenti di Medjugorje".
    Non mi aveva ancora fatto domande a riguardo, forse perché per un cacciatore come lei era un argomento del tutto comune, se non perfino banale.
    "Come in alto così in basso, come in basso così in alto." Recitai a memoria una frase che mi era rimasta impressa, come una cicatrice indelebile, mentre frequentavo i corsi di Teologia tanti anni addietro. "E' un'antica traduzione della Tavola di Smeraldo di Ermete. La tradizione vuole che Ermete avesse inciso le parole della tavola su una lastra verde di smeraldo con la punta di un diamante, e che Sara, moglie di Abramo, l'avesse in seguito rinvenuta all'interno della sua tomba. Emeraude significa Smeraldo." Spiegai alla fine, rivelando il collegamento tra il suo nome e il ricordo che mi era spontaneamente affiorato nella mente.
    "Lei ha una splendida casa, davvero." Accarezzai con lo sguardo il legno caldo che costituiva l'intera abitazione, resistendo all'impulso di aspirare per l'ennesima volta l'odore di vecchio che emanava ogni libro.
    C'era disordine sì, ma non mi dispiaceva, nemmeno per un po', ma ciò non significava che me ne sarei rimasto con le mani in mano.
    "Posso provvedere io a smistare questi libri." Indicai la prima pila che trovai sotto mano. "La prego, è il minimo che possa fare per ricambiare l'ospitalità."
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    «Mi dai ancora del lei ti esce spontaneo, quasi istintivamente.
    Semplicemente perché i formalismi suonano strani, non sono mai esistiti nel tuo ambiente e mai esisteranno. Non si riservano neanche al capofamiglia più rispettabile della famiglia più rispettata. Forse perché l'onore e la dignità del singolo manca di sovrastrutture a cui aggrapparsi e rimane alla terra, al senso comune, al sanguigno. Tutti fratelli nella Caccia, anche se comunque esistono fazioni, faide, nemici, odi viscerali che a volte si risolvono nel modo meno "moralmente accettabile", non per chi vive in una società diversa dalla vostra: piccola Babele fatta di fango e ossa.
    «Non ce ne è bisogno davvero.» indipendentemente però da tutto questo che non lo può riguardare. Non è una severa padrona di casa quello che vuoi essere: non è mai stato lo spirito di questo posto, anche se questo stesso posto è dovuto inevitabilmente cambiare per sopravvivere.
    «Questa casa è mia fin tanto che appartiene a tutti gli altri». La maggior parte dei libri ti sono stati lasciati dalle famiglie, dai cacciatori in viaggio. Ci sono diari, pezzi di famiglie che cercano un posto sicuro per tramandarsi ai posteri. Questa casa ha sempre voluto essere questo, sin dall'inizio, sin da quando sentivi di non avere altre alternative o altre speranze. C'è piuttosto che è stato difficile, e continua ogni giorno, renderlo un porto sicuro per tutti i cacciatori, dopo tutto quello che è successo. Un porto a cui tu stessa hai messo limiti, per cui non tutte le barche possono attraccare. Ci sono persone e famiglie intere, per responsabilità e per vendetta, che qui non potranno mai mettere piede, non finché ci sarai tu a capo. La tua magnanimità, in realtà, è molto più parziale di quanto si pensi: solo in pochi ti hanno sentito sputare sentenze mortali.
    No, i formalismi decisamente non servono.
    Ne approfitti per chinarti su una delle pile di libri, e cercare sulla costola del primo che ti capita sottomano l'indirizzo della sua collocazione, secondo quella nuova logica che sta vedendo pile e pile di oggetti aumentare a furia di cercare, levare, spostare e riporre.
    Distogli lo sguardo dalle iniziali solo quando Kieran si sofferma su quella frase. Non è la prima volta che ti capita di sentirla, forse per vie diverse dalle sue, ma non ti è nuova all'orecchio.
    «Una delle leggi dell'analogia, e in realtà del concetto di derivazione».
    ciò che è in alto deriva da ciò che è in basso, e ciò che è in basso deriva da ciò che è in alto, per compiere i miracoli di una cosa.
    «Conoscevo la versione più semplificata.» quella dello smeraldo. Del resto Wilhelmine e Ilya non si erano preoccupati - pensi - di andare a ricercare significati a un grado di profondità maggiore di questo quando hanno scelto il tuo nome. In realtà non sai neanche perché lo abbiano scelto, non è qualcosa che ti sei mai preoccupata di chiedere. Sempre per gente come voi bisogna già solo ringraziare della vita. Questo non significa che i tuoi abbiano operato casualmente e senza interesse verso di te, come tu non lo hai fatto verso i tuoi di figli, ma… beh, certe cose non vi salta neanche in mente di domandarle, come se non fossero importanti in fondo.
    «Grazie.»
    Anche questo quindi è strano da sentire. È in generale strano sentire da qualcun altro cose che sembri essere sempre la sola conoscere, perché il tuo tempo lo hai impiegato sui testi mentre tutti gli altri erano a cacciare al posto tuo.
    Ti lasci sfuggire una mezza risata, del tutto spontanea, tornando a rigirarti il libro tra le mani.
    «Non so quanto ti convenga, onestamente.»
    Forse è scortese dirgli che ci vorrebbe più tempo a spiegargli il criterio e il nuovo ordine che ti sei fissata di dare alla tua raccolta. Un ordine che cambia ad ogni libro spostato e che diventa naturalmente man mano più complesso. Un archivio più che una vera biblioteca: ogni cosa sembra avere un vincolo, un legame imprescindibile con un'altra.
    «C'è solo una regola in questa casa.» per quanto riguarda il ricambiare l'ospitalità.
    «Non presentarsi mai a Putnam Valley senza una bottiglia di alcol.» una norma sacrosanta in una comunità di abituali bevitori.
    «Ma vale solo per i cacciatori, che tendono a bere molto. In sostanza gli faccio un favore.» forse nemmeno la migliore delle pubblicità ad un elemento esterno come può essere lui, distante dal vostro tipo di quotidianità e di abitudini decisamente poco eleganti.
    «Non c'è bisogno di ricambiare niente. Non è il fine di questo posto.»
    L'ospitalità si ricambia con le alleanze, i legami, ma non credi di volerglielo spiegare così: risulterebbe forse un po' rude ridurre tutto ad una questione di favori tra famiglie. Non è così, non completamente, anche se resta un fattore importante, e tu stessa, dopo essere stata riconosciuta a capo di Putnam Valley da Anson, hai deciso chiudere con un lucchetto più resistente le porte di questo posto. Già solo perché sono successe troppe cose che non dovevano accadere, a partire da Ronnie, e a volte vorresti dirti che come motivo basta e avanza. Non è così.
    «Non èuna lettura semplicissima.» torni ad indicargli con un cenno del capo il libro che gli hai portato e che ha ancora tra le mani.
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    Edited by .happysong. - 19/4/2024, 02:03
     
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    Quante settimane erano trascorse dal mio arrivo in questo posto? Due, tre? Eppure le prime sensazioni che Emeraude aveva scaturito in me non mutavano. Forse era troppo presto per dirlo, ma dal primo istante in cui avevo varcato la soglia di Putnam Valley, percepivo Emeraude come una presenza non indifferente, come un'onda che si gonfia, inonda l'intera stanza e, ritirandosi, ti trascina con essa.
    Oppure come un filo invisibile che intreccia ogni spazio, ogni crepa nel muro, ogni spiffero dalla finestra. Come il pilastro fondamentale che regge l'intero rifugio. L'asse di legno che, se spostato, minaccia di far crollare ogni cosa.
    Durante il nostro vagabondare, io e mio figlio avevamo dormito sotto il tetto di parecchie persone, ma nessuna di queste ci aveva fatto sentire accolti nel loro mondo, almeno non davvero. Non avevo sentito la presenza del padrone di casa permeare ogni stanza, avvolgendola in un abbraccio invisibile ma tangibile, finché non avevo scoperto Putnam Valley.
    Era come se la casa stessa respirasse con il respiro di Emeraude, e vibrasse con la sua energia.
    Forse mi sbagliavo o forse no. Solo il tempo mi avrebbe detto la verità.
    Eppure, nonostante la sua generosità nel concedere riparo a me e a Tobie, ero restio a darle del tu. Era come se ci fosse una distanza insormontabile tra noi, una barriera invisibile che mi impediva di avvicinarmi troppo. Fai un po' per le mie vecchie abitudini dure a morire, fai un po' per la sua aura che mi spingeva a trattarla con ossequio.
    Ma alla fine, benché fossi riluttante a farlo, mi arresi alla sua richiesta.
    Chinai il capo verso il basso, le rughe intorno alla mia bocca si spianavano leggermente in un sorriso a labbra giunte, che mi era sorto in maniera spontanea. Non cercai nemmeno di soffocarlo.
    Quando risollevai la testa per tornare a guardare Emeraude, sul mio volto c'era ancora l'ombra di quel sorriso. Non c'era bisogno dell'uso delle parole per farle capire che con quell'imposizione aveva avuto la meglio su di me.
    Lei si avvicinò a una delle torri fatte di libri e io la seguii con lo sguardo. Per quanto ci provassi a farlo, mi risultava complicato distogliere l'attenzione e focalizzarla altrove. La sua presenza mi incuriosiva, non solo per il modo con cui i suoi passi risuonavano leggeri nel pavimento di legno consumato, come un ritmo costante che teneva insieme i pezzi di questo scrigno di ricordi e storie vissute, ma anche per gli innumerevoli accessori che indossava.
    Mi piaceva studiare le persone, e di solito i credenti che si rivolgevano a me per una parola di conforto mi permettevano di scoprirli, un pezzettino alla volta, senza mai essere indelicato o invadente.
    Ma Emeraude possedeva così tanti dettagli da scoprire che non avevo idea da dove partire. E me ne rendevo conto solo adesso, giacché in precedenza non avevo avuto occasione di esserle abbastanza vicino da notare che profumava di fiori. O almeno, io credevo fosse profumo di fiori. Non avevo dimestichezza con l'argomento, però mi ricordava il profumo di un prato rigoglioso, con i petali di rose e glicine che viaggiano con l'aria e col vento e ti inebriano i sensi. I nostri incontri finora erano sempre stati brevi, e li consumavamo piuttosto in fretta, poiché lei era, com'era giusto che fosse, presa dai suoi impegni e io dai miei.
    Il suo commento sulla citazione di Ermete mi lasciò particolarmente, piacevolmente sorpreso.
    "Per produrre il miracolo della cosa unica occorre che l'alto sia come il basso e viceversa, vale a dire che tu pervenga alla constatazione degli inversi limiti che ti condizionano, attraverso una forma di separando che in realtà non ti separa dal tutto, ma ti restituisce a te stesso". Ne approfittai per continuare il discorso che ormai aveva stuzzicato il mio interesse, ma anche scoperchiato un po' della nostalgia dei vecchi tempi, di quando ero solo un giovane che aveva, finalmente, ritrovato la retta via. "Il mio insegnante di Teologia ci spiegò che per creare qualcosa di unico e miracoloso, è necessario accettare che ciò che è alto sia simile a ciò che è basso e viceversa. In altre parole, per trovare armonia ed equilibrio dentro di noi, dobbiamo accettare e comprendere sia gli aspetti positivi che quelli negativi, e riconoscere che sono entrambi parte di noi." Appesi gli occhiali da riposo al colletto della camicia, il sorriso delicato, quasi impercettibile, che tornava a sbocciarmi sulle labbra. "Un romantico direbbe che solo la fitta oscurità regala le stelle più luminose."
    Avevo avanzato di qualche passo verso di lei, mantenendo comunque una debita distanza tra noi, quando Emeraude mi ricordò la famosa regola del dover omaggiare i cacciatori con dell'alcool. In realtà questa cosa non mi era nuova. I miei genitori, sfruttando le loro conoscenze e i contatti con i cacciatori, avevano pensato bene di tenermi informato sulle attitudini che erano soliti adottare. Avevo seguito alla lettera i loro consigli e mi ero tenuto preparato con una bottiglia di uno scotch invecchiato di 200 anni. Un dono che tuttavia era andato perduto nel tragitto verso Putnam Valley.
    L'avevo anche immediatamente riferito al primo volto che ci aveva accolto in casa, quando la padrona non era ancora rientrata. La donna, però, si era limitata a grugnire e a stringere tra i denti una frase che sia io che Tobie non eravamo riusciti ad afferrare. A quanto sembrava, non si era preoccupata più di tanto a riferirlo ad Emeraude. Ma questa non era una giustificazione, assolutamente no.
    "Almeno permettimi di preparare la cena per tutti voi stasera." Sì, avevo già in mente quale piatto cucinare. Uno tradizionale della mia patria con cui avrei probabilmente potuto guadagnarmi il perdono per essermi presentato a mani vuote. Ancora oggi mi sembrava di ricevere occhiate piene di risentimento da quella donna. "Stufato di bocconcini di manzo cotti nella birra, che te ne pare?"
    Sinceramente, un po' mi mancava mettermi ai fornelli e liberarmi di tutti i pensieri non legati a quel momento. Mettere a bollire le preoccupazioni su mio fratello mi avrebbe acquietato la mente.
    Cucinare mi avrebbe permesso di dimenticare chi ero e perché ero venuto in questo posto.
    Mi ritrovai con la gola improvvisamente secca quando Emeraude riportò la conversazione sul libro che ancora reggevo tra le mani. Non era un argomento facile da trattare, almeno non per me.
    Non ero nemmeno sicuro di voler condividere con lei le mie ricerche su Victor e sul flagello che l'aveva colpito, qualunque cosa esso fosse. Ma la parte più razionale e radicata in me sapeva che senza un aiuto non sarei andato da nessuna parte.
    Contavo sempre sull'appoggio del Signore, ma, forse, avevo davanti a me la persona che mi avrebbe spianato la strada colma di buche e ostacoli da aggirare.
    Rilasciai il fiato in un uno sospiro pesante, combattuto tra il volerla rendere partecipe dei miei studi e il tacerle la verità.
    "Quanto nei sai delle possessioni spiritiche?"
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    No, non hai mai creduto troppo alle formalità, ma per il semplice e banale fatto, forse, che non sei cresciuta così. Certo, hai imparato a stare nel mondo, anche in uno diverso dal tuo, a conoscerne le regole, certe regole, per non dare nell'occhio, per raggiungere i propri obiettivi, semplicemente per vivere su un certo territorio e in mezzo ad una grande società nella quale non potete, anche solo in minima parte, non ricomprendervi.
    Ma qui le cose sono diverse e vogliono esserlo. Forse Kieran non lo sa, e forse non lo sai nemmeno tu come si parlano tra di loro i cacciatori di Edimburgo, ma credi in una familiarità, soprattutto in questi casi, quando due braccia hanno la possibilità di tendersi e di scambiare qualcosa attraverso l'Oceano, sperando nell'amicizia reciproca, o quantomeno nel rispetto di chi, da entrambe le parti, ha delle mire e delle ambizioni da dover soddisfare soprattutto con la diplomazia. Magari è difficile da spiegarglielo, difficile spiegare come si trovi in mezzo ad una scacchiera che solo in apparenza non sembra così complessa: anche il baratto ha delle regole precise, dei codici da rispettare. Ma non vuoi spiegargli quali fili sottili tengono in piedi questa casa, questo luogo quasi come istituzione. Non vuoi spiegargli ancora chi sia Anson Foulger, quanto ti è costato avere Putnam Valley, sebbene apparisse tua da sempre: falso pure questo. Per questo ci tieni che sia un luogo accogliente, ci tieni che sia un riparo, non solo per i cacciatori a questo punto, e ci tieni anche che sia uno snodo per tutti quegli accordi invisibili che ti si cuciono tra dente e gengiva quando gli sorridi in maniera spontanea, gentile. Dietro la tua cortesia ci sono tante cose, ci sono da sempre con tutti, cose di cui solo tu porti il peso, cose che tengono in piedi questo posto ma che non diventano la plateale moneta di scambio per restare sotto questo tetto, mangiare alla tua tavola. E lo sai che funziona, perchè, come in ogni cosa che funziona, i meccanismi non sono quasi mai a vista. La macchina perfetta è sempre quella che non fa notare i propri ingranaggi. E anche qui ci sono. Eccome se ci sono.
    Il caso poi a volte riserva anche piacevoli sorprese, anche se hai perso l'abitudine, anche se il più delle volte ti aspetti solo quella solita onda nera che torna indietro dopo essersi ritirata dalla battigia dandoti un istante di respiro. Un po' come se anche questo fosse un meccanismo vitale ed imprescindibile della macchina chiamata "Emeraude".
    Ti capita spesso di persone che vengono qui senza sapere cosa cercare, e si rivela in questo il tuo compito e la tua vocazione: dare risposte a chi pone problemi pratici, a volte senza neppure un vero nome, all'inizio. La formazione intellettuale di un cacciatore è quella che è, indubbiamente, e figure come te servono anche a questo, a dare un nome a quelle cose pratiche. Il nome di uno spirito, di una creatura, le memorie di chi l'ha saputa uccidere prima di qualcun altro. I sintomi di cui ricercare le cause. Capita di rado invece che qualcuno si soffermi su qualcosa che non abbia meri risvolti utilitari. Sulla pura filosofia, ad esempio.
    Devi fermarti nei tuoi gesti per seguire le sue parole. Non perché tu non le capisca, ma perché, appunto, è raro per te sentire espresse a voce cose che rimangono sempre sui libri, con un tempo diverso per immagazzinarle e comprenderle.
    «In sostanza il principio dell'Alchimia, sempre grazie ad Ermete.»concludi, senza voler però approfondire oltre. Curioso pure questo a Putnam Valley, ma non ti sei dimenticata di avere di fronte un magonò. Ti sei informata su chi fosse quest'uomo che i cacciatori di Edimburgo di raccomandavano. Un po' di storia personale, insomma. Certe cose non sai quindi neanche quanto sia indelicato o poco saggio affrontarle, e preferisci chinarti di nuovo sulla pila di libri, anche se non avevi pensato prenderti seriamente adesso del tempo per metterli a posto. Uno alla volta, ogni tanto quando passi o ti capita di entrare in quelle stanze, per trasportarlo da un luogo ad un altro quando sei di fretta o l'itinerario tocca proprio lo scaffale designato nella tua mente. Ogni tanto apprezzeresti una mano, ma poi, per quella sorta di "deformazione professionale", se così la vogliamo chiamare, finisci arrendendoti al fatto che solo tu sei in grado di aiutarti, ed in un certo senso non può che essere vero se l'unico "catalogo" disponibile di questa "biblioteca" resta ad ora solo ed unicamente il tuo cervello.
    «Te lo posso concedere.» forse la cosa meno inusuale questa, che qualcuno cucini al tuo posto. «Meglio non poteva capitarci.» ma ecco di nuovo l'inedito. Tendete ad accontentarvi anche di meno, e in una punta di preoccupazione ti sorge quando pensi a Martin o Ronnie, e al fatto che potrebbero non apprezzare abbastanza certe raffinatezze culinarie.
    Ma lo metti da parte questo tipo di pensiero. Sollevi lo sguardo di nuovo dal libro, sui cui lo avevi posato di nuovo velocemente, perchè non ti sfugge la sua espressione, la sua titubanza.
    Quando ti hanno mandato Kieran sapevi che era per una cosa importante, e in realtà sapevi già quale era questa cosa. Davanti ai segreti non ci sarebbe stato alcun accordo e lui non sarebbe qui oggi. Quindi, in un certo senso, è come se già la conoscessi la sua domanda.
    «Abbastanza. Fa anche quello parte del nostro lavoro.»
    Poggi di nuovo il libro sulla pila, dove ci resterà ancora per qualche altro giorno.
    «Conosco un paio di cacciatori che sono quasi specializzati in esorcismi.»
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